Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Abusi edilizi e sistema sanzionatorio: contesto normativo e profili dommatici: la lottizzazione abusiva. – 2.1. Le ulteriori fattispecie di illecito edilizio. – 3. Il principio del legittimo affidamento e il potere sanzionatorio: considerazioni dommatiche e profili di interferenza. – 3.1: Segue: legittimo affidamento e onere motivazionale nell’ordine di demolizione: vicende applicative. – 4. Abuso di necessità e diritto all’abitazione: le soluzioni giurisprudenziali nel diritto interno e sovranazionale. – 5. Considerazioni conclusive.
1. Considerazioni introduttive
Il tema dell’abusivismo edilizio e della disaggregazione territoriale esistente fra nord e sud Italia nell’utilizzazione del territorio[1] ha da sempre sollevato un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza con orientamenti contrastanti sulla interpretazione ed applicazione delle misure di contrasto e repressione degli abusi, anche per le forti incertezze e contraddizioni esistenti nel sistema normativo in ambito edilizio[2]. Considerato che il territorio italiano è posto anche ad alti rischi di dissesto idrogeologico e molti Comuni sono ad alta pericolosità di frana e pericolosità di idraulica, ci si è chiesti quali misure si possono adottare per preservare le aree verdi ed il territorio contrastando fattori quali il consumo del suolo e l’abusivismo edilizio ed esplorando soluzioni che possano mitigare la tensione sociale preludendo a una strategia di ricomposizione urbanistica. Il tema dell’abusivismo edilizio non può essere ridotto solo ad una questione strettamente repressivo-sanzionatoria ma è un problema anche culturale, di prevenzione, di ambiente, di salute che va opportunamente sviluppato, quindi, in un quadro normativo nazionale e regionale chiaro e lungimirante.Tuttavia, la dilagante diffusione dell’abusivismo edilizio, l’intrico normativo e l’articolata suddivisione delle competenze fra Stato-Regioni hanno contribuito ad acuire la scarsa tutela del territorio oltre che al fallimento delle politiche urbanistiche ed ambientali nazionali, regionali e locali, confermando la crisi del modello di federalismo consolidatosi dopo la riforma costituzionale del 2001. Paradossalmente i conflitti di competenza fra istituzioni, la gerarchia normativa che vede intersecarsi principi costituzionali, Testo Unico dell’edilizia, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Convenzione europea sul paesaggio, leggi nazionali e regionali, normative e pianificazioni a ogni livello ha dato luogo a un farraginoso sistema normativo con norme spesso non coincidenti tra loro.
In un tale contesto caratterizzato da carenze e criticità della normativa e dell’attività amministrativa del governo del territorio – che hanno sovente impedito la costruzione di un sistema urbano equilibrato e policentrico – si inserisce il delicato rapporto tra potere-dovere dell’amministrazione pubblica locale nell’esercizio dei poteri di vigilanza e di irrogazione di sanzioni su tutta l’attività edilizia ed urbanistica e delle conseguenze imputabili alla sua inerzia nella repressione degli illeciti urbanistici. Per la Suprema Corte di Cassazione, in particolare, con riguardo ai reati urbanistici[3], l’oggetto della tutela penale apprestata in materia edilizia non va individuato esclusivamente nell’interesse strumentale della P.A. al controllo delle attività che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, bensì e principalmente nella "salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio" medesimo[4]. Ed al fine di garantire un ordinato sviluppo del territorio si rende necessario un apparato normativo di chiusura che garantisca la vigilanza e la repressione degli abusi edilizi mediante sanzioni sia amministrative che penali[5].
2. Abusi edilizi e sistema sanzionatorio: contesto normativo e profili dommatici: la lottizzazione abusiva
L’attuale disciplina della vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia[6], nonché della responsabilità e sulle relative sanzioni, è contenuta nel Titolo IV, capi I e II, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 s.m.i. (cd. t.u.ed.)[7], che costituisce il testo fondamentale di riferimento[8], anche se ai sensi dell’art.117 Cost. il ‘governo del territorio’[9] rientra tra le materie di competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni[10]. Coerentemente con tale assetto, il t.u.ed. fa riferimento alla potestà legislativa regionale esercitabile nel rispetto dei principi fondamentali così come fissati da legge statale. (art. 2 t.u.ed.)
Il t.u.ed. nel disciplinare i diversi livelli di intervento sul territorio, prevede, per la violazione dei precetti relativi ad ognuno di essi, apposite sanzioni. Il legislatore, infatti, dopo aver individuato agli artt. 27 e 31, commi 7 e 8, i soggetti preposti all’attività di vigilanza e di repressione e all’art. 29 i soggetti diversamente responsabili dell’illecito commina, per gli interventi realizzati in assenza di titolo, le sanzioni amministrative di cui agli artt. 31, 33, 37, 38, nonché quelle penali di cui all’art. 44, comma 1, lett. b e c, e comma 2-bis, applicabili unitamente a quelle amministrative[11].
L’individuazione dei soggetti coinvolti nella realizzazione dell’illecito edilizio costituisce il presupposto per la applicabilità delle sanzioni di cui al Capo II, sia dal punto di vista amministrativo che penale: a tal proposito, l’art. 29 t.u.e.d. stabilisce che “il titolare del permesso di costruire, il committente ed il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo” [12]. Sussiste, poi, un preciso obbligo[13] di attivarsi da parte dei soggetti deputati alla vigilanza sull’attività urbanistica. La legislazione urbanistica, infatti, attribuisce all’ente comunale il potere-dovere di intervenire al fine di prevenire e di reprimere gli episodi di abusivismo, di cui, tuttavia, non circoscrive debitamente i margini di discrezionalità[14].
Inoltre, ancora problematico è il tema delle modalità di partecipazione del privato al procedimento di irrogazione della sanzione. Tendenzialmente la giurisprudenza maggioritaria esclude che i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, attesa la loro natura vincolata e la doverosità della sanzione, debbano essere assistiti da particolari garanzie partecipative, e quindi preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 e ss. della l. n. 241 del 1990 agli interessati per le opere realizzate in assenza di titolo[15], ma sul punto si tornerà nel corso della trattazione.
Come innanzi detto, il t.u.ed. al capo II, nell’individuare le diverse ipotesi di illecito, delinea un sistema graduato delle misure di repressione degli abusi edilizi e le relative conseguenze sanzionatorie amministrative e penali, prevedendo altresì, le ipotesi di sanatoria ottenibile mediante l’accertamento di doppia conformità disciplinato dall’art. 36[16].
L’art. 30, nel disciplinare gli elementi tipici della lottizzazione abusiva e il relativo regime sanzionatorio[17], come più volte sottolineato dalla giurisprudenza , mira a garantire un ordinato sviluppo del tessuto urbano, in coerenza con le scelte urbanistiche dell’amministrazione comunale, il cui potere pianificatorio viene ad essere vanificato dall’indebito intervento urbanistico o edilizio sui terreni “in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adattati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione” (art. 30 comma 1)[18]. La norma prevede l’adozione di atti amministrativi volti a colpire e sanzionare sul piano amministrativo la lottizzazione abusiva di terreni, senza che sia prevista alcuna pregiudiziale penale, cioè di previa verifica della sussistenza della responsabilità penale di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001[19]. Difatti, in caso di accertamento di tale condotta illecita, il dirigente del competente ufficio comunale deve emettere immediata ordinanza di sospensione delle opere in corso, che va trascritta nei registri immobiliari, e il “divieto di disporre dei suoli e delle stesse opere con atto tra vivi”; qualora, nei successivi 90 giorni, non intervenga la revoca del provvedimento di sospensione, si attiva un meccanismo di automatica traslazione delle aree lottizzate nel patrimonio disponibile del Comune in modo che il dirigente o responsabile del competente ufficio possa procedere alla demolizione (art. 30, commi 7 e 8)[20]. In tal caso,la gratuita acquisizione del bene abusivo nel patrimonio dello Stato è inscindibilmente connessa al regime di competenza della rimozione dell’opera abusiva che rientra nella sfera della pubblica amministrazione[21].
In merito al ruolo che deve essere svolto dalle Amministrazioni competenti, i Giudici di Palazzo Spada[22] hanno precisato che gli enti preposti nella gestione e tutela del territorio non esauriscono la loro funzione nel tutelare l’interesse al formale rispetto della pianificazione urbanistica, esigendo, invece, anche “la tutela dell’interesse all’effettività del controllo del territorio da parte del soggetto pianificatore tenuto a reprimere qualsiasi intervento lottizzatorio che non sia stato previamente assentito”. Ciò perché spesso non è infrequente constatare lacorresponsabilità dello stesso Comune nella violazione delle norme urbanistiche e nel mancato esercizio del controllo. Del resto, la giurisprudenza amministrativa e penale più volte ha sottolineato che la lottizzazione abusiva è fra le principali cause del degrado urbano e dei gravi problemi sociali che ne derivano[23] e la sanzione prevista dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio del Comune contemplata dall’art. 30, comma 8, tu.e.d. è un atto vincolato[24].
Tuttavia, va ricordato che l’innegabile gravità dell’effetto della confisca per coloro che si trovino coinvolti anche in modo inconsapevole ed estranei alla condotta antigiuridica, ha determinato per quanto concerne le sanzioni, un’oscillazione in merito alle posizioni assunte della stessa Cassazione nell’individuare dei correttivi alla irrogazione della confisca da parte del giudice penale, prendendo in considerazione la possibilità di riconoscere tutela alla buona fede degli acquirenti anche in considerazione del principio di proporzionalità della sanzione. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di acquirente in buona fede, nel caso in cui non sia stata trascritta l’ordinanza di demolizione antecedentemente all’atto di acquisto, con la conseguente sua inopponibilità agli aventi causa del cespite. In tale ipotesi,ai sensi dell’art. 1147 c.c. “la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto”, e che “la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave”[25]. Inoltre, l’art. 46, comma 1, del Tu.e.d prevede la sanzione della nullità solo per gli atti tra vivi, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985, e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Con la conseguenza che, allorquando nell’atto notarile di trasferimento dell’immobile oggetto di irregolarità urbanistica, il titolo edilizio sussista, ma l’abuso consista in una lottizzazione abusiva per cambio di destinazione d’uso, lo stesso non può essere dichiarato affetto dal vizio di nullità, pur essendo irregolare sotto altri profili[26]. In tale ipotesi, di fronte ad un atto rogato da notaio che non sollevi alcuna obiezione, la buona fede dell’acquirente non può essere apriori esclusa nonostante l’orientamento della giurisprudenza (se pur non condivisibile) che ritiene sussistere nell’acquirente una presunzione legale di conoscenza del regime urbanistico ed edilizio.
Al riguardo, la Corte costituzionale nella sentenza 26 marzo 2015 n. 49, seguendo l’orientamento della CEDU, rilevò che in caso di lottizzazione abusiva la confisca disposta, avendo natura di sanzione intrinsecamente penale, qualora venga in concreto applicata da un’autorità diversa dal Giudice penale, ovvero dall’autorità amministrativa, può essere disposta “solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti”[27]. Ma con successiva sentenza 8 luglio 2021 n. 146, la Corte costituzionale soffermandosi sulla tutela dei terzi acquirenti destinatari della misura ablativa, ha in primo luogo affermato che, essendo nulli gli atti di acquisto di beni oggetto di lottizzazione abusiva, gli stessi possono agire, nei confronti dei responsabili diretti dell’illecito lottizzatorio mediante azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ed eventuale azione risarcitoria. Ma ha anche osservato che, se la confisca, per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale del singolo, è vincolata anche al rispetto del principio di proporzionalità, è nondimeno doveroso ritenere che tale principio assume diverse caratterizzazioni – riverberandosi ciò sulla diversa entità della tutela offerta – a seconda della struttura delle fattispecie sanzionatorie e delle relative finalità[28], considerato anche che, l’adozione della misura ablatoria si realizza solo laddove a tale esito non si sia giunti per effetto della previa adozione, da parte del Comune, dei provvedimenti previsti dall’art. 30, commi 7 e 8, d.P.R. n. 380/2001 e delle altre determinazioni dell’Autorità amministrativa comunale.
Di certo non aiuta l’interprete Cass. pen., Sez. III, n. 18527/2022[29], la quale, ribadendo che sussiste la lottizzazione c.d. materiale allorquando “l’intervento è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale, presupponendo la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, o comunque quando si verifica un mutamento dell’assetto territoriale che implica la necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle esistenti”, ritiene che per aversi lottizzazione abusiva occorra un mutamento dell’assetto territoriale comportante la predisposizione di nuove opere di urbanizzazione, dimenticando che il legislatore già con l’art. 18 l. 28 febbraio 1985 n. 47 avesse dato la definizione dell’illecito della lottizzazione[30]. Ma così ragionando, si finirebbe con l’attribuirebbe al giudice una discrezionalità nella valutazione di quel quid pluris – tale da sconfinare nell’arbitrio – nonché la violazione del principio costituzionale di eguaglianza in correlazione alle sanzioni stabilite dalla legge per gli illeciti.La oggettiva complessità e poliedricità del fenomeno evidenzia la innegabile gravità delle conseguenze che essa comporta soprattutto per coloro i quali non risultano sempre consapevoli della antigiuridicità dei comportamenti e delle implicazioni connesse all’esercizio del potere delle amministrazioni comunali.
2.1. (Segue): Le ulteriori fattispecie di illecito edilizio
Occorre premettere che le fattispecie di illecito edilizio che saranno oggetto d’analisi sono quelle sottoposte al regime di controllo preventivo connesso al necessario previo rilascio del titolo abilitativo. Gli interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività[31], invece, sono regolati dall’art. 37 tu.e.d che prevede la sola “sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale del bene conseguente alla realizzazione dell’abuso e comunque non inferiore a 516 euro”[32].
Oltre all’ipotesi della lottizzazione abusiva, che rappresenta l’illecito urbanistico più grave tra quelli previsti dall’attuale ordinamento, il d.P.R. n. 380/2001 distingue diverse categorie di illecito, individuandone le specifiche caratteristiche.
Difatti, autonomo rispetto alla fattispecie di lottizzazione abusiva è un diverso genus di abuso edilizio caratterizzato, come si coglie dalla diversa qualitas e dosimetria sanzionatoria, da una minore carica disvaloriale. Detta categoria è suscettibile di venire a consumazione, alternativamente, mediante diverse modalità di realizzazione, ordinate secondo la gravità dell’abuso: una prima ipotesi, delineata dall’art. 31, parifica, quanto alle conseguenze sanzionatorie, tre tipi di intervento abusivo: quello realizzato nell’assenza di permesso di costruire, in totale difformità e con variazioni essenziali. In ossequio al principio di determinatezza dell’illecito, che informa il sistema sanzionatorio latu sensu, il Legislatore, ai sensi degli artt. 31, comma 1, e 32[33], puntualmente descrive le ultime due fattispecie nelle rispettive caratterizzazioni oggettive.
La seconda modalità di realizzazione, di carattere residuale, consiste, invece, in un intervento edilizio soltanto parzialmente difforme dal permesso a costruire (art. 34).
L’assenza di una esplicita perimetrazione contenutistica di quest’ultima fattispecie ha richiesto interventi giurisprudenziali in chiave tassativizzante: la nozione di parziale difformità, secondo una ricostruzione di matrice pretoria, presuppone che l’intervento costruttivo, nonostante sia previsto nel titolo autorizzatorio, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle “consacrate a livello progettuale”[34].
Tale prospettiva riceve specifico avallo da una lettura a contrario dell’art. 31 t.u.ed., che, nel descrivere le opere eseguite in totale difformità dal permesso a costruire, si riferisce a quelle che “comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto nel permesso stesso”. Come opportunamente evidenziato in giurisprudenza, il discrimen intercorrente tra le due species di difformità – che sono accomunate esclusivamente dalla sussistenza di un titolo abilitativo descrittivo di uno specifico intervento costruttivo – va ravvisato nella divergenza dei parametri di raffronto: se la totale difformità evoca una “comparazione sintetica tra l’organismo progettato e quello scaturente dalla complessiva attività di edificazione, quella parziale, piuttosto, concerne la singola difformità rispetto alle previsioni progettuali dell’intervento edilizio”[35].
Margini di potenziale sovrapponibilità si profilano anche con riguardo alla fattispecie intermedia dell’intervento realizzato con variazioni essenziali: a tal proposito si è di recente sostenuto che integra difformità parziale un intervento caratterizzato da modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera[36].
Il corretto discernimento tra le diverse ipotesi è pregno di risvolti di tipo pratico apprezzabili in punto di disciplina. Nella prima categoria, a tenore dell’art. 31, accertata la sussistenza dell’illecito, la pubblica amministrazione emette un provvedimento col quale ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione. Come sanzione all’inottemperanza del suddetto obbligo, oltre che l’irrogazione di una pena pecuniaria, opera un meccanismo analogo a quello previsto per la lottizzazione abusiva. In particolare “il bene e l’area di sedime[37], nonché quella necessaria secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune”.
Nella seconda ipotesi, ferma restando la rimozione o la demolizione delle opere abusive a spese dei responsabili e a cura di questi ultimi – ovvero a cura del Comune in caso di inerzia dei responsabili – è prevista una speciale ipotesi di conversione della sanzione demolitoria con una pena pecuniaria – cd. fiscalizzazione dell’abuso[38] – secondo i parametri di commisurazione di cui all’art. 34, comma 2, stante la parziale conformità dell’intervento ai requisiti prescritti. Detta conversione, infatti, è subordinata alla valutazione di impossibilità di rimozione dell’opera senza pregiudizio dell’intervento realizzato a norma di legge.
A mente di consolidata giurisprudenza la prospettiva funzionale prevalente del complesso sanzionatorio è quello orientato alla restituzione in integro dell’ordine urbanistico violato[39]. La sanzione pecuniaria, infatti, si qualifica come deroga alla regola generale della demolizione e presuppone la rigorosa dimostrazione dell’oggettiva impossibilità di procedere alla rimozione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell'intero edificio [40].
Il Legislatore, dunque, attribuisce alla pubblica amministrazione, su istanza del privato e nella fase esecutiva, il potere di sostituire la più grave sanzione della demolizione con una pena di species diversa, cioè la sanzione pecuniaria solo nei casi in cui sia oggettivamente impossibile procedere alla demolizione: “deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso”[41]. Di nessun rilievo, pertanto, sarebbe il fatto che l’intervento di ripristino risulti eccessivamente oneroso anche in ragione del valore attribuibile all’immobile. A parere del Consiglio di Stato, infatti, “se si potessero prendere in esame anche questi profili si rischierebbe di trasformare l’istituto in esame in una sorta di “condono mascherato” con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio e in contrasto con la chiara determinazione del legislatore, che ha imposto che abbia luogo la demolizione parziale, tranne il caso in cui la relativa attività materiale incida sulla stabilità dell’intero edificio, e dunque anche nell’ipotesi in cui nella parte da demolire siano stati realizzati strumenti o impianti più o meno costosi”[42].
Quanto al pregiudizio funzionale ovvero ai danni arrecati all’immobile che possono impedirne l’utilizzo (es. interruzione degli impianti), lo si ritiene irrilevante in quanto, ripristinati lo stato dei luoghi e lo status legittimo (art. 9-bis d.P.R. n. 380/01), l’interessato potrà dare corso a tutti gli interventi utili all’ottenimento delle condizioni previste per l’agibilità degli immobili. Pertanto, è onere del privato fornire dimostrazione dell’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme[43].
Tale affermazione poggia, in primo luogo, sul bene giuridico tutelato dal complesso normativo in esame, qual è l’ordinato sviluppo del tessuto urbano e degli insediamenti abitativi, in aderenza alle scelte pianificatorie dell’amministrazione nonché un uso corretto del suolo edificabile coerente con le sottese esigenze finanziarie e della comunità territoriale di riferimento. Viene in rilievo, in secondo luogo, l’interesse privato alla salvaguardia di un intervento edilizio realizzato in maniera compatibile con i parametri di legge, riferibile, a seconda dei casi, alla libera iniziativa economica o al diritto di abitazione.
Nel contesto normativo così delineato è possibile individuare un sistema sanzionatorio che si articola, sul versante amministrativo, in un triplice ordine di misure: l’ordine di demolizione, la gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva nelle ipotesi di cui all’art. 31 tu.e.d.[44] e la pena pecuniaria eventualmente inflitta in sostituzione alla demolizione.
Tale assetto è insuscettibile di essere ricostruito in termini univoci in ragione della profonda asimmetria che insiste quanto ai rispettivi requisiti di operatività nonché quanto ai relativi scopi: l’ingiunzione a demolire è sanzione orientata alla restitutio in integrum e, segnatamente, all’obiettivo di ristabilire il menomato ordine urbanistico[45]. Invero, proprio in ragione della sua spiccata vocazione ripristinatoria, l’irrogazione della misura prescinde dall’accertamento dei requisiti soggettivi del trasgressore potendosi applicare anche a carico del soggetto rispetto al quale non sia possibile muovere alcun addebito di responsabilità purché si trovi in rapporto con la res tale da consentire la restaurazione dell’ordine violato[46].
L’automatica traslazione dell’oggetto materiale dell’illecito al patrimonio dello Stato, invece, differentemente si atteggia a seconda dell’illecito contestato e conserva la propria autonomia rispetto all’ordine di demolizione[47]. Nei casi di lottizzazione abusiva, infatti, la misura ablatoria ha ad oggetto le aree lottizzate ed è conseguenza automatica della mancata revoca dell’ordine di sospensione di cui all’art. 30, comma 7: essa è legata da un nesso di stretta strumentalità con la demolizione delle opere che avviene a esclusiva cura della pubblica amministrazione competente.
Nel diverso caso di interventi eseguiti in assenza, totale difformità o con variazioni essenziali del permesso di costruire, come anticipato, il soggetto che deve provvedere alla demolizione è il responsabile dell’abuso, destinatario del provvedimento di ingiunzione, o l’attuale proprietario dell’immobile, se soggetto diverso. Solo in caso di inottemperanza all’ordine di ripristino[48], è prevista la sanzione della gratuita acquisizione con vocazione afflittiva[49]: tale misura, infatti, non ha valenza strumentale alla rimozione delle opere indebitamente realizzate ed è, invece, subordinata ad un duplice ordine di condotte: la costruzione di un’opera abusiva e l’inadempimento all’obbligo di demolirla[50]. In presenza di tali condizioni, il transito del bene abusivamente edificato nel patrimonio comunale avviene ipso iure, costituendo effetto automatico di tali condotte[51]. In tal caso, proprio in ragione della natura afflittiva della sanzione in esame, vi deve essere necessaria coincidenza tra l’autore della condotta sanzionata – ovverosia l’inottemperanza – e il destinatario della sanzione, in ossequio al principio della personalità della pena[52].
La ricostruzione della natura e degli effetti della sanzione nei termini anzidetti è stata di recente ribadita dal Consiglio di Stato, che ha chiarito alcuni profili della disciplina in esame e segnatamente quali siano le condizioni affinché il proprietario del bene abusivo possa scongiurare l’effetto ablativo a detrimento del diritto di proprietà.
In particolare, il soggetto destinatario di un ordine di demolizione non adempiuto deve dimostrare di essere stato impossibilitato ad eseguirlo “per una ragione non riconducibile a sua colpa” [53]. Solo in tal caso si recide il necessario nesso di riferibilità soggettiva della condotta materiale al soggetto, sufficiente a ritenere non integrato l’illecito in questione.
La sentenza in esame prende in considerazione anche l’ipotesi non infrequente in cui il rapporto con la res sia precluso in ragione della sottoposizione del bene a sequestro penale. Ebbene, in tal caso, la mera sottoposizione a sequestro, che fisiologicamente esclude qualsivoglia potere di disponibilità sulla cosa, non è di per sé ostativa a rendere operativo il meccanismo di automatico trasferimento. Ciò in quanto grava comunque sul titolare l’onere di attivarsi presentando all’autorità giudiziaria un’istanza di dissequestro ai fini del ripristino dello stato dei luoghi così come contemplata ai sensi dell’art. 85 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale: solo in caso di rigetto si avrebbe sospensione dell’ordinanza di demolizione. In tale ipotesi, invero, non sarebbe possibile muovere un giudizio di rimproverabilità nei confronti del destinatario della misura afflittiva posto il carattere incolpevole della condotta inadempiente. Tale conclusione consente, peraltro, bilanciare la insopprimibile garanzia della necessaria riferibilità soggettiva della condotta all’autore, alla diversa esigenza di “non incentivare comportamenti opportunistici volti a paralizzare l’azione amministrativa di vigilanza e tutela del territorio, speculando sui tempi – per ovvi motivi, necessariamente più lunghi – di conclusione del procedimento penale”[54].
La forte incidenza della misura ablatoria in esame sul diritto di proprietà soddisfa, come osservato in dottrina, anche una funzione marcatamente preventiva della commissione dell’illecito congiuntamente a quella di incentivare alla spontanea rimozione dell’illecito[55].
Significativa valenza paradigmatica assume, con riguardo al tema in esame, il comma 5 dell’art. 31 del TU Edilizia[56]: nel delineare le conseguenze dell’acquisizione gratuita del bene al patrimonio dello Stato, ne individua quale esito fisiologico la demolizione cui – occorre ribadirlo – tale misura ablatoria è preordinata[57]. La norma individua, poi, un’ipotesi derogatoria rappresentata dal caso in cui “con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.” In tal caso non si darebbe luogo alla demolizione e l’opera abusivamente costruita resterebbe inglobata nel patrimonio statale.
Tale disposizione suscita particolare interesse per una serie di aspetti che spaziano dal profilo redazionale alle relative implicazioni quanto alla consistenza del potere del Comune.
La pubblica amministrazione territorialmente competente può, in deroga al regime sanzionatorio, deliberare a favore della permanenza di un’opera formalmente abusiva se ravvisi l’esistenza di interessi pubblici preponderanti. La norma attribuisce alla P.A. una discrezionalità dai confini evidentemente estesi in ragione del generico richiamo alla categoria degli interessi pubblici e in assenza di un catalogo legalmente predeterminato idoneo a veicolare l’azione discrezionale della pubblica amministrazione.
L’ampia categoria di interessi pubblici è, invero, notoriamente poliedrica e suscettibile di inglobare una vasta gamma di valori rilevanti che, nell’ipotesi in esame, il Legislatore non si occupa di circoscrivere.
Tale considerazione è pregna di conseguenze pratiche: la discrezionalità della pubblica amministrazione, è così significativamente dilatata con il latente rischio di abuso di tale estensione. Alle complicazioni geneticamente connesse al bilanciamento di interessi pubblici e privati che rilevano nel caso concreto, si aggiungono, infatti, quelle derivanti da una necessaria e preliminare selezione in astratto degli interessi pubblici da ponderare, scelta che sfugge a qualsivoglia circoscrizione legislativa ma è rimessa interamente alle scelte comunali. Un tale contesto genera qualche perplessità che è alimentata, in primo luogo, dalle conseguenze particolarmente incisive di una scelta totalmente rimessa alla P.A. sulla sfera del privato: la misura ablatoria della gratuita acquisizione dello Stato, che incide in misura massima su un diritto costituzionalmente garantito, è inscindibilmente connessa alla demolizione di una costruzione abusiva: dovrebbe essere, dunque, prerogativa del Legislatore stabilire con precisione le condizioni che consentono sacrificio di un diritto soggettivo, destinato a cedere dinnanzi all’interesse pubblico preponderante: quello della salvaguardia dell’ordine edilizio. L’ipotesi derogatoria contemplata dal comma 5 dell’art. 31 attribuisce al Comune il potere di interrompere il nesso di strumentalità tra la gratuita acquisizione del bene al patrimonio dello stato e la demolizione, consentendo, peraltro, una deviazione dalla naturale conseguenza della demolizione sulla base di una valutazione di interessi rimessa alle scelte dell’amministrazione nell’esercizio della discrezionalità collocata non solo a valle, nel valutare l’opportunità della rimozione integrale dell’opera rispetto alla preminenza di interessi pubblici, ma anche a monte, nella selezione degli stessi, attingendo da una categoria dai confini incerti e assai estesi.
A bilanciare, soltanto parzialmente, questa dilatazione notevole del potere amministrativo, appare essere l’ultima parte del già menzionato comma laddove preclude al Comune competente di adottare la delibera della mancata rimozione laddove l’opera contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico[58]. Anche in tal caso, tuttavia, la clausola finale ben si presta ad interpretazioni eterogenee.
A chiarire i presupposti dell’esercizio del potere comunale di cui all’art. 31 co. 5 del T.u.ed. è intervenuta, ancora una volta, la fonte giurisprudenziale.[59] Il Consiglio di Stato[60] ha infatti individuato in tale norma di chiusura uno strumento la cui operatività è subordinata alla presenza di un intervento edilizio non solo illegittimo ma anche non altrimenti recuperabile alla legittimità in favore dei privati la cui portata derogatoria è rimessa alla esclusiva potestà comunale, “consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata”[61]. Tale “via d’uscita”, di natura evidentemente eccezionale[62] rispetto alla soluzione della demolizione è, dunque, un “vantaggio unilaterale” di cui l’ente locale ricopre la veste di esclusivo arbitro. Quanto alla posizione del privato, delle cui sorti è immediato domandarsi, la Corte riserva la “residua difesa di poterne dimostrare l’insussistenza”. La ratio legis è limpidamente delineata: “in un ordinamento nel quale la non consumazione del territorio, specie mediante edificazioni non legittime, costituisse valore assoluto, o, quanto meno, di grado sufficientemente elevato, quella norma non avrebbe motivo di essere, posto che allora la reintegrazione del territorio – mediante eliminazione di quanto l’ha non correttamente consumato – dovrebbe da esso essere pretesa senza eccezioni per alcuno. Non così nel nostro, all’evidenza, dove invece quella norma funge da strumento di sostanziale redenzione dalla colpa (costituita dall’avvenuta edificazione non legittima), con l’unica attenuante data dal fatto che il perdono (a livello sostanziale ed oggettivo) non si risolva in vantaggio del singolo, autore della colpa, bensì dell’intera collettività”[63].
E allora è proprio la ricostruita ratio – la tutela del vantaggio della collettività[64] – che dovrebbe animare l’esercizio del potere in esame che dovrebbe altresì fungere anche come criterio di bilanciamento delle sopravvenute emergenze, connesse al fisiologico decorrere del tempo ed alle contingenze ad esso legate, specie nelle ipotesi, del tutto infrequenti, nelle quali le lungaggini delle vicende legate all’accertamento degli abusi edilizi determinano scenari complessi e cangianti.
3. Il principio del legittimo affidamento e il potere sanzionatorio: considerazioni dommatiche e profili di interferenza
L’analisi del sistema sanzionatorio degli illeciti edilizi finora svolta costituisce premessa necessaria per l’inquadramento delle condotte e i connessi profili funzionali nonché idonea a disvelarne una connotazione fondamentale che costituisce il minimo comune denominatore con le vicende sviluppatesi intorno al tema del legittimo affidamento: la coesistenza di interessi collettivi e privati può essere considerata, infatti, il fulcro attorno a cui ruotano le problematiche che emergono nell’attività di repressione degli abusi edilizi rappresentandone, tra l’altro, il punto di maggiore delicatezza. Ne costituiscono conferma, come si è visto, le numerose vicende giurisprudenziali che ne hanno governato l’attuazione. Su questa linea ricostruttiva giova, ora, procedere all’analisi dell’interferenza tra il principio del legittimo affidamento, che occorre brevemente illustrare nella sua dimensione teorica e pratica, e l’esercizio del potere sanzionatorio, così come esaminato nei paragrafi precedenti.
A dispetto dell’assenza di un esplicito richiamo in Costituzione, il principio del legittimo affidamento[65] ha una portata valoriale tale da potersi ascrivere ai principi di ordine costituzionale acquisendone, dunque, analoga collocazione sovraordinata[66]. Di pacifica opinione, riscontrabile in consolidata giurisprudenza, è la sua riconducibilità al disposto di cui all’art 3 Cost. di cui costituirebbe diretto corollario. Di peculiare pregnanza è la posizione della giurisprudenza costituzionale che, nel riferirsi a tale principio, lo eleva ad “elemento essenziale dello Stato di diritto”.[67]
Sinergicamente, la garanzia dell’affidamento assume significativa rilevanza nella regolazione dei rapporti tra Stato e cittadino assurgendo a canone fondamentale dell’azione amministrativa[68] essendo stato virtualmente inserito, anche in tal caso per via dottrinale e pretoria, nell’elenco dei principi generali di cui alla disposizione d’esordio della legge sul procedimento amministrativo[69]. Il legittimo affidamento sconta, infatti, analogo difetto di espressa menzione normativa anche a livello di legislazione primaria. Tale opzione è, tuttavia, di mera valenza formale posto che, all’esito della progressiva rimodulazione delle relazioni tra pubblica amministrazione e cittadino in termini squisitamente dialogici, il legittimo affidamento ne costituisce premessa necessaria. Ad avallare tale conclusione si pone la recente interpolazione dell’art. 1 della l. 241/1990 ad opera della l. 120/2020 di conversione del cd. Decreto Semplificazione, arricchita del nuovo comma 2-bis la cui collocazione tassonomica ne disvela la funzione programmatica: se l’interazione tra cittadino e Stato deve essere improntata per specifica dizione normativa da collaborazione e buona fede, essa deve indefettibilmente svilupparsi sotto l’egida del legittimo affidamento.
Nello studio che ci si appresta a svolgere, tali considerazioni costituiscono una chiave metodologica nella risoluzione della più immediata questione esegetica insorgente attorno al principio di affidamento: la perimetrazione di quelle situazioni qualificate idonee a generare una posizione meritevole di tutela. Legittimo affidamento e bilanciamento di interessi rappresentano, invero, i termini di un sillogismo complesso: nella dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità sollevata dalla Suprema Corte di Cassazione[70] dell’art. 29, comma 1, d.-l. n. 185/2008[71]proprio in relazione alla lesione di tale parametro, la Corte Costituzionale, richiamando peraltro svariati precedenti, ribadisce la fisiologica sottoposizione del principio dell’affidamento all’operazione di ponderazione con altri diritti e valori costituzionali e ciò finanche nel caso in cui l’affidamento afferisca a diritti soggettivi perfetti.[72]
Tale ricostruzione impone di abiurare criteri selettivi staticamente assertivi e previlegiare, invece, una logica necessariamente dinamica che si sviluppi in operazioni di perenne raffronto con situazioni ed esigenze eterogenee.
Mentre nel caso del rapporto con le istituzioni pubbliche, e segnatamente nell’attività di produzione legislativa, il quesito è stato risolto dalla Corte costituzionale ricorrendo alla nozione di causa normativa adeguata, nell’attività amministrativa, il parametro dirimente deve necessariamente coincidere con l’interesse pubblico individuato dalla norma attributiva del potere quale sua direzione teleologica.
Tuttavia, la verifica della preminenza di un interesse pubblico è operazione ben più complessa che ha impegnato a lungo la giurisprudenza amministrativa.
Occorre dar conto sinteticamente degli approdi di matrice pretoria in proposito che saranno utili a disvelare le singolarità che invece hanno caratterizzato il provvedimento oggetto di esame, l’ordine di demolizione.
Nell’individuare le situazioni di volta in volta idonee a costituire posizione di vantaggio a favore del privato, la giurisprudenza, come anticipato, si è avvalsa di una criteriologia di tipo fattuale, insuscettibile di essere ricondotta ad unità all’interno di una trama sistematicamente ordinata. A conferma di tale impostazione è stata, in particolare, la progressiva apertura alla tesi dell'indifferenza della forma dell’atto fonte del legittimo affidamento tale da poter ipotizzare che anche un mero comportamento o una condotta di inerzia possa ingenerare nel privato l’affidamento circa l’an di una data circostanza. Emblematiche sono, in proposito, le tre note ordinanze gemelle della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596, che, per ciò che qui interessa, hanno ritenuto azionabile il diritto al risarcimento del danno per lesione del legittimo affidamento non ingenerata da un atto amministrativo ma da mero comportamento. In particolare, “il provvedimento che aveva concesso il diritto a edificare e che, perché illegittimo, è stato legittimamente posto nel nulla, rileva per il titolare dello ius aedificandi esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno provveduto al suo rilascio, integrando così, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per violazione del principio del neminem laedere, [..] per avere tale atto, con la sua apparente legittimità, ingenerato nel destinatario l’incolpevole convincimento (fondato sull’affidamento in ordine alla legittimità dell’atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell’azione amministrativa) di potere legittimamente procedere all’edificazione”.
È ora opportuno evidenziare come, secondo una autorevole ricostruzione dommatica della nozione di discrezionalità amministrativa, il potere discrezionale attribuito alla pubblica amministrazione consiste nel bilanciare i diversi interessi esistenti, individuando attraverso una visione pluralistica, la soluzione ottimale ai fini della cura dell’interesse pubblico[73]. Tale scelta, che trova estrinsecazione formale nel provvedimento amministrativo, è esito di una valutazione comparativa di interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie concreta, i quali possono essere anche confliggenti. È proprio in questa complessa operazione di bilanciamento e di ponderazione che si rinviene l’ubi consistam dell’attività amministrativa in quanto tale.
A tale postulato è ispirata la fisionomia del procedimento amministrativo[74]: la trama degli istituti partecipativi che scandisce la dinamica procedimentale è strumentale, in una prospettiva dialogico-collaborativa, all’ampliamento dello spettro cognitivo della pubblica amministrazione tale che possa acquisire elementi ulteriori utili all’esercizio del potere. Discrezionalità amministrativa che non implica affatto libertà di scelta, ma, al contrario, necessità che ogni decisione sia il frutto dell’osservanza di precisi criteri, alcuni individuati dalla norma altri dall’esperienza dell’amministrazione decidente[75]. Su un diverso versante, secondo una logica, invece, prettamente difensiva, i poteri di interazione riconosciuti dalla legge al privato assumono vocazione squisitamente garantistica specie con riguardo ai provvedimenti idonei ad incidere negativamente sulla sfera giuridica soggettiva individuale: a tale categoria sono senz’altro ascrivibili le fattispecie provvedimentali rilevanti ai fini dell’analisi che ci si appresta a condurre e segnatamente le misure predisposte dall’ordinamento alla repressione degli abusi edilizi.
È opportuna qualche precisazione metodologica: nella disamina dei profili problematici geneticamente connessi alla ponderazione di contrapposti interessi, tali misure assumono, invero, straordinaria valenza paradigmatica posto che nella relativa articolazione procedurale si condensano le spinosità tipicamente connotative dei provvedimenti di segno negativo i quali, nel perseguire una finalità pubblicistica, incidono a detrimento di interessi privati.
La tematica in esame sarà scandagliata in relazione a due diversi fronti speculari a due diverse accezioni dell’interesse privato latu sensu inteso.
In primis l’indagine verterà sui punti di interferenza tra l’esercizio del potere amministrativo di controllo e conseguente sistema sanzionatorio[76] alla luce della consolidata giurisprudenza amministrativa che esclude la configurabilità di un legittimo affidamento tutelabile. In particolare, è opportuno premettere che orientamento del Consiglio di Stato ha ribadito il principio secondo cui il decorso del tempo non incide sulla doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della misura sanzionatoria, in quanto trattandosi di atto di natura vincolata non è richiesta alcuna specifica motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’irrogazione della sanzione[77]. Il profilo della rilevanza del decorso temporale, che sarà oggetto di analisi approfondita nel paragrafo che segue, si interseca con la qualificazione del potere di irrogazione delle sanzioni che giurisprudenza consolidata esclude essere di natura discrezionale in quanto carente degli estremi sopra descritti. In tale direzione il potere sanzionatorio si inserisce nell’area dell’attività vincolata.[78]
In secondo luogo, sarà analizzata la rilevanza dell’interesse privato anche nel suo peculiare atteggiarsi in termini di vero e proprio diritto e segnatamente di diritto all’abitazione.
Giova preliminarmente sottolineare la centralità del formante giurisprudenziale che, su ambedue i versanti, ha tracciato le linee del processo evolutivo – sovente tortuoso e irto di contraddizioni – sviluppatosi attorno a tali questioni, caratterizzate, come si vedrà, da stringente attualità.
3.1. (Segue): Legittimo affidamento e onere motivazionale nell’ordine di demolizione: vicende applicative
La problematica questione della determinazione delle situazioni idonee a fondare legittimo affidamento è stata esaminata di recente in tema di abusi edilizi. Il tema della repressione di tale ordine di illeciti ha costituito, invero, terreno fertile per il progredire del dibattito sul profilo in esame.
In particolare, costante era il contrasto giurisprudenziale in materia di legittimità dell’ordine di demolizione di un’opera abusiva quando fosse decorso un considerevole lasso temporale dalla realizzazione dell’intervento specie nei casi nei quali vi fosse stata dissociazione soggettiva tra il responsabile dell’abuso ed il proprietario del bene il quale abbia maturato legittimo affidamento sulla conformità ai parametri di legge dell’immobile di sua proprietà.
La questione ha riguardato anche gli eventuali profili di incidenza del decorso temporale sulla parte motiva del provvedimento amministrativo e segnatamente sull’idoneità della consistente distanza cronologica tra l’intervento abusivo e l’esercizio del potere della pubblica amministrazione a rimodulare in senso rafforzativo l’obbligo di motivazione[79].
Un orientamento giurisprudenziale più risalente aveva negato qualsiasi incidenza del mero trascorrere del tempo sia sui profili di legittimità del provvedimento sia sui relativi obblighi motivazionali. Siffatta conclusione muove dalla premessa della inesauribilità del potere amministrativo che dunque non solo non è oggetto ad alcun termine prescrizionale ma è da qualificare come atto dovuto: l’esercizio del “potere di ripristino dello staus quo” a distanza di un arco cronologico considerevole dalla realizzazione dell’abuso non è circostanza idonea ad ingenerare una posizione giuridica meritevole di tutela a beneficio del privato. Lo snodo argomentativo a sostegno di tale tesi è rinvenibile nella insussistenza di un obbligo di comparazione di contrapposti interessi: da ciò deriverebbe l’irrilevanza del fattore temporale sul corpus motivazionale del provvedimento che trova, poi, ulteriore ragione giustificativa nella doverosità dell’esercizio del potere[80]. L’ordine di demolizione, proprio per la sua natura di atto vincolato, non solo non richiede la valutazione, da parte dell’amministrazione, delle ragioni di interesse pubblico – concrete ed attuali – sottese alla sua emanazione ma neppure la comparazione con gli interessi privati sacrificati[81]. Il carattere abusivo dell’opera è ostativo alla possibilità di “dolersi del fatto che l’amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole a distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile”[82].
A mente di tale orientamento, in sintesi, non è giuridicamente ipotizzabile l’insorgenza di un affidamento legittimo alla permanenza di una situazione illegale, né il decorso del tempo può esaurire il potere sanzionatorio della pubblica amministrazione o valere alla stregua di una sanatoria: consentire l’estinzione di un abuso edilizio per il semplice decorso del tempo significherebbe configurare una sorta di “sanatoria extra ordinem”[83].
Diverso orientamento aveva attribuito, invece, al fattore temporale una portata incidente sulle modalità di esercizio del potere repressivo specie in caso nel quale responsabile dell’abuso e proprietario del bene fossero soggetti diversi: tale dissociazione soggettiva era ritenuta, invero, sintomatica della buona fede del proprietario rilevante in quanto connessa al principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, corollario di quello di ragionevolezza e parità di trattamento, che impone all’amministrazione il perseguimento del pubblico interesse col minor sacrificio possibile dell’interesse privato[84]. La decorrenza di un consistente lasso temporale tra la realizzazione dell’abuso e l’esercizio del potere sanzionatorio, in sostanza, si considerava idonea ad ampliare i termini dei valori oggetto di bilanciamento con conseguenti riflessi sulla consistenza dell’apparato motivazionale del provvedimento di demolizione: l’interesse pubblico non poteva, in quest’ottica, coincidere, con il mero ripristino della legalità violata, in particolare il Comune avrebbe dovuto esplicitare in motivazione considerazioni afferenti alla posizione dei proprietari non responsabili dell’abuso nonché della protratta inerzia della pubblica amministrazione[85].
Dalla disamina delle pronunce giurisdizionali aderenti a tale tesi, si evince, in ogni caso, la necessità di valutare la effettiva sussistenza di una situazione di incolpevole affidamento. Restando, infatti, pacifica la natura vincolata dell’ingiunzione alla demolizione nonché della sua realità – dal che consegue l’irrilevanza di un eventuale successivo trasferimento del bene – la giurisprudenza in esame sostiene che solo in taluni casi limite, opportunamente circoscritti, è possibile giungere a diverse conclusioni: trattasi dei casi in cui l’attuale proprietario dell’edificio abusivo destinatario del provvedimento di rimozione non sia responsabile dell’abuso nonché il trasferimento del bene non sia avvenuto al solo fine di eludere la disciplina sanzionatoria e che tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e l’esercizio da parte dell’autorità dei poteri repressivi sia intercorso un lasso temporale consistente. In una simile evenienza, proprio in ragione dell’evidente stato di buona fede del proprietario, grava in capo all’amministrazione l’onere di motivare sugli interessi pubblici idonei a ritenere “recessivo” lo stato di buona fede dell’attuale proprietario[86]. In questa prospettiva ben si comprende l’asserita necessità di un impegno esplicativo maggiore nella parte motiva del provvedimento sanzionatorio che deve rendere conto della presenza di un interesse pubblico idoneo a prevalere sullo stato soggettivo, interesse pubblico che, evidentemente, non può esaurirsi alla mera restaurazione dell’ordine urbanistico violato.
Il conflitto giurisprudenziale ha trovato definitiva composizione nella sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato aderendo alla tesi meno favorevole per il privato, per vero maggioritaria. La Corte è stata investita della questione di diritto riguardante la necessità o meno che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo debba essere congruamente motivato sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga ad una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso nei casi-limite in cui il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio. La Corte ribadisce l’assunto argomentativo chiave della tesi cui aderisce: “nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico, non è idonea a far divenire legittimo ciò che – l’edificazione sine titulo – è sin dall’origine illegittimo”. Non è, dunque, ipotizzabile una posizione di affidamento legittimo in capo al proprietario dell’abuso. Si è, in proposito, osservato che diversamente opinando, risulterebbero ampliate contra legem le modalità di sanatoria dell’illecito edilizio che, invece, sono oggetto di predeterminazione legale[87].
La pronuncia in esame valorizza, come dato posto a premessa dell’esegesi svolta, la divergenza sostanziale che intercorre tra l’esercizio del potere sanzionatorio e l’intervento in autotutela cui segue l’annullamento di un atto amministrativo illegittimo[88]: in quest’ultimo caso, infatti, il potere dell’amministrazione di annullare in via di autotutela un atto amministrativo illegittimo incontra il limite generale nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza sempreché sia verificato il carattere legittimo ed incolpevole dell’affidamento meritevole di tutela[89]. Ribadendo il principio secondo cui il decorso del tempo non incide sulla doverosità[90] degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della misura sanzionatoria[91], e trattandosi di attività vincolata, il Consiglio di Stato statuisce che l’ordinanza di demolizione anche se adottata tardivamente, non necessità di una specifica motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dello status quo ante né di una comparazione con l’interesse del privato coinvolto[92].
La funzione riparatoria dell’atto, che si muove in sinergia con la doverosità del potere sanzionatorio, rende, di fatto ininfluente la mancata coincidenza tra autore dell’abuso e destinatario del provvedimento in quanto inerente allo stato soggettivo dell’avente causa e dunque non incide sulle doverose[93] conseguenze connesse alla commissione dell’abuso[94]. Le conclusioni prospettate dalla Plenaria consentono di estrapolare il criterio attraverso cui la giurisprudenza ha risolto la questione in ordine alla perimetrazione di quelle situazioni qualificate idonee a generare una posizione meritevole di tutela: l’affidamento del privato, infatti, pare rilevarsi limitatamente alle situazioni in cui esista un provvedimento amministrativo favorevole e solo in caso di potere discrezionale.
La sentenza in esame ha prestato il fianco a numerose obiezioni che contestano da un lato le conclusioni inerenti alla parte motiva del provvedimento e dall’altro la negazione in toto di una posizione di legittimo affidamento del privato. In primo luogo, appare poco condivisibile il generalizzato affievolimento dell’onere motivazionale, limitata, finanche nei casi-limite oggetto di esame, ad una mera constatazione del carattere abusivo dell’opera. Da un lato, la tesi sostenuta in sentenza, nell’affermare la doverosità dell’attivazione dei poteri sanzionatori, può ritenersi coerente con la natura dommatica dell’abuso edilizio latu sensu inteso quale illecito permanente e con la ratio del sistema sanzionatorio edilizio: la circostanza la condotta non si esaurisca determina una situazione perdurante di antigiuridicità che sorregge il potere-dovere dell’amministrazione di intervenire alla sua rimozione[95]. D’altro canto, quantomeno in relazione alle ipotesi marginali in cui il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio, sarebbe stata più opportuna una differente modulazione dell’onere motivazionale[96], anche in considerazione della sua insopprimibile portata garantistica[97].
In secondo luogo, come osservato in dottrina[98], per verificare la sussistenza di un incolpevole affidamento del privato, dovrebbe essere sottoposta a vaglio sia la condotta della pubblica amministrazione, che deve essersi estrinsecata in comportamenti incompatibili con la volontà di esercitare il potere sanzionatorio[99], sia del privato: deve accertarsi, cioè, se il destinatario del provvedimento sia responsabile dell’abuso e se abbia operato con finalità elusive. In caso di esito positivo, secondo tale dottrina, è inopinabile l’esistenza di incolpevole affidamento. Evidentemente, la constatazione di una siffatta posizione meritevole di tutela – che giammai potrebbe incidere sull’an del potere sanzionatorio – richiederebbe una enfatizzazione degli obblighi motivazionali tale da rendere espliciti i motivi e gli interessi pubblici per cui l’amministrazione decida di attivarsi a distanza di un lungo lasso temporale a detrimento degli interessi privati[100]. Alla medesima conclusione – quella, ossia, della necessità di una motivazione puntuale nell’ordine di demolizione nei cd. casi limite – è giunta parte della giurisprudenza amministrativa seppure in base ad un diverso iter logico-argomentativo rispetto a quello poc’anzi tracciato. Un maggiore impegno esplicativo non rinverrebbe la sua ragione giustificativa dalla ritenuta esistenza di una posizione di legittimo affidamento piuttosto costituirebbe naturale conseguenza del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa[101]. Tale soluzione, tuttavia, deve inevitabilmente fare i conti con i dubbi circa la compatibilità tra il principio di proporzionalità e gli atti di natura vincolata, questione su cui hanno interloquito numerose voci e rispetto a cui non si profila in dottrina una visione univoca. Su tale questione si colgono ulteriori spunti di riflessione da alcune soluzioni prospettate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su cui si tornerà nei paragrafi che seguono.
Non è sfuggito all’occhio critico della dottrina, infine, che, in maniera poco condivisibile, la sentenza in esame ha omesso di citare un proprio precedente attestato su una diversa tesi[102]: sarebbe stato coerente con le funzioni ed il valore delle sentenze emesse dall’Alto Consesso un maggiore impegno nel chiarire le ragioni del superamento di un orientamento giurisprudenziale condensato in una sentenza, pur risalente, della stessa Plenaria[103].
È proprio alla luce di tali considerazioni che sarebbe più opportuno qualificare la posizione meritevole di tutela vantata dal privato come affidamento in buona fede, terminologia, peraltro, di non infrequente utilizzo in giurisprudenza, posto che, come emerge dalle ricostruzioni svolte, l’obbligo motivazionale è modulato in sinergia con una condizione strettamente legata al singolo proprietario in relazione al bene oggetto del provvedimento[104]. Ciò in quanto “gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante dell’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato”[105].
Suscita qualche perplessità il richiamo all’art. 17, comma 4-bis, d.P.R. 380/2001 invocato dalla Corte, in una prospettiva sistematica, a sostegno dell’esegesi svolta, rischiamo che può suggerire talune osservazioni. In particolare, nel terzo periodo della disposizione sopra citata si legge che “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”. Ebbene la Corte conclude che se le conseguenze della tardività del provvedimento sono per legge circoscritte alla sola dimensione della responsabilità, giammai potrebbero incidere sull’an del potere sanzionatorio[106]. La contestazione oggetto della vertenza piuttosto che attenere all’esistenza di radice del potere sanzionatorio – che, alla luce delle considerazioni svolte, può ritenersi acclarata – riguardava, piuttosto, i termini sostanziali degli interessi oggetto di bilanciamento sotteso all’emanazione del provvedimento nonché il rispetto delle garanzie tipiche che avrebbero consentito al privato una effettiva interlocuzione con la pubblica amministrazione segnatamente con riguardo all’apparato motivazionale nonché la comunicazione di avvio al procedimento. Esplicativo è, a riguardo, il ricorso in appello di cui sono esposti i punti fondamentali in esordio alla sentenza. Innanzitutto, la tesi prospettata dai ricorrenti sostiene che la qualificazione dell’ordine di demolizione come atto vincolato non esime l’amministrazione a comunicare l’avvio del provvedimento con lo scopo di garantire che il destinatario sia posto nelle condizioni di interloquire con l’amministrazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sua adozione[107]. Tale prospettazione non può ritenersi condivisibile e consente una riflessione sul rapporto tra provvedimenti vincolati e istituti partecipativi. Sebbene dottrina e giurisprudenza non siano unanimi sul punto[108], è stato ribadito dalla giurisprudenza che l’attività amministrativa vincolata, proprio in quanto rigidamente regolata dalla legge, non richiede l’adempimento dell’obbligo comunicativo da parte della pubblica amministrazione. Specificamente con riguardo all’ordine di demolizione, oltretutto, giurisprudenza recente ha ribadito con forza tale assunto proprio sul presupposto che l’ordine di demolizione è una “misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si collega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso”.[109] Tuttavia, con riguardo alla generale categoria dei provvedimenti vincolati, è opportuno menzionare un recente arresto della giurisprudenza del Consiglio di Stato[110]che, attestatosi sulla tesi opposta, ha dichiarando illegittimo un atto vincolato non preceduto dalla comunicazione di cui all’art. 7 della l. 241/1990 nel caso in cui “dal giudizio emerga che l’omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l’emanazione di un provvedimento con contenuto diverso”. Emerge, dunque, una posizione dai tratti certamente non assolutamente assertivi, anche in considerazione della particolare complessità del caso di specie, che, in ogni caso, sembra far trasparire l’intento di garantire un adeguato bilanciamento tra la ratio sottesa all’istituto partecipativo in esame e i principi che reggono l’azione della pubblica amministrazione così come delineati dall’art. 1 della l. 241/1990[111].
Gli orizzonti giurisprudenziali hanno, in alcune occasioni, mostrato una tendenza a contemperare l’ambivalenza funzionale della partecipazione del privato al procedimento orientato a garantire, in primis, una maggiore tutela delle posizioni del privato coerentemente con i principi della collaborazione e della correttezza che animano il procedimento amministrativo e che mirano a porre il cittadino nella condizione di esplicitare le proprie posizioni. Come anticipato, infatti, le garanzie procedimentali rappresentano un’ineludibile componente della struttura del procedimento ed hanno una doppia faccia: una funzione difensiva, a presidio delle posizioni soggettive incise dal provvedimento amministrativo ed una funzione di tipo cognitivo – che vede in tal caso la pubblica Amministrazione come destinatario – che mira, a prescindere dalla natura del potere, ad una più esaustiva ricostruzione delle circostanze fattuali. Soltanto un’interlocuzione effettiva, che si realizza tramite l’applicazione razionale delle garanzie procedimentali, è idonea al soddisfacimento di tali obiettivi.
4. Abuso di necessità e diritto all’abitazione: le soluzioni giurisprudenziali nel diritto interno e sovranazionale
La disamina delle dinamiche sottese alla ponderazione di interessi contrapposti assume sfaccettature assai più delicate laddove l’interesse privato si atteggi in termini non già di mera posizione giuridica meritevole di tutela piuttosto come un diritto ascrivibile all’alveo della tutela costituzionale[112].
Il diritto al domicilio rientra nell’orbita dei valori potenzialmente sacrificabili ove l’ordine di demolizione abbia ad oggetto una casa abitata.
Il tema ha conosciuto, oltretutto, vicende applicative ben più estese, esulanti dall’area del solo diritto nazionale proprio in considerazione della pregnanza del bene giuridico rientrante nei termini del bilanciamento.
Giova procedere preliminarmente all’analisi degli esiti della giurisprudenza sovranazionale che, segnatamente, attengono a un noto caso decisi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Ivanova and Cherkezov c. Bulgaria. Trattasi di una sentenza di condanna pronunciata contro il Governo bulgaro per la violazione dell’art. 8 CEDU, rubricato diritto al rispetto della vita privata e familiare ed esteso anche al diritto al domicilio[113].
A dispetto degli esiti, la sentenza chiarisce profili fondamentali che si inseriscono nel complesso tema del bilanciamento degli interessi pubblici e privati. La Corte, infatti, nell’esaminare i profili di merito, innanzitutto conclude per la piena legittimità dell’ordine di demolizione sia sotto il profilo delle garanzie processuali che dello scopo, descritto con diversi sintagmi (re-establish the rule of law, prevention of disorder and promoting the economic well-being of the country)[114] ed in sostanza volto a ristabilire l’ordine urbanistico violato.
Una volta ravvisata la piena legalità formale dell’ordine di demolizione, la Corte si avvale del parametro esegetico così come delineato dall’art. 8 della CEDU: la necessità della demolizione in una società democratica. (The salient issue is whether the demolition would be “necessary in a democratic society”). La Corte qualifica la perdita della propria abitazione come la forma più estrema di interferenza con il diritto di abitazione, motivo per il quale, ciascun individuo sottoposto a tale rischio – a prescindere dalla appartenenza alla categoria dei soggetti vulnerabili – dovrebbe, in linea di principio, essere in grado di invocare il principio di proporzionalità nell’applicazione di misure ablatorie. In particolare, la Corte passa in rassegna taluni fattori che è necessario considerare e adeguatamente ponderare in caso di applicazione di un provvedimento di tale ingerenza fornendo indicazioni specifiche proprio sui termini del bilanciamento degli interessi confliggenti[115]. In tale prospettiva, è onere della pubblica amministrazione procedere ad una puntuale disamina di questi dati e renderne conto nella motivazione.
In sostanza, il pubblico interesse rappresentato dal ripristino della legalità urbanistica non può, in via assoluta, ritenersi preminente rispetto al diritto di abitazione: tale conclusione richiede una valutazione caso per caso. Né tale considerazione può essere smentita dalla mera contingenza del carattere diffuso e pervasivo degli abusi edilizi alla base del rigore delle misure repressive.
Il punto cardine della sentenza in esame è legato alla contestazione secondo cui il giudice amministrativo bulgaro abbia omesso di considerare la situazione individuale inerente alle persone destinatarie del provvedimento. Ciò in quanto la soluzione appropriata rispetto al bilanciamento di interessi in gioco è risolta a livello di legislazione interna che la individua sempre e in via di principio nella repressione degli illeciti edilizi. La valutazione, prima dell’amministrazione poi del giudice amministrativo, è stata svolta, ossia, pretermettendo qualsivoglia riferimento alla proporzionalità[116]tra la misura sanzionatoria e il diritto all’abitazione. Tale omissione, invero, ha riguardato non solo a monte il procedimento amministrativo ma anche la successiva fase giurisdizionale laddove i ricorrenti non sono stati posti nelle condizioni di far valere tale posizione. La Corte ribadisce, dunque, che le misure che incidono sui diritti individuali devono necessariamente rappresentare esito di un giusto bilanciamento (fair balance[117]) tra l’interesse generale della comunità e i diritti medesimi. Ciò implica che la misura deve essere al contempo proporzionale e non sproporzionata al raggiungimento dello scopo per il quale è prevista.
In ogni caso la giurisprudenza della Corte EDU successiva ha analiticamente puntualizzato il significato da attribuire al principio di proporzionalità negando che le condizioni personali del destinatario dell’ordine di demolizione possano avere un peso dirimente nel bilanciamento di interessi, specie nei casi nei quali l’autore della violazione abbia consapevolmente realizzato un’opera abusiva in un’area protetta in assenza del titolo edificatorio necessario[118]: diversamente opinando si sarebbe svilita la ratio di tutela dei diritti ambientali della comunità così come la funzione repressiva della misura in parola. Emerge, in definitiva, la necessità di una verifica che tenga luogo delle eterogenee circostanze emergenti nella singola fattispecie.
Il prorompente caso sopra esaminato ha ricevuto diversi seguiti nella giurisprudenza italiana[119]: recentissima è la sentenza della Cassazione penale[120] che fa applicazione dei principi Ivanova. In tema di reati edilizi, la giurisprudenza di legittimità si era già affermata nel senso della inesistenza di un diritto assoluto alla inviolabilità di domicilio[121] desumibile dalle decisioni della Corte EDU posto che tale valore deve rientrare nei termini del contemperamento con esigenze di pari rango secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità[122]. Il rispetto di tali principi passa necessariamente per la trama delle garanzie procedurali predisposte dall’ordinamento, serventi a garantirne l’effettività. Per tali ragioni il giudice nazionale, “nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità così come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 della CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative”[123].
In definitiva, il perno dell’iter valutativo ruota attorno all’accertamento vari fattori tra cui assumono rilievo la condizione soggettiva e la consapevolezza dell’abuso del destinatario dell’ordine di demolizione così da poter soddisfare, da un lato, i primari bisogni abitativi e dall’altro l’esigenza di scongiurare elusioni del sistema ordinamentale di repressione degli abusi edilizi. Quanto al primo aspetto, è essenziale la specificazione dell’interesse protetto con la demolizione che va adeguatamente ponderato con in diritto di cui all’art. 8 CEDU nel rispetto del principio di proporzionalità e alla luce dei criteri guida elaborati dalla giurisprudenza di legittimità più recente che, in tale prospettiva, ha avuto l’importante ruolo di perimetrare entro confini più certi il potere valutativo del giudice dell’esecuzione. Quanto al secondo aspetto, assume preliminare rilievo accertare la consapevolezza dell’agire illegalmente, il grado della colpa nonché la volontà di adoperarsi al fine di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative desumibile dai comportamenti successivi al provvedimento demolitorio. Tali circostanze vanno valutate congiuntamente alle effettive condizioni di salute e socioeconomiche dei destinatari dell’ordine laddove queste esplichino rilevanza sul giudizio di
verifica del rispetto del principio di proporzionalità. Rientrano, altresì, nei fattori da tenere in considerazione, il tempo sufficiente per garantire il rispetto del diritto all’abitazione – e dunque per legalizzare l’abuso ove giuridicamente possibile ovvero pe trovare una soluzione alle esigenze abitative nonché il bisogno di evitare la compressione di altri diritti fondamentali quali diritto alla salute o diritto del minore di frequentare la scuola. Così facendo, la Corte di Cassazione ha delineato un quadro lineare in ordine alla natura del diritto di abitazione e le modalità entro le quali lo stesso va ponderato con gli interessi pubblici sottesi all’ordine di demolizione, confermando, peraltro, l’assoluta centralità della parte motiva del provvedimento quale imprescindibile canale di tutela da un lato della posizione del privato ma anche della difesa dell’interesse collettivo, che permea una società democratica, dell’ordine urbanistico ed edilizio e della promozione dell’interesse economico del paese.
A tali esiti è giunta giurisprudenza penale recente[124], che valorizza la funzione prima dell’ordine di demolizione, qual è la restitutio in integrum del menomato sistema edilizio che presenta una componente anche general-preventiva, tesa ossia a scoraggiare altri potenziali trasgressori. La corretta individuazione della ratio legis consente di delineare i termini del bilanciamento di beni costituzionalmente tutelati quali sono il diritto individuale al rispetto della vita privata e familiare e quello collettivo, oggetto di tutela della normativa sanzionatoria.
5. Considerazioni conclusive
Come si è cercato di dimostrare nel presente lavoro, l’esercizio dell’azione amministrativa risulta notevolmente inciso dalla necessità di contemperare il fine pubblico tutelato dalla norma attributiva del potere con gli interessi privati di diverso ordine e rango: tale condizionamento trova il suo punto di sintesi nella pluriarticolata operazione di bilanciamento di interessi confliggenti che, nella sua genetica complessità, ha impegnato a lungo dottrina e giurisprudenza.
A.M. Sandulli in suo contributo del 1958 evidenziava che “la materia dell’edilizia urbana rappresenta indubbiamente uno dei settori dove più intensamente interferiscono norme e regole di diritto pubblico e di diritto privato, potestà pubbliche e posizioni soggettive private, diritti soggettivi e interessi legittimi, e in conseguenza competenze giurisdizionali diverse. Si tratta di una materia ricca di zone di confine e di zone grigie. Essa rappresenta quindi un incomparabile banco di prova per qualsiasi operatore del diritto”[125].
A delineare con maggior grado di precisione i termini e le modalità di tale complessa operazione ha contribuito, invero, la giurisprudenza amministrativa e di legittimità, che ha fornito – anche recependo indicazioni del diritto sovrannazionale – fondamentali coordinate ermeneutiche idonee a regolare i complessi profili di interrelazione tra gli obiettivi della comunità e gli interessi individuali. In tale contesto, il contributo di origine pretoria ha riguardato non solo la definizione – a monte – delle situazioni meritevoli di protezione ma anche delle modalità di interferenza con i pubblici poteri.
La elevata incidenza dell’opera esegetica di stampo giurisprudenziale è sintomatica della assenza o della non sufficiente chiarezza della legislazione vigente che, invece, nel prevedere ipotesi di compressione di diritti fondamentali, dovrebbe presentare margini più elevati di precisione e determinatezza tali da consentire la piena prevedibilità delle conseguenze delle condotte individuali: il principio della forseeability – congiuntamente a quello dell’accessibility – sono stati elevati, alla luce degli sviluppi giurisprudenziali più recenti, a valori informatori del sistema sanzionatorio latu sensointeso: è, dunque, fallace e fuorviante circoscrivere l’operatività di tali principi alla sola materia penale. Ciò, a maggior ragione, se oggetto del potenziale sacrificio sono diritti dotati di copertura costituzionale.
Come si è visto, l’analisi del bilanciamento di interessi è un profilo che inscindibilmente si connette allo studio del sistema di repressione degli abusi edilizi in ragione della sua fisiologica incidenza su posizioni meritevoli di tutela: ci si è soffermati, in particolare, sulla macroarea del legittimo affidamento e sul diritto di abitazione. Nonostante la evidente asimmetria contenutistica di tali ordini di interessi privati, ambedue, seppure scontino l’assenza di una copertura costituzionale diretta, sono stati ascritti all’alveo della tutela di rango gerarchicamente sovraordinato in quanto rappresentano entrambi precipitati applicativi di diritti fondamentali dell’individuo.
Alla luce delle considerazioni svolte, è possibile osservare come - a parere di chi scrive -, gli istituti sostanziali e i meccanismi procedurali predisposti dall’ordinamento edilizio ed urbanistico non sempre costituiscono tutela per i diritti individuali. Da un lato, infatti, l’attribuzione di una discrezionalità eccessivamente ampia all’amministrazione, non sufficientemente veicolata da chiari parametri legali, reca in sé il rischio di snaturare la finalità protettiva insita nella ratio degli istituti che scandiscono la dinamica procedimentale. D’altro canto, il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ormai radicato nella giurisprudenza eurounitaria e sovranazionale, impone un’attenta analisi della proiezione finalistica e strumentale delle misure sanzionatorie che deve trovare un bilanciamento, in termini di adeguatezza ed opportunità, con i valori potenzialmente soccombenti così che possa essere individuata una soluzione “comporti il minor sacrificio possibile”[126]. L’effettività di tale principio, che si atteggia a vero e proprio parametro di correttezza dell’esercizio del potere discrezionale, può conseguire solo da un esercizio del potere imperniato attorno a logicità, razionalità e ragionevolezza sì da poter conferire concretezza alla collaborazione e alla buona fede a cui, per esplicita dizione legale, sono improntati i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione. L’incerta distribuzione delle competenze in materie strategiche come l’urbanistica e l’ambiente, la netta separazione tra competenze in materia urbanistica ed ambientale e tra pianificazione paesistica e territoriale, unite alla proliferazione di enti ed organismo tecnici hanno determinato la frammentazione delle responsabilità, moltiplicato i centri decisionali, gli enti e gli strumenti di pianificazione nonché le procedure, dando luogo a duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e alimentando il contenzioso. Inoltre, l’arretratezza degli strumenti urbanistici, l’inefficienza amministrativa, la carenza di programmazione e di coordinamento tra le istituzioni unitamente alla carenza di risorse a destinare ad attività di contrasto del fenomeno dell’abusivismo edilizio, danno luogo alla percezione da parte del privato di un clima di impunità e di assenza di regole certe orientando una consistente quota di attività edilizia verso la realizzazione di immobili abusivi.
Il tema del controllo e della repressione dell’abusivismo edilizio è particolarmente delicato per aver assunto nel tempo una rilevanza sociale e politica tale da influenzare e vincolare l’intera disciplina urbanistica. Tuttavia, anche se non può essere che unanime una severa condanna del fenomeno trasgressivo, se esaminiamo da un punto di vista storico-legislativo i continui mutamenti normativi in campo urbanistico-edilizio, e le incertezze determinatesi, non si può osservare che vi sia stata una forma di concorso di colpa pubblico-privato nel riconoscere ai privati dei diritti, o quanto meno, delle aspettative di diritto, come la riproposizione ciclica di sanatorie applicate anche in contesti territoriali a rischio sismico e geologico, dove la cementificazione di terreni agricoli e la copertura del suolo incrementa la probabilità di frane e alluvioni.
Senza la percezione collettiva delle regole e la consapevolezza sociale degli oneri economici che derivano da uno sfruttamento illegale del territorio e delle gravissime conseguenze in termini di sicurezza del territorio, nessun governo e amministrazione pubblica potrà trovare una base di consenso e la quota di risorse necessarie per affrontare seriamente la questione del controllo del territorio e del contrasto di economie criminali che trovano gli spazi per il riciclaggio dei loro proventi[127]. Come scrisse Salvatore Settis nel suo libro “Paesaggio. Costituzione. Cemento”, l’Italia ha un “paesaggio distrutto dalle leggi”[128]. Ma per attuare un progetto di miglioramento della funzionalità sistemica del territorio è indispensabile una politica di lungo periodo che, preso atto dello stato dei territori, compia delle scelte anche coraggiose, prevedendo modalità di intervento e soluzioni diversificate in considerazione dei diversi contesti territoriali in cui si è sviluppato il fenomeno dell’abusivismo edilizio e consentendo di mitigare la tensione sociale.
[1] Sul maggior indice di abusivismo nelle regioni meridionali e nelle isole, M. Cremaschi, L’abusivismo meridionale: realtà e rappresentazione, in Meridiana, 1990, 9, 127- 153. In alcune Regioni, come la Campania e Calabria alla data del 2007 l’indice di abusivismo arrivava al 64%.
Dopo i tre condoni edilizi degli anni 1985, 1994 e 2003, alla data del 2016, risultava un totale di oltre 15 milioni di pratiche, di cui 5 milioni ancora inevase, sul tema Cfr. Rapporto del Centro Studi Sogeea, presentato in Senato per il convegno Trent’anni di condono edilizio in Italia, Criticità, prospettive e opportunità, 22 aprile 2016, in www.centrostudisogeea.it/img_ricerche/Rapporto%20Condono%20Edilizio%20%20Aprile%202016.pdf.
[2]M.A. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it, 2019; Id., Edilizia (voce), in questa Rivista, 2022, 3, 171.
[3] M. Bresciano - A. Padalino Morichini, I reati urbanistici, Milano, 2000; L. Ramacci, Diritto penale dell’ambiente, Padova, 2017.
[4] Secondo Cass., 28 febbraio 2007 n. 8407, tale bene giuridico può essere indifferentemente offeso da chiunque compia attività siffatte e non soltanto da determinati soggetti che si trovino in possesso delle particolari qualità soggettive indicate dall'art. 29 t.u.ed. Inoltre, la qualifica di parte offesa dei reati edilizi spetta unicamente al Comune, stante il “diritto soggettivo pubblico” facente capo all’ente territoriale al riconoscimento della propria posizione funzionale così come del diritto alla realizzazione e alla conservazione di un ordinato sviluppo di un predeterminato assetto urbanistico, che sono compromessi dagli illeciti urbanistici.
[5] F. Francario, Illecito urbanistico o edilizio e cosa giudicata. Spunti per una ridefinizione della regola del rapporto tra processo penale ed amministrativo, in questa Rivista, 2015, 4, 99.
[6] G. Pagliari, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2019.
[7] M.A. Sandulli (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2015.
[8] Sulla regolamentazione dell’attività edilizia per alcuni aspetti incidono anche le disposizioni introdotte dalla l. 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. riforma Madia). Sul tema, N.M. D’Alessandro, DIA E SCIA: evoluzione storico – normativa alla luce delle modifiche apportate dalla l. n. 124/2015 (cd. Riforma Madia), in La voce del diritto, 2016. In tema di annullamento d’ufficio, o al nuovo art. 17-bis, recante il silenzio-assenso tra le pubbliche amministrazioni, si v. M.A. Sandulli, Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, in Federalismi.it, 2015, 17; G. Mari, Autorizzazioni preliminari e titoli abilitativi edilizi: il ruolo dello sportello unico dell’edilizia, la conferenza di servizi e il silenzio assenso di cui agli artt. 17-bis e 20 l. n. 241/1990, in G. Trupiano, Semplificazione e trasparenza amministrativa: esperienze italiane ed europee a confronto, Milano, 2016; M.A. Sandulli (a cura di), Le nuove regole della semplificazione amministrativa, Milano, 2016; M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, in Federalismi.it, 2015.
[9] S. Richter, La nozione di governo del territorio dopo la riforma dell’art. 117 Cost., in Giust. civ., 2003, 4, 107.
[10] Corte cost., n. 383/2005, nel delimitare la nozione di governo del territorio e l’oggetto della competenza legislativa concorrente ebbe a precisare che “l’ambito materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta o indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non secondo il criterio dell’elemento materiale consistente nell’incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell’elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali l’interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati”. N. Maccabiani, La Corte “compone” e “riparte” la competenza relativa al “governo del territorio”, in questa Rivista, 2005, 2, 211 e ss.; M. Luciani, L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di urbanistica ed edilizia, ivi, 2009, 15 e ss.; G. Soricelli, Il “Governo del territorio”: nuovi spunti per una ricostruzione sistematica, ivi, 2016, 6, 683. Tale rapporto Stato-Regione, evidenzia che la disciplina dell’uso del territorio coinvolge una molteplicità di interessi pubblici, di rilevanza statale e regionale, nonché privati, ponendo non solo il problema del bilanciamento dei diversi interessi ma soprattutto quello di assicurare una unitarietà della normativa a livello nazionale e l’ esigenza di differenziazione a livello regionale secondo le specifiche diversità territoriali, in modo da evitare sperequazioni nella pianificazione e gestione delle trasformazioni del territorio.
[11] Si parla, in tal senso, di responsabilità di posizione legislativamente prevista che non è idonea, in ogni caso, a qualificare i reati in materia edilizia come reati propri: il bene giuridicamente tutelato, infatti, è la conservazione dell’ordine edilizio e può essere indifferentemente offeso da chiunque commetta condotte tese a menomare gli usi pubblici e sociali del territorio. Così App. Cagliari, Sez II, 18 giugno 2012.
[12]Secondo l’art. 29, comma 1, d.P.R. n. 380/2001: “Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”.
[13] Sulla evoluzione normativa della natura vincolata e obbligatoria del potere repressivo della p.A. in materia urbanistico-edilizia si veda, P. Tanda, L’Adunanza Plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico edilizia, in Federalismi.it, 2018, 2 e ss.; M.T. Paola Caputi jambrenghi, Principio di obbligatorietà, in AA.VV., Sanzioni amministrative in materia edilizia, Milano, 2014, 3 e ss.; Cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n.183 e Id., 18 maggio 2020 n. 3120: “Nel caso della vigilanza edilizia l’obbligo di provvedere emerge ormai pacificamente sia nella richiamata giurisprudenza sia dal tenore della disciplina edilizia avente natura ed effetti di normativa di principio (cfr. art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001)”.
[14] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 30 gennaio 2018 n. 664: “L’art. 27, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 (…) riconosce, infatti, all’amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l’adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con DIA, prive di autorizzazione paesaggistica”; conf. Id., 8 gennaio 2016 n. 17.
[15] Così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 201 n. 3971; Id., Sez. IV, 19 marzo 201 n. 1717; Id., 29 novembre 201 n. 5595; Id., 12 ottobre 2016 n. 4204; Id., 17 giugno 2015 n. 3051.
[16] Per una rassegna delle modifiche legislative intervenute sul testo unico si veda A. Senatore, L’acquisizione gratuita degli abusi edilizi al patrimonio culturale: evoluzione normativa ed approdi giurisprudenziali, in Nuove Autonomie, 2015, 383 e ss.
[17] La norma disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva: la lottizzazione abusiva cd. “materiale”, allorquando le opere realizzate comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha invece lottizzazione abusiva “formale” o “cartolare” quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale. se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita del terreno in lotti che, per specifiche caratteristiche, quali la dimensione, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l’ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio. La giurisprudenza ha individuato un tertium genus, la cd. lottizzazione mista, ‘consistente nell’attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso” (Cass., 26 ottobre 2007 n. 6080; Id., 20 maggio 2015 n. 24985).
[18] P. Tanda, I reati urbanistico-edilizi, V ed., Padova, 2018, 343 e ss.; M. Laforgia, Tutela penale avverso gli atti dell’amministrazione. Legittimità amministrativa accertata dal giudice amministrativo e processo penale: i reati edilizi, in Riv. nel Diritto, 2012, 35.
[19] Il procedimento amministrativo e procedimento penale, anche se sono diretti a tutelare il medesimo bene giuridico, procedono su binari paralleli. Cons. Stato, Sez VI, 19 luglio 2021 n. 5403, ha ribadito che: il sindacato del giudice amministrativo attiene alla piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione, al fine di verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati dall’amministrazione, la loro affidabilità e la loro coerenza, e se essi sono idonei a corroborare le conclusioni che la stessa amministrazione ne ha tratto, non secondo il canone di valutazione dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, proprio del giudizio penale avente direttamente ad oggetto le condotte e la responsabilità personale dell’imputato, ma di credibilità razionale della decisione amministrativa alla luce degli elementi posti dall’amministrazione a giustificazione della stessa, essendo poi onere del ricorrente, tramite il ricorso, quello di contestare la veridicità dei fatti, o di rappresentate circostanze atte ad incrinare la credibilità del processo intellettivo sottostante la decisione dell’amministrazione. Cfr. anche Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2022 n. 24407.
[20] In caso di inerzia comunale dovrà intervenire, con gli stessi poteri previsti dall’art. 31, comma 8, il competente organo regionale che, dandone contestuale comunicazione alla autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale, provvederà ad adottare i provvedimenti eventualmente necessari a rendere effettiva la attività repressiva e ripristinatoria rimasta incompiuta.
[21] Cons. Stato, Sez. VI, 23 marzo 2018 n. 1878; Id., 23 marzo 2018 n. 1878; Id., 19 luglio 2021 n. 5384; Id., Sez. II, 17 maggio 2019 n. 3196; Id., 24 giugno 2019 n. 4320; Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia, 8 febbraio 2021 n. 93;
[22] Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 2012 n.1374, www.giustizia-amministrativa.it.
[23] Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2012 n. 3381; Id, 19 giugno 2014 n. 3115; nonché Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2013 n. 51710.
[24] Sulle differenze fra sindacato del Giudice amministrativo e quello del Giudice penale, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 luglio 2021 n. 5403, in www.giustizia-amministrativa.it.
[25] Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 2017 n. 3788, in www.diritto.it. In senso conforme, Corte EDU, Sez. II, 20 gennaio 2009, ricorso n. 75909/01, Sud Fondi c. Italia. La Corte EDU ha affermato che per disporre la confisca urbanistica – così come ogni confisca e sanzione “intrinsecamente punitiva” – è indispensabile la formulazione di un giudizio di colpevolezza, ovvero la necessità di un’imputazione soggettiva (dolosa o colposa) del fatto. Ma successivamente, la Corte EDU, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, in Cass. pen., 2014, 1392, va oltre affermando che se la confisca è una pena, allora la sua applicazione presupporrà necessariamente una formale dichiarazione di responsabilità a carico del suo autore, e dunque una sua condanna, non potendo trovare applicazione la confisca urbanistica mediante una sentenza che dichiari estinto il reato per prescrizione. Da qui il ricorso alla Corte cost., pronunciatasi con la sentenza 26 marzo 2015 n. 49, la quale tuttavia lascia ampi dubbi interpretativi attribuendo al giudice nazionale un compito particolarmente difficile in fase di applicazione delle decisioni della Corte EDU dovendo distinguere se la fattispecie ricada in giurisprudenza consolidata (vincolante) o meno. Si v. da ultimo, Corte EDU, 28 giugno, G.I.E.M. srl e altri c. Italia.
[26]Si v. Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 2017 n. 3788, cit.
[27]In tema di confisca urbanistica in assenza di condanna, Corte cost., 26 marzo 2015 n. 49, in www.cortecostituzionale.it. Se il reato di lottizzazione abusiva si prescrive prima dell’esercizio dell’azione penale, è escluso che l’autorità giudiziaria possa disporre legittimamente la confisca di cui all’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001.
[28] Corte cost. 8 luglio 2021 n. 146, in www.cortecostituzionale.it.
[29] Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2022 n. 18527, in www.ambientediritto.it.
[30] Va ricordato che con l’entrata in vigore della legge n. 47/198 non è più consentito all’ente comunale di poter autorizzare ex post la lottizzazione abusiva.
[31] Per un esame approfondito sull’evoluzione del sistema dei titoli abilitativi edilizi si veda, M.A. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it, 2019, 2 ss.
[32] Per una disamina della disciplina degli interventi soggetti a s.c.i.a si vedano dello stesso Autore, M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit., 43 ss.; Id., Controlli sull'attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it, 2018; V. De gioia, Edilizia e Urbanistica, Regimi normativi, titoli abilitativi e strumenti di tutela, Torino, 2009; Id., La segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.), in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell'azione amministrativa, 2017, Milano, 215 ss.
[33] In particolare, l’art. 31, comma 1, stabilisce che “sono interventi eseguiti in totale difformità del permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costruire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”. L’art. 32 opportunamente definisce la nozione di essenzialità rilevante ai fini delle variazioni che integrano l’illecito. Sul concetto di tolleranza costruttiva nelle variazioni essenziali e sugli effetti del superamento del margine di tolleranza del 2%, previsto dall’art. 34-bis d.P.R. n. 380/2001, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2021 n. 3666; Id., Sez. II, 28 agosto 2020 n. 5288, in www.giustizia-amministrativa.it.
[34] Sul concetto di parziale difformità, TAR Campania, Napoli), 26 febbraio 2009 n. 1103, in www.giustizia-amministrativa.it.
[35] Ibidem.
[36] Cons. Stato, Sez. VI, 6 luglio 2022 n. 5620, in www.giustizia-amministrativa.it.
[37] A. Senatore, L’acquisizione gratuita degli abusi edilizi al patrimonio culturale: evoluzione normativa ed approdi giurisprudenziali, cit., 389: “L’estensione dell’oggetto dell’acquisizione gratuita, compiuta dal Legislatore è comprensibile e logica, se si considera la stretta connessione giuridica e materiale che esiste tra l’immobile e l’area sulla quale insiste. Il transito nella titolarità della p.a. comunale anche dell’area di sedime, da un lato, agevola la demolizione e il ripristino dello status quo ante dei luoghi, dall’altro, impedisce l’operatività di alcuni istituti come l’accessione (artt. 934 ss. c.c.), che potrebbero dar vita a rivendicazioni dell’immobile abusivo o al pagamento del relativo valore da parte del privato. L’acquisizione gratuita dell’area di sedime, dunque, non è un evento giuridico autonomo, ma collegato all’acquisizione dell’immobile abusivo, al fine di dargli la sua base superficiataria. Di conseguenza, l’area di sedime non può mai considerarsi di per sé abusiva, e pertanto non può mai essere acquisita in modo separato specie se l’immobile risulti demolito a seguito della relativa ingiunzione, in quanto ciò determinerebbe una sorta di espropriazione sine titulo, evidentemente non consentita dall’apparato sanzionatorio urbanistico ed edilizio”.
[38] Amplius in F. Cipriani, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio: profili sostanziali e giurisprudenziali, Salvis Juribus, 2022.
[39]Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2015 n. 4843, in www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso Cons. Stato, Sez II, n. 3156/2020, ivi.
[40]Cons. Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 254, in www.giustiziamministraiva.it.
[41]Cons. Stato, Sez. IV, n. 1912/2013, in www.giustizia-amministrativa.it.; Cons. Stato, Sez. V, 29 novembre 2012 n. 6071, ivi; Id., 5 settembre 2011 n. 4982, ivi.
[42]Cons. Stato, Sez. VI, 9 aprile 2013 n. 1912, in www.giustizia-amministrativa.it.
[43] Cons. Stato, sentt. nn. 7637/2020, 561/2020, 6147/2019, 4939/2019, 3280/2019, 4169/2018, 6497/2018 e 5585/2017, tutte in www.giustizia-amministrativa.it; TAR. Lombardia, Milano, Sez. II, 6 aprile 2020 n 59, ivi.
[44] Per una disamina approfondita dell’istituto con riguardo alla genesi e alle vicende evolutive e alla relativa teorizzazione si veda A. Senatore,L’acquisizione gratuita degli abusi edilizi al patrimonio culturale: evoluzione normativa ed approdi giurisprudenziali, cit., 384 e ss.
[45] Da ultimo si v. Cass. pen., Sez. III, 6 luglio 2022 n. 32869. Cfr. anche Corte EDU, 20 gennaio 2009, ricorso n. 75909/01, Sud Fondi srl ed altri c. Italia.
[46] In ultimo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9 dicembre 2020 n. 5940: “La sanzione demolitoria degli abusi edilizi ha natura oggettiva e ripristinatoria; essa colpisce il bene abusivo, indipendentemente da chi abbia commesso l’abuso; da ciò consegue che l’attuale proprietario ne subisce gli effetti a prescindere dalla circostanza di essere l’autore materiale degli abusi stessi. Pertanto, ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario dell’ordine di demolizione, il testo unico dell’edilizia, nell’individuare i soggetti destinatari delle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta (Cons. Stato, Sez. VI, 28 luglio 2017, n. 2789; Id., 26 luglio 2017, n. 3694; Tar Ancona, Sez. I, 18 luglio 2018, n. 512)”.
[47] Si veda, sul punto, TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 20 aprile 2005, n. 4336 in https://lexambiente.it/en/materie/urbanistica/88-giurisprudenza-amministrativa-tar88/2047-urbanistica-ordinanza-demolizione2047.html
[48] Sulla natura dell’ordine di ripristino si veda M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit.
[49] Cfr. A. Senatore, L’acquisizione gratuita degli abusi edilizi al patrimonio culturale: evoluzione normativa ed approdi giurisprudenziali, cit., 387: “L’acquisizione gratuita ha per oggetto una condotta rappresentata dall’inerzia (anche parziale in caso appunto di parziale demolizione dell’abuso eseguito) rispetto al provvedimento di demolizione adottato dalla p.a. comunale. Nel caso del provvedimento di demolizione ad essere sanzionata è una condotta commissiva (edificazione di un’opera illegittima), mentre nel caso dell’acquisizione a titolo gratuito ad essere sanzionata è una condotta omissiva (mancata demolizione della stessa opera illegittima). L’autonomia della sanzione dell’acquisizione gratuita, come detto fondata su una condotta autonomamente rilevante, è dunque piena, con la conseguenza che la stessa acquisizione non può nemmeno essere qualificata come sanzione accessoria all’ordine di demolizione. È proprio questo aspetto a costituire l’elemento differenziale tra l’acquisizione gratuita e la sanzione penale della confisca del bene, allorquando quest’ultima è emessa come sanzione accessoria ad altra sanzione impartita dal giudice penale o come misura strumentale tesa ad ovviare l’ulteriore esecuzione del reato oppure l’utilizzazione dei proventi del reato medesimo”; M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit., 171 ss.: “Non si può negare la natura afflittiva e non meramente sanzionatoria anche in forza dei cd. Engel criteria individuati dalla CEDU – della acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene e della relativa area di sedime, nonché di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (…)” proprio in ragione del fatto che “la sanzione è in realtà l’esito dell’inottemperanza” dell’ordine di “spontanea eliminazione degli effetti dell’illecito”. Conferma la natura amministrativa dell’ordine di demolizione Cass. pen., Sez. III, 3 marzo 2022 n. 7631.
[50] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 1° settembre 2021 n. 6190; Id., 10 dicembre 2021 n. 8240; Corte cost., 15 luglio 1991 n. 345; Id., 12 settembre 1995 n. 427, secondo la cui ricostruzione, l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio comunale è stata configurata come sanzione distinta dalla demolizione che “rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima, esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla. L’operatività dell’ingiunzione a demolire non presuppone sempre la preventiva acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, perché l’ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa, che, in quanto tale, è assistito […] dal carattere della esecutorietà insito nel potere di autotutela.” Per tale ragione “appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l’area sia di proprietà del terzo [estraneo all’illecito], la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio.
[51]Ex multis, Cons. Stato, Sez VI, 25 giugno 2019 n. 4336: “In caso di inottemperanza all’ordine di demolizione di opere abusive, l’effetto traslativo della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della mancata ottemperanza; pertanto, il provvedimento di acquisizione presenta una natura meramente dichiarativa e non implica alcuna valutazione discrezionale”. Cfr. anche TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 16 aprile 2015 n. 2172, in www.giustizia-amministrativa.it.
[52] M.A. Sandulli, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione. Studi preliminari, Napoli, 1981; Id., Le sanzioni amministrative pecuniarie. Profili sostanziali e procedimentali, Napoli, 1983, M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit., 171 ss., che approfondisce la questione con riguardo al problema di diritto transitorio posto dalla modifica del regime dei controlli e dei titoli abilitativi.
[53] Cons. Stato, Sez VI, 6 luglio 2022 n. 5620, in www.giustizia-amministrativa.it.
[54] Ibidem.
[55] Cfr. A. Senatore, L’acquisizione gratuita degli abusi edilizi al patrimonio culturale: evoluzione normativa ed approdi giurisprudenziali, cit., 387 che osserva che si tratta di “una rimozione spontanea dalla quale deriva un connesso beneficio per l’interesse pubblico in termini di risparmio di misure attuative della riduzione in pristino dei luoghi. Perché se è vero che l’art. 41 del d.P.R n. 380/2001 pone a carico del responsabile dell’abuso le spese necessarie alla rimozione materiale di quest’ultimo (c.d. esecuzione in danno), è altrettanto vero che la prassi concreta evidenzia una difficoltà nel recupero delle stesse spese, che spesso rimangono a carico dell’ente”.
[56] Per un’analisi del tema si veda G. Mari, L’acquisizione di diritto ex art t.u. edilizia nei confronti dell’attuale proprietario del bene erede del responsabile dell’abuso, in questa Rivista, 2015, 3, 419 ss.
[57] Cfr. F. Armenante, Il regime pluriarticolato e disorganico delle sanzioni in materia di abusi edilizi, in Iura & Legal Systems, 2018, 142 ss.: “Il legislatore statale ha dettato, innanzitutto, la regola secondo cui l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita e ha consentito, in via d’eccezione, ai Comuni – con attribuzione della relativa competenza al consiglio comunale – di utilizzare, anziché demolire, l’opera abusiva quando ritengano sussistente l’interesse pubblico alla conservazione e la prevalenza di esso sul concorrente interesse, anch’esso pubblico, al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia. L’interesse pubblico alla conservazione dell’opera può essere apprezzato – e ritenuto prevalente – sempre che non sussistano le situazioni preclusive costituite dal contrasto dell’opera “con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’aspetto idrogeologico”.
[58] Si segnala che, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, le strutture periferiche del Ministero per i Beni e le Attività Culturali devono emettere un parere sul mancato contrasto con i rilevanti interessi ambientali. Tale parere consente all’ente comunale di deliberare per la soluzione alternativa alla demolizione per prevalente interesse pubblico. In tal senso si veda il parere fornito dall’Ufficio legislativo del Ministero con nota prot. n. 11428 dell’11 giugno 2010.
[59] Quanto alle modalità di esercizio del potere si veda Cass. pen., Sez. III, 29 dicembre 2017 n. 57942, che afferma che la delibera comunale che dichiara l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato, sottraendo l’opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto per legge, non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato.
[60] Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2017 n. 1770.
[61] Ibidem.
[62] Sulla natura eccezionale della conservazione disposta dal comune ex art. 31, comma 5, si v. Corte cost., 5 luglio 2018 n. 140, che ha dichiarato illegittima la norma di legislazione regionale campana che aveva consentito ai comuni, sulla base di Linee guida regionali, di regolamentare ed attuare misure alternative alla demolizione degli immobili acquisiti al proprio patrimonio prevedendo, tra l’altro, anche la possibilità di alienarli o cederli in locazione. A tal proposito la Corte ha precisato, innanzitutto, che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio comunale costituisce “principio fondamentale della materia del governo del territorio”. Per tale ragione tale materia richiede regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale: le ipotesi derogatorie e le relative modalità di attuazione, pertanto, devono essere stabilite per legge. Una diversa disciplina regolata da legge regionale contrasta con l’art. 117, comma 3, Cost. Sul tema della possibilità per i Comuni di deliberare l’acquisizione al patrimonio di immobili abusivi da adibire ad esigenze di housing sociale si veda M. Galdi, Incostituzionalità della previsione di Linee guida regionali in tema di acquisizione al patrimonio comunale di immobili abusivi e limiti delle leggi provvedimento. Un commento a prima lettura di C. Cost., 5 luglio 2018, n. 140, in Osservatorio sulle fonti, 2018, 3, 8 ss.
[63] Cons. Stato, Sez VI, 13 aprile 2017 n. 1770: “Nella specie, l’ente locale ha trovato il “prevalente interesse pubblico” nella soluzione di incapsulare in parte del piano terra dell’edificio non legittimo (per il resto costituito, per quanto consta, da un condominio a tutti gli effetti) uffici pubblici, destinati per loro natura alla fruizione collettiva. Per certi versi intuibilmente, con tale soluzione l’ente locale ha anche risolto un problema non secondario, di cui non s’è fatto carico il contenzioso pregresso: dove ricollocare i privati proprietari delle unità immobiliari sovrastanti al piano terra. Non avendo il precedente contenzioso affrontato la questione di una eventuale demolizione parziale dell’edificio non legittimo, forse possibile (ma la questione non è in alcun modo possibile che venga qui affrontata, ora, dati anche gli accadimenti processuali nel frattempo verificatisi), sta di fatto che i titoli giudiziari susseguitisi (anche per come, evidentemente, le avverse difese si sono via via articolate) avrebbero condotto alla necessità di una demolizione complessiva dello stabile, anche nelle parti già compravendute fra privati e divenute abitazioni. Se questo – sul piano, tuttavia, della mera ipotesi – può dare una spiegazione alla circostanza che il privato edificatore, pur ingiunto a demolire, non l’abbia fatto, lo stesso, per altro verso, può indurre a ritrovare una giustificazione remota al fatto che neanche l’ente locale si sia sobbarcato il tema della sorte dei condomini che sarebbero rimasti privi della loro abitazione. Grazie alla norma anzidetta e alla soluzione concreta individuata dal Comune, un punto d’equilibrio, nel bilanciamento di sopravvenute emergenze, è stato pur sempre trovato”.
[64] Cfr. Cons. Stato, Sez VI, 18 maggio 2020 n. 3120: “La norma consente, in alternativa alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, che quest’ultima resti pur sempre in situ, ponendo, affinché effettivamente si determini il vantaggio per l’intera collettività, requisiti destinati a fungere da presupposto dell’evento – sussistenza di prevalenti interessi pubblici; mancanza di contrasto dell’edificazione con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico – dei quali è arbitro l’ente locale e dei quali il controinteressato può dimostrare l’insussistenza”. Cfr. anche Cons. Stato, Sez VI, 13 aprile 2017 n. 1770, cit.
[65] E. Zampetti, Il principio di tutela del legittimo affidamento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017.
[66] Per una più approfondita disamina in ordine al dibattito sulla collocazione tassonomica del principio in questione, si veda A. Travi, La tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, in Il Mulino Rivisteweb, 2018.
[67] Corte cost., 4 novembre 2017 n. 149.
[68] In questi termini Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3811.
[69] Per un’analisi dei principi del procedimento amministrativo si v. M.A. Sandulli, Il codice dell’azione amministrativa: il valore dei principi e l’evoluzione delle sue regole, in M.A. Sandulli (a cura di), Il codice dell’azione amministrative, cit., 3 ss.
[70] Cass., 25 febbraio 2015 (ord.).
[71] Trattasi del decreto-legge concernente le Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale.
[72] Corte cost., 4 novembre 2017 n. 149 nella quale si legge: “Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il Legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)” (sentenza n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del 1999). L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una “causa normativa adeguata” (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del 2015) o una “inderogabile esigenza” (sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, sentenza n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalità (sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del 2015).
[73]M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Concetto e problemi, Milano, 1939, 78.
[74]A. Travi, La tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, cit., 131, osserva come “la sintesi è ricercata non sul piano sostanziale ma sul piano procedimentale: l’affidamento si risolve in un argomento da ponderare nel procedimento e in null’altro”.
[75] S. Civitarese Matteucci - P. Urbani, Diritto urbanistico, Torino, 2020.
[76] Mentre in presenza di determinati presupposti individuati dalla norma, l’amministrazione è sostanzialmente vincolata nell’esercizio dei poteri e, non ha altra scelta che adottare un determinata misura, in altri casi, l’attività amministrativa è attività discrezionale, potendo la pubblica amministrazione attraverso una prudente ponderazione di tutti gli interessi in gioco adottare la scelta migliore per la realizzazione dell’interesse pubblico, tra quelle astrattamente consentite dalla norma di legge.
[77] Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2017 ha affermato il principio secondo cui il decorso del tempo non incide sulla doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della misura sanzionatoria, in quanto trattandosi di atto di natura vincolata non è richiesta alcuna specifica motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’irrogazione della sanzione. Secondo i Giudici di Palazzo Spada “Non sarebbe in alcun. modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il rave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa o praeter legem”.
[78] Per un esame sulla evoluzione dommatica, normativa e giurisprudenziale, in tema di qualificazione dell’attività sanzionatoria della pubblica amministrazione con riguardo agli illeciti edilizi si veda P. Tanda, L’Adunanza Plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico edilizia, cit., 3 ss.
[79] Per i diversi sviluppi giurisprudenziali concernenti l’ipotesi di abuso edilizio realizzato in area sottoposta a vincolo paesaggistico si vedano Cons. Stato, Sez V, 27 agosto 2012 n. 4610, in www.giustizia-amministrativa.it, T.A.R. Toscana, Sez. III, 13 maggio 2011 nn. 840, 842 e 844: in tal caso, infatti, si è affermato che la preminenza dell’interesse collettivo a preservare l’ordine paesaggistico fosse in re ipsa proprio in ragione della sua portata costituzionale.
[80] Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2016 n. 3435: “Infatti, anche nel caso di abuso risalente nel tempo, l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto, non potendo il semplice trascorrere del tempo giustificare il legittimo affidamento del contravventore poiché il potere di ripristino dello status quo non è soggetto ad alcun termine di prescrizione, né tacitamente rinunciabile: in definitiva il semplice trascorrere del tempo non può legittimare una situazione di illegittimità e tanto meno può imporre all’amministrazione un obbligo di comparazione dell’interesse del privato alla conservazione dell’abuso con l’interesse pubblico alla repressione dell’illecito”.
[81] Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011 n. 4403, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., 19 agosto 2016 n. 3660; Id., Sez. V, 8 novembre 2012 n. 5691, ivi; Id., Sez. IV, 11 gennaio 2011 n. 79, ivi. Postulato centrale di tale orientamento poggiava sulla considerazione che il provvedimento demolitorio non richiedesse una particolare motivazione ma che, invece, fosse sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’intervento edilizio.
[82] T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 22 febbraio 2010 n. 860 secondo la quale il decorso del tempo non solo non rafforza la posizione giuridica dell’interessato ma anzi rafforza il carattere abusivo dell’intervento effettuato; in senso conforme: Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 15; Id., 6 marzo 2017 n. 1386; Id., 6 marzo 2017 n. 1060; Id., 10 maggio 2016 n. 1774; Id., 11 dicembre 2013 n. 5943; Id., 23 ottobre 2015 n. 4880; Id., Sez. V, 11 luglio 2014 n. 4892; Id., Sez. IV, 4 maggio 2012 n. 2592.
[83] Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 13.
[84] Sul tema del rapporto del fattore temporale e principio di ragionevolezza CGUE, 12 luglio 1957, in cause riunite 7/56, 3/57 e 7/57, Algera Dineke e.a.c. Alta Autorità, in Racc. 1957, 81 ss., punto III.
[85] Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2017 n. 341; Id., Sez. IV, 29 febbraio 2016 n. 816. Cfr. F. Armenante, Il regime pluriarticolato e disorganico delle sanzioni in materia di abusi edilizi, cit., 147 ss. “Nel medesimo solco interpretativo si è invocata l’applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa. In particolare, pur ribadendosi che l’ingiunzione di demolizione (in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso) è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, si è fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e per il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; secondo tale prospettazione, in assenza di una congrua motivazione, deve ritenersi integrata la violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, di diretta derivazione dal diritto eurounitario, principio che impone all’amministrazione il perseguimento del pubblico interesse col minor sacrificio possibile dell’interesse privato che è corollario di quello di ragionevolezza e parità di trattamento. […] Tale principio di proporzionalità impone invero un’indagine c.d. “trifasica”, che passa attraverso l’accertamento della necessità della misura, della sua idoneità allo scopo da perseguire e della stretta proporzionalità della misura applicata con il fine da raggiungere, per cui deve essere preferita la misura più mite che consenta di raggiungere lo scopo perseguito dalla norma”. In questo senso si veda T.A.R. Campania, Napoli, 21 luglio 2017 n. 3893. Si veda anche Cons. Stato, Ad. plen. n. 12/1983 e P. Tanda, L’Adunanza Plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico edilizia, cit., 3 ss: “Come limpidamente argomentato dalla pronuncia n. 12/1983 dell’Adunanza Plenaria, il decorso di un lasso di tempo particolarmente lungo, se da un lato non poteva di per sé sanare di fatto un’opera abusiva, dall’altro lato – però – imponeva che quest’ultima potesse essere abbattuta solo mediante una puntuale motivazione sulla sussistenza di specifiche esigenze di pubblico interesse”.
[86]Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013 n. 3847; Id., Sez. VI, 14 agosto 2015 n. 3933; Id., Sez. IV, 4 febbraio 2014 n. 1016 che descrive i “casi limite” nei quali l’ingiunzione di demolizione deve essere assistita da un’adeguata motivazione circa l’interesse pubblico ad essa sottesa e, segnatamente: “a) quando il proprietario del bene sia pacificamente persona diversa da quella che ha commesso l’abuso. b) quando l’intervenuta alienazione della res non palesi finalità elusive. c) quando fra il commesso abuso e l’ordine di demolizione sia intercorso un rilevante lasso di tempo, sì da ingenerare nel proprietario uno stato di affidamento in ordine alla desistenza da parte dell’amministrazione dall’adozione di atti pregiudizievoli”.
[87] Cons. Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2015 n. 13, che icasticamente parla di sanatoria extra ordinem.
[88] Sul potere di annullamento d’ufficio si veda C. Deodato, L’annullamento d’ufficio in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, cit., 1173 e ss.; M. Sinisi, La nuova azione amministrativa: il "tempo" dell'annullamento d'ufficio e l'esercizio dei poteri inibitori in caso di s.c.i.a.: Certezza del diritto e falsi miti, riflessioni a margine della legge 7 agosto 2015, n. 124, in Federalismi.it, 2015.
[89] Tra le altre cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,17 ottobre 2017 n. 8, sull’obbligo di motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale in ipotesi di autotutela caducatoria mentre la sentenza n. 9 affronta la questione dell’obbligo di motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale in ipotesi di intervento sanzionatorio della p.A.
[90] P. Tanda, L’Adunanza Plenaria n. 9/2017 si pronuncia sul ruolo del fattore tempo nell’esercizio del potere repressivo della p.a. in materia urbanistico edilizia, cit., 6 ss., secondo cui “il giudizio di difformità dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo rilasciato, che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto, con la conseguenza che l’ordine di demolizione di opere abusive non richiederebbe una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione”; cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2017 n. 4243.
[91] Da ultimo cfr. anche Cons. St. Sez. VI, 23 novembre 2022, n. 10340 che si veda anche per l’approfondimento della questione circa i rapporti tra l’ordine di demolizione e il certificato di agibilità precedentemente rilasciato dalla p.a.; Cons. St. Sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 24 gennaio 2022 n. 474. Cfr. C. Agliata, Ordine di demolizione e diritto all’abitazione. Riflessioni sulla perimetrazione del concetto di abuso di necessità (nota a TAR Campania, Napoli, Sez. V, 24 gennaio 2022 n. 474, in Giustiziainsieme.it, 2022: L’abuso edilizio è illecito permanente, pertanto, ogni provvedimento repressivo posto in essere dall’amministrazione, anche a distanza di tempo dalla commissione dello stesso, non è da ritenersi emanato nei riguardi di un illecito esaurito, bensì posto in essere avverso una situazione antigiuridica che perdura sino al momento del venire in essere della sanzione. “L'ordinanza di demolizione, in quanto atto ad adozione e contenuti vincolati, non abbisogna nemmeno della valutazione di un affidamento alla conservazione della situazione di fatto, che il decorso del tempo non potrebbe mai legittimare” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 gennaio 2021 n. 12; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 1 ottobre 2020 n. 679); “il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell'opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita” (Cons. Stato, Sez. V, 26 febbraio 2021, n. 1637). In termini v. anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 9 maggio 2019, n. 2500. Sulla natura del reato urbanistico come reato permanente si v. Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2002 n. 17178. La cessazione dell’attività coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera, ovvero con la sospensione volontaria o imposta, anche all’esito del sequestro penale o con la sentenza di primo grado se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2014 n. 29974, in https://lexambiente.it.
[92] Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9, cit.
[93]La qualificazione del potere di irrogazione di sanzioni in termini di attività vincolata è stata di recente confermata da Cons. Stato, Sez. VI, 1° aprile 2021 n. 2418, che ha ribadito il principio per cui il carattere doveroso dell’ordine di demolizione, così come di tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, rende non necessaria una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati. Quanto al connesso profilo dell’onere motivazionale, il Consiglio di Stato riafferma l’insussistenza della necessità di dimostrare l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Si può concludere, dunque, che si esclude la presenza di un affidamento tutelabile di una situazione di fatto abusiva.
[94] Ibidem.
[95] V.C. Contessa, Rassegna di giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Giur. it., 2017, 2581 ss.; L. Droghini - G. Strazza, L'ordinanza di demolizione degli abusi edilizi tra tempo, legittimo affidamento e obbligo di motivazione, in questa Rivista, 2018, fasc.1, 113 ss.; M.C. Spena, La repressione degli abusi edilizi tra doverosità dell’operato della pubblica amministrazione e legittimo affidamento del privato, ivi, 2015, 4, 753; V. Mele, Inconsumabilità del potere e affidamento legittimo nella repressione degli abusi edilizi, ivi, 2012, 2, 148.
[96] P. Tanda, L’Adunanza Plenaria…, cit., 14: “Del resto, l’obbligo di una specifica motivazione non deve far pensare necessariamente ad un atto discrezionale, in quanto non è detto che un atto vincolato non possa necessitare di articolata motivazione”.
[97] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988; Id., “Motivazione” dell’atto amministrativo (voce), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1977, XXVII; Corte cost. n. 310/2010.
[98] P. Tanda, L’Adunanza Plenaria…, cit., 19 ss., che opportunamente distingue tra due diversi casi: l’ipotesi in cui l’ordine tardivo di demolizione sia adottato a seguito di annullamento di titolo edilizio illegittimo e l’ipotesi in cui l’ordine sia adottato in assenza di preesistente titolo edilizio: se nel primo caso il problema del legittimo affidamento si pone sempre, nel secondo il problema sorge solo nei casi limite esaminati dalla Adunanza plenaria n. 9/2017.
[99] V.A. Auletta, Considerazioni intorno al cd. Affidamento del responsabile dell’abuso ed all’operazione qualificatoria del fatto nel caso di intempestivo esercizio del potere sanzionatorio in materia edilizia (a margine di T.A.R. Umbria, sez. I, 21 gennaio 2010, n. 23, in questa Rivista, 2010, 2, 235, che, invece, distingue i casi in cui la posizione di affidamento del privato poggi su un comportamento omissivo qual è l’inerzia della p.a. per un lasso considerevole di tempo e quello in cui l’affidamento si radichi, invece, oltre che sul decorso temporale, anche sul mancato rispetto del principio di non contraddizione mediante il compimento di atti incompatibili con la volontà di esercizio del dovere repressivo; P. Otranto, Decorso del tempo e tutela della sanzione urbanistica: il Consiglio di Stato arricchisce la casistica, in questa Rivista, 2007, 592 ss., che afferma, ai fini della verifica della sussistenza del legittimo affidamento, la necessità di valutare sia la condotta del privato che della pubblica amministrazione: con riguardo al comportamento di quest’ultima, la protratta inerzia che poggia sulla consapevolezza dell’abuso – nelle forme della conoscenza o conoscibilità – dà senz’altro luogo alla possibilità di riconoscere un affidamento del privato.
[100] Secondo P. Tanda, L’Adunanza Plenaria…, cit., e M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit., osserva criticamente, contrariamente a quanto affermato in sentenza che “sembrano sussistere spazi per arrivare ad ammettere anche la tutela dell’affidamento del privato nei confronti della p.a. nelle eccezionali ipotesi in cui il proprietario dell’opera interessata dal tardivo provvedimento di demolizione non sia il responsabile dell’abuso edilizio e non abbia posto in essere alcunché per eludere l’esercizio dei poteri repressivi dell’amministrazione”. Come, poi, osservato da L. Droghini, G. Strazza, L’ordinanza di demolizione degli abusi edilizi tra tempo, legittimo affidamento e obbligo di motivazione, in Riv. giur. edil., , 2018, cit., 1. una diversa modulazione – in senso rafforzativo – dell’onere motivazionale non determinerebbe il mutamento del potere sanzionatorio da vincolato a discrezionale posto che anche l’esercizio di attività autoritativa può coinvolgere l’apprezzamento del fatto “così definibile perché risolventesi in un’operazione complessa e dall’esito opinabile”.
[101] Lo rilevano L. Droghini, G. Strazza, L’ordinanza di demolizione, cit., con riguardo T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez II, 11 gennaio 2016 n. 8 e T.A.R. Molise, Sez. I, 17 febbraio 2014 n. 114.
[102] Si tratta di Cons. Stato, Ad. plen., 19 maggio 1983 n. 12, che era stata chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale in ordine alla rilevanza del decorso del tempo sull’ordine di demolizione e sulla consistenza del relativo obbligo motivazionale. La Plenaria era giunta a conclusioni del tutto opposte rispetto alla più recente Ad. plen. n. 9/2017, in quanto aveva affermato che il consistente lasso temporale era idoneo ad attenuare il principio secondo cui, a fronte dell’obbligatorietà del potere repressivo, non si riteneva generalmente necessaria una valutazione circa i motivi del suo esercizio posto che la constatazione dell’abuso era elemento sufficiente all’emanazione del provvedimento demolitorio. Secondo la Corte infatti, “è noto che, su un piano puramente astratto, è sempre ipotizzabile l’applicazione della sanzione amministrativa, attesa la mancanza, nella previsione legislativa del limite temporale di esercizio del potere repressivo dell’abuso edilizio. Ma il lunghissimo decorso del tempo, senza che l’amministrazione si sia comunque preoccupata di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto violata, si di per sé non è sufficiente per poter ritenere definitivamente precluso tale adeguamento, impone che l’eventuale iniziativa demolitoria abbisogni di essere sorretta da motivazioni più adeguate, rispetto a quella che si riferisce alla semplice constatazione dell’abusività dell’opera”.
[103] Lo rilevano P. Tanda, L’Adunanza Plenaria…, cit. e M.A. Sandulli, Edilizia (voce), cit., 43.
[104] Invero, secondo l’esegesi in esame, non è necessario motivare un provvedimento con il quale sia ordinata la demolizione di un’opera abusiva a prescindere dal fattore temporale posto che l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica solo laddove presenta un carattere incolpevole: la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza, al contrario, in un’attività del trasgressore volontariamente realizzata contra legem.
[105] Cfr. F. Armenante, Il regime pluriarticolato e disorganico delle sanzioni in materia di abusi edilizi, cit.
[106] Ibidem: “Secondo la plenaria, la disposizione appena richiamata chiarisce che il decorso del tempo dal momento del commesso abuso non priva l’amministrazione del potere di adottare l’ordine di demolizione, configurando piuttosto, specifiche e diverse conseguenze in termini di responsabilità in capo al dirigente o al funzionario responsabili dell’omissione o del ritardo nell’adozione di un atto che è e resta doveroso nonostante il decorso del tempo”.
[107] Secondo Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9, cit., “se l’amministrazione (…) avesse comunicato l’avvio del procedimento in parola, essi avrebbero potuto rappresentare: i) la risalenza nel tempo degli abusi realizzati dalla loro comune dante causa; ii) il legittimo affidamento riposto nella mancata adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’autorità iii) il contegno contraddittorio serbato dal Comune di Fiumicino, il quale aveva continuato nel corso degli anni ad introitare i tributi locali per l’immobile in parola, in tal modo rafforzando il convincimento circa la mancata attivazione dei poteri repressivi”.
[108] A sostegno della tesi della necessità dell’avviso di avvio al procedimento per l’accertamento della sussistenza della lottizzazione abusiva si veda T.A.R. Sicilia, Sez II, 19 gennaio 2021 n. 194: “il procedimento volto a dichiarare che è in atto una lottizzazione abusiva non si sottrae all’obbligo di consentire la partecipazione procedimentale ai soggetti sui cui interessi l’eventuale accertamento della lottizzazione abusiva è destinato ad incidere, e quindi all’inoltro, a tali soggetti, dell’avviso di avvio del procedimento previsto dall’art. 7 della legge 241/1990. Invero, seppur l’accertamento della sussistenza di una lottizzazione abusiva comporta, per la P.A., il compimento di attività vincolata, la complessità della valutazione che può talvolta richiedere tale accertamento e la gravità delle conseguenze che ne derivano – immediata perdita dei terreni coinvolti – connotano il relativo procedimento di caratteristiche diverse rispetto a quelle proprie di un procedimento volto all’adozione di un ordine di demolizione di un’opera abusiva, per il quale, sulla base di consolidata e condivisibile giurisprudenza amministrativa, non è necessario il previo invio dell’avviso di avvio del relativo procedimento”. Tale sentenza, dunque, afferma la necessità dell’avviso di cui all’art. 7 l. 241/1990 per l’ordine di demolizione per gli abusi edilizi diversi dalla lottizzazione.
[109]Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3707; Cons. Stato, Sez. II, 1° settembre 2021 n. 6181; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 1 marzo 2021 n. 1305; Id., Sez. III, 7 settembre 2015 n. 4392.
[110] Cons. Stato, Sez. III, 14 settembre 2021 n. 6288, in www.lavoripubblici.it.
[111] M. Galdi, Buon andamento, imparzialità e discrezionalità amministrativa, Napoli, 1996, 6-9; Id., Contributo allo studio dell’interesse a rilevanza costituzionale, Salerno, 2003, 68 ss.
[112] Per un esame del fondamento costituzionale del diritto di abitazione si v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, parte generale, Padova, 1990; F. Modugno, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995. V. anche Corte cost., nn. 169/1994 e 444/1988, dove si afferma che il diritto di abitazione trova fondamento nel riconoscimento di tale diritto come diritto sociale, collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost, quale norma a fattispecie aperta (ma anche art. 25 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e art. 11 Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali, che “esprimendo il dovere di solidarietà sociale, connota la forma costituzionale dello Stato Sociale”.
[113] L’art. 8 CEDU afferma che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
[114]Corte EDU, Sez. V, 21 aprile 2016 n. 46577/15, par. 51, in www.lexambiente.it.
[115]Corte EDU, Sez. V, cit., par. 68: whether or not the home was established unlawfully, whether or not the persons concerned did so knowingly, what is the nature and degree of the illegality at issue, what is the precise nature of the interest sought to be protected by the demolition, and whether suitable alternative accommodation is available to the persons affected by the demolition (see Chapman, cited above, §§ 102-04). Another factor could be whether there are less severe ways of dealing with the case; the list is not exhaustive.
[116] Per una rigorosa puntualizzazione del principio di proporzionalità nella giurisprudenza della Corte EDU si v. Corte EDU, 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania e Corte EDU, 21 aprile 2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria.
[117] Corte EDU, Sez. V, cit., par. 73.
[118] Significativa è, a tal proposito, la sentenza della Corte EDU, Sez. II, 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania, che ha escluso la violazione del diritto all’abitazione nel caso presentato da una persona di età avanzata e in condizioni di salute e reddituali precarie. In tal caso, infatti, la Corte ha ritenuto prevalente l’interesse pubblico a preservare l’ordine ambientale soprattutto in quanto, nonostante le difficili condizioni personali sopramenzionate, l’autore del fatto aveva consapevolmente costruito l’abitazione in area protetta senza il titolo abilitativo necessario.
[119] A. Scarcella, Compatibile con la C.e.d.u. l’ordine di demolizione? Nota a Corte eur. Dir. Uomo. Sez V 21 aprile 2016 (Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria), in Urb. e app., 2016, 12, 1318-1327.
[120] Cass. pen., Sez III, 6 luglio 2022 n. 32869 in Ilsole24ore.it.
[121] Cass. pen., Sez. III, 10 marzo 2016 n. 18949, C.; Id., 11 settembre 2019 n. 48021, G.
[122] Cons. Stato, Sez. VI, 6 luglio 2022 n. 5620, secondo cui “l’ordine di demolizione non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio ma afferma in concreto il diritto alla collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 18 febbraio n. 5822, in www.ambientediritto.it; Id., 24 novembre 2017 n. 15134, ivi.
[123] Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 2002 n. 5822, cit., in cui il giudice delle leggi stabilisce che ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha valorizzato essenzialmente 1) la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente 2) la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; 3) l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come, cc esempio, quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione e aia natura ed al grado della illegalità realizzata”.
[124] Cons. Stato, Sez VI, 6 luglio 2022 n. 5620, in www.giustizia-amministrativa.it.
[125] A.M. Sandulli, Giurisdizione e amministrazione in materia di edilizia urbanistica, Relazione tenuta il 3 luglio 1958, in Roma, al Corso di perfezionamento per uditori giudiziari, pubblicato in Il Diritto dell’Economia, 1958, 10, inserito nella raccolta Scritti giuridici. Vol. VI. Diritto urbanistico, Napoli, 1990, 5, ripubblicati sul sito www.diritto-amministrativo.org in occasione della celebrazione per il centenario dalla nascita di A.M. Sandulli.
[126] Ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2013 n. 964, in www.giustizia-amministrativa.it.
[127] Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente, Ecomafia, Le storie e i numeri della criminalità ambientale, Milano 2009.
[128] S. Settis, Paesaggio. Costituzione. Cemento, Milano, 2010.