Momenti di trascurabile felicità a cura di Dino Petralia
Tra l’ovvietà che non stupisce e la profondità del banale si collocano le trascurabili felicità di Paolo e Agata, coppia stereotipa in crisi di slanci e di parole.
Per un capriccioso errore di calcolo di velocità nello sfidare, alla guida del proprio scooter, un incrocio stradale nel centro di Palermo, Paolo muore in un fatale incidente.
Catapultando la scena in un Paradiso può attendere in salsa nostrana, il novello Warren Beatty in abiti di Pif fa così ingresso in un aldilà burocratico e disorganico, realizzando insieme a un Caronte in luccicante divisa postelegrafonica (un poliedrico ed efficace Renato Carpentieri) la commissione di un errato computo cronologico del trapasso, con conseguente momentaneo rientro sulla ribalta della vita.
Il rimborso di un’ora e trentadue minuti di sopravvivenza innesca dunque il tragicomico interrogativo sul come trascorrere lo scampolo di impiego esistenziale, affidando ad un protagonismo maschile monocorde e uggioso - un Paolo motteggiante di anemiche scontatezze che a ben vedere poco o nulla ripropongono del divertente catalogo (del libro) di Francesco Piccolo - l’ingrato compito di far riflettere sorridendo; compito rapidamente evaporato nel naufragio senza soccorso di sequenze banalmente improntate al genere del vivere d’oggi - i piccoli tradimenti di lui e lei, il compensativo eccesso di passione calcistica dei compagni di tifo, i conflitti familiari dei figli e il divario digitale dei loro saperi rispetto agli adulti - in cui il ripromesso messaggio della brillantezza di una normalità vitale e vincente s’infrange in un’incostanza scenica che, sottraendo dinamismo e vivacità al racconto, lo converte in una semplice somma di riprese indipendenti e slegate.
A conclusione del modico supplemento di vita, l’affido condiviso tra destinante e destinato, traghettatore e traghettando, della riedizione dell’incidente, questa volta nella prospettiva di un esito definitivamente infausto che invece non si compie per via di una (forse) raggiunta maturità d’affetti di Paolo, ravviva per un istante le vibrazioni di un film che nel complesso non sollecita né commuove e che, pur regalando - o tentando di regalare - allo spettatore l’effimero gusto di un destino fallibile, non si sottrae ad un verdetto di grigia mediocrità.
A sollevarne le sorti soccorre tuttavia la bellezza energica, vitale e struggente di una Palermo che, nello sfondo della narrazione, nobilmente sopravvive nei momenti tutt’altro che trascurabili dei popolani ghetti e delle mirabili sue sontuosità.