GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Dalla mala setta ai boss di Stato

    Dalla mala setta ai boss di Stato

    1. La questione dei rapporti fra un ordinamento giuridico che si rappresenta come sovrano (lo Stato), almeno al suo interno, e organizzazioni criminali mosse da fini di eversivi (in tutto o in parte) dell’ordine costituito è antica e si ripropone, di tempo in tempo, in occasione di condizioni di particolare debolezza del primo o di particolare forza delle seconde. E’ possibile che in alcuni fra gli infiniti Stati dell’universo questi rapporti si siano tradotti in trattative, alcune risoltesi in accordi o forme di patteggiamenti, altre rimaste latenti o comunque improduttive. E’ facile considerare che in Stati con vicende storiche analoghe a quelle dello Stato italiano queste possibilità presentano un grado di probabilità maggiore che in altri.

    2. Per cause certamente fra loro indipendenti di recente sul tema sono stati pubblicati e presentati in molte sedi due libri (ovviamente non si esclude che ne siano stati pubblicati altri…)

    Il primo è stato scritto Francesco Benigno (professore ordinario di Storia moderna, insegna Metodologia della ricerca storica nell’Università di Teramo), con il titolo “ La mala setta. Alle origini di mafia e camorra 1859-1878 (Torino, Einaudi, 2015, pp.403), e esamina fatti non recenti.

    Il secondo è stato scritto da Roberta Ruscica (giornalista d’inchiesta e scrittrice), con il titolo “ I boss di Stato. I protagonisti, gli intrecci e gli interessi dietro la trattativa Stato-mafia (Milano, Sperling & Kupfer, 1° ed. 2015, pp. 224). Contiene anche un’intervista a Teresa Principato (procuratore aggiunto a Palermo) e esamina le note vicende (nel senso che al riguardo molto è stato detto e qualcosa pure pensato) successive al processo a Cosa Nostra, svoltosi a Palermo nel 1992.

    3. Francesco Benigno ha illustrato il rapporto fra il neonato Stato italiano e lo sviluppo del crimine organizzato nei primi venti anni dell’Italia unificata: la forza della mafia e della camorra (considerate come associazioni segrete) risultano strettamente legate alla lotta dello Stato contro gli eversori (repubblicani, prima, e socialisti internazionalisti, poi). Come storico, si è avvalso delle fonti dell’epoca (poliziesche, giudiziarie, giornalistiche). La sua indagine mostra che attorno al nodo dell’ordine pubblico la società italiana si è divisa e si è ricomposta lungo linee che oppongono e/o compongono differenti opzioni ideali e politiche e diverse concezioni della pubblica sicurezza. Inoltre, illustra la genesi di attività attraverso le quali la polizia si è infiltrata in ambienti criminali e li ha manipolati durante l’epoca liberale, quella fascista e la repubblicana. I limiti cronologici dell’indagine non gli hanno consentito di approdare all’epoca post-repubblicana (che, del resto, non è ancora giunta; né è certo che giungerà).

    4. Roberta Ruscica prova a descrivere intrecci, accordi, contatti, l’affaire mafia-appalti e, tramite le dichiarazioni dei cosiddetti collaboratori di Giustizia, possibili retroscena dei modi in cui furono progettati piani destabilizzanti (attuati o non) per il non più neonato (adolescente, forse?) Stato italiano. Il libro attinge alle fonti giudiziarie, ma segue un passo narrativo, a tratti romanzesco, con acuti approfondimenti della psicologia di alcuni personaggi. Pone queste domande: “Ma c’è stata davvero una trattativa?” “Ce n’è stata una sola?”, “ Chi mercanteggiò con Cosa Nostra?”. Offre qualche risposta, con contenuti vividi e attraenti anche dal punto di vista letterario.

    5. Poiché si occupano di ricostruire eventi singoli, gli storici, i giornalisti d’inchiesta e i magistrati sono esposti allo stesso genere fallacie. Con delle differenze: il magistrato è vincolato alla pertinenza alla fattispecie normativa astratta e anche alle regole processuali; lo storico reinventa il passato tramite le fonti di cui dispone, seguendo il rigore di un suo metodo, ma – soprattutto – sceglie con libertà i fatti che ritiene rilevanti per dare un senso alla sua ricostruzione; il giornalista d’inchiesta fruisce di una più ampia gamma di opzioni, fatti salvi alcuni limiti legali (come quelli della coerenza con fonti affidabili e della continenza espressiva). Tutti e tre (gli storici molto meno perché hanno consapevolezza del metodo scientifico) rischiano che la ricostruzione dell’evento singolo sia frutto di errori logici o di dati per varie ragioni errati, per cui quello che dovrebbe essere un fatto si risolve in un fattoide, che, essendo spesso generato da forti inconsce influenze psicologiche o da ansie di semplificazione (e, seppur raramente, da depistaggi), può apparire più convincente di un fatto reale.

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