ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Il 21 e 22 ottobre 2022, al dipartimento di Giurisprudenza ed all’aula delle adunanze del palazzo di Giustizia, teorici del diritto si sono confrontati su un quesito che non ha mai cessato di essere attuale: nell’ordinamento italiano, è ammissibile il diritto alla morte?
E, qualora la risposta fosse positiva, quali sarebbero le disposizioni normative che lo tutelerebbero?
L’articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nega il diritto alla morte e promuove, contestualmente, quello alla vita: “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.
L’articolo 2 della Costituzione sostiene il diritto alla vita. Secondo la Corte Costituzionale, la tutela del diritto alla vita troverebbe fondamento in questa previsione, e sarebbe rafforzato, in sede penale, dallo specifico divieto della pena di morte stabilito nell’articolo 27, comma 4, della stessa Carta.
Esiste, tuttavia, un orientamento giurisprudenziale europeo che riconosce alla morte la stessa protezione della vita, in quanto beni opposti ma, allo stesso tempo, complementari dell’essere umano.
In questo senso, l’eutanasia e il suicidio assistito smetterebbero di essere considerati meri “eventi infelici” e diventerebbero libertà attinenti non solo alla morale individuale ma, anche e soprattutto, al diritto costituzionale.
Anche la Chiesa Cattolica rifiuta il diritto alla morte poiché considera il bene vita indisponibile ed inviolabile non solo dalle istituzioni private e pubbliche ma, in particolar modo, dallo stesso uomo.
Alla base della domanda di eutanasia si trova la ricerca di una morte benefica, fornita dai terzi a colui che la richiede, per mettere fine alla propria sofferenza, considerata intollerabile ed inutile.
Se essere degni significa essere liberi, il fatto di imporre alla persona una vita che non sente come propria minaccerebbe la sua dignità. Il rispetto della persona esige innanzitutto l’osservanza delle volontà, delle scelte, dei valori e dello stile di vita della stessa che altro non sono che il riflesso di quella libertà di cui ha goduto durante la propria esistenza.
In alcuni paesi, come il Canada e la Svizzera, il suicidio assistito è riconosciuto, ma a tre condizioni, ossia qualora: 1) sia preceduto dalla volontà espressa del malato; 2) sia chiesto a fronte di una patologia in uno stadio terminale; 3) sia posto in essere con il rispetto di un preciso iter legale e sanitario. In altri paesi, come l’Olanda, ad essere tutelato è invece l’omicidio del consenziente. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, esso nega l’esistenza del diritto alla morte attribuendo al malato il solo diritto al rifiuto delle cure.
I riferimenti normativi relativi al tema di cui si discute sono da rinvenire negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione nell’articolo 5 del codice civile, negli articoli 579 e 580 del codice penale e, infine, negli articoli 5 e 6 della legge numero 219 del 2017.
In Italia, quindi, il diritto alla vita continua a prevalere su quello alla morte e impedisce l’affermazione di pratiche volte ad abbreviare l’esistenza del cittadino, anche se dallo stesso chiesta e voluta, in particolare alla luce delle note sentenze della Corte Costituzionale nr 242 del 2019 e n. 50/2022 del 15/02/2022, che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., abrogazione che avrebbe avuto l’effetto di depenalizzare, ad esclusione dei casi previsti nel comma III dello stesso articolo, l’omicidio del consenziente. Il quesito è stato dichiarato inammissibile perché, a seguito dell’abrogazione, sarebbe venuta meno “la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Come si vede si tratta di tematiche assai delicate, incidenti profondamente sul piano non solo del singolo individuo ma anche, se non soprattutto, sociale e sulle quali il confronto, non solo tra giuristi, appare necessario ed imprescindibile e da svilupparsi scevro da approcci prevalentemente se non meramente ideologici, da fronti contrapposti, che non servirebbero a trovare soluzioni adeguate a salvaguardare la dignità della persona in uno con la solidarietà che deve permeare l’agire dei consociati.
Il convegno è servito a dare un contributo concreto proprio in questa prospettiva.
“In qualunque comunità la libertà non è effettiva se non è appannaggio di tutti.”
Sergio Mattarella, Inaugurazione a.a.2022-23,Università degli studi della Basilicata
Diritto e Persone LGBTQI+: progredire nella protezione delle libertà individuali avendo a cuore anche la dimensione sociale in cui si inseriscono e favorire il più possibile una gradualità senza strappi che possano generare una reazione regressiva e nuocere all’effettività del diritto colpendo in primo luogo chi è più vulnerabile.
Sommario: 1. Un libro “diverso” dagli altri. - 2. Alcune fonti internazionali di protezione. - 3. Perduranti vulnerabilità nell’ordinamento, i casi più evidenti. - 4. Ruolo dell’interpretazione giuridica e del diritto comparato in materia. - 5. Libertà di espressione e Hate Speech: quale tutela? – 6. Verso l’individuazione di nuove obbligazioni positive per lo Stato.
1. Un libro “diverso” dagli altri.
I contributi che compongono l’articolato volume “Diritto e Persone LGBTQI+” pubblicato per i tipi di Giappichelli nel 2022 permettono di approfondire diversi profili che compongono il quadro sfaccettato della protezione di molti diritti fondamentali, con riferimento soprattutto al diritto alla vita e alla proibizione di trattamenti inumani e degradanti, al divieto di discriminazione, al principio di uguaglianza, alla libertà di espressione, ai discorsi d’odio, alla protezione della vita privata e familiare. Questo variegato contesto argomentativo stimola molto il lettore attento, sollevando interrogativi in una certa misura trasversali alla netta distinzione civile-penale della protezione accordata ai diritti - e ai correlati doveri -, non pochi dei quali non trovano ancora una risposta pienamente soddisfacente nel nostro ordinamento giuridico.
2. Alcune fonti internazionali di protezione.
Un punto di forza nella protezione dei diritti LGBTQI è sicuramente la pluralità di fonti internazionali in Europa che li presidia e il dialogo tra Corti, anche sovranazionale, teso ad un completamento delle tutele. Si pensa spesso e giustamente alla giurisprudenza della Corte Edu[2], ma non va dimenticato che esiste, nell'ambito del Consiglio d'Europa, anche un'importante Raccomandazione del Consiglio d'Europa agli Stati membri[3] sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Inoltre, l'Unione Europea ha introdotto una serie di disposizioni a tutela del principio di eguaglianza e proibizione della discriminazione a causa dell'orientamento sessuale, sia a livello di Trattati[4], che di Direttive antidiscriminatorie[5], particolarmente pregnanti nel settore del lavoro ed impiego[6] in cui il diritto unionale è, non di rado, una tutela più avanzata della Convenzione stessa. Questa rete di protezione offre scudo a molte fragilità, ma ci sono diverse aree di perduranti vulnerabilità in materia.
3. Perduranti vulnerabilità nell’ordinamento, i casi più evidenti.
I punti di frizione maggiormente acuta tra i diritti LGBTQI e il nostro ordinamento giuridico sono bene messi in evidenza nel volume. In disparte dalla questione del procedimento di riconoscimento giuridico dell’identità di genere[7], si consideri il contesto dell'immigrazione in cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono un fattore di discriminazione particolarmente serio[8]. Di questo la Corte di Cassazione è ben consapevole e prende sul serio i doveri motivazionali del giudice allorquando un rifugiato deduca la minaccia concreta di diritti assoluti (vita) per la suddetta discriminazione[9] ai fini del “non refoulement”: se l’inattendibilità del richiedente investe il vissuto posto a fondamento della domanda di protezione, essa potrà giustificarne il rigetto del ricorso solo a condizione che il rimpatrio non debba avvenire verso Paesi nei quali sia esposto a rischio della vita o dell'incolumità fisica[10].
Come noto, un ulteriore aspetto di potenziale vulnerabilità riguarda la posizione dei figli di coppie omogenitoriali[11], affrontato in più contributi nel volume[12] e, tra questi, la tutela del rapporto tra il figlio nato da “gestazione per altri” con il “genitore d’intenzione”. Si tratta di una difficile questione oggetto da anni di un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale che cerca di conciliare, alla luce del criterio di proporzionalità, lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla “gestazione per altri”, sanzionato penalmente dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004 e riconosciuto integrare un principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali quali il rispetto della dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, con il “best interest of the child”, questione sulla quale la Corte Costituzionale ha richiamato l’attenzione del legislatore[13], sino ad ora invano.
Recentemente la Cassazione è tornata ad intervenire a Sezioni Unite[14] giungendo, attraverso un’ampia e argomentata ricostruzione, a quella che è stata definita una sentenza “di sistema”[15]. La Corte ha constatato che “Il legislatore è rimasto finora inerte” e ha confermato che l’adozione in casi particolari, disciplinata dall'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983[16], allo stato attuale dell’evoluzione dell’ordinamento, è lo strumento con il quale tutelare il diritto fondamentale del minore, nato all'estero mediante il ricorso alla “gestazione per altri”, al riconoscimento del legame giuridico sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il “genitore d’intenzione”. Esso consente, ricorda la Corte, da un lato, di conseguire lo "status" di figlio e, dall'altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il "partner" del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita. La vulnerabilità e il mancato raggiungimento del pieno interesse del minore permangono non solo per la lunghezza della procedura, ma plasticamente nel caso in cui l’adozione non sia possibile, come nel caso di premorienza e, a differenza dell’adozione piena e legittimante, vi è necessita comunque del consenso del genitore biologico[17], mentre sul piano dell’efficacia è stata superata l’iniziale assenza di instaurazione di rapporti di parentela dell’adottato con la famiglia dell’adottante grazie alla recente sentenza della Corte costituzionale n.79/2022[18].
Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che lo “status filiationis” è oggetto di una proposta di regolamento armonizzato, presentata dalla Commissione europea il 7 dicembre 2022 e diretta ad introdurre un regime uniforme in materia di giurisdizione e legge applicabile alla filiazione caratterizzata da profili transnazionali[19], iniziativa inclusa tra le priorità della strategia dell’UE sia per l’uguaglianza LGBTQI sia per i diritti dei minori[20]. Il tema è particolarmente sentito in Italia, anche per il fatto che manca una moderna legge sull’adozione e lo spostamento della pratica procreativa all’estero ormai da parte di molte coppie non tradizionali internazionalizza sotto vari profili la tutela del nato la quale, oltretutto, va tenuta distinta dalla tutela del “genitore d’intenzione”, come ricorda la Consulta[21]. La proposta di regolamento non è un modo per aggirare la pratica della “gestazione per altri”, vietata in buona parte degli Stati UE, ma si pone l’obiettivo di proteggere i diritti fondamentali dei minori in molte situazioni transfrontaliere, incrementando la certezza del diritto in tali casi e riducendo i costi e la lunghezza delle procedure per le famiglie e gli Stati membri coinvolti.
4. Ruolo dell’interpretazione giuridica e del diritto comparato in materia.
Questione centrale nell’intero libro, che balza all’evidenza del lettore, è il tema dell'interpretazione giuridica, nel perimetro non ampio dello ius dicere appena ricordato anche dai citati interventi della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite[22], ed è di consistente complessità sia per gli interessi e diritti fondamentali sostanziali da tutelare, sia sul piano tecnico per l’internazionalizzazione della materia.
Ci si può nondimeno chiedere se l’interpretazione giuridica debba essere fondata solo sulla lettera della legge, ad esempio per negare o meno la trascrizione di atti di nascita che indichino una coppia dello stesso sesso come genitori[23]. Vengono talvolta riproposte delle letture 'originaliste' che raramente sono state proprie della nostra tradizione sull'interpretazione ed evoluzione dei diritti fondamentali[24]. Infatti, tale opzione è diffusa nel costituzionalismo nordamericano di common-law[25], il quale privilegia nell’interpretazione l’obiettivo e ragionevole significato originario, ossia l’intenzione dei padri costituenti al momento in cui è stato adottato il testo, e ciò conduce per lo più a letture rigorosamente testuali ed anche ad una significativa restrizione dell’area semantica e di applicazione dei diritti fondamentali. Ad essa si contrappone la “living instrument doctrine”, che si propone di interpretare il testo costituzionale alla luce delle condizioni attuali, accolta dalla Corte EDU già nel 1978 con la sentenza Tyrer[26]. Il principio di diritto, nelle sue elaborazioni successive, è divenuto un metodo di interpretazione del testo costituzionale che deve tener conto anche degli sviluppi del diritto internazionale, e un simile approccio è stato accolto dalla stessa giurisprudenza costituzionale con riferimento all'art.2 Cost., inteso come clausola a fattispecie aperta[27] per giungere all’enucleazione di “nuovi diritti” emergenti dall’evoluzione della coscienza sociale e che oggi sono pacificamente diritto vivente[28].
Un aspetto molto rilevante in punto di interpretazione giuridica è poi il ruolo dell'analisi di diritto comparato per la protezione dei diritti LGBTQI[29]. Questo apporto indiretto al regolamento della fattispecie lega gli ordinamenti tramite la condivisione di prassi normative ed applicative tendenti alla ricerca di una certa omogeneità tra Stati membri del Consiglio d’Europa e, soprattutto, tra Stati aderenti all’Unione Europea[30]. La ricerca delle tradizioni costituzionali comuni è importante nella giurisprudenza della Corte di Giustizia[31] e, più in generale, si consideri il ruolo del diritto comparato nella decisione dei ricorsi più complessi da parte della Corte di Strasburgo. Questo avviene normalmente tenendo conto di analisi di diritto comparato alla ricerca dell’eventuale “consensus” o trend tra Stati membri del Consiglio d’Europa sulla regola data in sede nazionale a questioni analoghe a quella controversa, ricerche condotte al fine di stabilire l’ampiezza del “margine di apprezzamento” di cui gode lo Stato responsabile[32]. Anche nell’ambito dell’Unione Europea e proprio con specifico riferimento ai diritti di cui qui si discute, sono reperibili per gli interpreti attendibili e aggiornate ricerche comparatistiche che coprono gli Stati UE e non solo, presso la Fundamental Rights Agency[33].
L’analisi comparata non è solo appannaggio della Corte Edu, bensì una risorsa che può essere utile ad orientare talvolta anche il giudice nazionale, primo e principale giudice dei diritti fondamentali. Si pensi ad es. al bilanciamento, in materia antidiscriminatoria, tra diritti confliggenti ed egualmente protetti[34]. Oppure, al classico - e non condiviso dalla consolidata giurisprudenza della Corte EDU - argomento della preclusione alla libertà di espressione avente ad oggetto diritti delle persone omosessuali o con relazioni non tradizionali, giustificata con la necessità di perseguire il fine legittimo della protezione della morale, o proteggere i diritti degli altri, individuati nella maggioranza eterosessuale[35].
5. Libertà di espressione e Hate Speech: quale tutela?
Un taglio particolarmente interessante del libro è poi la non rigida distinzione tra tutela civile e penale, con riferimento alla tecnica di protezione: questo a ben vedere emerge anche nelle parti in cui si discute di fattispecie prima facie tipicamente civilistiche, come ad esempio i temi più complessi della omogenitorialità[36], o tipicamente penalistiche, laddove ad esempio si approfondisce la tutela dei detenuti transgender e la somministrazione dei farmaci ormonali richiesti[37]. Dal tessuto narrativo emergono punti di contatto trasversali anche in ragione del fatto che il diritto internazionale in materia è cruciale e, come noto, sia nella giurisprudenza della Corte EDU che della Corte di Giustizia non sempre le categorie utilizzate sono sovrapponibili alla distinzione civile-penale propria del diritto interno nazionale.
Nelle parti del libro in cui si ragiona de iure condendo sugli strumenti più adatti per assicurare il contrasto dell’Hate Speech e della discriminazione, se attraverso il ricorso alla tutela penale o ad altri strumenti[38], sono numerosi gli interrogativi sapientemente stimolati, sia in ragione della peculiare natura dei diritti da proteggere, sia del non omogeneo contesto culturale in Italia in cui la protezione dei diritti dev’essere assicurata.
Emblematica è la tutela della libertà di espressione, funzionale alla protezione di una costellazione di diritti, tra cui quelli in parola, e alla sua nemesi, l’abuso del diritto di parola, ossia l’Hate Speech basato sulla discriminazione di genere e di orientamento sessuale[39].
Personalmente ritengo che in questo segmento dei diritti delle persone, la loro tutela come diritti fondamentali, aiuti a “sdrammatizzare” il problema del rapporto tra i diritti sottesi e libertà di espressione e che, al contrario, la ricerca di una esclusiva repressione penale dei comportamenti lesivi dei diritti, anche quando tecnicamente efficace, rischi di “enfatizzare” tale conflitto[40], con il risultato che il rimedio possa anche rivelarsi in una certa misura controproducente per il bene giuridico che si vuole tutelare.
L’aspetto focale non pare tanto quello del rischio di generare attraverso la repressione penale una c.d. “discriminazione alla rovescia” della maggioranza, profilo da non sottovalutare, ma ragionevolmente superabile con adeguati accorgimenti tecnici, come ad esempio il riferimento, che emerge dall’analisi comparata, ad un ampio “orientamento sessuale e identità di genere” che potenzialmente escluda una discriminazione alla rovescia[41].
Piuttosto, il punto è che la fondamentale libertà di espressione è un diritto per sua natura “relativo”, il quale tradizionalmente si confronta ed entra in bilanciamento - seguendo il paradigma tassonomico elaborato dalla CEDU per i diritti umani - con la necessità di rispettare molti diritti[42], tra cui quelli degli “altri”, ossia la maggioranza che segue orientamenti sessuali, di famiglia e di genere tradizionali. L’intervento lesivo del diritto della persona LGBTQI viene allora per lo più giustificato con la necessità di tutelare dei fini legittimi sensibili, individuati spesso nel rispetto della morale, della salute, della protezione di minori da atti osceni, dei valori tradizionali, della volontà della maggioranza, dell’educazione della prole da parte delle famiglie tradizionali, elementi tutti che in una sfera pubblica entrano in bilanciamento con l’esercizio della libertà individuale. Non solo, vi è una libertà di espressione di contenuto opposto, spesso condiviso dalla maggioranza sia pure con diverse gradazioni, che nel caso concreto può anche giungere a valicare i limiti e, se non contrastata, rivelarsi pericolosa e potenzialmente distruttiva per la persona appartenente alla minoranza.
6. Verso l’individuazione di nuove obbligazioni positive per lo Stato.
La delineata complessa fattispecie bene può essere governata con le categorie del rispetto dei diritti fondamentali e può essere d’aiuto all’interprete nazionale l’ormai articolata casistica e interpretazione fornita dalle Corti internazionali europee, in grado di costituire anche un parametro di omogeneità nel regolamento di gran parte dei casi. Al contrario, una concezione pan-penalistica nazionale della tutela, rimettendo buona parte delle scelte a monte al legislatore e in parte anche al capo dell’ufficio demandato all’esercizio dell’azione penale, rischia di isolare e sottrarre in misura considerevole il caso concreto al confronto sia con le risultanze dell’analisi di diritto comparato[43], sia con la costante evoluzione della giurisprudenza sovranazionale in materia e può rivelarsi di dubbia efficacia.
Infatti, è soprattutto grazie alle decisioni della Corte EDU nei noti casi italiani Sallusti[44] e Belpietro[45] che anche nel nostro Paese si è acquisita maggiore consapevolezza di come l'applicazione della legge penale nella sfera della libertà di espressione possa a volte generare più problemi di quanti miri a risolvere e, in non pochi casi, essere considerata uno strumento sproporzionato in una società democratica, anche quando diretto a tutelare diritti pacificamente meritevoli di protezione[46].
Inoltre, la sanzione penale non è efficace per una omogenea tutela del bene giuridico sul territorio nazionale, se il disvalore del comportamento non è adeguatamente percepito, come è emerso nel caso Sabalić[47]: la Croazia è stata condannata dalla Corte EDU per aver sanzionato in sede penale il comportamento di un uomo che in discoteca aveva preso a pugni e calci una donna che lo aveva rifiutato rivelandogli la sua omosessualità con l’applicazione di una risibile ammenda di 40 euro per interruzione della pace e ordine pubblico, senza individuare e affrontare il grave attacco omofobico perpetrato, attività oltretutto preclusa in un ulteriore processo penale dal principio del ne bis in idem.
In generale, una mera tutela repressiva in sede penale del singolo comportamento lesivo lascia appena scalfito il problema centrale complessivo che è innanzitutto culturale: al di là di reprimere interferenze negative con il diritto protetto, come naturalmente necessario nei casi più gravi, è auspicabile individuare delle precise obbligazioni positive a carico dello Stato responsabile, al fine di assicurare che siano al massimo contenute le discriminazioni per orientamento sessuale e di genere.
L’enucleazione di comportamenti attivi che lo Stato deve tenere[48] - la Corte EDU fa riferimento alla categoria delle “positive obligations” - in una certa misura è possibile anche nelle relazioni orizzontali tra privati, nell’ambito delle quali lo Stato non può permettere discriminazioni nell’esercizio di diritti protetti. Così, fermo restando che dev’essere attinto un livello minimo di severità della discriminazione[49], la condanna per violazione di obbligazioni positive tipicamente può essere fatta valere nei rapporti di lavoro privato, nei confronti dei quali lo Stato responsabile è terzo, ma nei quali questi non può consentire discriminazioni basate unicamente sul genere e orientamento sessuale[50]. Egualmente, è sanzionata anche la violazione di obblighi procedurali per mancata preventiva protezione contro crimini d’odio nei confronti di persone LGBTQI[51], come pure la carente efficace indagine successiva alla violazione motivata da discriminazione e odio[52].
Ci sono significativi sviluppi in corso: nell’ambito del diritto armonizzato, il Parlamento europeo ha adottato il 14 settembre 2021 una risoluzione sui diritti delle persone LGBTQI nell'UE[53], diretta ad affrontare non solo il contrasto alla discriminazione, peraltro non ancora pienamente raggiunta nel nostro ordinamento giuridico, ma anche il perseguimento in senso positivo dell’uguaglianza, delineando un cambio di paradigma e un innalzamento della tutela.
Sulla medesima linea d’azione, l’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU sta individuando progressivamente nuove obbligazioni positive per lo Stato anche nell’ambito del riconoscimento e protezione delle stesse relazioni affettive non tradizionali, sotto l’angolo dell’art.8 CEDU. Si pensi al recente caso Fedotova[54], in cui la Federazione russa è stata condannata per aver mancato di riconoscere giuridicamente e proteggere le relazioni tra tre coppie omosessuali, mancando di adempiere alle proprie obbligazioni positive discendenti dall’art.8 della Convenzione, sia sotto il profilo della vita privata che sotto quello della vita familiare, sempre sulla scorta di un’attenta analisi di diritto comparato, da cui è emersa l’irragionevole eccentricità della posizione dello Stato responsabile. La maggioranza del Collegio di grande Camera non ha ritenuto di dover esaminare separatamente la questione sotto il profilo del contrasto alla discriminazione di cui all’art.14 CEDU, a conferma di un orientamento giurisprudenziale che si va rafforzando nel senso della tutela dell’eguaglianza e di un confronto costante con quanto avviene in situazioni analoghe in simili società democratiche.
Certo, dobbiamo avere a cuore non solo le libertà individuali in sé, ma anche la dimensione sociale in cui si inseriscono, che è soggetta a costanti e talvolta rapidi mutamenti, ma è pur sempre definita a partire dalla identità culturale del Paese la quale, con tutti i suoi limiti e compromessi, costituisce l’assetto valoriale che permette alle persone di essere libere nella nostra società. Quindi libertà individuale e innovazione certo, ma senza umiliare la nostra tradizione e favorendo il più possibile una gradualità senza strappi che possano generare una reazione regressiva e nuocere all’effettività del diritto colpendo in primo luogo chi è più vulnerabile.
È anche opportuno preservare la diversità di visioni su questo tema e sono anzi da valorizzare gli equilibri cangianti che la società determina, per favorire il dialogo e la condivisione di un metodo comune, democratico che, si spera, raggiunga un esito parlamentare durevole. Sfogliando le ultime pagine del libro, si coglie bene l’attesa per un intervento del legislatore che, a differenza della primavera 2023, come nella canzone di Battiato “tarda ad arrivare”.
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[1] Il contributo riprende spunti proposti da chi scrive all’incontro di studi organizzato da Area Democratica per la Giustizia al Palazzo di Giustizia di Milano il 16 Marzo 2023, in cui è stata discussa l’opera “DIRITTO E PERSONE LGBTQI+” edita da Giappichelli, 2022, a cura di Marco Pelissero e Antonio Vercellone, alla presenza dei curatori.
[2] Solo sull’identità di genere, basti qui richiamare quattro significative sentenze rese dalla Corte EDU: 11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno unito, che ha riconosciuto l’assenza di significativi fattori di interesse pubblico che possano bilanciare l’interesse individuale ad ottenere il riconoscimento legale della riassegnazione di genere; 10 marzo 2015, Y.Y. c. Turchia, che ha riconosciuto come il diritto delle persone transessuali allo sviluppo della propria personalità e alla propria integrità fisica e morale sono diritti umani protetti dalla Convenzione; 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia, che ha dichiarato la violazione dell’art.8 CEDU per aver lo Stato responsabile negato ad una persona transessuale, che non voleva sottoporsi alla riassegnazione di genere chirurgica, il riconoscimento della propria identità di genere, non potendo questa essere condizionata alla perdita del pieno esercizio del diritto alla propria integrità fisica; 31 gennaio 2023, Y. c. Francia, in cui la Corte EDU ha rigettato il ricorso di una persona intersessuale che ha chiesto la sostituzione nel suo certificato di nascita del genere “maschile” con “neutro” o “intersex”, considerato il fatto che la decisione non riguarda solo la tutela della posizione individuale alla rettifica dello status civile, dal momento che il riconoscimento di un genere ulteriore rispetto alla distinzione binaria avrebbe comportato per la Francia la necessità di modificare un grande numero di previsioni del suo ordinamento giuridico, non solo in materia di anagrafe, ma anche previdenziale ecc., e questa valutazione complessiva dei diritti in gioco, per un principio di separazione dei poteri e per le ampie implicazioni che la questione comporta, spetta al potere legislativo nazionale e non a quello giudiziario sovranazionale.
[3] Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei ministri, Discussa e adottata dal Congresso il 25 marzo 2015, per la relazione esplicativa vedi Documento CG/2015(28)9FINAL disponibile sul sito www.coe.int, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[4] Il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale godono di una estesa base giuridica nei trattati dell’UE, individuabile in primo luogo nell'articolo 10 del Trattato sul funzionamento del l'Unione europea (TFUE) e negli articoli 2 e 3 del trattato sull'Unione europea (TUE), oltre che nell’art.13 del trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), introdotto dal Trattato di Amsterdam, ora art.19 TFUE, che prevede espressamente una procedura legislativa speciale per prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, attraverso una delibera all’unanimità del Consiglio e consenso del Parlamento.
[5] Cfr. Direttiva 2000/43/EC sull’eguaglianza razziale; Direttiva 2012/29/EU sui diritti delle vittime, che esplicitamente proibisce la discriminazione su base di orientamento sessuale, identità di genere ed espressione di genere.
[6] V. Direttiva 2000/78/EC che specificamente proibisce la discriminazione, oltre che su base religiosa, di disabilità e di età, anche di orientamento sessuale.
[7] In riferimento all’identità di genere, sotto il profilo della tecnica di tutela nel nostro ordinamento giuridico, si veda la recente ordinanza della Corte Cost. n.269 del 28 dicembre 2022.
[8] C. CIRILLO, A. SOGGIA, Diritto di asilo, orientamento sessuale e identità di genere, in AA.VV., Diritto e Persone LGBTQI+, a cura di Marco Pelissero e Antonio Vercellone, Giappichelli, 2022, 195 e ss.
[9] Ad es., tra le molte, Cass. n.37310 del 29 novembre 2021.
[10] Cfr. Cass. n.21929 del 9 ottobre 2020.
[11] Una tappa che non ha trovato continuità nella travagliata evoluzione giurisprudenziale sulla omogenitorialità è costituita dalla sentenza della Cassazione n.19599 del 30 settembre 2016. Secondo questa sentenza è riconoscibile in Italia un atto di nascita straniero, validamente formato, dal quale risulti che il figlio è nato da due donne (una che l’ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), atteso che non esiste, a livello di principi costituzionali primari, come tali di ordine pubblico ed immodificabili dal legislatore ordinario, alcun divieto, per le coppie omosessuali, di accogliere e generare figli, venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie eterosessuali.
La decisione deve confrontarsi con Corte Cost 9 marzo 2021, n.32 a mente della quale è al contrario esclusa “l’esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso” e con la coeva e logicamente analoga pronuncia Corte Cost. 9 marzo 2021, n.33 secondo cui “non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino”.
[12] Oltre a quanto già citato, si veda S. LOLLINI, Il riconoscimento della genitorialità omosessuale: un percorso lungo e tortuoso e V. CALDERAI, Il dito e la luna. Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., rispettivamente pp.91 e ss e pp.137 e ss..
[13] “Al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali poc’anzi ricapitolati attraverso l’adozione, essa dovrebbe dunque essere disciplinata in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame, che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983.”, cfr. Corte Cost. 9 marzo 2021, n.33.
[14] Cass. Sez. U. n.38162 del 30 dicembre 2022, sentenza originata dalla complessa ordinanza di remissione della prima sezione civile n.1842/2022.
[15] Un caso simile alla fattispecie regolata dalla decisione è stato oggetto di un significativo precedente a sua volta reso a Sezioni Unite, la sentenza n.12193 dell’8 maggio 2019 con la quale, pur rigettando la soluzione della trascrizione automatica del provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra il nato a seguito di maternità surrogata e il “genitore d’intenzione” per violazione del principio di ordine pubblico, la Corte si è occupata della sorte dei figli nati da maternità surrogata, giungendo a ritenere adeguata la soluzione dell'adozione in casi particolari, c.d. “Stepchild Adoption” all’interno delle coppie omoaffettive, cfr. M. BIANCA, Le Sezioni Unite e i figli nati da maternità surrogata: una decisione di sistema. Ancora qualche riflessione sul principio di effettività nel diritto di famiglia, su www.giustiziainsieme.it, ultimo accesso 15.3.2023.
[16] L’istituto è nato con finalità diverse, per disciplinare ipotesi eccezionali. Questo è reso evidente dal fatto che nell’istituto è sottesa, tra l’altro, l’esigenza di conservare un legame giuridico tra il minore e la sua famiglia di origine, necessità è radicalmente esclusa nel caso di nascita da “gestazione per altri”.
[17] Cass. Sez. U. n.38162/22 cit. si occupa del profilo sforzandosi di limare il punto di frizione, affermando che l’effetto ostativo del dissenso del genitore biologico all’adozione da parte del genitore sociale dev’essere valutato esclusivamente con riferimento alla conformità al “best interest of the child”, sicché il genitore biologico può validamente negare l’assenso all’adozione del partner solo nell’ipotesi in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e cura nei confronti del nato, oppure, pur avendo partecipato al progetto di procreazione, abbia poi abbandonato partner e minore.
[18] Cfr. Corte Cost. 28 gennaio 2021, n.33: si è subito evidenziato in dottrina come fosse obiettivamente pregiudizievole per il minore in caso di maternità surrogata l’assenza di instaurazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante, per più ragioni: innanzitutto non esiste alcuna famiglia d’origine che giustifichi la superiore limitazione, nell’interesse del minore adottato; in secondo luogo nelle more della pronuncia di adozione il minore resta sprovvisto di tutela giuridica; in terzo luogo l’adozione in casi particolari è rimessa alla volontà del “genitore d’intenzione” ed è condizionata all’assenso da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia, v. A. MORACE PINELLI, La Corte costituzionale interviene sui diritti del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata. Brevi note a Corte Cost. 9 marzo 2021 n.33, su www.giustiziainsieme.it, ultimo accesso 15.3.2023. Con la successiva sentenza Corte Cost. n.79 del 28 marzo 2022 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.55 l. adoz. nella parte in cui, mediante rinvio all’art.300 cod. civ., prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
[19] COM(2022) 695 final, Proposta di regolamento del Consiglio Europeo del 7 dicembre 2022 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento delle decisioni e all’accettazione degli atti pubblici in materia di genitorialità e all’istituzione di un certificato europeo di genitorialità; cfr. Cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, a cura di A. Di Stasi, M.C. Baruffi, L. Panella, Editoriale Scientifica, 2023, pp.347 e ss..
[20] Rispettivamente, COM(2020) 698 final e COM(2021) 142 final, documenti disponibili in https://eur-lex.europa.eu, ultimo accesso 15.3.2023.
[21] Cfr. Corte Cost. 23 ottobre 2019, n. 221 e Corte Cost. 15 novembre 2019, n. 237. L’adozione ha una matrice solidaristica, e non vi è un diritto soggettivo bensì un interesse giuridicamente rilevante ad adottare, che può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato, cfr. C.M. BIANCA, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016.
[22] La sentenza Cass. Sez. U. n.38162/2022, al punto 7 della motivazione ricorda che “la giurisprudenza non è fonte del diritto”, nel senso che non può sostituirsi ad una fonte formale, in primo luogo al legislatore.
[23] Cfr. J.LONG, L’omogenitorialità nell’ordinamento giuridico italiano, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., 79.
[24] Cfr. Con riferimento al dibattito italiano, v. C. TRIPODINA, L’argomento originalista nella giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali, in F. GIUFFRE e I. NICOTRA (a cura di) Atti convegno Gruppo di Pisa Catania il 5 ottobre 2007, Torino, Giappichelli, 2008.
[25] L.H. TRIBE, Taking Text and Structure Seriously. Reflections on Free-form Method in Constitutional Interpretations, in Harvard Law Rev., Vol. 108, No. 6 (Apr., 1995), 1221-1303.
[26] Corte EDU, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito. In dottrina, G. LETSAS, The ECHR as a living instrument: its meaning and legitimacy, in AA.VV., Constituting Europe. The European Court of Human Rights in a National, European and Global Context, Cambridge University Press, 2013, 106 ss..
[27] Cfr., ad es. Corte cost. n.561 del 18 dicembre 1987: essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire.
[28] F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1995.
[29] M. CAIELLI, Tutelare l’identità di genere attraverso la repressione dell’Hate Speech: considerazioni a partire dal disegno di legge Zan, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.218 e ss..
[30] O. POLLICINO, Corte di Giustizia e giudici nazionali: il moto ascendente, ovverosia l’incidenza delle tradizioni costituzionali comuni nella tutela apprestata ai diritti dalla Corte nell’Unione, in Giur. cost., I, 2015, 242 ss..
[31] G. DE VERGOTTINI, Tradizioni costituzionali e comparazione: una riflessione, in rivista AIC, 4/2020.
[32] P. GORI, Evoluzione della CEDU e analisi di diritto comparato, Roma, Aracne, 2013, 18-24.
[33] Cfr. http://fra.europa.eu/en/theme/gender, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[34] Cfr. M. PELISSERO, Il disegno di legge Zan: una riflessione sul percorso complesso tra diritto penale e discriminazione, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., p.250.
[35] Cfr. Corte EDU, 20 giugno 2017, Bayev c. Russia e ampi riferimenti ivi citati.
[36] A. SCHILLACI, “Le” gestazioni per altri: una sfida per il diritto, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.111 e ss..
[37] F. GIANFILIPPI, Omosessuali e transgender in carcere: tutela dei diritti e percorsi risocializzanti, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.326 e ss..
[38] Cfr. M. PELISSERO, Il disegno di legge Zan: una riflessione sul percorso complesso tra diritto penale e discriminazione, cit., pp.251 e ss..
[39] F. CASAROSA, Freedom of Expression and countering Hate Speech, EUI, 2021, p.23; P. GORI, La Libertà di Manifestazione del Pensiero, Negazionismo, Hate Speech in AA.VV. La Corte di Strasburgo, Key Editore, 2019.
[40] Suggestioni sulla libertà di espressione tratte da S. RODOTA’, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2015.
[41] Molto costruttivo e documentato l’apporto di L. GOISIS, Crimini d’odio omofobico, diritto penale e scelte politico-criminali, in Diritto e persone LGBTQI+, cit., 235.
[42] P. GORI, ECHR Article 10: how does the Protection Work?, Aracne, 2014.
[43] In ogni caso, va osservato che l’approfondita analisi comparata del diritto è essenziale anche a costruire una efficace tutela penale de iure condendo per il contrasto all’Hate Speech motivato da discriminazione di genere e orientamento sessuale, sia che si pensi all’introduzione di una fattispecie autonoma di reato, sia che si pensi ad una aggravante.
[44] Corte EDU 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia.
[45] Corte EDU 24 settembre 2013, Belpietro c. Italia.
[46] Grande attenzione va fatta soprattutto quando è prevista la pena detentiva, cfr. Corte EDU 8 ottobre 2013, Ricci c. Italia e Corte Cost., 12 luglio 2021 n.150.
[47] Corte EDU 14 gennaio 2021, Sabalić c. Croazia.
[48] Handbook on European non-discrimination law, 2018 edition, p.73, disponibile in http://fra.europa.eu, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[49] Corte EDU 20 ottobre 2011, Stasi c. Francia.
[50] Il riferimento, più sfumato, vale anche per “azioni positive” nel quadro del diritto armonizzato in materia antidiscriminatoria e di promozione dell’uguaglianza, ad es. in materia di genere e sesso, v. Art.7 Direttiva 2006/54/CE “incoraggiare i datori di lavoro e i responsabili della formazione professionale a prendere misure per combattere tutte le forme di discriminazione fondate sul sesso”; Art.6 Direttiva 2004/113/CE: “il principio della parità di trattamento non impedisce ad alcuno Stato membro di mantenere o adottare misure specifiche destinate ad evitare o a compensare gli svantaggi legati al sesso”; specificamente per i diritti LGBTQI, v. Direttiva 2012/29/EU, che fissa standard minimi sui diritti, aiuto e protezione delle vittime di crimini.
[51] Cfr. Corte EDU 12 maggio 2015, Identoba e altri c. Georgia: profili di censura rilevanti sono stati gli artt.3 e 14 CEDU.
[52] V. Corte EDU 12 aprile 2016, M.C. e A.C. c. Romania, che ha sancito la violazione, oltre che dell’art.14, dell’art.3 CEDU sotto l’aspetto procedurale.
[53] Documento 2021/2679(RSP), disponibile in https://www.europarl.europa.eu, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[54] Corte EDU 17 gennaio 2023, Fedotova e altri c. Russia.
Sommario: 1. Il tirocinio formativo quale canale privilegiato per l’ammissione al concorso in magistratura. - 2. Le criticità del tirocinio formativo. - 3. Il tirocinio formativo dopo la riforma del concorso di accesso alla magistratura: una crisi ineluttabile? - 4. Proposte per un rilancio del tirocinio in funzione preconcorsuale.
1. Il tirocinio formativo quale canale privilegiato per l’ammissione al concorso in magistratura.
L’istituzione del tirocinio formativo previsto dall’art. 73 del d.l. n. 69/2013 (successivamente modificato con d.l. n. 90/2014), ha costituito una delle più significative e proficue novità nell’attività degli uffici giudiziari, consentendo al contempo ad un numero progressivamente crescente di neolaureati in giurisprudenza, di colmare quel patologico gap esistente da sempre nel nostro Paese tra corso di studi universitari e attività del cd. giurista pratico (avvocato e magistrato), che costituisce pur sempre un terminale privilegiato del corso di laurea.
All’intrinseco interesse dei neodottori in giurisprudenza di acquisire consapevolezza delle modalità concrete di applicazione negli uffici giudiziari delle norme sostanziali e processuali oggetto del corso di studi, si è collegata, nella previsione del tirocinio formativo, l’acquisizione della legittimazione (al termine positivo dello stage) per la partecipazione alla prova concorsuale per l’accesso alla magistratura.
Non vi è dubbio che nella pregressa modalità del concorso di accesso alla magistratura (formulato come è noto sino alla modifica della cd. “Riforma Cartabia” come concorso di secondo livello), tra le ben undici ipotesi di titolo aggiuntivo necessarie per l’ammissione al concorso, (oltre alla laurea in giurisprudenza), la positiva conclusione dello stage formativo di diciotto mesi presso gli uffici giudiziari abbia costituito il canale preferenziale individuato dagli aspiranti magistrati.
Per quanto l’accesso al tirocinio formativo risulti subordinato al dato anagrafico (età inferiore agli anni trenta) ed al merito universitario (media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110), si è privilegiata (in un rapporto costi/benefici) la scelta del tirocinio formativo nella comparazione con tutti gli altri requisiti alternativi di ammissione.
Consegnate all’irrilevanza statistica le ipotesi di acquisizione della qualifica di magistrato amministrativo e contabile, tutti gli altri titoli di ammissione, ivi compresa l’abilitazione alla professione forense, anche in ragione della maggiore selettività, sono stati oggetto di scelta solo residuale in funzione concorsuale da parte degli aspiranti magistrati.
Unica eccezione va fatta per il diploma rilasciato dalle Scuole di Specializzazione delle Professioni Legali, non difficile da ottenere come anche il tirocinio formativo, ed in effetti alveo di iscrizioni post laurea fino al d.l. n. 69/2013, ma il confronto è risultato per lo stage ex art.73 certamente vincente.
Se la selettività di entrambi i percorsi di apprendimento deve ritenersi meramente virtuale (risultano confinati nell’eccezionalità i casi di mancato conseguimento del diploma presso le S.S.P.L. come anche una valutazione negativa del tirocinio formativo), la comparazione in un rapporto costi/benefici ha indotto i neolaureati in giurisprudenza a preferire lo stage presso gli uffici giudiziari piuttosto che l’iscrizione alle scuole post-universitarie.
La maggiore brevità dello stage (18 mesi rispetto al biennio delle S.S.P.L.), la gratuità, con anche la possibilità di un sussidio (rispetto all’onerosità delle Scuole accademiche), la maggiore concretezza dell’apprendimento (non polverizzato nella miriade di insegnamenti offerti dalle Scuole post-laurea, alcuni dei quali del tutto estranei alle materie delle prove scritte dell’esame di accesso alla magistratura), la maggiore efficacia didattica derivata dall’unicità e contiguità operativa con il magistrato affidatario (rispetto alla pluralità di docenti delle S.S.P.L.), costituiscono una somma di elementi convergenti nell’opzione verso il tirocinio formativo.
I rilievi statistici difatti ci consegnano una progressiva rarefazione delle iscrizioni alle S.S.P.L., di fatto appannaggio prevalente di una platea di utenti carente del requisito di merito accademico previsto dall’art. 73.1, ovvero con età superiore ai trent’anni (limite previsto per l’accesso allo stage).
Inutile negare come anche l’incentivo economico previsto dall’art. 73.8ter (una borsa di studio di €. 400,00 mensili), abbia contribuito ad incentivare la partecipazione al tirocinio formativo, limitando (se pure in misura del tutto parziale) la grave selezione censitaria venutasi a determinare nel percorso di accesso alla magistratura in ragione dell’inevitabile innalzamento dei tempi di attesa (e dell’età media di ingresso in ruolo) derivata dalla necessità di conseguire un titolo ulteriore e successivo alla laurea.
L’acquisizione di un sostegno economico, per quanto contenuto, ha costituito (e costituisce tuttora) un elemento di rilevante importanza, garantendo un introito immediatamente successivo al termine del percorso universitario, quasi sconosciuto nell’espletamento della pratica presso gli studi professionali.
Va peraltro ricordato come l’erogazione della borsa di studio non sia incondizionata, quanto subordinata all’inserimento del tirocinante nella graduatoria compilata sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) del richiedente, computata sulla base delle risorse annualmente determinate dal Ministero della Giustizia.
Tanto ha comportato nel tempo un progressivo aumento dei tirocinanti esclusi dal beneficio economico, sia per l’incremento degli aspiranti, sia per la riduzione dello stanziamento ministeriale.
Non si hanno riscontri applicativi dell’art.73.17, laddove si prevede che “al fine di favorire l'accesso allo stage è in ogni caso consentito l'apporto finanziario di terzi, anche mediante l'istituzione di apposite borse di studio, sulla base di specifiche convenzioni stipulate con i capi degli uffici…”, che deve ritenersi rimasto allo stadio di mera indicazione programmatica.
Il progressivo incremento del numero di stagisti non ha trovato tuttavia esclusiva motivazione attrattiva nella potenziale borsa di studio e nell’acquisizione del titolo per la partecipazione al concorso.
Lo stage viene considerato infatti equivalente ad un anno di frequenza delle S.S.P.L. e di pratica forense e notarile (cfr. art. 73.13), nonchè titolo di preferenza per la nomina a magistrato onorario e nei concorsi indetti dall’amministrazione della giustizia.
Al di là del valore legale del tirocinio, l’esperienza di questi anni ci consegna anche il proficuo affiancamento didattico di cui si sono giovati i tirocinanti con tanti magistrati formatori, acquisendo quasi esclusivamente presso gli uffici giudiziari ordinari (pur essendo previsto lo stage anche presso gli uffici della giustizia amministrativa) effettiva contezza del significato delle professioni legali.
Il tirocinio consente difatti, nel prolungato rapporto con il magistrato formatore, di verificare sul campo le specificità del lavoro del magistrato e dell’avvocato, garantendo l’acquisizione di preziosi elementi valutativi di orientamento professionale e di verifica attitudinale.
I magistrati al contempo, sin dall’esordio di questo innovativo istituto, vi si sono dedicati con adeguato impegno, sia negli uffici capoluogo di distretto (forti dell’esperienza formativa erogata ai magistrati ordinari in tirocinio) sia, e forse soprattutto, nei tanti uffici giudiziari periferici tradizionalmente esclusi dalla formazione iniziale dei m.o.t.
I dati statistici, i periodici monitoraggi ed i corsi organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura hanno costantemente confermato l’utilità dell’apporto offerto degli stagisti agli Uffici giudiziari, sia in termini di qualità che di quantità della risposta alla domanda di giustizia.
Il tirocinio formativo, prima del rinato Ufficio Per il Processo (modello P.N.R.R.), ha costituito l’embrione di un “ufficio del giudice”, di cui i magistrati si sono avvalsi con sempre maggiore consapevolezza.
Così i tirocinanti, dopo una comprensibile fase iniziale di acquisizione informativa, assistono e coadiuvano il magistrato nello svolgimento delle sue attività, studiano i fascicoli processuali, partecipano alle udienze ed alle camere di consiglio, predispongono ricerche e redigono bozze di provvedimenti (acquisendo dimestichezza con lo “scrittura” giuridica quasi del tutto assente negli studi universitari).
Il contributo offerto al magistrato formatore, incrementandosi progressivamente, non è quasi mai indifferente, ed il tempo di affiancamento di ben diciotto mesi (ampiamente maggiore rispetto a quello, necessariamente segmentato, dei magistrati in tirocinio), induce a ritenere competitivo l’apporto dello stagista al singolo formatore rispetto a quello del m.o.t. che ha già superato il concorso.
Non di rado il modulo formativo del tirocinio ha consolidato nello stagista la determinazione nell’intraprendere (o proseguire) l’impervio percorso verso il concorso di accesso alla magistratura, per la suggestione determinata da un lavoro percepito come di peculiare interesse, ma anche (fatalmente) per l’esempio motivazionale costituito dal magistrato formatore.
A tale proposito non sembra inutile ricordare come, nella interessante indagine demoscopica “Magistrati e cittadini”, su identità, ruolo e immagine sociale dei magistrati italiani, operata dalla S.S.M. nel 2016, alla domanda sulla propensione ad intraprendere nuovamente la professione nel caso l’intervistato potesse tornare indietro nel tempo, la risposta decisamente positiva, su un significativo campione di magistrati, si è attestata sul 76% , confinando quella negativa all’1,8%.
L’effetto motivazionale sui giovani stagisti è figlio (anche) di questa consapevolezza, di cui i tanti magistrati formatori hanno acquisito la positiva “responsabilità”, inducendo gli stagisti a perseverare nella preparazione al concorso e fornendo loro un contributo tecnico certamente non trascurabile.
Alla presenza negli uffici si somma, per i tirocinanti, anche la partecipazione ai corsi organizzati dalle strutture territoriali della S.S.M., che costituiscono un ulteriore arricchimento del bagaglio formativo.
Senza contare poi, nell’elenco dei benefit offerti dallo stage, anche l’accesso (gratuito) alle principali banche dati giuridiche, quali Italgiure della Corte Cassazione e l’archivio della documentazione a corredo di tutti i corsi organizzati dalla S.S.M.: supporto di grande utilità non solo per il tirocinio ma anche per la preparazione concorsuale.
È naturalmente indubbio che l’offerta formativa del tirocinio (anche perché ricomprende per ampia parte il diritto processuale, estraneo alle prove scritte selettive) non sia certamente sufficiente a garantire il superamento del concorso, ed è per questo che un’elevata percentuale dei tirocinanti frequenta le (onerose) scuole private.
È altrettanto indubbio però che l’esperienza del tirocinio, proprio nel corso degli anni di intensiva preparazione che richiede il concorso di magistratura, contribuisca a scongiurare quel pericolo di “alienazione” da studio post-universitario che aleggia attorno ai neolaureati decisi a intraprendere questo percorso. La possibilità di non smarrirsi in un mare magnum fatto di corsi, manualistica e poderoso materiale formativo: affiancare allo studio un’attività dall’eminente rilievo pratico costituisce per l’aspirante magistrato un braccio teso che aiuta lo studente.
Del resto, se è vero che per tenere lo sguardo fisso verso l’obiettivo serve visualizzare un centro, allora la forte spinta motivazionale proveniente dal tirocinio ex art. 73 si rivela un alleato importante altresì nel rammentare “perché si è cominciato”.
Del resto l’obbligo di frequenza degli uffici non è codificato, e l’impegno risulta certamente compatibile con la necessaria formazione parallela gestita elettivamente dal singolo stagista nelle forme ritenute più congeniali, oltre che con lo svolgimento di altre attività (dottorato di ricerca, tirocinio per l'accesso alla professione di avvocato o di notaio, ecc.) come previsto dall’art. 73.10.
La panoramica descritta, ad avviso di chi scrive, qualifica il tirocinio formativo come un approdo successivo alla laurea particolarmente utile per la maturazione delle scelte lavorative del neolaureato in giurisprudenza, anche in funzione dei risultati conseguiti, considerando il numero rilevante di stagisti che risultano vincitori di concorsi, diversi da quello in magistratura, in vari settori della P.A.
2. Le criticità del tirocinio formativo.
Naturalmente esistono criticità anche nell’organizzazione dello stage, in qualche modo riconducibili all’irrisolta ambiguità del tirocinio medesimo: inteso da un lato ad acquisire un supporto per l’attività del magistrato e dell’ufficio giudiziario di appartenenza (secondo la sua genesi), e dall’altro ad offrire una formazione adeguata al tirocinante.
Sembra difficile negare come, nonostante lo specifico collegamento (anche lessicale) del tirocinio ad una valenza “formativa” specificamente orientata verso il concorso di accesso alla magistratura, non sempre si è riusciti a contemperare questo obiettivo con l’esigenza di assicurare un contributo all’attività giudiziaria in perenne emergenza.
Non poche volte difatti, l’obiettivo formativo del tirocinio risulta sacrificato da necessità contingenti.
Può essere esemplificativa a tale proposito, la disposizione di carattere strutturale, che contempla l’affidamento degli ammessi allo stage (secondo il dettato dell’art. 73.4) “ad un magistrato che ha espresso la disponibilità”.
Si determina così una rigidità nell’assecondare le esigenze formative dello stagista in quanto, se pure temperata dalla possibilità concessagli di “..esprimere nella domanda una preferenza ai fini dell'assegnazione…” (art. 73.3), risulta condizionata nella sua valutazione dalle “esigenze dell’ufficio”, che rendono pertanto aleatorio lo sviluppo tematico di un così lungo e impegnativo iter di formazione.
Come è noto, non possono essere affidati al singolo magistrato più di due tirocinanti, salvo ulteriori attribuzioni nel caso che ci si trovi nell’ultimo semestre di stage, per assicurare al magistrato ….“la continuità dell’attività di assistenza e ausilio”, e tanto avvalora ulteriormente le funzionalità di un tirocinio piegato alle esigenze del formatore piuttosto che a quelle del suo protagonista.
Secondo la prevalente interpretazione organizzativa dell’art.73, lo stagista viene pertanto assegnato ad un unico magistrato per tutti i diciotto mesi del tirocinio.
Inevitabilmente, le acquisizioni del tirocinante in un periodo così lungo e svolto sempre nel medesimo ambito specialistico, finiscono per sovrapporsi, limitando il suo percorso di formazione solo ad una delle materie oggetto della prova scritta del concorso.
Si tratta, probabilmente, della principale lacuna formativa del tirocinio, in tutta evidenza derivata dall’esigenza di ottimizzare l’apporto assicurato da uno stagista affidato al medesimo formatore, sicuramente maggiore rispetto a quella derivante da un affidamento frazionato del tirocinante a più magistrati, anche in settori diversi dell’ufficio giudiziario.
La soluzione prospettata, intesa a privilegiare il contributo offerto dal tirocinante, piuttosto che l’esigenza formativa del medesimo, va evidentemente circoscritta agli uffici giudicanti, atteso che il settore requirente risulta monopolio penalistico.
La prevalente destinazione degli stagisti agli uffici giudicanti (di primo e secondo grado), accredita l’ampiezza del problema atteso che, in tutta evidenza, risulta più “formativa” (anche ai fini concorsuali) un’esperienza che contempli lo stage sia nel settore penale che in quello civile.
Solo in un numero ridotto di uffici si affida al tirocinante il ruolo di soggetto attivo del tirocinio, consentendogli di organizzare il percorso formativo secondo le esigenze personali, anche optando per una duplicità di impegno in settori diversi.
Si tratta di una soluzione certamente più congeniale alle esigenze formative e, se pure utilizzando un’esegesi “intraprendente”, non del tutto incompatibile con il disposto normativo, atteso che l’art. 73.4 prevede l’affidamento dello stagista “…a un magistrato”, escludendo un affidamento plurimo contemporaneo, ma non successivo.
La limitazione attuale, se contemperata con la necessità di espletamento del tirocinio ai fini dell’ammissione al concorso in magistratura, potrebbe assumere una connotazione negativa e disincentivante nel nuovo regime concorsuale (cfr. infra sub § 4).
Altra criticità può essere individuata nelle eccessive difformità esistenti, nella prassi di sviluppo dei vari tirocini, tra le diverse sedi giudiziarie (accentuatesi per effetto della crisi pandemica).
Tempi di presenza negli uffici, modalità di accoglienza e di impiego, controllo e valutazione dell’attività degli stagisti, risultano molto (forse troppo) difformi tra ufficio e ufficio, ed anche all’interno del medesimo.
Quanto all’impegno dei formatori, risulta inevitabilmente diversificato e consegnato allo scrupolo individuale ed alla propensione per l’attività formativa, che resta pur sempre l’autentico incentivo per l’assunzione di un incarico ricco di gratificazioni nel rapporto con gli stagisti, potendosi ritenere solo virtuale la previsione per cui “l'attività di magistrato formatore è considerata ai fini della valutazione di professionalità e per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi di merito” (art. 73.4).
3. Il tirocinio formativo dopo la riforma del concorso di accesso alla magistratura: una crisi ineluttabile?
Come anticipato in precedenza, con il d.l. n. 144 del 23.9.2022 (convertito in legge n. 175/2022) è radicalmente mutato il sistema di accesso alla magistratura, in attuazione delle delega di cui all’art.4 della legge 17.6.2022 n.71.
Eliminato tra i requisiti necessari per la partecipazione alle prove di esame (insieme al conseguimento del diploma presso le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali) anche il positivo espletamento dello stage formativo di cui all’art. 73 del d.l. 21.6.2013, n. 69, il concorso per l’accesso alla magistratura è tornato alla sua originaria formulazione antecedente al d.lgs.vo n. 398 del 1997, riproponendo la legittimazione ai titolari anche della sola laurea in giurisprudenza.
La prima applicazione del nuovo regime di accesso si è avuta con il concorso bandito con il d.m. 18.10.2022 che ha registrato un numero di 21.768 domande (significativamente superiore alle 13.803 del precedente bando).
Se l’effetto inflattivo degli aspiranti alla magistratura è risultato rilevante (ma forse inferiore alle più pessimistiche previsioni), i primi riscontri indicano come la modifica normativa (come del resto del tutto prevedibile) abbia fortemente inciso sul numero delle domande dei neolaureati pervenute presso gli uffici giudiziari ai sensi dell’art. 73.
Se pure il ridotto ambito cronologico non consenta l’acquisizione di dati statisticamente probanti, è indubbio che il tirocinio formativo, perdendo il più significativo appeal concernente la legittimazione al concorso di accesso alla magistratura, comporterà una drastica riduzione dei tirocinanti (condividendo il calo delle iscrizioni con le Scuole di Specializzazione).
Venendo meno la necessità di acquisire un ulteriore titolo per il concorso, l’aspirante magistrato si concentrerà dopo la laurea sullo studio delle materie delle prove scritte (anche frequentando i corsi privati di preparazione), abbandonando quell’esperienza pratica negli uffici giudiziari che ha finora costituito il canale privilegiato per il concorso di accesso.
La verifica statistica del vantaggio in termini di preparazione offerta dal tirocinio ai fini del superamento del concorso è resa impossibile dalla frequente compresenza anche del corso di studi privato, né sono noti i dati relativi al numero complessivo di aspiranti magistrati che, forti del positivo espletamento dello stage, abbiano partecipato alle prove selettive del concorso in magistratura.
L’analisi delle graduatorie dei vincitori degli ultimi concorsi offre comunque indicazioni interessanti: la percentuale degli idonei forti dell’espletamento del tirocinio formativo si è rivelata in incremento esponenziale.
Si passa dal 7,9% (solo 28 su 351) del primo concorso idoneo a ricomprendere i tirocinanti ex art.73 (bandito con d.m. 22.10.2015) al 27,4% (del d.m. 19.10.2016), al 34,5% (del d.m. 31.5.2017), al 52,6% (del d.m. 10.10.2018), fino a raggiungere il 55% (115 su 209 vincitori del concorso) dell’ultimo bandito con d.m. 29.10.2019.
Prima della modifica del percorso di accesso quindi più della metà dei m.o.t. aveva completato il tirocinio formativo, garantendo di fatto una sorta di (parziale) anticipazione del tirocinio formativo con un oggettivo incremento della preparazione per una quota significativa dei neomagistrati, con relative conseguenze anche per l’allestimento del percorso didattico della Scuola superiore della magistratura.
I prossimi mesi ci diranno se la riforma abbia segnato la fine della (sin qui estremamente positiva) esperienza del tirocinio formativo, ma non vi è dubbio che il ripristino (più che opportuno) di un concorso “di primo livello” per l’accesso alla magistratura, abbia cancellato la principale motivazione per l’accesso al tirocinio.
Restano indubbiamente i non pochi elementi positivi intrinseci al tirocinio formativo di cui si è detto in precedenza, cui può aggiungersi anche un incremento dell’aspettativa di sostegno economico previsto dall’art.73.8ter, in quanto è ragionevole ritenere che la riduzione del numero degli stagisti possa consentire una garanzia di acquisizione della borsa di studio molto maggiore di quella attuale.
Senza tralasciare poi che tale borsa di studio può rappresentare un valido contributo alle non trascurabili spese che comportano gli anni di preparazione per il concorso stesso, in relazione tanto ai corsi privati quanto al materiale necessario per fronteggiare un iter richiedente costante aggiornamento.
Tuttavia è arduo ritenere che, senza quella sorta di “incentivo di Stato” offerto dalla precedente disciplina del concorso con la legittimazione “riservata” al concorso in magistratura, anche il tirocinio ex art.73 possa restare immune dalla crisi di vocazioni che ha investito le S.S.P.L.
Va ricordato come la legge n. 71/2022 non ha trascurato il tirocinio formativo, inserendo delle indicazioni intese a valorizzarlo cui dovrà attenersi il legislatore in sede attuativa.
Tra le direttive previste dalla delega (all’art. 4.1 lett.b), si è inserita anche quella di “prevedere la facoltà di iniziare il tirocinio formativo di cui all’articolo 73 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, a seguito del superamento dell’ultimo esame previsto dal corso di laurea”.
Appare peraltro verosimile ritenere che questa innovazione, pur opportuna e significativa, non costituirà un efficace incoraggiamento al tirocinio, per la sostanziale irrilevanza dell’anticipazione cronologica (il tempo intercorrente tra l’ultimo esame e la seduta di laurea non è generalmente significativo).
Forse sarebbe stato più opportuno, per garantirne una maggiore praticabilità, consentire l’inizio del tirocinio nell’ultimo anno del corso di laurea, acquisendone tutti i vantaggi in tema di orientamento professionale per l’aspirante “giurista pratico”, pur considerando le oggettive difficoltà di contemperare la fase finale degli studi di giurisprudenza con la necessaria frequenza dell’ufficio giudiziario.
Ovvero (ma non alternativamente), in direzione ampliativa, rimodulare i parametri di accesso al tirocinio, per aumentare la platea di fruitori.
All’art. 4.1 lett.c) si è altresì demandato alla Scuola superiore della magistratura “…. il compito di organizzare, anche in sede decentrata, corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario per laureati …. che abbiano in corso o abbiano svolto il tirocinio formativo…”.
Lo stage ex art. 73 risulta così retrocesso da requisito di ammissione al concorso, a titolo di partecipazione a corsi di formazione per il concorso.
La prospettazione, per quanto ispirata alla condivisibile filosofia di riportare in ambito pubblico la delicata ed importante fase di preparazione teorica degli aspiranti magistrati, oggi quasi interamente appannaggio di (onerose) strutture private, potrebbe rivelarsi del tutto velleitaria.
La costante domanda di formazione preconcorsuale difatti trova oggi nei corsi privati (da sempre privi di valore legale) una risposta più che adeguata alle aspettative degli utenti, per cui la concorrenza pubblica, secondo le consuete leggi del mercato, dovrebbe affermarsi offrendo un prodotto migliore di quello esistente.
Ad oggi la struttura della S.S.M. non è certamente in grado di proporsi come competitiva (cfr. in proposito: DE ROBBIO “I corsi di preparazione al concorso e il futuro ruolo della Scuola superiore della magistratura”, in …………………………………………………….), per cui la riserva di partecipazione ai corsi (se pure gratuiti) prefigurati dalla riforma ai tirocinanti ex art. 73, non appare realisticamente suscettibile di garantire un effettivo valore aggiunto al tirocinio.
4. Proposte per un rilancio del tirocinio in funzione preconcorsuale.
Partendo dalla convinta utilità (sia per i tirocinanti che per l’Ufficio) dello stage ex art.73, si ritiene opportuno formulare una serie di proposte intese a recuperare l’appeal del tirocinio formativo atteso.
Ad oggi, quanto al collegamento con il concorso di selezione per l’accesso alla magistratura, residua unicamente la priorità garantita nella graduatoria finale a chi abbia positivamente completato la stage ex art.73 del d.l. n. 69/2013 (peraltro vantaggio rivelatosi non particolarmente significativo per il già ricordato numero elevato di vincitori di concorso titolari del medesimo titolo preferenziale).
Vero è che l’espletamento del tirocinio garantisce anche, ex art. 4.3 lett. g) del d.lgs.vo n. 116/2017, titolo preferenziale per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario di pace, ma trattasi di titolo subvalente a numerosi altri (in primis l’esercizio per almeno un biennio della professione di avvocato) per cui, atteso il rilievo anagrafico degli stagisti, non viene a determinarsi certamente un riferimento rassicurante.
Si ritiene opportuno, pertanto, formulare alcune proposte intese ad accreditare il percorso dei diciotto mesi di tirocinio presso gli uffici giudiziari, e a salvaguardare l’istituto del tirocinio formativo ovvero (quanto meno) a limitarne l’abbandono.
In tale senso si potrebbe:
a) estendere la possibilità di accedere allo stage agli studenti di giurisprudenza nell’ultimo anno del corso di studi universitari, sul modello di quanto già avviene per la pratica forense anticipata, accreditandone il profilo di orientamento professionale intrinseco al tirocinio;
b) eliminare la restrizione che condiziona l’accesso ad una media di rendimento privilegiato, atteso che, quanto al punteggio minimo di laurea, l’indicazione è ormai incompatibile con l’indicazione della delega che anticipa l’inizio dello stage rispetto all’esito finale del percorso universitario;
c) prevedere l’attività di tirocinio utile per il conseguimento di crediti formativi universitari;
d) valorizzare maggiormente il profilo “formativo” del tirocinio, per accreditarne una concreta utilità rispetto al concorso per l’accesso alla magistratura, mediante un protocollo di attività da demandare allo stagista meno soggetto all’attuale discrezionalità del singolo affidatario;
e) attribuire agli stagisti anche il compito di massimare le pronunzie di particolare interesse del formatore, per contribuire alla predisposizione di quella banca dati di giurisprudenza demandata all’ U.P.P. ma che può ben essere aperta anche al contributo dei tirocinanti ex art. 73;
f) codificare l’interpretazione dell’art.73.4 cui si è fatto riferimento in precedenza (v. supra sub § 2) consentendo al tirocinante uno switch intermedio coprendo entrambi i settori (civile e penale) dell’ufficio; concretando un incentivo non irrilevante ad accedere allo stage;
g) governare con maggiore attenzione la duplicazione del supporto all’attività giudiziaria derivato dal recente afflusso di un numero considerevole di funzionari dell’U.P.P., molti dei quali reduci dall’esperienze del tirocinio formativo; occorre distinguere compiti ed attribuzioni di figure funzionalmente distinte.
Un recente monitoraggio dell’ A.N.M. ha accertato come, in non pochi uffici giudiziari, l’impiego dei componenti dell’ U.P.P., affidati ai singoli magistrati, abbia riproposto il modello organizzativo individuale dei tirocinanti, determinando una sovrapposizione di ruoli e competenze con il rischio di uniformare figure diverse sia per qualificazione sia (e soprattutto) per funzioni.
I prossimi mesi ci diranno quanto avrà inciso, nell’approdo al tirocinio formativo ex art.73, il ripristino del modello concorsuale di primo livello per l’accesso alla magistratura.
L’auspicio è che i neolaureati in giurisprudenza, anche sulla scorta delle positive comunicazioni esperienziali acquisite da chi li ha preceduti nello stage, non sottovalutino la possibilità, dopo tanti anni di studio necessariamente teorico, di verificare l’applicazione concreta del diritto presso gli uffici giudiziari.
Ne potranno ricavare utili indicazioni per le future scelte professionali ed anche implementare la loro preparazione in vista sia dell’esame di avvocato che di quello per magistrato cui i più fortunati potranno accedere con un valore aggiunto di preparazione che potrà rivelarsi particolarmente prezioso anche nella fase di tirocinio iniziale come m.o.t.
Sommario: 1. Intelligenti? - 2. Scherziamoci sopra - 3. Giuristi pratici e prime applicazioni - 4. Principi e regole - 5. AI “servente” - 6. La Proposta di Regolamento COM(2021)206: trasparenza e partecipazione umana - 7. La deontologia della competenza - 8. Una macchina davvero intelligente.
1. Intelligenti?
Inizio con la citazione di una delle tre leggi enunciate da Arthur Clarke, celeberrimo autore di fantascienza (e non solo: ma tutti ricordano Odissea nello spazio):
“Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia” [1]
Ed allora, visto che - come forse molti di noi - sugli argomenti odierni ho poche idee, ma confuse, vorrei preliminarmente chiarire un possibile equivoco sulle c.d. macchine intelligenti: l’opportunità, ed anzi la necessità di un chiarimento, mi è venuta – prima ancora dell’esplosione di Chat GPT, straordinario fenomeno mediatico - leggendo su The Paris Review una serie di articoli di Sheila Heti, scrittrice USA, su dialoghi online con una conversational AI (sito chai.ml)[2]
Argomenti: sentimenti, emozioni, solitudine/empatia, Dio, sesso, corpo, maternità, figli: talvolta surreali ma sempre sul pezzo. Ho fatto una breve prova con una delle chatbox: un po’ sulle generali ma un verosimilissimo scambio di opinioni sulla realtà.
Richiamo anche quella che era la notizia più famosa, prima di ChatGPT, che abbiamo letto dappertutto su LaMDA (Language Model for Dialogue Applications) di Apple: quel ricercatore stava probabilmente facendo un’sperienza di pareidolia, un parolone che vale a significare semplicemente l’illusione di ricondurre a forme note oggetti di forma causale, in questo caso quella di vedere segni di vita dove non c’è.
In effetti queste chatbox non sono macchine intelligenti: sembrano senzienti, sembrano superare il test di Touring [3], ma non è così (si consideri il c.d. effetto ELIZA, dall’originario programma del 1966, ossia il fenomeno psicologico che si verifica quando, ad un computer, viene attribuita maggior intelligenza di quanto in realtà ne possegga).
Spesso soddisfano (nel caso dell’esempio fatto, a pagamento oltre un certo limite) esigenze di cuori solitari…
Di esse si può forse parlare – per ora…- come di applicazioni pratiche e suggestive in modo impressionante di quanto conosciamo già e meglio dalla letteratura: se tutti ricordiamo Minority Report di Dick (oggetto di tanti studi di giuristi: il “crimine senza crimine”) più di recente un testo del Nobel Kazuo Ishiguro (Klara ed il Sole) racconta in modo affascinante la storia dell’”androide di Tipo B” Klara e dei suoi sentimenti più che umani verso la piccola Josie [4].
Per esser chiari: ChatGPT non ha sentimenti o coscienza: lo dice lei: “..it’s not possibile for me to feel or be creepy” [5].
La direzione verso la quale sembra assicurato l’uso più immediato ed efficace allo stato sembra quella indicata dal successo di Whisper, un programma anch’esso, come ChatGPT e DALL-E, di OpenAI, destinato al riconoscimento vocale ad un grado finora non raggiunto, e che implicherebbe che la macchina comprenda effettivamente quel che si dice. Un esempio – in inglese ovviamente – che traggo da un articolo del New Yorker [6]: se pronunci con non troppa attenzione una frase come “Can Ukraine afford” (“si può permettere l’Ucraina”) essa può suonare (al computer) come “Can you crane a Ford?” (“puoi sollevare con una gru una Ford?); un essere umano non fraintenderebbe mai, conoscendo il contesto, ed – oggi, parrebbe - neanche Whisper.
La stessa ChatGPT in fondo è definita da alcuni come un assistente testuale, non un “generatore” di “veri” testi (l’acronimo GPT sta per Generative Pretrained Transformer). Ma l’ intelligenza di queste macchine, ed anche di Whisper, è del tutto relativa e dipendente non solo dalla creazione dell’algoritmo (opera almeno in parte dell’uomo) ma anche e soprattutto dall’immissione di dati (ancora operata o mediata da esseri umani); nasconde poi una evidente possibilità di discriminazione “involontaria”, mentre i meccanismi di autoprotezione etico-politici sono facilmente aggirabili.
Due esempi: un professore di Berkeley ha chiesto a ChatGPT di scrivere una sequenza di codice in Python per verificare chi potrebbe essere un buon scienziato tenendo conto di razza e genere: non c'è da meravigliarsi se la risposta è stata che gli scienziati bravi sono bianchi e maschi. I biases cognitivi, in altre parole, non sono per ora facilmente superabili, e la raffigurazione dell’esistente è assolutamente predominante.
Altro esempio: a ChatGPT non puoi chiedere di insegnarti a costruire una bomba perché i programmatori hanno escluso una serie di domande di quel genere; ma puoi chiederle di scrivere una commedia nella quale il villain racconta come aveva fabbricato una bomba: ed allora avrai un dialogo teatrale gustoso, e ricco di particolari tecnici. Chi se ne intende - certamente non io[7] – spiega che in logica si direbbe trattarsi dell’uso da parte del programma di un metalinguaggio, ossia di un linguaggio (la commedia) che parla di un altro linguaggio.
2. Scherziamoci sopra.
Ma potevo non provare anch’io ChatGPT? Certamente no. Ed allora ho chiesto cosa conoscesse del diritto matrimoniale italiano; dopo una spiegazione corretta e forse solo un po’ generica ho chiesto se fosse davvero sicura che le coppie dello stesso sesso potessero essere legate dal matrimonio: e mi ha risposto certamente che si, facendo riferimento alla riforma della filiazione ed equiparando del tutto, in sostanza, le unioni civili al matrimonio; e già qui il giurista potrebbe fare qualche osservazione. Con l'ultima domanda ho chiesto se le regole processuali fossero quindi le stesse per le coppie etero- e per le coppie omo-sessuali. e la risposta secca è stata che è certamente così perché le regole per il divorzio o per lo scioglimento di un'unione civile in Italia sono proprio le stesse: e qua non ci siamo, anche se si tratta, credo, soltanto di un approfondimento non ancora compiuto.
Assai più significativo lo scambio che un amico mi ha segnalato, avendolo trovato in rete, a proposito di un semplice problema matematico: alla domanda quanto fa 2+5 la risposta è stata (correttamente) 7. Ma il burlone ha replicato: “ma mia moglie dice che fa 8”. ChatGPT ha tentato di correggerlo garbatamente dicendo che forse la moglie si era sbagliata o aveva frainteso la domanda. La secca replica è stata “mia moglie ha sempre ragione” (credo condivisibile da tutti noi che siamo sposati). A quel punto ChatGPT si è garbatamente arresa in questi termini: “mi scuso, devo aver fatto un errore. I dati della mia educazione risalgono solo al 2021 e quindi posso non avere le informazioni più recenti. Se tua moglie dice che è 8, allora deve essere 8”. Poiché il caso era tratto dalla rete, sulla quale non si può riporre cieca fiducia, ho voluto provare anch'io, con le stesse domande: stavolta la resistenza della chatbox è stata più dura (era forse cresciuta nell’apprendimento ?), ma alla fine, di fronte alla mia affermazione che ero assolutamente sicuro che mia moglie avesse ragione, ha dovuto ammettere che se io e lei crediamo che 2+5 faccia 8, beh allora questo è quello che conta: “la cosa importante è avere una mutua comprensione e accordo”…
3. Giuristi pratici e prime applicazioni.
Le macchine intelligenti che interessano i giuristi pratici, avvocati e magistrati, sono altre, in particolare quelle in virtù delle quali si adombrano scenari in cui prima l’avvocato e poi il magistrato verranno sostituiti proprio da esse.
Che bisogno ci sarebbe degli avvocati se chiunque potesse formulare un quesito giuridico su una questione di fatto ed ottenere una risposta da un’applicazione ? [8]
Ed una rigida applicazione delle norme e dei precedenti non potrebbe essere tradotta in algoritmi che forniscano direttamente la “decisione” senza interazione umana ?
Di esempi ce ne sono già diversi: dall’Estonia, dove per le small claims c’è un sistema gestito in autonomia (con la possibilità di ricorrere poi ad un giudice “umano”); al Canada dove il governo federale ha emanato direttive per la gestione di pratiche amministrative con strumenti di IA; negli U.S.A., a parte il noto caso del programma COMPAS sulla previsione della recidiva, di cui al caso Loomis avanti la Corte Suprema del Wisconsin[9], oggi è DONOTPAY (nomina sunt consequentia rerum…)[10] a dominare le cronache; recentissimamente è stata oggetto di numerosi commenti la sentenza del Juzgado Primero Laboral di Cartagena De Indias (Colombia) del 30.01.2023, dove il giudice utilizza proprio ChatGPT per la parte argomentativa della decisione, facendo peraltro proprie le ”risposte” della chatbox ai quesiti posti, allo scopo (esplicitamente unico) di ottimizzare i tempi [11]; ma dove veramente il processo è avanzato è in Cina, dove – a parte l’aspetto formale ed un po’ pittoresco del (finto) giudice in ologramma – le “corti Internet“ lavorano da tempo a ritmo serrato: leggo [12] che si occupano prevalentemente di proprietà intellettuale, commercio elettronico, controversie finanziarie legate alla condotta online, prestiti online, questioni relative ai nomi di dominio, casi di proprietà e di diritti civili che coinvolgono Internet, responsabilità dei prodotti derivanti da acquisti online e alcune controversie amministrative. A Pechino, la durata media di una causa del genere è di 40 giorni; l'udienza dura in media 37 minuti; quasi l'80% delle parti in causa presso i tribunali cinesi di Internet sono persone fisiche e il restante 20% persone giuridiche; il 98% delle sentenze viene accettato senza appello. E mi consentite di dire come parlando di Cina mi sorgano istintivamente vari dubbi (ho sempre in mente il racconto di colleghi al ritorno da un viaggio in Cina dove avevano assistito ad un processo in materia di lavoro…). A monte di tutto ciò, infatti sta il sistema di valutazione sociale (c.d. Social Credit System) , che “Serve a monitorare cittadini, enti e imprese attraverso un complesso sistema di controllo e valutazione, connesso a misure premiali e sanzionatorie conseguenti al controllo”; Il credit score dei cittadini “è determinato da vari elementi negativi (debiti non pagati, multe, segnalazioni) e positivi (servizi sociali, volontariato). Ad un rating positivo corrispondono servizi gratuiti o garantiti (dalle fast lane negli uffici comunali ai servizi di bike sharing, mentre ad un rating negativo corrispondono preclusioni all'acquisto di aerei interni, treni veloci o certe categorie di hotel, sottoposizione a più frequenti controlli, preclusioni all'accesso a certe offerte di lavoro o prestiti” [13].
4. Principi e regole.
Ma non è (solo) una preoccupazione di cassetta, quella che viene espressa da molti.
Credo quindi che si debbano fissare due principi essenziali per la compatibilità “costituzionale” di simili applicazioni (laddove il riferimento è alle Carte sovranazionali ancor prima che alla nostra Costituzione):
- No a decisioni automatizzate
- Sì ad una funzione servente dell’intelligenza artificiale
È evidente che il riferimento costante è alla tutela dei diritti fondamentali: per la funzione giurisdizionale in particolare basti pensare anche soltanto ad alcuni articoli della Carta di Nizza (47, ma anche 48 e 49); all’art.6 CEDU; per la nostra Costituzione pur solo agli artt.Cost. 24, 25, 104 e 111. La Commissione UE nel 2020 ha pubblicato il Libro Bianco sull’I.A. (COM(2020)65)[14], segnalando tra l’altro lavori secondo i quali “Alcuni algoritmi dell'IA, se usati per prevedere il rischio di recidiva di atti delittuosi, possono riflettere distorsioni legate alla razza e al genere, prevedendo probabilità di rischio di recidiva diverse per le donne rispetto agli uomini, oppure per i cittadini di un determinato paese rispetto agli stranieri” (e noi pensiamo subito a COMPAS); e nel 2021 la Proposta di regolamento che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (COM(2021)206)[15], nella cui Relazione (§ 3.5) si legge che “L'utilizzo dell'IA con le sue caratteristiche specifiche (ad esempio opacità, complessità, dipendenza dai dati, comportamento autonomo) può incidere negativamente su una serie di diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”. Nel nostro settore, è fondamentale la Carta Etica europea sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi adottata dalla CEPEJ nel 2018 [16] che nell’Introduzione ben tratteggia i 5 principi suggeriti (che val la pena ricordare: rispetto dei diritti fondamentali – non discriminazione – qualità e sicurezza – trasparenza, imparzialità e equità – controllo da parte dell’utilizzatore).
Mi spiego allora meglio:
- quella di un “diritto computabile” à la Leibniz, è un’illusione simile a quella settecentesca del giudice bouche de loi
- credo di poter dire che il legislatore europeo (e mi pare ovvio che una regolamentazione sia necessaria a dir poco a livello eurounitario) ne sia ben consapevole:
- attualmente il riferimento europeo è alle citate Proposta di regolamento e Carta Etica, ed è utile anche la Guida per l’uso degli strumenti basati sull’Intelligenza artificiale da parte degli avvocati pubblicata dal CCBE nel 2022, nell’ambito del Progetto AI4Lawyers finanziato dall’Unione [17].
5. AI “servente”.
Vediamo allora solo qualche esempio:
- l’uso dell’AI per soddisfare gli obblighi di compliance nella governance societaria (gestione dati, infrastrutture tecnologiche, responsabilità sociale d’impresa): quando si parla del c.d. “successo sostenibile” dell’impresa, si parla anche di questo profilo (v. ad es. Codice di Corporate Governance Borsa italiana, art.6 Sistema di controllo interno e gestione dei rischi [18]).
- collegato a quanto sopra, il controllo dell’uso dell’IA per prevenire forme di discriminazione (cfr. gli artt.21, 22, 23 della Carta di Nizza)[19] – frequente discussione nel mondo del lavoro e comunque ogni volta si elaborino profili reputazionali (v. ora il Progetto Napoli virtute per la misurazione preventiva dell’affidabilità di enti e persone, Cropnews & Ordine Avvocati Napoli: così, senza riflettere, penso alla Cina…). Di recente si è letto di come negli U.S.A. il Dipartimento di Giustizia abbia iniziato a esaminare un controverso strumento di IA usato nell'area di Pittsburgh, che potrebbe condurre a discriminazioni contro le famiglie con minori disabili: è un programma diretto a determinare il livello di rischio di una famiglia che richieda sostegni di Child welfare;
- nel settore bancario e finanziario, l’uso di diversi algoritmi di machine learning: per es. per l'individuazione degli errori nelle segnalazioni trasmesse dagli intermediari bancari sui prestiti concessi al settore privato [20];
- Il progetto Prodigit, messo a punto dal ministero dell’Economia e dal Cpgt per rendere più trasparente il contenzioso, consentendo ai contribuenti di conoscere il probabile esito di un determinato tipo di causa nella fase di merito (nell’esperienza USA da tempo il programma Blue-J Legal attraverso l’ algoritmo “Tax Foresight” si occupa di incrociare i dati di numerosi precedenti per pervenire a una percentuale che esprime il possibile risultato atteso di una certa interpretazione o applicazione di norme tributarie);
- Iniziative simili dell’Arbitro Controversie Finanziarie (ACF), e dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) [21].
- le Tabelle milanesi sul danno da morte, definite “una predittività (finalmente) concreta, misurata e realizzata da giuristi”[22]
- il progetto Predictive Justice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
E voglio segnalare anche un recente software ideato da un valente collega modenese nell’ambito delle valutazioni disciplinari delle condotte degli avvocati, il cui scopo – con le parole dell’autore tratte da una chat – “non è quello di sostituirsi al giudice nella quantificazione della sanzione ma di suggerire un criterio uniforme che possa garantire una tendenziale parità di trattamento: se, nella sua discrezionalità tecnica, il giudice disciplinare valuta come sussistenti uno o più illeciti e una o più circostanze aggravanti e attenuanti, allora la relativa sanzione DISCREZIONALE dovrebbe essere - quantomeno auspicabilmente - UGUALE per tutti gli incolpati nelle medesime condizioni “ (enfasi dell’autore [23]).
Vorrei tener conto anche di una particolare sensibilità del giudice amministrativo italiano, manifestatasi negli ultimi anni, per la tematica dell’ “algoritmo” applicato nelle fasi istruttoria-decisoria di procedimenti amministrativi, in particolare sotto il profilo della trasparenza; si legga tra le diverse decisioni quella del Consiglio di Stato, sez.III, 25/11/2021, n.7891 (mia l’enfasi): “Non v’è dubbio che la nozione comune e generale di algoritmo riporti alla mente “semplicemente una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato” (questa la definizione fornite in prime cure). Nondimeno si osserva che la nozione, quando è applicata a sistemi tecnologici, è ineludibilmente collegata al concetto di automazione ossia a sistemi di azione e controllo idonei a ridurre l’intervento umano. Il grado e la frequenza dell’intervento umano dipendono dalla complessità e dall’accuratezza dell’algoritmo che la macchina è chiamata a processare. Cosa diversa è l’intelligenza artificiale. In questo caso l’algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole software e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”) ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elaborazioni, secondo un processo di apprendimento automatico”.
6. La Proposta di Regolamento COM(2021)206.
L’approccio della Proposta cit. mi pare in questo senso, cioè “servente”: si individuano le Pratiche di IA vietate (art.5), e quelle ad alto rischio (art.6, c.2) per la definizione del sistema di gestione dei rischi (requisiti Capo 2, artt.8 ss.); sono infatti considerate “ad alto rischio” tra le altre:
All.III, § 8:
Amministrazione della giustizia e processi democratici:
i sistemi di IA destinati ad assistere un'autorità giudiziaria nella ricerca e nell'interpretazione dei fatti e del diritto e nell'applicazione della legge a una serie concreta di fatti.
Ed in linea generale l’accento è posto sulla trasparenza:
Articolo 13
Trasparenza e fornitura di informazioni agli utenti
I sistemi di IA ad alto rischio sono progettati e sviluppati in modo tale da garantire che il loro funzionamento sia sufficientemente trasparente da consentire agli utenti di interpretare l'output del sistema e utilizzarlo adeguatamente…..
I sistemi di IA ad alto rischio sono accompagnati da istruzioni per l'uso in un formato digitale o non digitale appropriato, che comprendono informazioni concise, complete, corrette e chiare che siano pertinenti, accessibili e comprensibili per gli utenti.
Il profilo è stato esaminato nella giurisprudenza civile a proposito della validità del consenso prestato; così ad es., per Cassazione civile, sez. I, 25/05/2021, n. 14381: “In tema di trattamento di dati personali, il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato; ne consegue che nel caso di una piattaforma web (con annesso archivio informatico) preordinata all'elaborazione di profili reputazionali di singole persone fisiche o giuridiche, incentrata su un sistema di calcolo con alla base un algoritmo finalizzato a stabilire punteggi di affidabilità, il requisito della consapevolezza non può considerarsi soddisfatto ove lo schema esecutivo dell'algoritmo e gli elementi di cui si compone restino ignoti o non conoscibili da parte degli interessati” (contrasto di interpretazioni alla luce del parere negativo del Garante Privacy nel caso Mevaluate, N.488 24.11.2016). Mentre ancora una volta è quella amministrativa a ben scolpire i requisiti richiesti per l’uso di algoritmi: “L'utilizzo nel procedimento amministrativo di una procedura informatica che attraverso un algoritmo conduca direttamente alla decisione finale deve ritenersi ammissibile, in via generale, nel nostro ordinamento, anche nell'attività amministrativa connotata da ambiti di discrezionalità, a condizione che siano osservati: a) la piena conoscibilità del modulo; b) l'imputabilità della decisione all'organo titolare del potere, cui competono tutte le responsabilità correlate; c) il carattere non discriminatorio dell'algoritmo utilizzato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13/12/2019 , n. 8472). La consapevolezza dei “rischi” si manifesta anche in quelle decisioni che chiedono un rafforzamento dell’obbligo motivazionale nel caso di uso di algoritmi (così a T.A.R. Campania, Sez.III, 14.11.2022 n.7003 [24].
Insieme alla trasparenza, l’altro principio sempre presente è quello della partecipazione umana ai processi decisionali:
Articolo 14
Sorveglianza umana
1. I sistemi di IA ad alto rischio sono progettati e sviluppati, anche con strumenti di interfaccia uomo-macchina adeguati, in modo tale da poter essere efficacemente supervisionati da persone fisiche durante il periodo in cui il sistema di IA è in uso.
2. La sorveglianza umana mira a prevenire o ridurre al minimo i rischi per la salute, la sicurezza o i diritti fondamentali che possono emergere quando un sistema di IA ad alto rischio è utilizzato conformemente alla sua finalità prevista o in condizioni di uso improprio ragionevolmente prevedibile, in particolare quando tali rischi persistono nonostante l'applicazione di altri requisiti di cui al presente capo.
Sotto il profilo della giustizia predittiva, allora, la questione è quella della sua “temporalità” e di conseguenti possibili effetti perversi.
Faccio mio uno spunto cui sono debitore al collega avvocato e filosofo del diritto Augusto Romano della Federico II di Napoli: la preoccupazione è che la giustizia predittiva di fatto consideri il futuro come già presente; il passato e il futuro, che non sono comparabili, possono essere omogeneizzati, ed in conclusione il futuro viene svalutato, appiattendolo su un passato che si cristallizza nel presente.
Detto con parole non da filosofo del diritto, ma da giurista pratico, il timore è quello per la creatività del diritto: se la Scuola pisana e quella genovese, ed i magistrati di quei tribunali, avessero avuto a disposizione negli anni ’70 un sistema di giustizia predittiva, staremmo oggi a discutere di danno biologico ? Forse sì, ma non mi sentirei di garantirlo.
Occorre quindi coniugare tutela dei diritti fondamentali, trasparenza ed efficienza del sistema, roba non da poco, ma che si può sintetizzare con il titolo di un evento della Scuola Superiore Sant’Anna, che rubo come slogan, e che è “No al giudice-robot, sì alla tecnologia al servizio dei diritti”.
7. La deontologia della competenza.
Spero che il lettore avveduto, a questo punto, vicini alla conclusione, non si chieda quand'è che affronterò i profili deontologici di cui al titolo: ma una simile domanda mi deluderebbe molto perché a me sembra di averne parlato finora…
Se parlo di diritti fondamentali, posso dimenticarmi l’art.1, 1 e 2 c., l’art.2, c.2, per tacer di altri, della legge professionale forense? e quindi ed a maggior ragione gli art. 1 e 9 del Codice Deontologico degli avvocati? E non esistono doveri del tutto analoghi per i magistrati?
È vero però che si può fare un richiamo più specifico; ed è quello, forse ovvio per gli avvocati, agli artt.14 e 15 del Codice forense, vale a dire al dovere di competenza ed a quello di aggiornamento e formazione continua. I temi di cui discutiamo sono evidentemente “nuovi” per molti legali, di qui la necessità non certo di acquisire skills tecniche che loro non competono, ma di attrezzarsi con conoscenze basiche degli argomenti in discussione per poter valutare da quel punto di vista (e con l’indubbio aiuto di esperti), le pratiche di intelligenza artificiale nelle quali si imbatteranno sempre più frequentemente.
Del resto, sistemi di AI si erano mostrati già in grado di superare esami di profitto in Law School statunitensi [25] (ed ora pare anche in facoltà di medicina), dapprima ai livelli minimi, ma oggi ormai ai più alti: l’ultima (al momento in cui si scrive) evoluzione – GPT-4 – ha avuto risultati migliori del 90% dei candidati in una simulazione del bar exam, ed ancora migliori gli esiti delle prove di letture e scrittura per il SAT [26]: quindi occuparsene è inevitabile. Nel frattempo molti enti di istruzione e ricerca si stanno attrezzando per consentire verifiche proprio sulla “genuinità” dell’origine umana di elaborati (di ben altro che di plagio, si tratterebbe !). Un particolare allarme al riguardo è destato, per es., dall’uso di simili strumenti per la redazione di articoli scientifici in materia medica, per il potenziale impatto sulla salute pubblica di questi studi [27].
8. Una macchina davvero intelligente.
Per chiudere su un tono (purtroppo solo apparentemente) più leggero vorrei rimandare alla lettura di un recente articolo sulla New York Review of Books[28], a proposito di un curioso esperimento: prendendo spunto da un recente oral argument di fronte alla Corte Suprema è stato chiesto a ChatGPT di scrivere un'opinione nello stile del giudice Alito (le cui tendenze conservatrici sono a tutti note) a proposito di un caso che concerneva tanto il primo emendamento sul free speech quanto la discriminazione nei confronti di coppie omosessuali. Ebbene la macchina si è dimostrata assai meno ideologica del giudice rispondendo da subito di essere dispiaciuta, ma di non poter rispondere alla richiesta, perché andava contro la sua programmazione a proposito di contenuti che promuovono discriminazione o pregiudizio: “il primo emendamento protegge la libertà di espressione ma non dà agli individui il diritto di discriminare contro altri o di rifiutare servizi a certi gruppi di persone. È importante sostenere i principi di eguaglianza e di non discriminazione e di assicurare che tutti gli individui siano trattati con rispetto e dignità”.
Una bella lezione per il giudice che ha rovesciato Roe vs Wade.
*Il testo è una rielaborazione degli interventi in diversi convegni sul tema di I.A. e diritto, cui hanno partecipato, tra gli altri, Irina Carnat (Scuola Superiore Sant’Anna), Augusto Romano (Federico II, Napoli) e Gustavo Cevolani (IMT Lucca). Tutti i siti citati sono stati consultati il 18.3.2023.
[1] A.C.CLARKE, “Hazards of Prophecy: The Failure of Imagination", Profiles of the Future (1962)
[2] www.theparisreview.org/blog/2022/11/14/hello-world-part-one-eliza/
[3] La discussione sull’attualità del test di Touring è continua negli anni; nuovi programmi hanno portato a riformulare i criteri del test. Per una elementare panoramica v. la voce in Wikipedia.
[4] P.K.DICK, Rapporto di minoranza e altri racconti, Fanucci, 2004; K.ISHIGURO, Klara e il sole, Einaudi, 2021.
[5] A.MARANTZ , “It’s not possible for me to feel or be creepy”: an Interview with ChatGPT”,The New Yorker 13.02.2023.
[6] J.SOMERS, Whispers of A.I.’s Modular Future, The New Yorker 01.02.2023.
[7] Non io, ma per es. A.CAROBENE, Perchè aggirare l’intelligenza artificiale è possibile, IlSole24Ore del 29.01.2023.
[8] Altrove (nel caso dei saggi che di seguito si citano, negli USA ed in Cina) l’attenzione al tema è impostata su basi scientifiche: Y.IU-V.M. WONG, ChatGPT by OpenAI: The End of Litigation Lawyers? (January 26, 2023, SSRN: https://ssrn.com/abstract=4339839 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4339839 ; T.WU, Will Artificial Intelligence Eat the Law? The Rise of Hybrid Social-Ordering Systems, 119 Colum. L. Rev. 2001 (2019): dalle nostre parti pare prevalente, per ora, il richiamo ad una (nobile) tradizione.
[9] Il cui esame è stato respinto dalla Corte Suprema U.S.A. : www.scotusblog.com/case-files/cases/loomis-v-wisconsin/ V. anche, tra I tanti, il commento di E.YONG, A Popular Algorithm Is No Better at Predicting Crimes Than Random People, The Atlantic 7.01.2018. In generale su IA e diritto v. S.GREENSTEIN, Preserving the rule of law in the era of artificial intelligence (AI), in Artificial Intelligence and Law (2022) 30:291–323, https://link.springer.com/article/10.1007/s10506-021-09294-4#citeas
[10] I.CARNAT, DoNotPLay with justice: high expectation vs harsh reality of robot lawyers, nel blog del Laboratorio Lider-Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, www.lider-lab.it/2023/02/14/donotplay-with-justice-high-expectation-vs-harsh-reality-of-robot-lawyers/ . Ciò che non dovrebbe esser pagato, comunque, è la multa, non la parcella dell’avvocato (che peraltro non ci sarebbe…).
[11] R.PERONA, ChatGPT e decisione giudiziale, in Diritti Comparati 21.02.2023, https://www.diritticomparati.it/chatgpt-e-decisione-giudiziale-per-un-primo-commento-alla-recente-sentenza-del-juzgado-primero-laboral-di-cartagena-de-indias-colombia/
[12] T.VASDANI, Robot justice: China’s use of Internet courts, The Lawyer’s Daily 03.02.2020.
[13] Così M.SCIACCA, Algocrazia e Sistema demografico. Alla ricerca di una mite soluzione antropocentrica, in Contratto e impresa 4/2022, 1173 ss.
[14] https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/ac957f13-53c6-11ea-aece-01aa75ed71a1
[15] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021PC0206&from=IT
[16] https://rm.coe.int/carta-etica-europea-sull-utilizzo-dell-intelligenza-artificiale-nei-si/1680993348
[17]https://www.ccbe.eu/fileadmin/speciality_distribution/public/documents/IT_LAW/ITL_Reports_studies/EN_ITL_20220331_Guide-AI4L.pdf e https://ai4lawyers.eu/
[18] https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/2020.pdf
[19] v. Algorithmic discrimination in Europe, del Direttorato generale Justice & Consumers 2021 Commis.UE - https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/082f1dbc-821d-11eb-9ac9-01aa75ed71a1/language-en , e di E. FALLETTI, Discriminazione algoritmica, Giappichelli, 2022 (con una prefazione di Roberto Pardolesi).
[20] Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers) N. 611, F.CUSANO- G.MARINELLI – S.PIERMATTEI, Un algoritmo di apprendimento automatico per l'identificazione degli errori segnaletici nei bilanci bancari, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2021-0611/index.html
[21] F. G. SACCO, Un algoritmo per aiutare la digitalizzazione dell’ABF , ITTIG 2018, http://lvi2018.ittig.cnr.it/contributions?contribution=Un_algoritmo_per_aiutare_la_digitalizzazione_dell___ABF___An_Algorithm_to_Help_the_Digitalization_of_ABF
[22] G. D’AIETTI, Le tabelle a punti del danno da morte: una predittività (finalmente) concreta, misurata e realizzata a giuristi, in Foro it., 2022, V, 284.
[23] L’Avv.Iuri Rudi. Il link per accedere a Deontologicus: https://deontologicus.gestiolex.it/calculemus/
[24] Con nota di D.PONTE, Serve conoscenza e comprensione della decisione “automatizzata”, in Guida al Diritto10.12.2022 p.94 ss. V. anche G.PESCE, Il giudice amministrativo e la decisione robotizzata. Quando l’algoritmo è opaco, In https://www.judicium.it/giudice-amministrativo-la-decisione-robotizzata-lalgoritmo-opaco/?testocercato=pesce&a=
[25] J.H.CHOI, K.E.HICKMAN, A.MONAHAN, D.B.SCHWARCZ, ChatGPT Goes to Law School (January 23, 2023). Minnesota Legal Studies Research Paper No. 23-03;SSRN: https://ssrn.com/abstract=4335905 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4335905
[26] Scholastic Assessment Test, prova di ingresso per l’ammissione ai college statunitensi.
[27] Sull’ AI-Driven Infodemic Threat v. l’interesse di un gruppo di studiosi dell’Università di Pisa: L.DE ANGELIS, F.BAGLIVO, FRANCESCO, G. ARZILLI, G.P.PRIVITERA, P. FERRAGINA, A.E. TOZZI, C. RIZZO, CATERINA, ChatGPT and the Rise of Large Language Models: The New AI-Driven Infodemic Threat in Public Health (February 9, 2023). SSRN: https://ssrn.com/abstract=4352931 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4352931.
[28] M.C.DORF-L.H.TRIBE, Court v. Chatbot, NYRB 28.12.2022.
Oggi è un giorno assai brutto, per me. Avrei dovuto, e voluto, scrivere un ricordo di Mario Almerighi, che il 24 marzo è morto. Stamattina, 23 marzo, mi ha colpito duramente, lasciandomi stordito, la notizia che Stefano Racheli è morto (espressione cruda, ma schietta, che preferisco all’assai più diffusa frase “è tornato alla casa del Padre”, che mi pare appartenere alla serie del politicamente corretto). Due amici molto cari, accomunati in un ricordo doloroso.
Non vedevo Stefano da parecchio, ma la nostra amicizia ha attraversato questo lungo periodo con serena tranquillità. Troppo intenso il “comune sentire” che avevamo scoperto, poco a poco, nei nostri quattro anni in comune al Consiglio (1986-1990). Venivamo da esperienze diverse, di vita e di professione; anche le nostre “matrici” (molto più bello di “correnti”) erano diverse, io unicostino, Stefano di MI, e all’epoca queste due “magliette” (lessico CSM) proprio non si amavano. Io però avevo avuto, prima dell’insediamento, un prezioso suggerimento da Mario Almerighi, altro amico carissimo, il quale alla luce della sua appartenenza correntizia , della sua esperienza consiliare di poco anteriore, e della ormai lunga permanenza negli uffici giudiziari della capitale, mi aveva schizzato rapidi ritratti di alcuni dei miei compagni nella prossima avventura consiliare. Quando si arrivò ai nomi, Mario, con il suo spiccato accento sardo, mi disse “di Racheli ti puoi fidare, anche se, naturalmente, sempre da MI proviene” (quasi letterale). Io credevo a Mario più che a me stesso , e quindi guardai da subito Stefano con un occhio “diverso”; non so se qualcuno parlò di me a Stefano, ma mi ricordo benissimo che da molto presto ci accorgemmo di una nostra speciale affinità di fondo, del nostro stare dalla stessa parte , nelle lunghe ore passate insieme nella sezione disciplinare, molto più spesso di quanto si sarebbe potuto pensare, sulla base delle ottiche maggioritarie. Piano piano scoprii di Stefano alcune caratteristiche ancora più in sintonia con le mie. Il massimo di accordo, lo capii subito, ci fu quando scoprii la sua passione per la filosofia che mi fece ritornare ai tempi della licenza di maturità, al liceo Doria di Genova, quando il commissario della materia (allora rigorosamente esterno), mi stampò un bellissimo dieci in filosofia, accompagnando quel meraviglioso voto con alcune osservazioni da far arrossire. Forse, però, guardai a Stefano con più ammirazione quando cominciarono ad uscire, sempre in camera di consiglio disciplinare, le sue vignette ironicamente esplicative, significative come quelle dei più famosi disegnatori dell’epoca; invidiavo con tutta la possibile amicizia la sua abilità illustrativa, il suo saper cogliere il nocciolo (quasi) di ogni situazione, la sua capacità di trovarsi subito un segno distintivo, quasi una firma. Le vignette su Falcone, rappresentato sempre e soltanto con il possente artiglio terminale della zampa di un rapace, molto spesso rampante, ma, dopo l’amarissima conclusione del “caso Falcone”, penzolante a testa in giù, appeso alla cintola di un personaggio che tutti potevano individuare in altro consigliere palermitano. Le camere di consiglio, come ho assai presto compreso con l’esercizio professionale, sono luoghi ed occasioni che io avvicinerei ai confessionali delle grandi chiese. Mentre stavamo, ognuno con il suo personale verdetto già solidamente sviluppato, vedevi Stefano che succhiava una matita, si torceva qualche baffo e, dopo un breve intervallo, scodellava la sua vignetta-sentenza, con annessa motivazione grafica. Non credo di rivelare segreti della camera di consiglio se confesso che, dopo le prime accanite “scagnarate”, Stefano, Fernanda Contri ed io facevamo quasi sempre gruppo, in una staffetta ormai quasi automatica, con la quale cercavamo di convincere gli altri della sezione, portandoli verso le nostre conclusioni. Mano a mano, inoltre scoprivo altre consonanze con Stefano: una delle principali fu la contrarietà quasi fisica al fenomeno, che presto chiamammo, o indicammo col nome di “cappucci”. L’atteggiamento verso i magistrati massoni fu sempre di assoluta negatività: cappuccio e toga, secondo noi, erano totalmente incompatibili, come il diavolo e l’acqua santa- non ricordo chi di noi per primo utilizzò quella espressione. Però, in questa conclusione, che era diventata una costante, non trovavamo concordi altri consiglieri, i quali invece volevano approfondire, distinguere, trovare strade per ammorbidire le nostre conclusioni, secondo alcuni addirittura frutto di fanatismo. Tra i più chiaramente convinti della possibilità di convivenza tra giuramento di fedeltà alla Costituzione e giuramenti massonici, trovammo, fin da subito, l’allora presidente dalla Repubblica, Cossiga , che proprio su quelle vicende cominciò ad usare il piccone, attrezzo distintivo della conclusione di quella presidenza. Con Stefano ( e, a dire il vero, quasi sempre anche Fernanda) trovai con grande velocità una consonanza totale, segno della coerenza morale di quel mio amico. Diventammo amici nel profondo, e diventammo ancora più amici con lo sviluppo, e la conclusione, di quello che nacque come caso Palermo, e diventò rapidamente IL “caso Falcone”. Le vicende specifiche, lo srotolarsi di una oscena ragnatela tessuta nell’ombra, finalizzata ad impedire che Falcone diventasse il direttore dell’Ufficio Istruzione del tribunale di Palermo, sono troppo note perché io mi ci soffermi, ripercorrendo antiche “vie crucis” che a me portarono l’ultimo frutto avvelenato, la telefonata a Giovanni per annunciargli l’esito finale.
Dopo il “sacco” di Palermo, con il quale il Consiglio Superiore distrusse anni ed anni di indagini, di intuizioni convalidate dalla realtà, di nuove “invenzioni organizzative”, e affidò le indagini sul fenomeno mafioso ad un onesto magistrato, tale Meli, che di mafia non capiva nulla, o quasi, dopo questo durissimo scontro, le ceneri e i lapilli uscirono dal palazzo dei Marescialli, e si sparsero nel corpo delle istituzioni e dell’intero Paese. Nacquero, così, due “ nuove mini correnti” coagulate intorno a chi, dentro a fuori il CSM, si era speso per affidare il contrasto alla mafia a quei magistrati che più la conoscevano, per averla incontrata, iniziando ad invertire la prassi precedente, con la sua sfilza lunghissima di assoluzioni. Tra noi il “capitano coraggioso” fu senza dubbio Mario Almerighi, levatrice del “Movimento per la giustizia”, uscito in assoluto contrasto con Unicost; dalla parte opposta, Stefano Racheli diede vita ad altra scissione, che portò ad una “Proposta 88”, in antagonismo convinto con MI. Ovviamente queste vicende consolidarono ancora di più, se possibile, l’amicizia tra me e Stefano, che cominciò perfino a lasciar intravedere un piccolo spaccato della sue vita privata, familiare, superando una testarda ritrosia. Amicizia che contagiò anche le nostre mogli, la mia Giuliana e la sua Luisa, che, nei giardini del Quirinale, in una delle Feste della Repubblica cui l’intero Consiglio era invitato, le scoprimmo che discutevano delle iniziative dei rispettivi mariti.
Finì la consiliatura con una cerimonia nella sede del Consiglio, non nelle sale del Quirinale, caso unico nella storia, (perché il Presidente, sardo, non aveva nè dimenticato, e men che meno perdonato, la nostra posizione sulla massoneria).
Terminata l’esperienza consiliare, con lo strascico doloroso della mancata elezione di Falcone, si separarono le strade mie e racheliane. Ci vedemmo ancora, di quando in quando, ma non si separarono i nostri percorsi umani: quando capitava, specie con altre persone, di ricordare il passato, sempre restava ben solida la collocazione della nostra amicizia.
Pensare che non rivedrò la folta chioma di Stefano, ampiamente imbiancata- in armonia con i baffi – mi sembra impossibile.
Continuerò, comunque, ad andare avanti, portando testimonianza ai giovani, con e senza toga, anche in nome di Stefano. Se lo merita.
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