ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Le misure di allerta interna ed esterna nel nuovo codice della crisi di impresa*
di Lucia De Bernardin
Sommario: 1. Le misure di allerta – 2. La c.d. allerta interna: gli indici della crisi – 3. (segue): il ruolo degli amministratori – 4. (segue): il ruolo degli organi di controllo – 5. La c.d. allerta esterna – 6. Allerta e legislazione di emergenza.
1. Le misure di allerta
Uno dei principali obiettivi che si prefigge il d.lgs.14 del 2019 (di seguito: Codice) è dichiaratamente quello di dare attuazione in Italia alle indicazioni rinvenienti dalla raccomandazione n. 2014/135/UE, ossia consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività[1].
Si legge nella relazione illustrativa che: “l’importanza di questo obiettivo è molto evidente poiché le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore, mentre il ritardo nel percepire i segnali di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile”.
Nel perseguire questo proposito viene operata una precisa scelta ideologica, quella secondo cui è necessario rilevare precocemente l’eventuale stato di crisi dell’impresa per poter procedere con tempestività alla sua eliminazione e consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa. Scelta che si contrappone ad altra impostazione dogmatica, secondo cui l’ordinamento deve limitarsi a garantire che l’impresa insolvente esca dal mercato e non, invece, positivamente adoperarsi per il superamento della crisi[2].
La scelta del legislatore italiano è in linea con quella del legislatore europeo che da anni si propone l’obiettivo di una rilevazione tempestiva della crisi, nella prospettiva del mantenimento della continuità aziendale per il perseguimento del triplice fine: consentire all’imprenditore di superare lo stato di crisi e di proseguire l’attività imprenditoriale; garantire ai creditori l’ottenimento di un (seppur spesso parziale) soddisfacimento del proprio credito; evitare alla collettività le esternalità negative connesse alla fuoriuscita dal mercato di un’impresa, segnatamente in termini di perdita di posti di lavoro.
Nel codice si trova quindi, innanzitutto, per la prima volta la definizione di: “crisi”, ossia quello: “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”[3].
L’ambizioso fine di consentire all’imprenditore di individuare tempestivamente l’insorgere di uno stato di crisi per enucleare una soluzione che gli consenta di superarla è stato, poi, attuato tramite un’articolata serie di strumenti che vanno: dall’individuazione di indici rivelatori della crisi, all’imposizione di precisi obblighi in capo all’organo amministrativo e all’organo di controllo di rilevare suddetti indici, alla delineazione di un modello operativo che conduce –in caso di rilevazione degli indici della crisi- o all’individuazione di una soluzione adeguata alla ragione della crisi nell’ambito delle dinamiche interne all’impresa ovvero all’attivazione di un procedimento innanzi a soggetto esterno all’impresa (OCRI) che dovrebbe favorire l’individuazione di tale soluzione[4]. Obblighi di rilevamento e di segnalazione (cd. allerta esterna) sono stati poi posti a carico anche di soggetti pubblici cd. qualificati (Agenzia delle entrate, Inps e Agente per la riscossione).
In attuazione del principio fissato dall’art.14 co.1 lett.a) della legge delega n.155/2017, il sistema dell’allerta trova applicazione a tutti gli imprenditori commerciali costituiti in forma societaria, con l’esclusione di categorie di soggetti che svolgono particolari attività in relazione a cui già esistono specifici regimi di vigilanza[5].
2. La c.d. allerta interna: gli indici della crisi
Per perseguire il proposito di indurre il sistema economico a rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa, il legislatore ha dovuto cimentarsi con l’individuazione degli indicatori della crisi, compito non semplice tenuto conto della difficoltà di fissare con definizioni normative -per vocazione destinate all’applicazione nei confronti di tutti i consociati in maniera indiscriminata- caratteristiche per loro natura mutevoli e articolate –quali sono le peculiarità dell’attività d’impresa[6].
Proprio nella prospettiva del mantenimento dell’impresa sul mercato, il legislatore individua gli indici della crisi in quei dati che –in via prospettica- precludono la continuità aziendale[7], ossia quell’attitudine: “dell’impresa a generare flussi economico-finanziari idonei a dare compimento al ciclo produttivo e, dunque, a far fronte regolarmente alle obbligazioni aziendali in un arco temporale di almeno dodici mesi dalla chiusura dell’esercizio”[8].
La non facile missione del legislatore delegato sul punto è stata accompagnata da diverse riflessioni degli aziendalisti che, nel corso dell’iter legis, non hanno mancato di rimarcare le criticità connesse ai diversi criteri di volta in volta individuati, partendo dall’indicazione della legge delega (in cui si venivano in rilievo quali indici: il rapporto fra i mezzi propri e mezzi di terzi, l’indice di rotazione dei crediti, l’indice di rotazione del magazzino e l’indice di liquidità, art.4 lett. h l.155/2017)[9], passando dallo schema di decreto legislativo presentato dal Governo (rapporto fra flusso di cassa e attivo, tra patrimonio netto e passivo, tra oneri finanziari e ricavi, art.13)[10], sino all’attuale formulazione che recepisce le osservazioni della commissione giustizia della Camera volte a: “sostituire il riferimento esplicito ad indicatori specifici con l’indicazione di aree di verifica più rilevanti, alle quali possono ascriversi i rapporti indicati” [11].
Attualmente, quindi, il primo comma dell’articolo sugli indicatori della crisi impone una valutazione circa la possibilità dell’impresa di onorare regolarmente i propri debiti su un termine di medio-breve periodo di sei mesi e nella prospettiva della continuità aziendale, tenuto anche conto: da un lato, dalla sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare; dall’altro dall’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi[12].
Pur a fronte dello sforzo profuso nell’enucleare in via normativa degli indici della crisi aziendale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto che sia il Consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti a individuare -con cadenza triennale- in ragione delle peculiarità delle diverse tipologia di attività imprenditoriale, quali siano gli indici –fra quelli di cui al comma 1- che in concreto consentano di presumere lo stato di crisi[13].
La scelta è stata, quindi, quella di affidare a soggetto diverso dall’organo legislativo -sebbene istituzionale- il compito di individuare gli indici che siano atti a disvelare lo stato di crisi e ciò sulla scorta della comprensibile preoccupazione degli operatori circa la difficoltà di individuare in maniera: “standardizzata” indici effettivamente sintomatici dello stato di crisi, considerate le (anche rilevanti) differenze che possono caratterizzare l’attività d’impresa, vuoi per le sue dimensioni, vuoi per il settore merceologico, vuoi ancora per la zona geografica ove l’attività è sita[14].
La medesima preoccupazione ha, poi, condotto alla formulazione del terzo comma dell’art.13 cci, ossia la possibilità per l’imprenditore di stimare l’inadeguatezza degli indici come sopra individuati in relazione alle caratteristica della propria attività e di indicare quelli che –di contro- considera adeguati, dandone conto nella nota integrativa e previa attestazione da parte di professionista qualificato[15].
Accanto a questo meccanismo di rilevazione degli indici della crisi di carattere più prettamente aziendalistico, sono poi fissati come indicatori della crisi i ritardi reiterati e significativi nei pagamenti, anche sulla base dell’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni e dell’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni, per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti.
Come già osservato, sarà importante verificare come –in concreto- si atteggeranno gli operatori del diritto nell’interpretazione del rapporto fra queste due tipologie di indici di allerta di natura, all’evidenza, non omogenea[16].
3. (segue): il ruolo degli amministratori
Lo strumento dell’allerta interna -ossia l’individuazione dei segnali della crisi all’interno dell’assetto organizzativo dell’impresa- è stato attuato dal legislatore della riforma tramite un duplice canale: da un lato, con la previsione dell’obbligo –in capo all’organo amministrativo- di approntare strutture organizzative in grado di rilevare tempestivamente gli indici della crisi, attivandosi –in caso di rilevazione di tali indici- per il loro superamento[17]; dall’altro, con l’introduzione di obblighi –in capo agli organi di controllo e di revisione delle società- di monitoraggio e di attivazione di un procedimento in prima battuta interno, volto al superamento della situazione di crisi eventualmente rilevata.
Raccogliendo anche spunti di carattere sovranazionale[18], il primo dei citati propositi è stato realizzato con l’introduzione di obblighi organizzativi a carico dell'imprenditore[19].
È stato quindi formulato il secondo comma all'art.2086 cc ai termini del quale: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”[20].
Il medesimo obbligo è stato espressamente esteso alle società di persone (modifica dell’art.2257 cc), alle s.p.a. (modifica degli artt.2380 bis c.c. e 2409 novies cc) e alle s.r.l. (modifica dell’art. 2475 c.c.)[21]. Stante il rimando generale di cui all’art.2519 cc, deve considerarsi sussistente anche in capo alle società cooperative.
L’organo amministrativo dovrà quindi dotare la struttura imprenditoriale di strumenti atti a rilevare l’esistenza di indici della crisi[22] e, ovviamente, la tipologia e le modalità operative di tali strumenti varieranno a seconda della minore o maggiore complessità dell’organizzazione aziendale[23].
Una volta intercettati sintomi di crisi, l’imprenditore deve –inoltre- attivarsi tempestivamente per la sua rimozione con l’adozione di: “uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”, immaginandosi che –a seconda della gravità della crisi rilevata- venga alternativamente adottato un rimedio di carattere interno –nelle ipotesi meno gravi- ovvero l’attivazione del procedimento innanzi all’OCRI ai sensi degli artt.18 e ss. cci[24].
Il codice della crisi estende poi agli amministratori di s.r.l. –nei limiti della compatibilità- gli obblighi già previsti dall’art.2381 cc nell’ambito delle società per azioni e, segnatamente, l’obbligo di curare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile in relazione alla natura e alle dimensioni dell'impresa e quello di relazionare con periodicità almeno semestrale sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione[25].
In altre parole, le società di capitali debbono ora dotarsi di strutture la cui adeguatezza non sarà più valutabile in relazione a parametri quantitativi o qualitativi, bensì (anche) in ragione del dato finalistico costituito dalla loro capacità di rilevare i sintomi della crisi e di attivare meccanismi per il recupero della continuità[26].
Pur con quelle che saranno le invitabili diversità dovute alle caratteristiche dimensionali, strutturali e dell’attività espletata da ciascun imprenditore, le modifiche del codice civile appaiono inesorabilmente destinate a incidere sul modo in cui –tradizionalmente- è stato considerato il cd. “merito imprenditoriale”[27].
Le scelte della strategia d’impresa sono, infatti, tendenzialmente considerate sottratte a censure (anche) in sede giurisdizionale e ciò in estrinsecazione della dedotta insindacabilità del business judgement rule[28]. La responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati nell’ambito dell’attività d’impresa viene, infatti, usualmente individuata in condotte di mala gestio consistenti non in scelte imprenditoriali, bensì in violazioni di disposizioni di legge ovvero nell’adozione di scelte palesemente e conclamatamente irragionevoli. Viene ora introdotto un nuovo obbligo che apre un potenziale fronte sconosciuto di sindacato delle scelte operate dall’imprenditore in relazione all’adeguatezza dell’assetto organizzativo approntato[29].
Se alla superiore constatazione si aggiunge che il codice della crisi ha anche introdotto: tanto l’obbligo per l’imprenditore di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori, oltre che di gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori[30]; quanto un’espressa previsione di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale[31], non appare più dubitabile il recepimento nel nostro ordinamento di quelle che sono le riflessioni della dottrina aziendalistica anglosassone secondo cui, in coincidenza con la twilight zone (ossia coll’insorgenza di sintomi della crisi), la libertà che connota l’attività d’impresa usualmente orientata al perseguimento del massimo profitto nell’interesse dell’imprenditore, deve essere –invece- improntata al diverso fine di tutela dell’aspettativa dei creditori di ottenere il soddisfacimento dei propri crediti[32].
La conseguenza che si intravede è che mentre sinora nell’ambito delle azioni di responsabilità è stata prestata scarsa attenzione all’operato dell’imprenditore (o del suo organo gestorio) quanto al comportamento tenuto nella twilight zone ravvisandosi sul tema scarna riflessione dogmatica e altrettanto rara giurisprudenza appuntandosi gli addebiti al più sull’esecuzione di comportamenti pregiudizievoli di carattere commissivo (quali ad esempio rimborso finanziamenti in violazione dell’art.2467 cc ovvero prosecuzione dell’attività d’impresa in situazioni di liquidazione di fatto che imporrebbero la ricapitalizzazione ovvero una gestione conservativa), d’ora innanzi suddetto operato sarà soggetto a vaglio critico a posteriori e ciò, si ritiene, non soltanto con riferimento all’an dell’attivarsi dell’imprenditore quanto (soprattutto) al quomodo e, quindi, all’adeguatezza della scelta in concreto operata e delle attività compiute[33].
Quasi a contrappeso delle accresciute responsabilità, il legislatore delegante aveva dettato fra i criteri direttivi quello relativo alla previsione di misure premiali per i soggetti che attivano tempestivamente i meccanismi di allerta innanzi illustrati[34].
Ne è conseguita l’introduzione di misure premiali di natura civile che attengono –in via generale- alla riduzione di interessi e sanzioni su tributi nel corso dell’espletamento della procedura innanzi all’OCRI ovvero di agevolazioni in caso di opzione per lo strumento del concordato preventivo quale modalità di superamento della crisi[35].
Sempre in favore dell’imprenditore in caso di accesso alla procedura innanzi all’OCRI sono poi previste cause di non punibilità per le ipotesi in cui i reati connessi all’esercizio dell’attività d’impresa abbiano cagionato un danno di particolare tenuità ovvero attenuanti ad effetto speciale, con riduzione della pena sino alla metà[36].
4. (segue): il ruolo degli organi di controllo
Come accennato, il secondo dei menzionati propositi è stato realizzato introducendo nuovi oneri di vigilanza in capo agli organi di controllo societari, al revisore contabile e alla società di revisione, già nella fase fisiologica dell’attività d’impresa[37], a integrazione di quelli esistenti[38].
Un siffatto controllo deve immaginarsi possibile anche grazie allo scambio di informazioni ex art.2409 septies cc ed è agevolato dall’introduzione di un obbligo di segnalazione anche all’organo di controllo societario delle eventuali variazioni di variazioni, revisioni o revoche di affidamenti da parte degli istituti di credito[39].
Ancor prima che nell’ambito di un eventuale contezioso civile, l’adeguatezza delle scelte imprenditoriali volte alla rilevazione degli indici della crisi sarà quindi oggetto di vaglio da parte dell’organo di controllo, con quella che è stata stigmatizzata come una profonda innovazione del ruolo di quest’ultimo che -sinora tendenzialmente confinato in un ruolo di verifica di legittimità formale a posteriori dell’operato dell’organo amministrativo- ne diventa un necessario interlocutore nella fase di definizione degli accorgimenti volti all’individuazione dei segnali di crisi[40].
La verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo durante tutto il corso dell’attività d’impresa si accompagna poi all’introduzione di un preciso obbligo di attivazione a carico dei medesimi soggetti nell’ipotesi di rilevazione di: “fondati indizi di crisi”.
Anche a prescindere da approfondimenti in questa sede circa l’esatta portata di questa locuzione, ciò nondimeno non può non rilevarsi come, anche in questa ipotesi, il ruolo degli organi di controllo si atteggia quale vero e proprio complemento dell’agire dell’amministratore, sopperendo alla sua eventuale inerzia e attivando il procedimento introdotto dall’art.14 co.2 cci che prevede in prima battuta la sollecitazione all’organo amministrativo di adozione di soluzioni adeguate al superamento della crisi, contempla poi un potere di valutazione dell’adeguatezza delle misure adottate e, in caso di insuccesso, ne disciplina la segnalazione della situazione all’OCRI[41].
La portata innovativa di queste disposizioni è amplificata da ulteriori modifiche al codice civile volte ad ampliare il novero delle società tenute a dotarsi di collegio sindacale[42]. Si tratta di disposizioni le cui ricadute concrete non sono ancora state vagliate stante il differimento al bilancio di esercizio 2021 dell’obbligo di nomina e adeguamento degli statuti societari[43], con la particolarità che la legge ha espressamente indicato nel Conservatore del registro delle imprese quale soggetto tenuto alla segnalazione al Tribunale dell’omesso adeguamento da parte delle società[44].
Proiezioni sulla scorta dei dati disponibili hanno già denunciato un aumento importante del numero di società a responsabilità limitata che saranno tenute a dotarsi collegio sindacale che dovrebbero passare dall’attuale 3% circa a una percentuale variabile fra il 28,5% al 35%[45], e ciò segnatamente in ragione dell’introduzione del (nuovo) parametro relativo al numero dei dipendenti, dato che –secondo i primi interpreti che si sono occupati del tema- potrebbe comportare ripercussioni sul versante occupazionale per l’assunto anelito delle società a rimanere sottratte all’obbligo di dotarsi di collegio sindacale[46].
Così come per l’organo amministrativo, anche per l’organo di controllo le modifiche apportate al codice civile dal codice della crisi paiono in grado di impattare in maniera significativa e sistematica sul ruolo tradizionalmente riconosciutogli dal diritto societario, non solo durante l’eventuale fase dell’insorgenza e della gestione della crisi, ma –più in radice- sull’ordinario assetto dei rapporti fra soggetti che partecipano alla realtà dell’impresa.
In primo luogo, infatti, la circostanza che gli organi di controllo siano chiamati a verificare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo approntato dall’organo gestorio ai fini della rilevazione tempestiva dei segnali di crisi comporterà inevitabilmente –a monte- un confronto fra i due organi che sarà necessario mantenere tale e non trasformarlo in un’opera di supplenza dei primi rispetto all’eventuale inerzia o incapacità del secondo[47].
In secondo luogo, già da più parti è stato palesato il timore che questo nuovo ruolo degli organi di controllo possa condurre a situazioni di tensione, vuoi con la proprietà vuoi con l’organo gestorio, tensione per il rischio che i primi indulgano in un eccesso di cautela nelle segnalazioni all’OCRI per beneficiare delle esenzioni da responsabilità connesse alle misure premiali[48], rivelando in via eccessivamente anticipata i profili di crisi aziendale.
Per garantire che –pur con gli inevitabili assestamenti dovuti alla nuova disciplina- gli assetti societari mantengano il loro equilibrio, le segnalazioni degli organi di controllo dovranno quindi essere gestite con estrema cautela e professionalità, tenuto anche conto che –in sede di segnalazione all’OCRI- la legge li esonera espressamente dal dovere di segretezza ex art.2407 cc sui fatti conosciuti per le ragioni del loro ufficio[49].
5. La c.d. allerta esterna
Un fronte del tutto originale aperto dal codice della crisi e dell’insolvenza è poi quello della cd. allerta esterna.
Sempre al deliberato fine di sollecitare l’imprenditore a prendere consapevolezza del proprio stato di crisi il legislatore italiano ha previsto che determinati enti pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, INPS e Agente per la riscossione) segnalino al debitore il superamento di determinate soglie di indebitamento[50], diversamente individuate in ragione del soggetto segnalante[51].
La disposizione appare solo parzialmente ispirata alle prescrizioni della direttiva (UE) 2019/1023 (cd. direttiva Insolvency) che immagina –quale strumento di allerta- la rilevazione dell’indebitamento da parte di soggetti qualificati, ma ciò nella prospettiva della sola segnalazione di tale circostanza all’imprenditore[52]. Nello scenario previsto dal legislatore italiano, invece, l’eventuale mancato riscontro da parte del debitore –nella forma di prova: vuoi dell’estinzione del debito, vuoi della presentazione di istanza di composizione assistita della crisi o di domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza- comporta l’onere per i soggetti pubblici qualificati di procedere con la segnalazione all’OCRI perché venga attivato il procedimento di cui agli artt.17 e ss. cci[53].
Su altro versante, verosimilmente consapevole dell’usuale inerzia o comunque ritardo con cui i creditori pubblici qualificati tutelano in sede giurisdizionale il proprio credito -come attestato: da un lato, dagli importi milionari dei crediti per i quali questi si insinuano nei passivi dei fallimenti; dall’altro, dalla (quasi) assenza di istanze di fallimento proposte da tali soggetti che pur hanno tutti gli strumenti per rilevare il crescere del debito e l’avviarsi verso lo stato di crisi dell’imprenditore- il legislatore ha introdotto misure sanzionatorie ove i suddetti enti non si attivino nei termini imposti dalla legge, consistenti per gli enti impositori nella perdita del privilegio e per l’agente per la riscossione nella perdita dei diritti per l’attività di riscossione[54].
La previsione appare un sicuro deterrente per il protrarsi di simili comportamenti da parte dei creditori qualificati, stante la notoria tendenziale incapienza degli attivi fallimentari rispetto ai crediti chirografari.
6. Allerta e legislazione di emergenza
A causa del dilagare della pandemia del COVID19, l’entrata in vigore dell’intero codice della crisi è stata posticipata al 21 settembre 2021[55].
Pur nella consapevolezza della quantità di profili problematici che la legislazione dell’emergenza pone contemporaneamente su una pluralità di fronti (dal diritto societario al diritto fallimentare, passando da questioni di natura contabile e aziendalistica, con ineludibili problematiche di natura civilistica) ci si permette di chiudere la presente riflessione sull’allerta societaria con due considerazioni su come l’allerta sia non solo non accantonabile, ma anche –forse- possa essere uno strumento per traghettare le imprese in crisi (non solo) da COVID19 verso un rinnovato recupero della continuità aziendale.
In primo luogo, deve rimarcarsi che se è vero che gli obblighi di segnalazione all’OCCRI di cui agli artt.14 e 15 cci e il conseguente procedimento (ossia la parte più innovativa del codice per via del coinvolgimento di un soggetto esterno all’impresa nell’individuazione di una soluzione alla crisi) saranno legge a partire dal prossimo autunno, comunque è rimasta e rimane vigente la disposizione che impone all’imprenditore collettivo l’adozione di assetti organizzativi adeguati e di attivarsi senza indugio per l’adozione degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale.
Non pare potersi affermare che tali obblighi siano venuti meno per via delle disposizioni della legislazione emergenziale che ha –fra le altre cose- sospeso gli obblighi di ricapitalizzazione[56] e fissato una presunzione di continuità aziendale nella redazione del bilancio di esercizio 2020[57] trattandosi di disposizioni volte a sospendere con una fictio iuris l’automaticità di alcune previsioni di legge a fronte di situazioni sintomatiche ed emblematiche di una situazione di crisi[58], che non sembrano –tuttavia- esonerare l’imprenditore dal potere (se non dovere) di attivarsi per ricercare una soluzione alla crisi insorgente[59], disvelata dalla perdita di continuità aziendale: “di fatto”.
In altri termini, pur a fronte della difficoltà di individuare una scelta strategica atta a consentire il superamento della crisi stante l’aleatorietà dei dati economici che rendono difficoltosa l’elaborazione di un piano industriale di ampio respiro, non pare che sia venuto meno l’obbligo per l’amministratore di individuare e monitorare tutti gli elementi che –a valle della causa di tutta la legislazione emergenziale, ossia la diffusione della pandemia da COVID19- costituiscono de facto la ragione della crisi (es. arresto dei flussi di cassa per via dell’obbligo di tenere chiuso l’esercizio commerciale ovvero per via del mancato pagamento da parte dei debitori, arresto della produzione per via della mancata ricezione delle forniture dall’estero, ecc…).
Così come non pare che la sospensione degli obblighi civilistici indicati esoneri dall’obbligo di ricerca di una soluzione della crisi, pur a fronte dell’assenza di strumenti ad hoc che tengano conto delle peculiarità delle ragioni della crisi, segnatamente con riferimento alla problematica relativa alla difficoltà di effettuare previsioni economiche di medio respiro, con le conseguenti ripercussioni in ordine alla difficoltà di immaginare e attestare piani di risanamento o di ristrutturazione aziendali.
La seconda riflessione –strettamente legata a quella che precede, ma non a questa perfettamente sovrapponibile- attiene all’attività degli amministratori durante il periodo della sospensione degli obblighi civilistici indicati, se si considera la mancata introduzione di un’esenzione dalle azioni revocatorie o da responsabilità penali in capo all’amministratore[60].
Questo significa che –a maggior ragione- può essere importante per l’imprenditore disporre di un assetto organizzativo che gli consenta di operare scelte razionali e consapevoli che –anche in mancanza di un piano di ristrutturazione- possa fornire una giustificazione e una spiegazione alle scelte operate sia in termini civilisti, che penalistici.
*Relazione di sintesi dell’intervento svolto al corso “Doveri e responsabilità dell’imprenditore nella gestione dell’impresa in forma collettiva, alla lice dell’art. 2086 c.c. riformato”, organizzato, da remoto, dal 11 al 13 novembre 2020, dalla Scuola Superiore della Magistratura, in collaborazione con la formazione decentrata di Perugia
[1] La relazione illustrativa al codice osserva peraltro che: “la necessità dell'ingresso anticipato in procedura dell'imprenditore in crisi è principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti e fa parte dei principi elaborati dall'UNCITRAL e dalla Banca Mondiale per la corretta gestione della crisi d'impresa”, Parte prima. Titolo II. Capi I, II, III e IV
[2] Si tratta della medesima scelta ideologica che si pone alla base della normativa comunitaria, segnatamente della Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 (2014/135/UE) e della Proposta di direttiva del parlamento europeo e del consiglio, Strasburgo, 22.11.2016, COM (2016) 723 Final in cui viene dato grande risalto anche agli effetti positivi che la continuità aziendale garantisce al sistema bancario (cui viene consentito il recupero di, almeno parte, dei crediti –altrimenti- deteriorati) e alla libera circolazione delle imprese (che non saranno impedite dall’avvio di rapporti economici con imprese di altri paesi né si asterranno dall’avviare attività economiche negli altri paesi in ragione del timore di non poter ottenere utili certi).
[3] Art.2, co.1 lett.a Codice della crisi e dell’insolvenza. Secondo la scienza aziendalistica la crisi dell’impresa si articola, usualmente, su cinque fasi: Fase 1 - Incubazione della crisi e allerta interna “informale”; Fase 2 - Maturazione della crisi e allerta interna “formale”; Fase 3 - Crisi conclamata reversibile, allerta interna “verso l’esterno” e allerta esterna; Fase 4 - Insolvenza reversibile e ricorso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza; Fase 5 - Insolvenza conclamata e istanza di liquidazione giudiziaria (cfr. sul punto: A. Danovi, P. Riva, Le cinque fasi della crisi e dell’allerta, in www.ilfallimentarista.it). Gli Autori rilevano anche come: “Nel suo normale ciclo di vita, l’impresa può incorrere in periodi di crisi. Individuare per tempo quelli che possono esserne i segnali è una necessità: se la crisi è monitorata tempestivamente e con gli opportuni provvedimenti può essere risolta e, a volte, rappresentare anche una opportunità di crescita. Il concetto di crisi, per gli imprenditori, è complesso da affrontare; molti di essi mostrano un atteggiamento di rigetto nei confronti di questa eventualità e hanno una sostanziale difficoltà ad ammettere il declino, almeno fintanto che non assuma una rilevanza tale che la crisi non può più essere occultata. Le crisi, infatti, sono in genere precedute da fasi di declino che, se tempestivamente diagnosticate ed affrontate, consentono di fermare il processo degenerativo ed innescare una inversione di rotta (turnaround). Spesso le crisi si manifestano non perché siano inevitabili, ma perché le imprese non riescono a cogliere i segnali di allarme, non sono in grado di limitare gli effetti dannosi e soprattutto di monitorare le minacce per prevenirle”.
[4] L’art.12 cci co.1: “costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”.
[5] Art.12 co.4 e 5: “4. Gli strumenti di allerta si applicano ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, esclusi le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri stabiliti dal Regolamento della Commissione Nazionale per le società e la borsa - CONSOB concernente la disciplina degli emittenti. 5. Sono altresì escluse dall’applicazione degli strumenti di allerta: a) le banche, le società capogruppo di banche e le società componenti il gruppo bancario; b) gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385; c) gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento; d) le società di intermediazione mobiliare, le società di gestione del risparmio, le società di investimento a capitale variabile e fisso, le società capogruppo di società di intermediazione mobiliare e le società componenti il gruppo; e) i fondi comuni di investimento, le succursali di imprese di investimento e di gestori esteri di fondi di investimento alternativi; i depositari centrali; f) le fondazioni bancarie di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153; g) la Cassa depositi e prestiti di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n.326; h) i fondi pensione; i) le imprese di assicurazione e riassicurazione di cui al codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. l) le società fiduciarie di cui all’articolo 199 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; le società fiduciarie, le società fiduciarie e di revisione e gli enti di gestione fiduciaria disciplinati dalla legge 23 novembre 1939, n. 1966; le società di cui all’articolo 2 del decreto legge 5 giugno 1986, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 1986, n. 430; le società fiduciarie di cui all’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 412”.
[6] Secondo gli aziendalisti: “la crisi rappresenta una fase di squilibrio economico – finanziario, che è in grado, se non affrontata, di mettere a repentaglio la continuità aziendale. Le tre condizioni di equilibrio aziendale: i) economica, ii) finanziaria e iii) patrimoniale, vanno tenute nella massima considerazione da parte degli organi di governance e di controllo, i quali dovranno considerare l’unitarietà delle oscillazioni, come se fossero aggregate in un unico contenitore. La perdita di marginalità che origina il disequilibrio economico nel tempo, falcidia il capitale netto ed intacca la solidità patrimoniale dell’azienda. Inizia in tal modo a disgregarsi l’equilibrio patrimoniale, con un conseguente incremento dell’indebitamento. Il disequilibrio finanziario e patrimoniale, originato solitamente dal disequilibrio economico, provoca indirettamente un ulteriore aggravamento del conto economico, mediante l’incremento degli oneri finanziari. La patologia è rappresentata dai seguenti valori apicali negativi: i) il patrimonio netto azzerato ii) il cash flow azzerato. Insomma per definirla semplicemente, per i giuristi, è l’insolvenza prospettica o futura” (A. Ferri, La procedura di allerta tra il D.L. n. 83/2015, la legge delega di riforma e le bozze di decreti attuativi, in www.ilfallimentarista.it).
[7] Sul nuovo ruolo del concetto di continuità aziendale nell’ambito della sfera gestoria dell’impresa e non più meramente contabile cfr., da ultimo: F. Foglietta, La continuità aziendale nel nuovo CCII tra scansione temporale e obblighi degli amministratori, in Le società, 8-9/2020, 821 e ss.
[8] L. GAMBI, Continuità aziendale e responsabilità degli amministratori, www.ilfallimentarista.it.
[9] Cfr. per un commento alle criticità insite in questi indici: R. Ranalli, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità, in www.ilfallimentarista.it.
[10] R. Ranallli, Il codice della crisi gli “indicatori significativi”: la pericolosa conseguenza di un equivoco al quale occorre porre rimedio, in www.ilcaso.it in cui si stigmatizza il rischio che tali indici comporti il verificarsi di: “falsi positivi”.
[11] Cfr. commento all’art.13 della relazione illustrativa. Per alcune di queste riflessioni: Cfr. R. Ranallli, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie e opportunità, in www.ilfallimentarista; P. Bastia, Soluzioni per l’accertamento precoce della crisi, in www.osservatorio-oci.org.
[12] Art.13: “1. Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”.
[13] Art.13: “2. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n.221, alle PMI innovative di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello Sviluppo economico”. La prima elaborazione di: “Crisi d’impresa. Gli indici dell’allerta” è stato pubblicato il 20 ottobre 2019 ed è reperibile su: https://commercialisti.it/documents/20182/1236821/codice+crisi_definizioni+indici+(ott+2019).pdf/2072f95c-22a2-41e1-bd2f-7e7c7153ed84.
[14] Cfr. per uno dei primi commenti alla disposizione: C. Sottoriva – A. Cerri, Sulle modalità di conteggio del requisito dimensionale dei dieci dipendenti: Le modifiche alla disciplina civilistica in tema di governance nel nuovo Codice della crisi, in www.ilsocietario.it.
[15] Art.13: “3. L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati a norma del comma 2 ne specifica le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indica, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali indici in rapporto alla specificità dell’impresa. L’attestazione è allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte integrante. La dichiarazione, attestata in conformità al secondo periodo, produce effetti per l’esercizio successivo”. Il Decreto legislativo del 26 ottobre 2020, n. 147: “Disposizioni integrative e correttive a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2019, n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155” (di seguito: decreto correttivo) chiarisce che gli effetti si producono: “a partire dall’esercizio successivo” e non: “per l’esercizio successivo”.
[16] Stigmatizza il rischio che si venga così a creare: “uno scenario in cui la crisi diviene definita come tale al verificarsi almeno di una delle tre condizioni per godere delle misure premiali e quindi l’imprenditore non misura più tanto la propria crisi con la costante rilevazione della inadeguatezza dei flussi di cassa, quanto invece con l’osservazione dei tre indici di tempestività”, di F. Diomeda, Continuità aziendale: capitale di funzionamento e procedure di allerta, in www.ilsocietario.it.
[17] Art.14 lett.b della legge delega n.155/2017 aveva disposto che venisse introdotto sia a carico dell’imprenditore che degli organi amministrativi l’obbligo di: a) di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale; b) di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale
[18] Considerando 16 della proposta di direttiva: "Tra i possibili meccanismi di allerta dovrebbero figurare obblighi di contabilità e monitoraggio in capo al debitore o ai dirigenti del debitore e obblighi di segnalazione nell’ambito dei contratti di prestito".
[19] La relazione di accompagnamento ai decreti legislativi presentati dalla cd. Commissione Rordorf indica gli obblighi organizzativi quali misure di allerta, così come l’art.12 del Codice chiarisce che: “Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli artt.14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”.
[20] Art.375 cci, disposizione entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del d.lgs.14/2019 in Gazzetta ufficiale (art.389 co.2 cci), avvenuta il 14 febbraio 2019.
[21] Art.377 co.1-4 cci.
[22] A riguardo, vale la pena segnalare che al fine di fugare i dubbi sollevati in relazione all’apparente contraddizione tra le disposizioni del codice civile che consentono di affidare ai soci competenza gestorie (es. art.2479 cc) ovvero particolari diritti riguardanti l’amministrazione delle società (es. art.2468 co.3 cc) il decreto correttivo è nuovamente intervenuto sul codice civile precisando che –ferme restando le regole generali sulle competenze gestorie- l’istituzione degli assetti organizzativi spetta in via esclusiva agli amministratori (cfr. art.40 decreto correttivo cit. e relativa relazione illustrativa).
[23] Stigmatizza le difficoltà di immaginare modelli unitari di rilevazione dello stato di crisi in ragione delle crescenti dimensioni dell’organizzazione imprenditoriale: P. Bastia, Soluzioni, cit.
[24] Per un’illustrazione dei diversi strumenti cui può ricorrere l’amministratore per fronteggiare l’insorgenza della crisi: A. Nigro – D. Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione: l’esperienza italiana, in www.ilcaso.it.
[25] Art.377 co.5 cci: “5. All’articolo 2475 del codice civile, dopo il quinto comma è aggiunto il seguente: “Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2381.”
[26] Cfr. in tema: V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Rivista delle società, 2017, 311 e ss.
[27] Sottolinea la necessità di tenere distinti la responsabilità per difetto di istituzione di adeguati assetti organizzativi e la responsabilità per mancata tempestiva reazione a fronte del manifestarsi della crisi: R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. società, 2019, 929 e ss.
[28] Sul tema si segnala la ricostruzione sistematica che si legge in: Business judgement rule e mercati finanziari, S. Alvaro, E. Cappariello, V. Gentile, E.R. Iannaccone, G. Mollo, S. Nocella, M. Ventoruzzo; con prefazione a cura di P. Marchetti, Quaderni CONSOB, 11 novembre 2016.
[29] Cfr. sul tema: L. A. Bottai, “Le modifiche al codice civile dettate dalla L. n. 155/2017 e l’affermazione del diritto concorsuale societario”, in www.ilfallimentarista.it che rileva come: “le scelte imprenditoriali degli amministratori non siano più insindacabili (secondo la business judgement rule) ogni qualvolta le conseguenze negative siano riconducibili, almeno in parte, al difetto di organizzazione dell’impresa stessa; pregiudizio per la società e i creditori in termini di aggravamento del dissesto o di peggioramento delle condizioni patrimoniali, si configurerà piena responsabilità di entrambi gli organi”.
[30] Art.4 co.1 lett. b e c.
[31] Cfr. art.378 co.1 cci che aggiunge il comma 5 all’art.2476 cc del seguente tenore: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.”
[32] Significativo di questo nuovo modo di intendere il ruolo degli imprenditori (amministratori) è il Considerando 70 della Direttiva (Ue) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza): "Per promuovere ulteriormente la ristrutturazione preventiva è importante garantire che i dirigenti non siano dissuasi dal prendere decisioni commerciali ragionevoli o dal correre rischi commerciali ragionevoli, in particolare ove potrebbero migliorare le probabilità di successo della ristrutturazione di un'impresa potenzialmente economicamente sostenibile. Qualora l’impresa versi in difficoltà finanziarie, i dirigenti dovrebbero prendere le misure opportune, quali: richiedere consulenza professionale, anche sulla ristrutturazione e sull'insolvenza, ad esempio facendo ricorso a strumenti di allerta, se del caso; proteggere gli attivi della società in modo da massimizzarne il valore ed evitare perdite di attivi fondamentali; esaminare la struttura e le funzioni dell'impresa per valutarne la sostenibilità economica e ridurre le spese; non impegnare l'impresa in tipi di operazioni che potrebbero essere oggetto di azioni revocatorie, a meno che sussista un’adeguata giustificazione commerciale; proseguire gli scambi commerciali nelle circostanze in cui è opportuno per massimizzare il valore della continuità aziendale e avviare trattative con i creditori e procedure di ristrutturazione preventiva”.
Nella stessa prospettiva di tutela del ceto creditorio è il Considerando 71 della direttiva secondo cui: “Se il debitore è prossimo all'insolvenza, è inoltre importante proteggere i legittimi interessi dei creditori da decisioni di gestione che potrebbero ripercuotersi sulla costituzione della massa fallimentare, in particolare se tali decisioni possono avere l'effetto di diminuire ulteriormente il valore della massa disponibile per la ristrutturazione o la distribuzione ai creditori. È pertanto necessario assicurarsi che, in tali circostanze, i dirigenti evitino condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, determinino l'arricchimento personale a spese dei portatori di interessi, evitare che accettino operazioni sotto il valore di mercato o intraprendano azioni che possano portare a ingiusta preferenza di uno o più portatori di interessi. Gli Stati membri dovrebbero poter attuare le corrispondenti disposizioni della presente direttiva provvedendo affinché l'autorità giudiziaria o amministrativa, nel valutare se un dirigente debba esser ritenuto colpevole di violazioni del dovere di diligenza, tenga conto delle norme in materia di obblighi dei dirigenti di cui alla presente direttiva. La presente direttiva non intende stabilire alcuna gerarchia tra le varie parti i cui interessi devono essere tenuti in debita considerazione. Ciononostante, gli Stati membri dovrebbero poter decidere sulla definizione di una tale gerarchia. La presente direttiva dovrebbe lasciare impregiudicate le norme nazionali degli Stati membri relative ai processi decisionali all'interno di una società".
Nell’ordinamento interno, si segnala che il tema del comportamento dell’amministratore nella fase: “crepuscolare” dell’impresa è stato recentemente oggetto di riflessione in relazione ai pagamenti dei creditori: Cassazione civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n.521, annotata da M. Fabiani, in Il Fallimento, 2020, 333 e ss: “La regola della par condicio creditorum all’esterno della procedura di concorso”.
[33] Nell’ordinamento interno, si segnala che il tema del comportamento dell’amministratore nella fase: “crepuscolare” dell’impresa è stato recentemente oggetto di riflessione in relazione ai pagamenti dei crediti che dovrebbero –anche in questa fase- seguire l’ordine delle cause legittime di prelazione (Cassazione civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n.521, annotata da M. Fabiani, in Il Fallimento, 2020, 333 e ss: “La regola della par condicio creditorum all’esterno della procedura di concorso”).
[34] Cfr. art.4 lett h legge delega n.155/2017 che prevedeva l’introduzione di: “misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale in favore dell’imprenditore che ha tempestivamente proposto istanza di cui alla lettera b”, ossia il ricorso all’OCRI.
[35] Art.25: “1. All’imprenditore che ha presentato all’OCRI istanza tempestiva a norma dell’articolo 24 e che ne ha seguito in buona fede le indicazioni, ovvero ha proposto tempestivamente ai sensi del medesimo articolo domanda di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile, sono riconosciuti i seguenti benefici, cumulabili tra loro: a) durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione gli interessi che maturano sui debiti tributari dell’impresa sono ridotti alla misura legale; b) le sanzioni tributarie per le quali è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell’ufficio che le irroga sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell’istanza di cui all’articolo19, comma 1, o della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza; c) le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi sono ridotti della metà nella eventuale procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza successivamente aperta; d) la proroga del termine fissato dal giudice ai sensi dell’articolo 44 per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti è pari al doppio di quella che ordinariamente il giudice può concedere, se l’organismo di composizione della crisi non ha dato notizia di insolvenza al pubblico ministero ai sensi dell’articolo 22; e) la proposta di concordato preventivo in continuità aziendale concorrente con quella da lui presentata non è ammissibile se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo dei crediti”.
[36] Art.25: “2. Quando, nei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura, il danno cagionato è di speciale tenuità, non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti. Fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità, per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000 euro”.
[37] Art. 14 (Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari): “1.Gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi”.
[38] Cfr. sul punto, da ultimo: C. Cengia, Collegio sindacale di s.p.a.: poteri, doveri e responsabilità, in www.ilsocietario.it.
[39] Art.14 co.4: “4. Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti.”
[40] Cfr. sul tema: A. Luciano, Le “procedure di allerta” previste dalla c.d. riforma Rordorf: un nuovo ruolo per amministratori e sindaci?, in www.ilsocietario.it che osserva come: “la Riforma delinei un “nuovo” ruolo per l’organo di controllo (e, per gli aspetti di sua competenza, per il revisore dei conti), il quale – per mezzo delle valutazioni di cui sopra e nei limiti delle stesse – diviene “parte attiva” nel processo non solo di rilevazione, ma anche di gestione della crisi dell’impresa societaria. Resta inteso che anche qualora le previsioni disposte dalla “Riforma” entrino in vigore, la funzione gestoria continuerà formalmente a spettare in via esclusiva agli amministratori (cfr., con riguardo alle s.p.a., il disposto dell’art. 2380-bis c.c.). Può facilmente immaginarsi, però, come le regole esposte in precedenza siano idonee perlomeno a generare una dialettica tra l’organo amministrativo e i sindaci, funzionale a individuare le decisioni maggiormente “adeguate” e “necessarie” in rapporto alla crisi”.
[41] Art.14: “2.La segnalazione deve essere motivata, fatta per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione, e deve contenere la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, i soggetti di cui al comma 1 informano senza indugio l’OCRI, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga al disposto dell’articolo 2407, primo comma, del codice civile quanto all’obbligo di segretezza”.
Pare utile ricordare che l’art.11 del d.l. 2 marzo 2020 n.9 ha previsto –in via generale- che l’obbligo di segnalazione di cui agli artt.14 co.2 e 15 del cci decorra a partire dal 15 febbraio 2021. L’art.42 del Decreto correttivo pospone –tuttavia- l’entrata in vigore di tutte le disposizioni (all’eccezione di quelle che riguardano l’iscrizione all’albo) all’entrata in vigore del Codice della crisi, attualmente fissata al 01 settembre 2021 dall’art.5 del d.l. 23 del 2020.
[42] Art.379: “1.All’articolo 2477 del codice civile il terzo e il quarto comma sono sostituiti dai seguenti: “La nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società: a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; c) ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 unità. L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non è superato alcuno dei predetti limiti.”
[43] Art.379: “3. Le società a responsabilità limitata e le società cooperative costituite alla data di entrata in vigore del presente articolo, quando ricorrono i requisiti di cui al comma 1, devono provvedere a nominare gli organi di controllo o il revisore e, se necessario, ad uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni di cui al predetto comma entro la data di approvazione dei bilanci relativi all'esercizio 2021, stabilita ai sensi dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile. Fino alla scadenza del termine, le previgenti disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non sono conformi alle inderogabili disposizioni di cui al comma 1. Ai fini della prima applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2477 del codice civile, commi secondo e terzo, come sostituiti dal comma 1, si ha riguardo ai due esercizi antecedenti la scadenza indicata nel primo periodo” (comma modificato dall'articolo 8, comma 6-sexies, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 8 e successivamente dall'articolo 51-bis, comma 1, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77).
[44] Art.379: “2. All’articolo 2477, sesto comma, del codice civile, dopo le parole “qualsiasi soggetto interessato” sono aggiunte le seguenti: “o su segnalazione del conservatore del registro delle imprese”.
[45] Nella memoria della Banca d’Italia sullo Schema di decreto legislativo recante Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 presentata al Senato della Repubblica il 26 novembre 2018 si legge sul punto: “l’universo delle imprese potenzialmente interessate dall’applicazione delle procedure è costituito dalle società obbligate alla costituzione dell’organo di controllo (per le s.r.l. debbono essere considerati i nuovi parametri di cui all’art. 2477, comma 3, lett. c) c.c.), ad esclusione delle “grandi imprese”. Sulla base dei dati di bilancio relativi agli anni 2015 e 2016 forniti da Cerved – associati ai dati INPS sugli addetti – si stima che il numero di società assoggettabili alla procedura sia pari a circa 180.000, corrispondenti a circa il 35 per cento delle società di capitali del campione considerato (cfr. allegato 1). Peraltro, in ragione dei dati disponibili, si tratta di valori sottostimati”.
[46] E. Brodi -T. Orlando, Nomina dell’organo di controllo nelle s.r.l.: un esercizio di quantificazione alla luce dei nuovi parametri dimensionali, in www.ilcaso.it.
[47] Cfr. con riferimento al rapporto fra i due organi: V. De Sensi, Adeguati assetti, cit.
[48] Art.14: “3. La tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del comma 1 costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione, a condizione che, nei casi previsti dal secondo periodo del comma 2, sia stata effettuata tempestiva segnalazione all’OCRI. Non costituisce giusta causa di revoca dall’incarico la segnalazione effettuata a norma del presente articolo”.
[49] Art.14 co.2 cci. Deve segnalarsi che in sede di correttivo analoga esenzione dall’obbligo di riservatezza è stata introdotta per l’organo di revisione di cui all’art.9 bis co.1 e 2 del dl.gs.27 gennaio 2010 n.39.
[50] V. Zanichelli, La segnalazione dei creditori pubblici qualificati: quod sine die debetur numquam debetur?, in www.ilcaso.it, 26 marzo 2019, osserva come: “Se il legislatore ha puntato innanzitutto sulla collaborazione degli organi di controllo per l’emersione della crisi, non ha tuttavia rinunciato a ricercare anche fuori dell’impresa soggetti de-tentori di dati che, se non necessariamente univoci, fossero probabili indici di crisi”.
[51] La disposizione dell’art.14 co.2 cci che fissa i suddetti limiti è stata oggetto di intervento da parte dell’art.3 co.4 del decreto correttivo cit., con riferimento alla segnalazione dell’Agenzia delle entrate tanto in relazione alla soglia di indebitamento, tanto con riferimento al termine a quo da cui comincia a decorrere il termine per la segnalazione.
[52] Art.3 Allerta precoce e accesso alle informazioni: “1.Gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio. Ai fini di cui al primo comma, gli Stati membri possono avvalersi di tecnologie informatiche aggiornate per le notifiche e per le comunicazioni online. 2. Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”.
[53] In relazione all’entrata in vigore delle disposizioni relative agli obblighi di segnalazione si vedano le considerazioni svolte in relazione agli obblighi di segnalazione gravano sugli organi di controllo.
[54] Art. 15 cci: “1. L’Agenzia delle entrate, l’Istituto nazionale della previdenza sociale e l’agente della riscossione hanno l’obbligo, per i primi due soggetti a pena di inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari, per il terzo a pena di inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione, di dare avviso al debitore, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui siano in possesso, o, in mancanza, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria, che la sua esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante di cui al comma 2 e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell’avviso egli non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o se, per l’Agenzia delle entrate, non risulterà in regola con il pagamento rateale del debito previsto dall’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.462 o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, essi ne faranno segnalazione all’OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società”.
[55] Art.5 Decreto Legge del 08/04/2020 - N. 23 (come modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 5 giugno 2020, n. 40, in sede di conversione) che ha modificato il termine indicato nell’art.389 cci.
[56] Art. 6 d.l. 23/2020 convertito dalle legge n.40/2020: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quattro, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.
[57] Art.7 d.l.23/2020 come modificato in sede di conversione dalla legge n.40/2020: “1. Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all'articolo 106 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, di seguito citato anche come "decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18". Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente”. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati. 2-bis. All'articolo 106, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "E' facoltà delle società cooperative che applicano l'articolo 2540 del codice civile di convocare l'assemblea generale dei soci delegati entro il 30 settembre 2020". Da evidenziarsi anche il più recente: Decreto Legge del 19/05/2020 - N. 34 Art. 38 quater: “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio” che recita: “1. Nella predisposizione dei bilanci il cui esercizio è stato chiuso entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze concernenti gli eventi successivi, nonchè alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 2. Nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile può comunque essere effettuata sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonchè alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 3. L'efficacia delle disposizioni del presente articolo è limitata ai soli fini civilistici” (Articolo inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 17 luglio 2020, n. 77, in sede di conversione).
[58] Cfr.: “Crisi d’impresa. Gli indici dell’allerta”, cit. punto 3.1.1. in cui il patrimonio netto negativo è stimato indice di crisi in tutte le imprese
[59] Valorizza tale preciso dovere dell’amministratore: Tribunale di Catania, Sez. fall., 28 maggio 2020, in Le società, 8-9/2020, 845 e ss.
[60] Cfr. in tema: G. Strampelli: La preservazione (?) della continuità aziendale nella crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Rivista delle Societa', fasc.2, 2020, secondo cui le citate previsioni: “delineano un safe harbour dall'incerta portata. Pur trattandosi di una scelta particolarmente delicata, il legislatore potrebbe valutare l'opportunità di introdurre un esonero da responsabilità, eventualmente escludendo la responsabilità per colpa grave, per il compimento di eventuali atti, non conformi ad una condotta conservativa, pregiudizievoli per i creditori. Una simile misura, analoga a quella adottata nel Regno Unito ed in altri Paesi, sebbene possa aprire il varco ad eventuali abusi, non parrebbe del tutto ingiustificata in considerazione del fatto che per molte imprese il superamento della crisi impone l'effettuazione di investimenti e di scelte gestionali di natura non conservative per adottare i necessari presidi di sicurezza per il contenimento e la prevenzione del contagio o, in molti, casi per un più radicale adattamento del modello di business al contesto economico e sociale determinatosi a seguito della pandemia. In conclusione, indipendentemente dalla misure che a tal fine si ritengano più opportune, è prioritario evitare che le misure di emergenza volte a ritardare o nascondere l'emersione della crisi come quelle degli articoli 6 e 7 del Decreto Liquidità, pur necessarie per fronteggiare gli effetti immediati della crisi dovuti all'inattività durante il periodo di lockdown, non si tramutino, nel medio termine, nello strumento per coprire l'inefficacia — ovvero la mancata adozione — di provvedimenti diretti a favorire l'afflusso di risorse finanziarie alle numerosissime imprese in crisi sì da porle in condizione di superare gli effetti, prevedibilmente di non breve durata, della pandemia”; nonché: N. Abriani - P. Rinaldi, Emergenza sanitaria e tutela proporzionata delle imprese: oltre la domanda “tricolore”, 2020, in www.ilcaso.it, 5. Invoca un’esenzione di responsabilità in capo a coloro che si: “trovano ad assumere decisioni in scenari oggettivamente imprevedibili” anche: L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Rivista delle societàfasc.2, 2020, 353 3 e ss.
I diritti illustrati. Intervista a Fabio Magnasciutti
di Maria Cristina Amoroso
“Non mi sono mai occupato di diritto”, mi ha detto quando gli ho proposto di rilasciare un intervista per la nostra Rivista, “proprio per questo sarà divertente”, ho risposto.
Difficile dire in poche righe chi è Fabio Magnasciutti.
Potrei definirlo un illustratore di successo ed elencare le testate famose che hanno ospitato i suoi disegni: l’Unità, la Repubblica, il Manifesto, Left, i programmi per i quali ha curato sigle o animazioni quali “Anno Zero” e “Che tempo che fa”, i numerosi progetti editoriali realizzati, tra cui le illustrazioni del testo “il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini, ricordandovi che insegna illustrazione editoriale presso lo IED di Roma (Istituto Europeo di design).
Ma non renderebbe giustizia alla sua autopresentazione in cui, nell’enfatizzare la sua identità sostanziale, ha omesso tutto ciò che di “gloria pubblica e nomenclatura” avrebbe potuto sciorinarmi definendosi prima di ogni altra cosa il fondatore di Officina B5, scuola di illustrazione senza esami - come giusto che sia in una novella e prolifica “bottega rinascimentale” popolata da giovani appassionati dalle facce piene di futuro - e membro della band musicale “Her Pillow”, unitamente a suo fratello che, come traspare dai suoi racconti, ha svolto nella sua vita il ruolo di guida e mentore.
Perché lui? Perché il suo lungo viaggio di disegnatore, iniziato da bambino in un infanzia essenziale vissuta in una casa popolare paradossalmente ubicata nel ricco quartiere di Prati, l’ha trasformato negli ultimi anni in un “giurialchimista inconsapevole”, che, pur immaginandosi lontano da tutto ciò che si potrebbe ritenere “alloggiare” in una rivista giuridica, nei suoi disegni ne ha condiviso convintamente le tematiche.
La matita di Fabio dà forma all’universo della diversità, alla mal praticata accoglienza dei migranti, ai neo rigurgiti fascisti, al duello tra amore e violenza, alla difesa della libertà di espressione.
Gustate nel loro insieme le sue opere divengono pagine insolite di un manuale di diritto colorato di cui l’amore dell’uomo per l’uomo è il primo imperdibile capitolo.
Nelle sue creazioni aleggia un sottinteso sapiente: l’etica della sintonia con il proprio sé e l’empatia con l’altro sono ingredienti irrinunciabili per l’affermazione di qualsiasi regola scritta e, quindi, per una società migliore.
“Come si cambia il mondo? prendendolo per mano”, così in una romantica vignetta in cui un anziano ed un bambino di spalle camminano verso il futuro.
E affinché davvero quel mondo possa essere cambiato la sostanza deve prevalere sulla forma, l’essere sull’apparire, senza troppi girasoli che si rivolgono acriticamente verso soli veri o lampadine.
Un cuore in primo piano dice a frecce che non riescono a scalfirlo “c’è cuore e cuore e freccia e freccia”, Non tutto è vero, non tutto fa davvero breccia.
Drammatica e pertanto meravigliosamente ironica è la confessione del mitico struzzo BIP BIP al suo psicanalista: “ho un solo follower”, troppo poco per una società in cui l’esibizionismo ha stravinto.
Cercate i suoi piccoli capolavori su internet, sui social, guardateli, mangiateli e capirete perché ho voluto catturarlo e farlo nostro prigioniero, le sue vignette sull’emergenza Covid e sul proliferare dei DPCM vi lasceranno entusiasti.
Dare la forma dell’intervista a tre ore di chiacchierata onirica in cui le parole di Fabio sono esattamente in grado di definire plasticamente ricordi, sensazioni e stati d’animo è una impresa ardua e quindi di sicuro sbaglierò, perderò frammenti e frasi che avrei dovuto registrare ed appuntare per condividerle come meritavano.
Dal ricordo di una sua frequentazione che ignorava sistematicamente le piccole richieste d’aiuto dei mendicanti in strada alla sua attenzione per il fenomeno migratorio il passo è stato breve.
D. Nelle tue illustrazioni si affronta spessissimo il tema dell’accoglienza mancata ferita e bistrattata, le tue sono barche che non arrivano mai a terra, che rimangono sempre lontane dalla riva, sospese…
R. Ancora in questi giorni è rimasta sommersa dalle notizie sul Covid il tragico racconto dell’ennesimo naufragio in mare. Ed è inquietante osservare la costante ciclicità dell’attenzione e della disattenzione che avvolge un fenomeno che c’è sempre stato e che sempre ci sarà. Dovrebbe balzare agli occhi, ma ciò non accade, quanto sia impossibile ignorare le necessità umane. E l‘incompletezza dell’arrivo delle barche e dei barconi rispecchia la mia volontà di accendere un faro su ciò che continua a essere ogni giorno, ogni ora, l’ignoranza di un semplice e basilare bisogno umano, rinunciando al contempo a offrire risposte sulla modalità più adatta a soddisfare gli ineludibili bisogni di chi, per esigenze dolorose e non, semplicemente decide o è costretto a spostarsi dall’ora e dal qui.
D. In nessuna delle tue vignette si trovano risposte, infatti.
R. Il “ma” e il “forse” sono le categorie di riferimento di ogni mia creazione, non ho nessuna velleità di offrire certezze, non disegno per divulgare asserzioni immutabili. Il dubbio è sotteso a ogni illustrazione perché la mia espressione nasce dall’esigenza egoistica di tirare fuori qualcosa, di liberarmi in maniera catartica di un pensiero e di un’idea che chiede di fuggire fuori. E così per quel che riguarda l’umanità che lascia un luogo per arrivare a un altro, perché di tale si tratta e non di semplici migranti, semino un dubbio, sperando che raggiunga almeno uno dei fruitori dei miei disegni e che sblocchi l’attenzione su un tema totalmente collegato ai bisogni elementari. La sensazione cocente dell’umiliazione altrui, anche quando non è percepita dagli stessi soggetti che anelano a un luogo sicuro, a una casa o al cibo, è la molla che ancora non sia attiva, l’anello empatico in mancanza del quale non diventa urgente dare soluzioni al problema e la richiesta diventa invisibile e naufraga nel silenzio.
D. Straordinaria, secondo me, è la vignetta del coltello insanguinato che perde la sua forza a fronte di una matita che disegna un cuore. Quanto è difficile rappresentare la violenza con toni lievi?
R. La mia illustrazione è il frutto di un lavoro conscio e inconscio molto potente. Ogni espressione grafica deve tenere conto della forma e della sostanza del messaggio. Disegnare, ad esempio, per un fumetto o per una sceneggiatura richiede l’utilizzo di tecniche diverse. Il tratto esteriore non è evidentemente scindibile dal contenuto del messaggio, il significante e il significato sono intrinsecamente legati tra loro e quindi la forma si fonde e diventa sostanza. Il verso “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” è un verso rapido, precario perché tale è il suo contenuto, le foglie attaccate a malapena come la vita dei soldati sul fronte. Di tale inscindibile relazione tra forma e sostanza parla Raymond Queneau in “esercizi di stile”, un testo in cui un banale episodio di vita quotidiana è narrato con novantanove stili diversi assumendo altrettanti significati. Placo, quindi, la mia urgenza di comunicare i miei messaggi di non violenza scegliendo un tratto, un linguaggio, volutamente delicato, posto che sarebbe inutile e controproducente veicolare la non violenza con la violenza. La mia utile strada è quindi quella di un messaggio “positivamente subdolo”, capace di insinuarsi nelle piccole crepe che si aprono nei pensieri precostituiti e granitici, se poi le mie opere sembrano svolgere un’apparente funzione etica è solo perché questo è semplicemente il modo per liberarmi di qualcosa di tossico.
D. Nei tuoi disegni ci sono temi ricorrenti che diventano veri e propri personaggi di cui seguire le gesta, la tua passione per le foglie, ad esempio, da dove nasce?
R. La mia passione per le foglie deriva dalla mia parte contadina. Quando si raccoglieva, m’incantavo spesso nell’osservare le loro traiettorie, che fossero mosse dal vento o dalle nostre presenze, immaginavo giochi, poi venivo richiamato all’ordine. Le foglie sono collegate anche a un sogno nitido, luminoso dai contorni brillanti fatto da piccolo. Sognai di disegnare Tarzan che si spostava da una liana all’altra nella giungla. Nella mia immagine notturna disegnavo ogni linea alla perfezione realizzando un prodotto finale sbalorditivo. Risvegliatomi e messomi all’opera, in maniera inaspettata, la mia cura si rivolse più che alla figura umana agli alberi della foresta, e in particolare alle loro foglie: volli minuziosamente concentrarmi sui dettagli e realizzarne di diverse per ogni albero. Questo evento ebbe per me un valore iniziatico perché spostò la mia attenzione sul metodo, che è alla base della maestria di questo lavoro. Il metodo, unito alla devastante influenza del surrealismo di Magritte e alla magia delle parole di Gianni Rodari, ha per sempre caratterizzato il mio stile.
D. L’antifascismo tradotto in vignette…
R. Non mi piace parlare espressamente nei miei disegni di fascismo e antifascismo, la valenza evocativa di questi termini impone di doverli esplicitare con enorme cautela. Non condivido la tendenza a etichettare persone o idee nell’una o nell’altra categoria, su questi argomenti s’impone una grande riflessione. Per questo nelle mie creazioni la rappresentazione risulta scevra da simboli chiari o da elementi distintivi, prospetto l’attualità d’ideologie collegate a periodi drammatici senza però mai riferirmi a quel tempo per nome. Conosco il fascismo e le sue espressioni, soprattutto per ciò che è stata la mia vita familiare, ne ho comprese le sfumature declinate nella quotidianità, ed è proprio grazie e a causa di questa consapevolezza che maneggio sempre il tema con cautela.
D. Apparenza e social, che mi dici?
R. Uso i social per lavoro, li considero anche uno straordinario laboratorio da un punto di vista sociale, ma non ne sono amante e non ne sono dipendente; scrivo post alla necessità, non inflaziono la mia presenza. La sensazione permanente è che ci sia ormai una difficoltà diffusa a percepirsi umani anche se schermati. L’esposizione ossessiva sui social mi rimanda a profonde ansie esistenziali, a bolle distanti dal mondo reale in cui si trasferiscono frammenti, a volte francamente privi d’interesse, della vita vissuta. Il social sostitutivo del concreto è inquietante, ma il virtuale che diviene oggetto della realtà lo è ancora di più. Ho assistito sgomento a discussioni dal vivo aventi a oggetto i post pubblicati, in un’irreversibile confusione di piani. Inoltre m’inquieta la superficialità di pensiero originato da queste forme alternative di comunicazione: il cinquantesimo sterile post che dice esattamente quanto già detto dai precedenti, al quale sarebbe auspicabile rinunciare fosse solo per preservare l’unicità delle proprie affermazioni, diventa mero numero, mero intervento aggiuntivo di un dibattito che per questa ragione, sebbene apparente, diventa paradossalmente autorevole per i numerosi post di cui si è arricchito. Queste e altre considerazioni, che sarebbero lunghe da elencare, fanno capire che ci troviamo di fronte ad un fenomeno molto giovane di cui si conoscono troppo poco gli sviluppi.
D. Infine un OT: come fai a descrivere l’amore con tanto amore?
R. Lo descrivo per come lo percepisco, nei miei disegni cerco di restituire un amore che non abbia mai a che fare con un duello, con uno scontro. L’amore come unità che si afferma in quel momento, come unità esclusiva racchiusa in un perimetro invalicabile, sicuramente perfettibile, modificabile, ma mai conflittuale. In un incontro così esclusivo non c’è spazio per dispute, nell’amore l’area dell’altro non è ostile ma è ulteriore respiro che definisce un nuovo e comune contorno. Del resto la rappresentazione grafica del cuoricino semplifica la complessità organica e chimica dell’organo simbolo dell’amore che è invece formato di una parte che aspira e di un’altra che espira. E a quest’unicità ci si arriva facendo un percorso d’incanto: consumando quotidianamente la distanza che ci separa dall’altro, un cammino emotivo coinvolgente e totalizzante fatto di attese, di parole, di profumi, d’idee e di vibrazioni che fanno sentire la similitudine di due anime, un pezzo di strada che a molti non interessa più fare ma che è invece il presupposto imprescindibile perché il raggiungimento di quella unità finale non sia effimera e irreale.
Chiudo l’intervista a fatica, ringrazio, saluto. Per ore mi risulta difficile staccare la mente e il cuore da tutti questi racconti fatti di parole disegnate. E, visibilmente in astinenza, cerco di prolungare questo scambio di pensieri andando ad acquistare il libro di Queneau.
Informativa antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. St. sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa - 2. Il bilanciamento tra ordine pubblico e diritto di difesa - 3. Considerazioni conclusive: “la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa”.
1. Premessa: la vicenda contenziosa
In tema di complessità dell’informazione interdittiva, [1] quale punto di bilanciamento tra lotta alla mafia [2] e diritto di difesa, merita di essere segnalata la pronuncia del Consiglio di Stato n. 4979 del 2020.
I Giudici di Palazzo Spada hanno reso la sentenza in oggetto, in sede di appello, sulla riforma della pronuncia del Tar di Reggio Calabria, che aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’informazione interdittiva antimafia emessa nei confronti di una società titolare, tra l’altro, di concessione demaniale marittima [3].
Il provvedimento prefettizio che ha determinato la revoca della concessione, in ragione dei rapporti parentali dei soci con esponenti di cosche locali, era stato impugnato in primo grado, anche, per difetto di istruttoria. Il Collegio di prime cure aveva sospeso l’efficacia degli atti impugnati sollecitando il riesame dell’informativa [4]. In tale sede la Prefettura di Reggio Calabria aveva rivalutato ed integrato il quadro istruttorio, adottando un secondo provvedimento interdittivo e confermando la sussistenza della permeabilità mafiosa della società [5].
La Prefettura aveva rilevato come l’invocata revoca della misura di prevenzione [6] da parte della Corte d’Appello non potesse escludere la ragionevole probabilità che la società continuasse ad avvantaggiarsi delle relazioni con il mondo della criminalità organizzata [7]. Il quadro già compromesso dai rapporti parentali dei soci risultava peraltro aggravato dall’arresto dei fratelli del ricorrente per associazione di stampo mafioso.
Anche la seconda informativa interdittiva è stata quindi impugnata. Il Collegio in tale sede ha ritenuto che gli elementi rilevati nel secondo provvedimento fossero idonei a confermare l’attualità del pericolo di infiltrazione criminosa, non potendosi escludere l’atteggiamento compiacente con tipiche dinamiche malavitose né che il ricorrente avesse beneficiato del patrimonio familiare costituito da risorse economiche, provenienti dal traffico internazionale di stupefacenti [8]. Il Collegio ha rilevato che i ricorrenti, per quanto non concorrenti nelle attività illecite, non possano, tuttavia, ritenersi estranei alle stesse, posto che la criminalità organizzata fonda la propria attività “non solo su soggetti affiliati ad essa ma anche di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, per interesse economico, politico, amministrativo”.
In termini di probabilità, è stato rilevato come la società ricorrente, dato il contesto familiare segnato significativamente da ramificati rapporti parentali, potesse essere soggetta ad infiltrazione concretizzabile anche come sub specie di condizionamento latente dell’attività. Non era, inoltre, provato che il ricorrente si fosse emancipato o comunque allontanato dal contesto familiare, sicché appariva altamente probabile che il rischio di contagio fosse veritiero. Il Consiglio di Stato infatti ha più volte affermato che “l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste” [9].
Il Consiglio di Stato, nel vagliare i motivi addotti dagli appellanti, ha confermato la sussistenza del fortissimo sospetto che questi non possano essere considerati estranei alle logiche, agli interessi ed ai profitti dell’attività illecita e, dunque, ha respinto l’appello, per l’effetto, confermando la sentenza impugnata.
2. Il bilanciamento tra ordine pubblico e diritto di difesa
Nonostante l’appello sia stato respinto, l’ultimo motivo addotto dagli appellanti, merita un’attenzione particolare. Essi lamentano la mancanza del contraddittorio procedimentale [10] in violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990 e del principio garantito dall’art. 6, par. 3, del TUE.
In subiecta materia, recentemente, è stata sollevata dinnanzi alla Corte di Giustizia EU la carenza di contraddittorio procedimentale nell’ambito del procedimento per l’emissione dell’informazione antimafia [11]. I Giudici europei hanno ritenuto la questione manifestamente irricevibile, poiché il giudice del rinvio non ha dimostrato l’esistenza di un criterio di collegamento tra il diritto europeo e la decisione del comune di revocare la concessione di un terreno, utilizzato dalla società ricorrente per lo svolgimento della sua attività economica [12]. Anche nel caso in oggetto non viene dimostrata la rilevanza transfrontaliera della stessa né il concreto criterio di collegamento tra la normativa nazionale e quella europea.
Il Collegio pone, tuttavia, l’attenzione sul rispetto del diritto di difesa quale principio generale della normativa comunitaria. Il Consiglio di Stato [13] ha già chiarito che il procedimento funzionale all’emanazione del provvedimento interdittivo non difetta di contradditorio, piuttosto annoverandolo solo come eventuale. L’art. 93 co. 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che, ove il Prefetto [14] lo ritenga necessario, sulla scorta delle informazioni e documentazioni acquisite, i soggetti interessati possano essere sentiti dall’autorità prefettizia nonché possano essere invitati a produrre ogni informazione che risulti utile al completamento della valutazione [15].
Tutto ciò va però bilanciato con il rispetto dei caratteri di urgenza, speditezza e riservatezza propri di tali procedimenti [16]. Infatti, come già rilevato dai Giudici di Palazzo Spada, la discovery necessaria per l’instaurazione del contradditorio, può inficiare il carattere preventivo del provvedimento interdittivo, andando a ledere l’obiettivo di impedire ogni tentativo di infiltrazione. L’eventuale conoscenza, in sede procedimentale, dell’imminente provvedimento interdittivo potrebbe ledere l’interesse pubblico presupposto al provvedimento stesso, poiché le associazioni di stampo mafioso sono astute nell’eludere le disposizioni, predisponendo la variazione di assetti societari, cariche sociali, intestazioni di azioni e quote, sì da occultare la reale situazione societaria.
Orbene, sono dunque queste le motivazioni sottese alla scelta del legislatore che, senza escludere la partecipazione procedimentale, rimette alla prudente decisione del Prefetto l’ammissione dell’interessato in tale fase [17].
Le deroghe al principio del “giusto procedimento” sono ammesse per la tutela di interessi superiori relativi all’ordine pubblico, valutando comunque la fattispecie concreta [18]. Nel caso in esame appariva altamente probabile la vicinanza ad ambienti insani.
Nella pronuncia in oggetto, i Giudici hanno rilevato che “la partecipazione procedimentale, prima ancora che doverosa in base al principio del giusto procedimento, sarebbe utile per l’autorità prefettizia, nei termini di una più efficiente azione amministrativa rispondente al principio del buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), perché le consentirebbe di acquisire, un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad evitare l’emissione di un provvedimento tanto incisivo sulla libertà di impresa”. Va evidenziato, tuttavia, che l’eventuale sacrificio del diritto di difesa, è bilanciato con il successivo vaglio giurisdizionale sul provvedimento interdittivo che investe tanto la c.d. tassatività sostanziale che la c.d. tassatività processuale [19].
3. Riflessioni conclusive: “la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa”
Orbene, de iure concedendo, appare auspicabile un recupero, quantomeno parziale, delle garanzie derivanti dal diritto di difesa, in tutte le ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia incerta. La partecipazione procedimentale [20] del soggetto, in situazioni particolarmente dubbie, potrebbe fornire utili elementi all’autorità prefettizia, chiarendo la natura dei rapporti che legano il soggetto destinatario dell’imminente provvedimento al mondo criminale.
Sono diverse le motivazioni che spingono il Consiglio di Stato a sostenere l’importanza dell’audizione in sede procedimentale dell’interessato, ovviamente quando ciò non comprometta la ratio stessa dell’informazione interdittiva antimafia quale massima [21] misura preventiva [22].
In primis l’impresa, partecipando alla fase procedimentale, potrebbe su proposta della Prefettura, adottare misure di self cleaning [23]. Sul punto, sarebbe necessario, dunque, una rivisitazione dell’art. 32 co. 10, del d.l. n. 90 del 2014, con. con mod. in l.n. 114 del 2014 consentendo così di evitare la misura preventiva più incisiva dell’informazione interdittiva antimafia nei casi non strettamente necessari.
In secundis, la partecipazione procedimentale garantirebbe al Prefetto di intervenire con il provvedimento interdittivo solo nei casi in cui gli elementi posti a fondamento della misura preventiva siano inequivocabili e comunque non altrimenti giustificabili. L’impresa, in sede procedimentale potrebbe indicare il proprio punto di vista “in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione” [24]. In tal modo l’interdittiva diventa strumento di extrema ratio, utilizzabile solo nel caso in cui la permeabilità mafiosa risulti da un’attenta e completa lettura di un quadro d’insieme che risulta esaustivo e ben argomentato, tutelando così la legalità sostanziale quale fondamento di un ordinamento democratico come il nostro.
Infine, ciò consentirebbe al giudice, nell’ottica della piena conoscenza dei fatti [25], una delibazione fondata su un apparato istruttorio approfondito e completo tale da consentirgli di esercitare la cognizione su di un provvedimento compiutamente motivato dell’autorità prefettizia.
Negli ultimi anni, si è ricorso esponenzialmente all’informazione interdittiva antimafia, ma l’incisività di tale misura richiede che debba essere determinata senza sacrificare in modo sproporzionato il diritto di difesa ed il diritto di libertà di impresa (41 Cost.). “Solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa” ed è dunque necessaria ad evitare che la normativa in materia di antimafia possa trasformarsi in un diritto della paura [26].
Come si è detto, il diritto al contraddittorio non è un diritto assoluto ma può essere ridimensionato, a condizione che ciò risponda ad “obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e” che “non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti garantiti” [27].
È dunque indispensabile un intervento legislativo che vada a bilanciare, da un lato, la necessità di contrastare rigidamente l’infiltrazione mafiosa e, dall’altro, la possibilità di difendersi integrando il contraddittorio in fase procedimentale nelle ipotesi in cui ciò non infici l’attività del giudice inquirente.
* * * *
[1] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in www.giustiziainsieme.it, 3 luglio 2020., ove si è già sottolineato come la giurisprudenza amministrativa tenda a riconoscere alle misure interdittive una funzione di «frontiera avanzata» nelle dinamiche politico-criminali. La finalità di anticipazione della tutela del sostrato economico-sociale, che contrassegna l’interdittiva antimafia, svincolerebbe la potestà prefettizia dalle logiche penalistiche di accertamento «oltre ogni ragionevole dubbio», dovendo valutare il pericolo di inquinamento mafioso dell’impresa, sulla base del giudizio preventivo e discrezionale del canone del “più probabile che non”. L’orientamento è aspramente criticato dalla dottrina di matrice penalistica (cfr.: G. Amarelli, Interdittive antimafia e «valori fondanti della democrazia»: il pericoloso equivoco da evitare, in www.giustiziainsieme.it, 17 luglio 2020).
[2] G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, in Indice pen., 1991, 30-31, secondo il quale “il tema della criminalità organizzata presenta risvolti che vanno ben al di là della triplice prospettiva criminologica, penale e di polizia. In quanto fenomeno sotto diversi aspetti intrecciato –almeno nel nostro paese –col sistema politico e con l’economia legale, la lotta contro di esso ha implicazioni di natura politica, sociale, economica e culturale che mettono duramente alla prova, appunto, la portata e i limiti del controllo penale strettamente inteso”. V. P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, 2010, sulla trasformazione delle mafie storiche in piattaforme finanziarie ed imprenditoriali.
[3] A. BONGARZONE, L’informativa antimafia nelle dinamiche negoziali tra privati e pubbliche amministrazioni, Napoli, 2018
[4] G. ARMAO, Brevi considerazioni su informazione antimafia e rating di legalità aziendale nella prevenzione delle infiltrazioni criminali nei contratti pubblici, in Giustamm., 2017; V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019; M. MAZZAMUTO, Profili di documentazione amministrativa antimafia, in Giustamm., 2016, 3
[5] M.NOCCELLI,I più recenti orientamenti della giurisprudenza sulla legislazione antimafia, in www.giustizia-amministrativa.it, 2018, in cui si afferma che a differenza delle comunicazioni, che sono atti sostanzialmente vincolati, le informazioni interdittive si distinguono per il loro “contenuto discrezionale, poiché ben possono prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o dello stesso giudizio penale, che comunque la Prefettura ha il dovere di esaminare in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011), non vincolanti per l’apprezzamento che, a fini preventivi, la Prefettura è chiamata a compiere in ordine al rischio di condizionamento mafioso”. Cfr. Sull’ autonomia del giudizio prefettizio rispetto all'emissione di eventuali provvedimenti penali Consiglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n.892.
[6] O. STRADAIOLI, Le misure di prevenzione, in P. PITTARO (a cura di), Scuola Positiva e sistema penale: quale eredità?, Trieste, EUT Edizioni Università di Trieste, 2012, pp. 119 ss.; obbligatorio inoltre il rinvio al classico G. FIANDACA, Misure di prevenzione (Profili sostanziali), in Dig. Disc. Pen., 1994, Vol. VIII
[7] Cfr. T.A.R. Napoli, Sez. I , 2 marzo 2020 , n. 970
[8] Cfr. T.A.R. Napoli, Sez. I, 1 febbraio 2019, n. 553
[9] Cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 2342/2011; n. 2678/2012; n. 4208/2012; n. 4119/2013; n. 4527/2015; n. 1328/2016; n. 3333/2017 e n. 2343/2018
[10] R. RUPERTI, Sul contraddittorio procedimentale in materia di informazioni antimafia, in Giur. it., 2020, 3
[11] Ordinanza del 26 maggio 2020 in C-17/20
[12] Questione interpretativa sollevata dal TAR Puglia sede di Bari con ordinanza n.28 del 13 gennaio 2020
[13] Cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020; Consiglio di Stato sentenza n. 2854 del 26 maggio 2020
[14] P. TONNARA, Informative antimafia e discrezionalità del prefetto, in Urb. app., 2017
[15] M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, III.; Id., Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1993
[16] Cfr. Corte Costituzionale 26 marzo 2020, n. 57
[17] Ammessa per l’iscrizione nella c.d. white list su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1 co. 52, della l. n. 190 del 2012. In giurisprudenza sul punto Consiglio di Stato, sez. III, 20 settembre 2016, n. 3913
[18] P. BONETTI, A. CASSATELLA, F. CORTESE, A. DEFFENU, A. GUAZZAROTTI (a cura di), Giudice amministrativo e diritti costituzionali, Torino, 2012
[19] “L’eventuale sacrifico di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è tuttavia compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione” (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105); cfr. Consiglio di Stato, sez III, 30 gennaio 2019, n. 758
[20] A. CARBONE, Il Contraddittorio Procedimentale ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale, Torino, 2016
[21] A. LONGO, La ‘massima anticipazione di tutela’. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, Federalismi, n. 19/2019
[22] Cons. St., Sez. III, 6 marzo 2019, n. 1553, “si tratta di provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un'ottica di bilanciamento tra la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 Cost.; costituisce una misura volta -ad un tempo -alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione”; Cons. St., Sez. III, 13 agosto 2018, n. 4938 “L’interdittiva antimafia consiste in una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, essendo espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata”
[23] C. Felicetti, Self cleaning e interdittiva antimafia (nota a Cons. St., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945)
[24] Corte di Giustizia EU Ordinanza del 26 maggio 2020 in C- 17/20
[25] B. GILIBERTI, Il controllo di full jurisdiction sui provvedimenti amministrativi, Napoli, 2019; F. GOISIS, La full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzione e nodi irrisolti, in Dir. proc. amm.,2015
[26] Cons. St. 5 settembre 2019, n. 6105
[27] Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C- 298/16
Diritto d’accesso e acquisizione probatoria processuale (nota a Adunanza Plenaria n. 19/2020).
Michele Ricciardo Calderaro
SOMMARIO: 1. Il giudizio di primo grado. – 2. Il giudizio d’appello e l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria. – 3. Le questioni di rito risolte dall’Adunanza Plenaria: disciplina emergenziale del processo amministrativo e principio del contraddittorio in appello. – 4. La nozione di documento amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso. – 5. Il diritto d’accesso secondo la legge n. 241 del 1990 e le norme processuali civili di acquisizione probatoria: i contrapposti orientamenti della IV Sezione del Consiglio di Stato. – 6. La statuizione dell’Adunanza Plenaria: complementarietà, e non reciproca esclusione, tra l’istituto dell’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria nel processo civile. – 7. Osservazioni critiche.
1. Il giudizio di primo grado.
La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 19 del 25 settembre 2020 è meritevole di attenzione sotto molteplici aspetti.
Occorre però partire dalla ricostruzione della fattispecie dedotta in primo grado.
In pendenza di un giudizio di separazione giudiziale tra coniugi a’ sensi dell’art. 151, cod. civ., uno dei due coniugi chiedeva all’Agenzia delle Entrate l’accesso, volto ad ottenerne copia, della documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale (compresi eventuali contratti di locazione a terzi di immobili di proprietà e/o comproprietà del coniuge) della controparte, conservata nell’anagrafe tributaria, nonché delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili alla controparte.
L’esercizio del diritto d’accesso extra-procedimentale era necessario in quanto nel giudizio civile di separazione era stata avanzata domanda di determinazione dell’assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare.
L’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza di accesso sulla base del rilievo che il controinteressato si era opposto e, con specifico riferimento alla documentazione della sezione archivio dei rapporti finanziari, che era comunque necessaria la previa autorizzazione del giudice investito della causa di separazione.
A questo punto, dinnanzi al rigetto dell’istanza di accesso, l’istante presentava ricorso ex art. 116, cod. proc. amm. al competente Tribunale Amministrativo Regionale, e cioè al T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, che assumeva l’orientamento secondo cui in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge doveva ritenersi “oggettivamente utile” al perseguimento del fine di tutela, ordinando di conseguenza all’Agenzia delle Entrate di esibire alla ricorrente la documentazione da essa richiesta e di consentirne l’estrazione di copia.
2. Il giudizio d’appello e l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria.
La sentenza del T.A.R. Salerno non viene però condivisa ed è oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Questa censura l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto accessibili i dati dell’anagrafe tributaria, ivi compresi quelli contenuti nella sezione archivio dei rapporti finanziari, senza l’autorizzazione del giudice della causa principale ai sensi dell’art. 492-bis cod. proc. civ., avendo il giudice amministrativo omesso di considerare il rapporto di specialità intercorrente tra la normativa contenuta negli artt. 492-bis, cod. proc. civ[1]. e 155-sexies delle disposizioni attuative al cod. proc. civ[2]. e la disciplina dell’accesso documentale di cui alla legge n. 241 del 1990, ostativo all’applicazione di quest’ultima disciplina, e dovendo l’indispensabilità del documento ai fini della tutela giurisdizionale essere intesa altresì come impossibilità di acquisire il documento attraverso le forme processuali tipiche già previste dall’ordinamento.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della controversia, pronunciava l’ordinanza collegiale n. 890/2020, con la quale, a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione di diritto devoluta in appello, rimetteva gli atti all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., ponendo le seguenti questioni:
a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexiesdelle disposizioni attuative cod. proc. civ.);
c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;
d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità deve essere consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, anche solamente per via telematica.
Diverse, pertanto, sono le questioni su cui è stata chiamata a pronunziarsi l’Adunanza Plenaria ma concernenti un’unica fondamentale problematica: cosa si intenda per documento amministrativo e quando il cittadino ha la possibilità di esercitare l’accesso a scopo difensivo a’ sensi della legge n. 241 del 1990, anche in via extra-procedimentale e pure allorché quell’accesso sia rivolto ad ottenere copia di documenti che costituiscono parte fondamentale, come mezzo probatorio, di un giudizio civile[3].
3. Le questioni di rito risolte dall’Adunanza Plenaria: disciplina emergenziale del processo amministrativo e principio del contraddittorio in appello.
La prima questione concerne la modalità di trattazione della controversia, che è avvenuta in pieno periodo emergenziale dovuto alla crisi sanitaria da pandemia di Covid-19.
Ha trovato perciò applicazione l’art. 84, co. 5 e 6, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in legge 24 aprile 2020, n. 27, secondo cui, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso, ovvero attraverso la definizione nel merito già all’esito dell’udienza cautelare ove si ravvisi che la causa è matura per il passaggio in decisione[4].
Quest’ultima parte della norma pone dei problemi non secondari di tutela delle garanzie difensive delle parti[5]. L’art. 60 del Codice, difatti, prevede che la possibile definizione del merito in esito all’udienza cautelare è ammissibile solamente ove le parti siano state avvertite dal collegio, che ha previamente verificato l’integrità del contraddittorio e dell’istruttoria, circa la possibilità di pervenire ad un’immediata definizione della controversia[6].
Nella disciplina emergenziale quest’esoscheletro di garanzia difensiva manca del tutto e ciò non pare certamente accettabile[7].
L’art. 84, co. 5 ha fatto però salva la possibilità delle parti di presentare, in questi casi di trattazione così rapida e peraltro da remoto, delle brevi note scritte sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione[8].
L’Amministrazione delle Entrate, sfruttando questa possibilità, ha chiesto, al fine di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa, di differire l’udienza fissata per discutere oralmente la controversia, data la complessità delle questioni giuridiche sollevate e la rilevanza che la risoluzione delle stesse può rivestire per l’Agenzia per conformare i suoi successivi comportamenti su fattispecie analoghe.
L’Adunanza Plenaria, tuttavia, ha rigettato tale eccezione sulla base di due argomentazioni, che possono trovare condivisione.
La prima, basata sul dettato dell’art. 84, d.l. n. 18/2020, secondo cui l’amministrazione ha svolto compiutamente le proprie difese nelle note difensive scritte depositate prima dell’udienza, senza che possa soccorrere l’istituto della rimessione in termini[9] per coloro i quali non avessero potuto articolare le proprie difese. L’Agenzia delle Entrate, con il deposito della memoria, ha compiutamente esercitato questa facoltà.
La seconda, ancora più rilevante, attiene al rito cui è soggetta la controversia in questione, ovvero il rito previsto nei giudizi in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Ed infatti, secondo l’Adunanza Plenaria, considerato che si verte in fattispecie di procedimento camerale ex art. 87, co. 2, lett. c), cod. proc. amm., assoggettato ad un rito accelerato, si pone un’esigenza specifica di tutela del diritto dell’originaria ricorrente alla ragionevole durata del processo[10], da ritenersi prevalente sulle esigenze difensive prospettate in via astratta e generica a suffragio della richiesta di differimento in funzione di una discussione orale.
Secondo il Consiglio di Stato, pertanto, la ragionevole durata del processo amministrativo, che trova spazio come principio generale nel nostro ordinamento anche e soprattutto per forza dei riconoscimenti a livello europeo (in primo luogo l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[11]), deve prevalere, in questo periodo di trattazione emergenziale delle controversie, su un’istanza di differimento dell’udienza per una migliore trattazione di tutte le posizioni difensive.
L’orientamento è da accogliere con favore ove ciò non si tramuti in un’illegittima compressione delle garanzie di difesa riconosciute dall’art. 24 Cost.[12]: è ragionevole pensare che il processo debba essere definito in un termine equo purché ciò non leda l’effettività della tutela delle posizioni soggettive dedotte in giudizio[13] e questo non pare essere il caso in quanto l’Amministrazione appellante ha comunque avuto il modo di depositare le proprie note difensive, anche se solamente in forma scritta, prima dell’udienza camerale fissata dall’Adunanza Plenaria.
Certo, si potrebbe discutere circa la diversa portata di una discussione orale piuttosto che di una trattazione della controversia che passa in decisione solamente sulla base degli atti difensivi scritti ma il dilungarsi della situazione di crisi sanitaria impone comunque di non protrarre in modo indefinito la definizione della questione di diritto, specialmente se di una tale rilevanza come in questo caso[14].
La seconda questione di rito che è stata chiamata a risolvere l’Adunanza Plenaria concerne l’integrità del contraddittorio[15], dato che l’atto di appello non era stato notificato al controinteressato soccombente in primo grado.
Il Consiglio di Stato ha superato la relativa eccezione, non ritenendo necessario procedere all’integrazione del contraddittorio, sulla base di un principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa, peraltro della stessa Adunanza Plenaria[16].
Difatti, secondo questa, la non necessarietà della partecipazione dei controinteressati al giudizio di appello promosso dall’amministrazione deriva dal fatto che essi non possono integrare il thema decidendum una volta che siano decorsi i termini per proporre autonomo gravame, sì che la notificazione dell’appello anche ai controinteressati soccombenti in primo grado avrebbe il mero significato di una litis denuntiatio[17].
Del resto, nel giudizio amministrativo, la causa è identificata dall’atto amministrativo, sulla base del quale sono appunto identificati i controinteressati, solo in primo grado, laddove, invece, il giudizio di appello ha ad oggetto la sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale, con identica e paritaria posizione processuale di tutte le parti[18], nei confronti delle quali essa è stata pronunciata[19].
Per di più, nell’attuale quadro del Codice, l’art. 95, co. 1, prevede che l’impugnazione debba essere notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti in causa e, negli altri casi, alle “parti che hanno interesse a contraddire”; pertanto, in caso di appello proposto dall’amministrazione soccombente in primo grado i controinteressati, avendo ovviamente una posizione coincidente con essa, cioè di cointeressati all’appello, sono privi di interesse a contraddire e non devono, quindi, essere evocati in giudizio[20].
Il principio del contraddittorio di cui all’art. 24 Cost richiede che siano preventivamente chiamati a far parte del giudizio tutti i contraddittori necessari, determinandosi, in assenza della loro individuazione, la violazione del diritto di difesa di quei soggetti che, non chiamati in causa nella loro veste di litisconsorti necessari, possono subire gli effetti pregiudizievoli di una sentenza alla cui emanazione non abbiano potuto contribuire[21].
Così non era nel caso di specie e correttamente l’Adunanza Plenaria ha ritenuto integro il contraddittorio anche in assenza della notifica al controinteressato costituitosi in primo grado[22].
4. La nozione di documento amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso.
La nozione di documento amministrativo emerge chiaramente dal dettato normativo, in particolare dall’art. 22, co. 1, lett. d), legge n. 241 del 1990[23] e dall’art. 1, co. 1, lett. a) del d.P.R. n. 445 del 2000, e su di essa non vi possono essere dubbi[24].
Il primo, nel fornire le definizioni nel capo della legge generale sul procedimento amministrativo dedicato al diritto d’accesso, qualifica documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
A sua volta, in modo sostanzialmente analogo, la seconda norma, inserita nel Testo Unico delle disposizioni in materia di documentazione amministrativa, dispone che documento amministrativo è “ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa”.
La giurisprudenza amministrativa adotta queste qualificazioni in modo assolutamente estensivo.
Si ritiene anzitutto, in generale, che per documento amministrativo suscettibile di esibizione debba intendersi qualsiasi narrazione di fatti desumibile da supporti scritti, iconografici, elettronici o altro: non si tratta, quindi, della necessità di elaborare dei dati, quanto piuttosto di reperirli in modo congruo e di presentarli al richiedente che dimostra di essere in possesso di un titolo per visionarli e copiarli[25].
Inoltre, debbono essere considerati atti amministrativi soggetti alla disciplina dell’accesso anche gli atti interni concernenti un’attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, allo scopo di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa[26], con la conseguenza che la nozione di documento amministrativo ricomprende necessariamente tutti gli atti trasmessi o, comunque, presi in considerazione nell'ambito di un procedimento amministrativo, ancorché di natura privatistica, purché correlati ad un'attività amministrativa[27].
Così, sulla base di questi orientamenti, a solo titolo esemplificativo, sono stati fatti rientrare nella nozione di documento amministrativo assoggettabile alla disciplina dell’accesso di cui all’art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 la registrazione sonora di sedute del Consiglio comunale[28], il codice sorgente del software della prova concorsuale informatizzata[29], le riproduzioni audio o audiovideo di una prova orale di un concorso pubblico[30], la documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici richiesti dai parenti di una persona deceduta in ospedale[31], i documenti inerenti la fatturazione elettronica[32], nonché le comunicazioni relative ai rapporti finanziari e, in particolare, le dichiarazione dei redditi[33].
La nozione di documento amministrativo è certamente ampia ma è proprio sulla documentazione reddituale che l’Adunanza Plenaria è stata chiamata a focalizzare la propria attenzione.
Oggetto della controversia, difatti, sono i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. Segnatamente, si tratta dei documenti delle banche dati dell’anagrafe tributaria, le quali a loro volta includono la banca dati reddituale (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive e/o integrative), la banca dati delle imposte di registro (che contiene la registrazione degli atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziari.
La materia è disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, che, all’art. 1, nell’individuare i compiti dell’anagrafe tributaria, stabilisce, al co. 1, che l'anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell'amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari, nonché al co. 2 che i dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per le finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi all'applicazione dei tributi, e, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all'ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale.
Attesi i compiti dell’anagrafe tributaria e l’ampia nozione di documento amministrativo rilevante ai fini dell’applicazione degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, l’Adunanza Plenaria, in modo del tutto inequivoco, ritiene che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria debbono essere fatti rientrare nella nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale ai sensi degli artt. 22 e ss. legge n. 241/1990, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, co. 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, anche laddove non siano stati formati da quest’ultima.
La conseguenza è di facile deduzione.
Data la qualificazione di questi documenti come documenti amministrativi, essi possono essere oggetto di accesso a’ sensi dell’art. 22, co. 3, salve le eccezioni, connesse alla tutela della riservatezza[34], espressamente previste dall’art. 24 della stessa legge n. 241 del 1990, che comunque sono cedevoli dinnanzi alla necessità di garantire l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici[35], intesi genericamente e riferibili a tutte le posizioni soggettive, che siano diritti soggettivi o interessi legittimi[36].
La conclusione dell’Adunanza Plenaria, data la logica sottesa all’accesso documentale, non può che essere condivisa.
5. Il diritto d’accesso secondo la legge n. 241 del 1990 e le norme processuali civili di acquisizione probatoria: i contrapposti orientamenti della IV Sezione del Consiglio di Stato.
La seconda questione che ha dovuto affrontare l’Adunanza Plenaria concerne il problematico rapporto tra l’accesso documentale di cui agli art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo la disciplina generale ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia costituita dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. che compie espresso riferimento allo strumento previsto dall’art. 492-bis cod. proc. civ. che si concretizza nell’accesso, con modalità telematiche, “ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari”.
Il complesso rapporto tra le norme, difatti, ha dato luogo all’insorgere di due contrapposti orientamenti in seno alla stessa IV Sezione del Consiglio di Stato.
Secondo una prima tesi, il diritto d’accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 è esercitabile, ove ne ricorrano i presupposti, sempre, indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processualcivilistiche[37].
Ed infatti, diverse sarebbero le argomentazioni a suffragio di questa tesi: anzitutto tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, bensì di concorrenza (anche cumulativa) e di complementarietà; la disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce – ai sensi dell’art. 22, co. 2, legge n. 241/1990 – “principio generale dell’attività amministrativa”[38]; la ratio dell’istituto dell’accesso dovrebbe essere ravvisata nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento[39] sanciti dall’art. 97 Cost.[40] e nell’esigenza di agevolare gli interessati nell’ottenere gli atti per valutare se sia il caso di agire in giudizio a tutela di una propria posizione giuridica[41], non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i sopra richiamati principi costituzionali[42]; l’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione, oltre che del principio di effettività della tutela giurisdizionale, anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in particolare dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall'art. 5 del settimo protocollo addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.
La Quarta Sezione, inoltre, ha evidenziato il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa che ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza di un giudizio ‘principale’ civile, attesa l'autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 rispetto alla posizione che l'interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall'ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale[43]; l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice ordinario civile (il cui esercizio ha natura discrezionale) nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia (art 337-ter, co. 6, cod. civ.; art. 5, co. 9, legge n. 898/1970; art. 736-bis, co. 2, cod. proc. civ.; art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 492-biscod. proc. civ.) rispetto ai poteri istruttori generali già previsti dagli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ. (anch’essi, parimenti, di natura discrezionale) non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo (anche a prescindere dalla circostanza che le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte), né dar luogo ad ipotesi derogatorie alla disciplina in materia di accesso alla documentazione (salvo, in ipotesi, predicare un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento).
La piena esplicazione del diritto di difesa non può dipendere perciò dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice, il quale potrebbe non consentire l’accesso secondo le logiche tipiche che ispirano il giudizio civile nella formazione e nell’acquisizione della prova, con effetti deteriori sulla piena esplicazione del diritto di difesa.
L’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima e indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso ‘al buio’ e di poter valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del processo, con effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario[44]; in particolare, l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali – siano essi coniugi o conviventi di fatto, anche rispetto ai figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente indipendenti – è da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia.
Nei procedimenti in materia di famiglia, connotati dall’attribuzione al giudice civile di ampi e specifici poteri istruttori esercitabili anche d’ufficio, le lacune istruttorie spesso si verificano a cagione del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, il cui superamento postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (ad es. Guardia di Finanza); inoltre, occorre considerare, anche tenendo conto dell’orientamento del giudice di legittimità, che tali indagini difficilmente sono autorizzate dal giudice civile in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi[45].
La questione, quindi, secondo quest’orientamento della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, deve essere risolta facendo applicazione dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990 e procedendo al bilanciamento degli interessi contrapposti sulla base degli artt. 59 e 60, d.lgs. n. 196/2003 e del d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso, il cui art. 5, per un verso, sottrae i documenti che contengono dati attinenti alla riservatezza delle persone all’accesso inteso come diritto alla copia, ma, corrispondentemente, garantisce “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”, facendo cioè prevalere, in ogni caso, il disposto dell’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990[46].
Peraltro, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, deve ritenersi che l'art. 5, d.m. n. 603/1996, nella parte in cui prevede che sia ammissibile solo la visione dei documenti finanziari, sia stato implicitamente abrogato dalla legge n. 15/2005, e quindi, al ricorrere dei presupposti previsti da quest'ultima, il diritto ad ottenere l'ostensione include anche la possibilità di estrarre copia dei documenti[47].
Questa articolata tesi è in contrapposizione ad altro orientamento di segno opposto della stessa Quarta Sezione del Consiglio di Stato, che si è concretizzato nella sentenza n. 3461 del 2017.
In questo caso, il Consiglio di Stato parte dal presupposto che il diritto di accesso di cui alla legge n. 241/1990 non è una posizione sostanziale autonoma, ed in particolare non assume la consistenza di un autonomo interesse legittimo[48] o di un diritto soggettivo[49], ma costituisce, più limitatamente, una situazione strumentale in funzione di tutela di preesistenti ed autonome posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Questa posizione giuridica soggettiva preesistente, cui si ricollega strumentalmente il diritto di accesso, non può essere individuata nel mero e autonomo ‘diritto all’informazione’, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’amministrazione, che è istituto diverso, disciplinato autonomamente dall’ordinamento.
La fattispecie all’esame del Consiglio di Stato non attiene, difatti, alla questione relativa alla (quasi) totale accessibilità dell’amministrazione, all’obbligo per questa di pubblicare determinate informazioni ed al correlativo diritto non solo per l’interessato di un procedimento amministrativo di accedere a tutti questi documenti, essendo invece oggetto di indagine la portata dell’accesso procedimentale di cui alla legge n. 241 del 1990, ed in particolare dell’accesso difensivo per la cura e la tutela dei propri interessi e diritti.
Si tratta di due istituti ben diversi, disciplinati in modo differenziato dal nostro legislatore[50].
Il problema da risolvere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda per l’interessato particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali[51], ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime[52].
Secondo quest’orientamento della Quarta Sezione, atteso che, in ordine all’equilibrio tra diritto di accesso e tutela della privacy, l’istanza di accesso deve essere motivata in modo ben più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente, incombendo su quest'ultimo - fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “diritto” all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa - l'onere di dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi, l’acquisizione al processo civile di documenti amministrativi deve avvenire per il tramite e nel rispetto delle norme disciplinanti lo specifico processo; ciò in quanto i documenti amministrativi da utilizzare nel processo (e detenuti dalla amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio e, pertanto, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto che intende avvalersi di tali documenti occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte.
Difatti, dato che le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 213, 492-bis cod. proc. civ.), in quanto l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio, e il giudice “deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo”, se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cod. proc. civ.)[53], la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi, dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio, si tradurrebbe in una forma di singolare aggiramento delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituirebbe un vulnus al diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinnanzi ad un giudice, bensì dinnanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di soggetto controinteressato.
Ne discende che, in queste fattispecie, per di più se riferite alle controversie in materia familiare, l’accesso documentale, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della pubblica amministrazione, tende ad alterare la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita anche e soprattutto dalla preventiva valutazione del giudice[54].
Gli orientamenti adottati in materia dalla Quarta Sezione sono pertanto radicalmente contrapposti, facendo prevalere in un caso il diritto d’accesso ai documenti detenuti dalle amministrazioni[55] e nell’altro le modalità di acquisizione probatoria proprie del giudizio civile[56].
Questa è la questione di diritto principale su cui è stata chiamata a pronunziarsi l’Adunanza Plenaria.
6. La statuizione dell’Adunanza Plenaria: complementarietà, e non reciproca esclusione, tra l’istituto dell’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria nel processo civile.
L’Adunanza Plenaria, con un’articolata motivazione in diritto, esprime chiaramente la propria posizione a favore della prima tesi sostenuta dalla Quarta Sezione.
Difatti, a giudizio della Plenaria deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico, di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi ai sensi degli artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., nonché, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, dello strumento di acquisizione di documenti contenenti dati reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria di cui artt. 155-sexies, disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis, cod. proc. civ., ivi compresi i documenti conservati nell’archivio dei rapporti finanziari, non esclude l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo.
Ne consegue che, sulla base di una lettura unitaria e integratrice tra le singole discipline, nonché costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale[57], il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e questi istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela.
Si tratta di forme di tutela complementari e non alternative, come dimostra la natura dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990[58], che è dettagliatamente ricostruita dall’Adunanza Plenaria.
Due infatti sono le logiche sottese all’accesso[59], quella partecipativa[60] e della trasparenza e quella difensiva[61].
La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile[62], con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 24 della medesima legge n. 241.
La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi[63].
L’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari, oltre alla corrispondenza ed al collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza[64].
La conoscenza dell’atto però non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso ‘civilmente’ più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.
Ai fini del riconoscimento della situazione legittimante l’accesso difensivo non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un giudizio.
La caratteristica già evidenziata, difatti, di istituto generale dell’ordinamento del diritto d'accesso giustifica anche la autonomia di questo istituto rispetto ad altri meccanismi di acquisizione di informazioni e di documenti nei confronti dell'amministrazione, utilizzati, per esempio, in sede processuale[65].
In altri termini, muovendo dall’assenza di una previsione normativa che ciò stabilisca, è possibile trarre il convincimento che la pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) può al limite costituire, tra gli altri, un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante l’istanza di accesso, ma non ne rappresenta la precondizione tipica.
Si è detto, che ai fini della legittimazione dell’accesso difensivo, vi deve essere la corrispondenza tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.
Se inseriamo questa “corrispondenza” nei procedimenti in materia di famiglia, l’accesso di un privato ai documenti reddituali, patrimoniali e lato sensu finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela.
Il legislatore medesimo, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘famiglia’ in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete.
Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva.
È quindi evidente che in questi procedimenti ricorrono tutte le condizioni richieste dall’art. 24, co. 7 della legge n. 241 del 1990 per poter accedere a tutti i documenti necessari, compresi quelli attinenti alla situazione finanziaria dell’altro coniuge, allo scopo di tutelare i propri interessi. Ciò perché si è in una situazione pienamente conforme a quanto previsto altresì dall’art. 2, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi[66], secondo cui quest’ultimo è esercitabile da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento rispetto al quale è richiesto l'accesso.
Chiarita la natura dell’accesso difensivo, l’Adunanza Plenaria correttamente è giunta a declinare i rapporti tra questo e gli strumenti di acquisizione probatoria nel processo civile in termini non di alternatività ma di complementarietà.
Anzitutto, da un punto di vista sistematico, va rilevato che nei due sistemi processuali, e cioè quello processualcivilistico e quello amministrativistico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale e dal relativo esito, con la conseguenza che il diritto di accesso difensivo non è riducibile a un mero potere processuale[67].
Ciò vale anche rispetto al giudizio civile, in cui – parimenti – l’azione volta a far valere la pretesa sostanziale è autonoma rispetto a quella volta a reperire la documentazione utile a sostenere le allegazioni difensive (in generale nel processo, ma in quello civile in particolare modo, vige il principio dispositivo[68], sicché è onere della parte provare i fatti che assume e dovere del giudice quello di decidere la controversia secundum alligata et probata).
Ne discende che – come sottolineato anche nella giurisprudenza civile – il diritto di accesso cd. difensivo exlegge n. 241/1990 è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo[69].
Vi è quindi una sostanziale differenza tra l’accesso agli atti e gli strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito civile.
L’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere, l’accesso, una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale[70]; la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto fornire di un’azione giurisdizionale la ‘pretesa’ di conoscenza, rendendo effettivo e, a sua volta, giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio (v. l’art. 116 cod. proc. amm.)[71].
Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria, sia quelli generali di cui agli artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., sia quelli particolari di cui agli artt. 155-sexies, disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis, cod. proc. civ., si muovono esclusivamente sul piano e all’interno del processo; sono assoggettati alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza.
Di conseguenza, il naturale corollario è che l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della pubblica amministrazione, proposta ai sensi dell’art. 210, cod. proc. civ., non si pone in contrasto, né elude la ratio legiscontenuta negli artt. 22 e ss. legge n. 241/1990, poiché le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la legge n. 241/1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria[72].
Occorre in altri termini tenere distinti, da un lato, la pretesa all’ostensione del documento nei confronti della pubblica amministrazione, intesa quale protezione accordata all’interesse sostanziale alla conoscenza e, dall’altro lato, il diritto alla prova, inteso come protezione dell’interesse processuale della parte alla rappresentazione in giudizio, attraverso un determinato documento, dei fatti costitutivi della domanda, subordinato alla duplice valutazione giudiziale della concludenza e della rilevanza dello specifico mezzo di prova[73].
Alla luce del quadro normativo processualcivilistico, al potere istruttorio di adottare ordini di esibizione ex artt. 210, 211, cod. proc. civ. oppure di formulare richieste di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213, cod. proc. civ. deve quindi attribuirsi natura sussidiaria e residuale rispetto alla possibilità, pratica o giuridica, che la parte abbia di procurarsi da sé, fuori dal processo (quindi anche attraverso lo strumento dell’accesso documentale difensivo di cui all’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990), le prove precostituite idonee a dimostrare i fatti da essa allegati, né i menzionati poteri processuali possono essere esercitati per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.
Ne deriva che la disciplina degli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213, cod. proc. civ., quale interpretata e applicata da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità[74], lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘finale’, tutt’al contrario sembra presupporre (e in qualche modo imporre) il suo previo esperimento, essendo tali mezzi di prova configurati come strumenti istruttori tendenzialmente residuali rispetto alle forme di acquisizione dei documenti da parte dei privati sulla base di correlative discipline di natura sostanziale anche in funzione della loro produzione in giudizio.
L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi ‘restrittiva’, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente –, è operazione ermeneutica, secondo l’Adunanza Plenaria, che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova intesi in senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a difesa della situazione giuridica soggettiva asseritamente lesa.
Ciò vale, forse ancor di più, per i procedimenti giurisdizionali in materia di famiglia.
L’attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d’ufficio, in particolare di acquisizione dei dati dell’anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell’archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l’esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell’accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d’ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all’esito dell’accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato.
Non vi è, pertanto, ragione alcuna di escludere o precludere l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ai documenti della anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari della controparte, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia al fine di accertare le sostanze patrimoniali e le disponibilità reddituali di ognuno dei coniugi e, così, determinare l’entità dell’assegno disposto a beneficio di quello più bisognoso nonché dell’eventuale prole, sia prima che in pendenza del processo civile, in particolare non ostandovi l’attribuzione, al giudice delle controversie familiari, dei poteri istruttori di ufficio.
Ne deriva, quindi, che anche in tale materia un’interpretazione costituzionalmente orientata, a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto alla prova intesi in senso lato, impone di affermare l’esperibilità dell’accesso difensivo ai documenti in questione, sia prima che in pendenza del processo civile, con la conseguenza che l’accesso non può essere legittimamente negato per l’incompatibilità in astratto tra le due discipline.
In questo caso, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990, trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cd. supersensibili), ma il criterio generale della necessità ai fini della cura e della difesa di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.
Secondo quest’impostazione, peraltro, non si può ravvisare alcuna lesione dei diritti del terzo e del principio della parità delle armi, in quanto il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione exart. 3 d.P.R. n. 184/2006) e processuali (impugnazione dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. a), numero 6), cod. proc. amm.[75]) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso, nella pienezza delle garanzie giurisdizionali.
L’Adunanza Plenaria, dunque, ha assunto una posizione molto chiara, peraltro conforme all’orientamento maggioritario della Quarta Sezione, non lasciando spazio ad alcun dubbio: l’accesso difensivo, anche se attinente a documenti fiscali e reddituali deve essere consentito, perché le esigenze di difesa prevalgono su quelle di riservatezza, anche in pendenza di un procedimento giurisdizionale.
Non importa che in questo, sia esso civile o amministrativo, siano previsti appositi strumenti processuali di acquisizione documentale anche nei confronti dell’amministrazione, perché è principio generale dell’ordinamento che un cittadino titolare di un interesse particolarmente qualificato, in questo caso perché relativo alla tutela dei propri diritti, possa accedere alla documentazione cui quell’interesse è collegato, che è in possesso dell’amministrazione.
Con riguardo ai documenti dell’anagrafe tributaria, l’Adunanza Plenaria ha dovuto risolvere un ultimo quesito, attinente a se l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione o anche tramite estrazione dei documenti dell’archivio dei rapporti finanziari.
La risposta non può che essere in quest’ultimo senso.
Ciò per due motivazioni principali: anzitutto, sul piano normativo, l’art. 22 della legge n. 241 del 1990 prevede che il diritto d’accesso si esercita mediante la visione e l’estrazione di copia dei documenti amministrativi.
La seconda attiene alla ratio sottesa all’accesso documentale difensivo. Ed infatti, l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione extra iudicium ai fini della cura e difesa della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio.
7. Osservazioni critiche.
L’Adunanza Plenaria, risolvendo l’intera controversia a’ sensi dell’art. 99, co. 4 del Codice del processo amministrativo[76], e non limitandosi quindi ad enunciare il principio di diritto ma respingendo l’appello con conseguente conferma della pronunzia del T.A.R. Salerno che aveva accolto il ricorso per l’accesso ai documenti reddituali detenuti dall’Agenzia dell’Entrate, ha chiarito un aspetto fondamentale del diritto d’accesso previsto nell’ordinamento italiano.
Come noto, a partire dal d.lgs. n. 33 del 2013, così come poi successivamente modificato dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, il diritto di accesso, che si potrebbe definire tradizionale, cioè quello procedimentale, è stato affiancato dal diritto di accesso civico semplice e dal diritto di accesso civico generalizzato, ciò sulla base del principio della totale accessibilità dei dati dell’amministrazione e del modello del Freedom of Information Act (FOIA)[77].
L’introduzione di questi due istituti, che in linea generale riconoscono a qualunque cittadino la possibilità di conoscere tutti quei dati dell’attività amministrativa che l’amministrazione avrebbe l’obbligo di pubblicare[78], ha comportato una modifica nell’impostazione dell’accesso procedimentale, che, come correttamente evidenziato, si è arroccato, o meglio, è stato limitato all’esigenza di protezione di un interesse individuale[79].
La “visione” insieme alla “voce”[80] sono due strumenti fondamentali attraverso cui il cittadino può partecipare[81] all’attività procedimentale dell’amministrazione[82], specialmente ove questa incida su un suo interesse diretto, concreto ed attuale[83].
Quest’impostazione non è propria solo del nostro ordinamento, ma è rinvenibile anche nell’ambito dell’Unione europea, in virtù della Carta dei diritti fondamentali firmata a Nizza nel 2000[84].
Questa, difatti, all’art. 41 prevede il diritto del singolo di accedere al proprio fascicolo nel procedimento che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale[85].
Nei procedimenti individuali, il diritto di visione però non è sufficiente affinché le istituzioni europee rispettino il precetto della buona amministrazione[86]. È necessario infatti che il procedimento si svolga in contraddittorio, che le osservazioni del singolo vengano tenute debitamente in considerazione e che l’amministrazione motivi adeguatamente il provvedimento adottato[87].
A questo diritto d’accesso individuale, l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali aggiunge un diritto d’accesso generalizzato, a norma del quale tutti hanno il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione[88].
In questo quadro di regole uniformi l’Adunanza Plenaria ha enunciato quattro principi di diritto[89] che chiariscono in modo inequivocabile la portata dell’accesso documentale difensivo.
Anzitutto, si è chiarita la portata della nozione di documento: questa, come si è visto dall’analisi della giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado, è ampia, tale da ricomprendere anche le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti dagli uffici dell’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari ed inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari.
Si è poi chiarito il rapporto tra l’accesso difensivo e gli strumenti di acquisizione probatoria nel processo civile: l’Adunanza Plenaria ha correttamente osservato che, nel quadro di una piena effettività della tutela garantita alle situazioni giuridiche soggettive, non vi è alternatività ma assoluta complementarietà tra i due istituti perché l’accesso documentale disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo è principio generale dell’ordinamento, che può essere esercitato per la cura dei propri interessi indipendentemente dalla pendenza di un giudizio, sia esso amministrativo o civile.
Questo principio di portata generale è valido ovviamente anche se riferito alla documentazione reddituale ed alla contestuale pendenza di un procedimento giurisdizionale in materia di famiglia, confermando l’orientamento che parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado aveva già intrapreso[90].
Da ultimo, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che in questi casi l’accesso difensivo si può esercitare non solamente attraverso la visione ma ovviamente altresì mediante l’estrazione di copia della documentazione reddituale dell’altro coniuge, necessaria per la tutela dei propri interessi nel procedimento giurisdizionale in materia di famiglia, ad esempio di separazione, pendente.
La controversia alla base della sentenza dell’Adunanza Plenaria sembrava nei contenuti molto circoscritta perché attinente al diritto d’accesso alla documentazione reddituale in possesso dell’Agenzia delle Entrate: in realtà, ha costituito la base per una riflessione onnicomprensiva sulla natura dell’accesso procedimentale, ricondotto dalla giurisprudenza ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali[91], ed in particolare sull’accesso difensivo e sul necessario bilanciamento tra esigenze di riservatezza[92] e tutela dei propri diritti[93].
E l’Adunanza Plenaria pare far pendere la bilancia della comparazione degli interessi in gioco in quest’ultima direzione.
***
[1] Dedicato alla “Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”.
[2] Questa norma, rubricata “Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”, dispone, con un rinvio all’art. 492-bis, cod. proc. civ., che “le disposizioni in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applicano anche per l'esecuzione del sequestro conservativo e per la ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui. Ai fini del recupero o della cessione dei crediti, il curatore, il commissario e il liquidatore giudiziale possono avvalersi delle medesime disposizioni anche per accedere ai dati relativi ai soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti. Quando di tali disposizioni ci si avvale nell'ambito di procedure concorsuali e di procedimenti in materia di famiglia, l'autorizzazione spetta al giudice del procedimento”.
[3] Dopo che Cons. Stato, Ad. Plen., 2 luglio 2020, n. 12, in Foro it., 2020, 9, III, 437 ss., era intervenuta sul rapporto tra diritto di accesso e gli atti di gara in una procedura di appalto pubblico, stabilendo che la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la "dilazione temporale" per il ricorso quando i motivi conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta; la sentenza è rinvenibile anche in l’Amministrativista.it, con nota di M.A. Sandulli, L’Adunanza Plenaria n. 12/2020 esclude i “ricorsi al buio” in materia di contratti pubblici, mentre il legislatore amplia le zone grigie della tutela; Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10, in Guida dir., 2020, 18, 98 ss., ha invece affermato che la disciplina dell'accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all'art. 53 d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all'esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l'eccezione del comma 3 dell'art. 5-bisd.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l'art. 53 e con le previsioni della legge n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall'accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell'accesso con le eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, commi 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
[4] In generale, su questo problema, cfr. G. Crepaldi, Le pronunce della terza via. Difesa e collaborazione nel processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2018, 119 ss.; L. Bertonazzi, Forma e sostanza nel processo amministrativo: il caso delle sentenze “a sorpresa” e dintorni, in Dir. proc. amm., 2016, 1048 ss.; F. Saitta, La “terza via” ed il giudice amministrativo: la “questione rilevata d'ufficio” (da sottoporre al contraddittorio) tra legislatore e giurisprudenza, in Dir. proc. amm., 2014, 844 ss.; per l’analoga problematica nel processo civile cfr. A. Giordano, La sentenza della “terza via” e le “vie” d'uscita. Delle sanzioni e dei rimedi avverso una “terza soluzione” del giudice civile, in Giur. it., 2008, 913 ss.; L.P. Comoglio, “Terza via” e processo “giusto”, in Riv. dir. proc., 2006, 758 ss.; S. Chiarloni, La sentenza “della terza via” in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?, in Giur. it., 2002, 1363 ss.
[5] Anche e soprattutto in considerazione del fatto che la tutela giurisdizionale dovrebbe costituire “il meccanismo che consente un confronto dialettico tra i vari soggetti dell’ordinamento, tanto pubblici quanto privati, in una posizione di assoluta parità”: così C.E. Gallo, Entusiasmi e prudenze nel reinventare il diritto amministrativo, in Notiziario Giuridico Regionale, n. 2/3, 1999, 6 ss.
[6] Cfr., sul punto, L. Coraggio, Le sentenze semplificate nel nuovo codice del processo amministrativo, in Giurisd. amm., 2011, IV, 121 ss.; M. Sinisi, La disciplina della decisione in forma semplificata, la garanzia del contraddittorio e il giusto processo. Profili di dubbia legittimità, in Foro amm. TAR, 2008, 413 ss.
[7] In tema cfr. M. Lipari, “Fase 2”. I giudizi camerali nel processo amministrativo, oltre la legislazione dell’emergenza: riti speciali, camere di consiglio atipiche e funzione preparatoria della decisione di merito, in Federalismi, n. 18-2020, 260 ss., che già, con riferimento alla tradizionale formulazione dell’art. 60 del Codice, si chiedeva se “sia del tutto corretta la prassi, assai frequente, di avvisare le parti circa la mera “possibilità” di definire nel merito la controversia. In tal modo, il Collegio si riserva di decidere, alternativamente, il merito della controversia oppure solo la questione cautelare, all’esito della valutazione collegiale in camera di consiglio”.
[8] Sulla disciplina emergenziale introdotta dal citato art. 84 cfr. C.E. Gallo, La discussione scritta della causa nel processo amministrativo, in Giustiziainsieme.it, 16 luglio 2020; F. Saitta, Il processo cautelare alle prese con la pandemia, in LexItalia, 16 giugno 2020, 1 ss.; cfr. C. Cacciavillani, Controcanto sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo (con riferimento all’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28), in GiustAmm, n. 5-2020, 1 ss.; F. Francario, Diritto dell’emergenza e giustizia nell’amministrazione. No a false semplificazioni e a false riforme, in Federalismi, Osservatorio Covid-19, 15 aprile 2020, 3 ss., che evidenzia come neanche la crisi sanitaria che stiamo vivendo può far immaginare una giustizia amministrativa che non garantisca una tutela piena nei confronti dell’amministrazione; in tema v. anche Id., L’emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa. Le nuove disposizioni straordinarie per il processo amministrativo, in Federalismi, Osservatorio Covid-19, 23 marzo 2020, 1 ss.; Id., Il non-processo amministrativo nel diritto dell’emergenza Covid 19, in Giustiziainsieme.it, 14 aprile 2020; M.A. Sandulli, Vademecum sulle ulteriori misure anti Covid 19 in materia di giustizia amministrativa: l’art 84 del decreto “cura Italia”, in L’Amministrativista.it, 2020; Id., Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in L’Amministrativista, 1° maggio 2020 N. Paolantonio, Il processo amministrativo dell’emergenza: sempre più speciale, in GiustAmm, 2020, 1 ss.; da ultimo, in tema si rinvia a P.A.G. Di Cesare, Il processo amministrativo nell’emergenza. Oralità, pubblicità e processo telematico, in Giustiziainsieme.it, 28 settembre 2020.
[9] Di recente, Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2020, n. 4617, in www.giustizia-amministrativa.it, ha perentoriamente ribadito che “la rimessione in termini configura un istituto eccezionale, derogando alla generale perentorietà dei termini processuali, prevista a tutela del pubblico interesse al tempestivo e celere svolgimento del giudizio, oltre che della parità di trattamento delle parti processuali, da sottoporre ai medesimi termini processuali. La sua operatività deve, dunque, ritenersi limitata alle ipotesi in cui sussista effettivamente un impedimento oggettivo ovvero un errore scusabile in cui sia incorsa la parte processuale, determinato da fatti oggettivi, rappresentati - di regola - dall'oscurità del testo normativo, dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o da erronee rassicurazioni fornite da soggetti pubblici istituzionalmente competenti all'applicazione della normativa violata”. In dottrina, sulla rimessione in termini per errore scusabile cfr., ex multis, P. Patrito, M. Protto, Comportamento fuorviante del giudice circa il rito applicabile ed errore scusabile, in Urb. e app., 2012, 1337 ss.; A. Prontera, Alcuni spunti di riflessione sulla nozione di errore scusabile nel sistema processuale amministrativo, in Foro amm. Tar, 2007, 2941 ss.; L. Gili, Sulla rimessione in termini per errore scusabile nel processo amministrativo e sui valori tutelati, in Foro amm. Tar, 2002, 3216 ss.; e da un punto di vista generale R. Caponi,Sanatoria retroattiva delle nullità processuali, rimessione in termini e giusto processo civile, in Giur. cost., 2018, 545 ss.
[10] Sulla ragionevole durata del processo amministrativo cfr. N. Bassi, Ragionevole durata del processo e irragionevoli lungaggini processuali, in Giorn. dir. amm., 2009, 1182 ss.; M. Poto, Processo e ragionevole durata: la bestiola tutta pace e tutta flemma, in Resp. civ. e prev., 2008, 1071 ss.; C. Saltelli, La ragionevole durata del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2007, 979 ss.; in termini generali cfr. altresì G. Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 505 ss.; C. Consolo, Disciplina municipale della violazione del termine di ragionevole durata del processo: strategie e profili critici, in Corr. giur., 2001, 569 ss.; C. Pinelli, La durata ragionevole del processo fra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., 1999, 2997 ss.
[11] Secondo cui la controversia deve essere esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole dinnanzi ad un giudice indipendente e imparziale, che sia precostituito per legge, con l’ausilio dell’assistenza tecnica garantita da un difensore: sul punto cfr. M.A. Sandulli, Diritto europeo e processo amministrativo. Relazione al II seminario franco – italiano di diritto amministrativo, Parigi, 12 e 13 ottobre 2007, in www.giustizia-amministrativa.it, 2007, 1 ss.
[12] Soprattutto in un momento storico ove il processo amministrativo deve essere al massimo grado il luogo della tutela dei diritti avverso i pubblici poteri: sul punto si rinvia all’interessante intervista di B. Caravita, M. Collevecchio, A. D’Urbano, D.U. Galetta, M.A. Sandulli, Il processo, luogo della tutela dei diritti anche e soprattutto nell’emergenza. Dialogando con il Presidente Patroni Griffi sulla giustizia amministrativa, in Federalismi, n. 14-2020, 1 ss.
[13] È necessario però porre chiarezza sul concetto di effettività della tutela: secondo I. Pagni, La giurisdizione tra effettività ed efficienza, in G.D. Comporti (a cura di), La giustizia amministrativa come servizio (tra effettività ed efficienza), Firenze, Firenze University Press, 2016, 85, il concetto deve valorizzare il principio chiovendiano, “in virtù del quale il processo deve dare al titolare di una situazione soggettiva tutto quello e proprio quello che il diritto sostanziale riconosce”; l’affermazione del principio è di G. Chiovenda, Della azione nascente dal contratto preliminare, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, Giuffrè, 1930, Vol. I, 101 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1923, ora in Principi di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1965, 81, secondo cui “il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire”. Il principio è stato riaffermato in ambito cautelare da P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, Cedam, 1936, 30. L’effettività della tutela del sistema giurisdizionale avente ad oggetto i rapporti tra amministrazione e cittadini non è propria solamente della dottrina italiana ma, ad esempio, è al centro anche delle riflessioni della letteratura francese: ex multis, cfr. J.M. Sauvé, Le juge administratif face au défi de l’efficacité. Retour sur les pertinents propos d’un Huron au Palais-Royal et sur la «critique managériale», in Rfda, 2012, 613 ss., secondo cui la giustizia deve essere efficace, effettiva ed efficiente, ove l’effettività non è altro che la qualità tradotta in atti concreti; si v. altresì J. Morand-Deviller, La bonne administration de la justice en France: la célérité et l’efficacité du proces, in V. Parisio (a cura di), I processi amministrativi in Europa tra celerità e garanzia, Milano, Giuffrè, 2009, 39 ss.; M. Fabri, J.P. Jean, P. Langbroek, M. Pauliat, L’administration de la justice en Europe et l’évaluation de sa qualité, Paris, Montchrestien, 2005, 1 ss.; M.L. Cavrois, H. Dalle, J.P. Jean, La qualité de la justice, Paris, La documentation française, 2002, 1 ss.; J.P. Costa, L’effectivité de la justice administrative en France, in G. Paleologo (diretto da), I Consigli di Stato di Francia e d’Italia, Milano, Giuffrè, 1998, 269 ss.
[14] Occorre dar conto che l’art. 25, d.l. 28 ottobre 2010, n. 137, c.d. Decreto Ristori, ha rinnovato le esaminate disposizioni dell’art. 84 d.l. 18 del 2020 per il periodo compreso tra il 9 novembre 2020 ed il 31 gennaio 2021; al co. 2 è stato, difatti, previsto che “durante tale periodo, salvo quanto previsto dal comma 1, gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Restano fermi i poteri presidenziali di rinvio degli affari e di modifica della composizione del collegio”.
[15] In generale, sul contraddittorio nel rito speciale per l’accesso ai documenti amministrativi, cfr. F. Figorilli, Il contraddittorio nel giudizio speciale sul diritto di accesso, in Dir. proc. amm., 1995, 584 ss.
[16] Sul contraddittorio nel giudizio d’appello si rinvia a E. Zampetti, Il difetto di contraddittorio rilevato in appello non comporta l’annullamento con rinvio, in Giustiziainsieme.it, 5 agosto 2020.
[17] La posizione della dottrina è pressoché unanime sul punto: tra i tanti, si rinvia a C.E. Gallo, L'instaurazione del contraddittorio nel giudizio amministrativo d'appello, in Foro it., 1978, III, 37 ss.; Id., Appello nel processo amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1987, 315, spec. 322; L. Migliorini, Il contraddittorio nel processo amministrativo, Rimini, Esi, 1984, 85 ss.; Id., Contraddittorio (principio del), III, Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1998, ad vocem, spec. 4; F.P. Luiso, Il contraddittorio nel processo amministrativo di appello, in Riv. dir. proc., 1994, 963 ss.
[18] Per un inquadramento generale si rinvia a C.E. Gallo, Funzione e prospettive dell’appello nel processo amministrativo, in Aa. Vv., Studi in onore di Umberto Pototschnig, Milano, Giuffrè, 2002, Vol. I, 549 ss.; R. Villata, Considerazioni sull’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1985, 131 ss.; A.M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, Morano Editore, 1963, 4 ss.; M. Nigro, L’appello nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 1960, spec. 47 ss.; U. Pototschnig, Appello (dir. amm.), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1958, Vol. II, 785 ss.; G. Miele, Il Consiglio di Stato come giudice d'appello, in Aa. Vv., Scritti giuridici in onore di Santi Romano, Padova, Cedam, 1940, Vol. II, 357 ss.
[19] Secondo quanto già affermato da Cons. Stato, Ad. Plen., 24 marzo 2004, n. 7, in Dir. proc. amm., 2005, 412 ss., con nota di W. Troise Mangoni, Note in tema di contraddittorio nel processo amministrativo di appello.
[20] Così Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2013, n. 4930, in Foro amm. CdS, 2013, 2752 ss.; Cons. giust. amm. reg. Sicilia, Sez. giurisd., 1° giugno 2012, n. 509, in Foro amm. CdS, 2012, 1672 ss.
[21] In tema, in modo convincente, S. Satta, Limiti di estensione dell'art. 24 della Costituzione (a proposito della sentenza n. 55 del 1971), in Giur. cost., 1971, 577 ss., secondo cui l'art. 102, cod. proc. civ. “non è un principio dottrinale, ma una norma positiva, la quale impone di chiamare in giudizio tutte le parti nei cui confronti la sentenza deve pronunciarsi, e che è un'applicazione ante litteram dell'art. 24 Cost.”.
[22] Per un inquadramento generale dell’istituto del litisconsorzio nei giudizi di impugnazione si rinvia allo studio classico di T. Carnacini, Il litisconsorzio nelle fasi di gravame, Padova, Cedam, 1937, 3 ss.
[23] Così come modificato dalla legge n. 15 del 2005 su cui si può rinviare, per un inquadramento generale, a S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro amm. TAR, 2005, 2635 ss.
[24] Le nozioni di documento amministrativo e del connesso diritto d’accesso da esercitare erano già state immaginate prima della legge n. 241 del 1990, ed in particolare dalla Commissione Nigro: cfr. sul punto V. Parisio, Il diniego di accesso ai documenti amministrativi nella normativa di attuazione della l. 7 agosto 1990 n. 241: prime indicazioni, in Giust. civ., 1995, 305 ss.; nonché S. Caponi, A. Saija (a cura di), Nuovo procedimento amministrativo, Edizioni delle Autonomie 1992, 348 ss.; G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, inAmministrare, 1986, 149 ss.; B. Selleri, Il diritto di accesso agli atti del procedimento amministrativo, Napoli, Esi, 1984, 1 ss.
[25] T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 maggio 2018, n. 434, in www.giustizia-amministrativa.it; ma anche T.A.R. Toscana, Sez. I, 31 maggio 2018, n. 775, ivi.
[26] Cfr., in tema, D.U. Galetta, La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, 1047 ss.
[27] Così Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4372, in Foro amm., 2016, 2339; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 396, in Foro amm., 2016, 498; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 8 aprile 2015, n. 497, in Foro amm., 2015, 1179, che vi ricomprende anche gli atti negoziali e le dichiarazioni unilaterali dei privati, purché acquisiti nell’ambito di un procedimento amministrativo.
[28] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 27 maggio 2011, n. 563, in Foro amm. TAR, 2011, 1474.
[29] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1° luglio 2020, n. 7526, in Guida dir., 2020, 36, 44. Per un approfondimento in letteratura si rinvia a E. Prosperetti, Accesso al software e al relativo algoritmo nei procedimenti amministrativi e giudiziali. Un’analisi a partire da due pronunce del Tar Lazio, in Dir. inform. e informatica, 2019, 1099 ss.
[30] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 dicembre 2019, n. 14140, in Foro amm., 2019, 2111.
[31] T.A.R. Sardegna, Sez. I, 4 marzo 2019, n. 193, in Foro amm., 2019, 613; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1° giugno 2018, n. 6149, in Foro amm., 2018, 1047. In dottrina, per un approfondimento, cfr. già E. Varani, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi contenenti dati sanitari, in Foro amm. TAR, 2005, 929 ss.
[32] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 4 dicembre 2018, n. 11772, in www.giustizia-amministrativa.it.
[33] T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 18 gennaio 2019, n. 29, in Foro amm., 2019, 145 ss.
[34] Che costituisce un limite, ma non un motivo di esclusione, dell’esercizio del diritto d’accesso: così, in senso assolutamente condivisibile, F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. amm., 2019, 743 ss.; già, sul punto, cfr. S. Rodriquez, Nota sul rapporto tra diritto di accesso ai documenti amministrativi e le esigenze di riservatezza dei terzi, in Giur. it., 2007, 467 ss.; M. Clarich, Trasparenza e protezione dei dati personali nell’azione amministrativa, in Foro amm. TAR, 2004, 3885 ss.; Id., Il diritto d’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn, dir. amm., 1995, 132 ss.; S. Cimini, Accesso ai documenti amministrativi e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in Giust. civ., 2005, 407 ss.; A. Sandulli, La riduzione dei limiti all’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. dir. amm., 1997, 1016 ss.
[35] L’accesso difensivo deve essere però di stretta indispensabilità: così Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1451, in lamministrativista.it, 2020; sulla tendenziale prevalenza del c.d. accesso difensivo anche sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale delle parti controinteressate cfr. T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 luglio 2019, n. 894, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 1° febbraio 2019, n. 106, in Foro amm., 2019, 255; ciò però purché l’istanza di accesso non presenti un carattere di indeterminatezza: così Cons. giust. amm. reg. Sicilia, sez. giurisd., 17 gennaio 2018, n. 15, in Foro amm., 2018, 44 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 21 agosto 2017, n. 4043, in www.giustizia-amministrativa.it.
[36] La trattazione delle situazioni giuridiche soggettive e della loro tutela è un tema classico del diritto amministrativo: in tema si rinvia alla fondamentale voce di E. Casetta, Diritti pubblici subiettivi, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1964, Vol. XII, 791 ss., che riprende e critica, almeno in parte, S. Romano, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in V.E. Orlando (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 1900, Vol. I, 117 ss.; nonché E. Casetta, Diritto soggettivo e interesse legittimo: problemi della loro tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 624 ss. Si rinvia, ancora, per un inquadramento generale, a F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, Giappichelli, 2017, 1 ss.; E. Picozza, G. Palma, E. Follieri, Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2000, 1 ss.; E. Picozza, Le situazioni soggettive nel diritto amministrativo, in G. Santaniello (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1999; C.E. Gallo, Soggetti e posizioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1999, Vol. XIV, 2864 ss.; A. Romano, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili, sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, 1 ss.; A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, Aggiornamento, 1998, Vol. II, 966 ss.; L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, Cedam, 1996, 1 ss.; G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, Napoli, Jovene, 1990, 1 ss.; A. Romano, Diritto soggettivo, interesse legittimo ed assetto costituzionale, in Foro it., 1980, V, 258 ss.; da ultimo cfr. A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2020, 1 ss. Sulla tutela delle situazioni giuridiche soggettive negli ordinamenti amministrativi, anche in una prospettiva comparata, si permette di rinviare altresì a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti. Problemi e prospettive alla luce della crisi sistemica dell’Unione europea, Torino, Giappichelli, 2020, 1 ss.
[37] Così secondo Cons. Stato, Sez. IV, 27 agosto 2019, n. 5910 e 29 luglio 2019, n. 5347, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, ivi.
[38] Sulla portata dei principi, spesso di elaborazione giurisprudenziale, nel diritto amministrativo cfr. M.A. Sandulli, “Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale, in Federalismi, n. 23/2017, 2 ss.
[39] Su quest’ultimo si può rinviare a M.R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2020, 63 ss.; sui principi generali del diritto amministrativo cfr. S. Cassese, L. Torchia, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, Il Mulino, 2014, 100, per cui questi “non restano per aria, si calano, ad opera del giudice e dell’interprete, in ogni remoto angolo del diritto amministrativo”.
[40] Così come già chiarito da Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6, in Dir. proc. amm., 2007, 156 ss., con nota di L. Bertonazzi, Note sulla consistenza del c.d. diritto di accesso e sul suo regime sostanziale e processuale: critica alle decisioni nn. 6 e 7 del 2006 con cui l’Adunanza Plenaria, pur senza dichiararlo apertamente e motivatamente, opta per la qualificazione della pretesa ostensiva in termini di interesse legittimo pretensivo, in continuità con la decisione n. 16 del 1999; in Foro it., 2006, III, 378 ss., con nota di M. Occhiena, Diritto di accesso, sua “natura camaleontica” e Adunanza Plenaria 6/2006; in Foro amm. CdS, 2006, 2483 ss., con nota di A. Scognamiglio, Tutela giurisdizionale del diritto di accesso e termini di decadenza; in Giur. it., 2006, 1963 ss., con nota di S. Rodriquez, La tutela giurisdizionale del diritto di accesso agli atti amministrativi. Due Plenarie a confronto.
[41] Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455, in www.giustizia-amministrativa.it.
[42] Cons. Stato, Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16, in Dir. proc. amm., 2000, 148, con nota di C. Cacciavillani, Il diritto di accesso è interesse legittimo; in Urb. e app., 1999, 861 ss., con nota di F. Caringella, La Plenaria riscrive le regole sostanziali e processuali dell’accesso.
[43] Così secondo Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444, in Foro amm., 2018, 1953 ss., anticipato da Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1805, in www.giustizia-amministrativa.it.
[44] Secondo quanto affermato da Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 1997, n. 1591, in Riv. giur. edil., 1998, 687 ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158, in Dir. proc. amm., 1996, 134 ss., con nota di R. Raggi, Diritto alla prova e diritto al documento dopo la legge n. 241 del 1990: due categorie distinte ed autonome.
[45] Difatti, secondo Cass. civ., Sez. I, 4 aprile 2019, n. 9535, in Il familiarista.it, 5 settembre 2019, con nota di F. Picardi, L’inattendibilità delle dichiarazione dei redditi dei coniugi e le indagini patrimoniali, “la legge n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, non impone al Tribunale in via diretta e automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall'art. 187 c.p.c., che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e ordinare gli altri che può disporre d'ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza”; così anche Cass. civ., Sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass. civ., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21603, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336, in Dir. & Giust., 7 giugno 2013, con nota di E. Buscaglia, Indagini patrimoniali? Non sempre sono necessarie.
[46] In ogni caso, l'esclusione dei procedimenti tributari dal diritto di accesso si riferisce esclusivamente ai casi in cui la richiesta di accesso inerisce concretamente ad un procedimento tributario in corso. Né la richiesta di documenti di carattere fiscale può ritenersi sottratta all'accesso per ragioni di riservatezza. Infatti, l'art. 5, d.m. 29 ottobre 1996 n. 603, esclude dall'accesso solamente "gli atti e documenti allegati alle dichiarazioni tributarie", con ciò implicitamente riconoscendo che tale esclusione non può applicarsi alle dichiarazioni tributarie stesse, le quali potranno essere sottratte all'accesso, ai sensi dell'art. 24, co. 1, lett. b), legge n. 241 del 1990 solo se e in quanto incluse in un procedimento tributario, che deve essere peraltro non potenziale ma effettivamente in corso: così T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 13 ottobre 2011, n. 2430, in Foro amm. TAR, 2011, 3054 ss.
[47] Così T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 marzo 2020, n. 533, in Foro amm., 2020, 449 ss.
[48] Come immaginato, ad esempio, da Cass. civ., Sez. Un., 27 maggio 1994, n. 5216, in Giust. civ. Mass., 1994, 731 ss., secondo cui “la pretesa di accesso (mediante esame ed estrazione di copie) ai documenti amministrativi esistenti presso le amministrazioni statali (comprese le aziende autonome), gli enti pubblici (compresi quelli locali) ed i concessionari di pubblici servizi, pur trovando diretto fondamento nella legge (art. 22 ss. l. 7 agosto 1990 n. 241), è soggetta ad un apprezzamento da parte della P.A. (che nelle ipotesi previste dall'art. 24 può, con provvedimento motivato, rifiutare, differire o limitare l'esercizio dell'accesso) e costituisce perciò oggetto di una posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo e tutelabile esclusivamente davanti al T.A.R. con il rimedio previsto dall'art. 25 della stessa legge”.
[49] Secondo quanto era stato affermato, ad esempio, da Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1679, in Foro amm. CdS, 2005, 1168, per cui il diritto di accesso ha natura di vero e proprio diritto soggettivo, essendo previsto da una legge di settore che ne disciplina minutamente l'attribuzione e l'esercizio nell'esclusivo interesse del richiedente, limitandolo solo a fronte di specifiche e tassative esigenze di riservatezza (dei terzi o dell'amministrazione stessa) stabilite dalla legge e non per mere valutazioni di opportunità di chi detiene il documento.
[50] Sulla necessità di distinguere chiaramente i diversi istituti in materia di accesso cfr. F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, in Federalismi, n. 10/2019, 3 ss.
[51] Per una ricostruzione tradizionale dell’acquisizione probatoria nel processo civile si rinvia, tra i tanti, a V. Sparano, L'esibizione di prove nel processo civile, Napoli, Jovene, 1961; S. La China, L'esibizione delle prove nel processo civile, Milano, Giuffrè; 1960; Id., Esibizione delle prove (dir. proc. civ.), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1966, Vol. XV, 701 ss.; A. Massari, Esibizione delle prove, in Noviss. dig. it., Torino, Utet, 1960,Vol. VI, 836 ss.; F. Lancellotti, Esibizione di prove e sequestri, in Aa. Vv., Studi in onore di Redenti, Milano, 1951, Vol. II, 519 ss.; F.Carnelutti, Illecita produzione di documenti, in Riv. dir. proc. civ., 1935, II, 63 ss.; P. Calamandrei, Conseguenze della mancata esibizione di documenti in giudizio, in Riv. dir. proc. civ., 1930, II, 293 ss.; C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile, Firenze, 1922, I, n. 63 ss. Il riconoscimento di una generica azione esibitoria vi era anche con riferimento al previgente codice di procedura civile: cfr., sul punto, C. Sega, Cenni intorno all'azione esibitoria nel diritto processuale italiano, Torino, F.lli Bocca, 1933, 56 ss.; L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Roma, 1925, Vol. III, 556 ss.
[52] Sul punto è interessante quanto affermato da T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 4 giugno 2018, n. 543, in Foro amm., 2018, 1019, secondo cui “poiché il diritto di accesso è indipendente dalla fondatezza della pretesa sostanziale, non può essere imposto al richiedente di dare preventivamente inizio a una controversia di merito solo per provocare l'ordine del giudice di esibizione dei documenti ex art. 210-213 cpc. In questo modo, infatti, l'azione verrebbe esperita con una finalità esplorativa, rovesciando il rapporto tra la domanda di merito e le istanze istruttorie, e trasformando queste ultime nel vero oggetto della controversia”.
[53] Sull’ordine di esibizione adottato dal giudice cfr. A. Graziosi, Riflessioni sull’ordine di esibizione nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 1313 ss.
[54] Così Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2017, n. 3461, in www.giustizia-amministrativa.it.
[55] Per un commento generale all’istituto cfr. F. Figorilli, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Dir. proc. amm., 1994, 206 ss.
[56] Sulla nozione di documento nel processo civile si rinvia alla voce di S. Patti, Documento, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Utet, 1991, Vol. VII, 4 ss.
[57] Anche perché la pienezza e l’effettività della tutela sono corollari necessari, sotto il profilo funzionale, del principio del giusto processo: così V. Fanti, Dimensioni della proporzionalità. Profili ricostruttivi tra attività e processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2012, 168 ss.; sul tema cfr. altresì M. Renna, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, in G. Della Cananea, M. Dugato (a cura di), Diritto amministrativo e Corte costituzionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 552 ss.; E. Picozza, Il “giusto” processo amministrativo, in Cons. Stato, 2000, 1074 ss.; nonché, da ultimo, il recente studio di M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di effettività della tutela, Torino, Giappichelli, 2017, 1 ss.
[58] Disposizione che, secondo M. Lipari, Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla legge n. 241/1990 all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettive, in Federalismi, n. 17/2019, 27, suscita non pochi dubbi applicativi.
[59] Afferma la polifunzionalità del diritto d’accesso A. Romano Tassone, A chi serve il diritto d’accesso? (Riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto d’accesso nella legge n. 241/1990), in Dir. amm., 1995, 315 ss.
[60] Su questa, in linea generale, si rinvia a P. Chirulli, La partecipazione al procedimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Princìpi e regole dell’azione amministrativa, cit., 291 ss.; per una lettura critica delle norme sulla partecipazione cfr. E.M. Marenghi, C’era una volta la partecipazione, in Dir. e proc. amm., 2007, 45 ss.
[61] Per una ricostruzione generale si rinvia a M.A. Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Encicl. dir., agg. IV, Milano, Giuffrè, 2000, 1 ss.
[62] La letteratura che individua la trasparenza come principio cardine dell’attività e dell’organizzazione amministrativa è amplissima: tra i tanti, si deve certamente rinviare a R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 528 ss.; G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in Aa. Vv., L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Atti del XXXV Convegno di studi di scienze dell’amministrazione – Varenna, Milano, Giuffrè, 1991, 8; G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Encicl. giur., Roma, 1995, Vol. XXXI, 1 ss.; E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, in Dir. pubbl., 2005, 576 ss.; P. Tanda, Trasparenza (principio di), in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 2008, Agg. III, 884 ss.; C. Marzuoli, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano,Giuffrè, 2008, 45 ss.; F. Manganaro, Trasparenza e digitalizzazione, in Dir. e proc. amm., 2019, 25 ss.; V. Fanti, La trasparenza amministrativa tra principi costituzionali e valori dell’ordinamento europeo: a margine di una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 20/2019), inFederalismi, n. 5/2020, 37 ss.
[63] Per una ricostruzione si rinvia, ad esempio, a A. Simonati, I principi in materia di accesso, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017, 1209 ss.; A. Romano, L’accesso ai documenti amministrativi, in Alb. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2016, 910 ss.
[64] M. Occhiena, I diritti di accesso dopo la riforma della l. n. 241 del 1990, in Foro amm. TAR, 2005, 905 ss., correttamente osserva che, anche in questo caso, permane un potere dell’amministrazione, ovvero un potere di valutazione della necessaria conoscenza dell’atto o della sua stretta indispensabilità.
[65] Così C.E. Gallo, S. Foà, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, Agg., 2000, 1 ss.
[66] Su cui si rinvia al commento di M. Lipari, L’accesso “inaccessibile” (il nuovo regolamento sull’accesso ai documenti amministrativi), in Corr. merito, 2006, 1067 ss.
[67] In questo senso Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956, in www.giustizia-amministrativa.it.
[68] Principio che vale, come noto, anche nel processo amministrativo: tra i tanti cfr. L.R. Perfetti, L’istruzione nel processo amministrativo e il principio dispositivo, in Riv. dir. proc., 2015, 72 ss.; C.E. Gallo, La prova nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 1994, 1 ss.; R. Villata, Riflessioni introduttive allo studio del libero convincimento del giudice nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 1990, 201 ss.; M. Nigro, Il giudice amministrativo “signore della prova”, in Foro it. 1976, V, c. 9 ss.; in generale per un’applicazione del principio nel processo civile cfr. G. Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, Jovene, 1974, 1 ss.; A. Nasi, Disposizione del diritto e azione dispositiva: contributo allo studio del principio dispositivo nel processo civile di cognizione, Milano, Giuffrè, 1965, 1 ss.; E.T. Liebman, Fondamento del principio dispositivo, in Riv. dir. proc., 1960, 551 ss.; M. Cappelletti, Principio dispositivo e interrogatorio della parte, in Annali Macerata, 1959, 233 ss.; più di recente cfr., inoltre, A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, in Foro it., 2003, I, c. 604; B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, Cedam, 1991, 1 ss.; G. Verde, Domanda (principio della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, Vol. XII, 1 ss.
[69] Così Cass. civ., Sez. Un., 14 aprile 2011, n. 8487, in Giur. it., 2011, 2668 ss.
[70] Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6, cit.
[71] In merito alla tutela giurisdizionale del diritto d’accesso cfr. V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in Federalismi, n. 11/2018, 2 ss.; Id., Il rito processuale in materia di accesso ai documenti amministrativi: un giudizio di accertamento introdotto da un giudizio di impugnazione, in Aa. Vv., Scritti in onore di Paolo Stella Richter, Napoli, Ed. Scientifiche, 2013, 343 ss.; E.M. Marenghi, Il rito speciale dell’accesso tra differenziazione processuale e indifferenziazione materiale, in Dir. e proc. amm., 2015, 689 ss.; S. Fiorenzano, Il rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Padova, Cedam, 2014, 1111 ss.
[72] Così già Cass. Civ., Sez. I, 9 agosto 1996, n. 7318, in Giust. civ. Mass., 1996, 1139 ss.
[73] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158, in Foro amm., 1995, 570 ss., secondo cui, una volta accertato che il soggetto inciso dall'attività amministrativa è legittimato all'accesso ai documenti amministrativi, la ragion d'essere di quest'ultimo, che attiene ad esigenze sostanziali, rende ininfluente il fatto che la lite sia eventuale o attuale, che la giurisdizione spetti al giudice dell'eccesso o ad altro giudice, e che l'acquisizione dei documenti possa avvenire anche a seguito di poteri istruttori del giudice.
[74] Secondo Cass. civ., Sez. III, 12 marzo 2013, n. 6101, in Giust. civ. Mass., 2013, il potere di cui all'art. 213, cod. proc. civ., di richiedere d'ufficio alla P.A. le informazioni scritte relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo non può essere esercitato per acquisire atti o documenti della p.a. che la parte è in condizioni di produrre; così anche Cass. civ., Sez. II, 11 giugno 2013, n. 14656, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., Sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 454; Cass. civ., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 287, in Arch. giur. circ., 2006, 276 ss.
[75] La trattazione in dottrina sulla giurisdizione esclusiva è amplissima e non è questa la sede per trattarla: si rinvia, però, tra i tanti a C.E. Gallo, La giurisdizione esclusiva in materia di concessioni ridisegnata dalla Corte di Cassazione, in Dir. proc. amm., 2020, 505 ss.; M. Ramajoli, La forma della giurisdizione: legittimità, esclusiva, merito, in B. Sassani, R. Villata (a cura di), Il codice del processo amministrativo, Torino,Giappichelli, 2012, 146 ss.; F.G. Scoca, Riflessioni sulla giurisdizione esclusiva, in Giur. cost., 2010, 439 ss.; M.C. Cavallaro, Brevi riflessioni sulla giurisdizione esclusiva nel nuovo codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 1365 ss.; G. Greco, Metamorfosi e declino della giurisdizione esclusiva: dalla tutela dei diritti per materia a quella per connessione, in Dir. proc. amm., 2006, 906 ss.; L. Mazzarolli, Sui caratteri e limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte Costituzionale ne ridisegna l'ambito, in Dir. proc. amm., 2005, 232 ss.; R. Caranta, La giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di appalti, in A. Angeletti (a cura di) La Corte Costituzionale e la giurisdizione esclusiva, Milano, Giuffrè, 2005, 53 ss.; C.E. Gallo, La giurisdizione esclusiva ridisegnata dalla Corte costituzionale alla prova dei fatti, in Foro amm. CdS, 2004, 1908 ss.; A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, in Dir. proc. amm., 2004, 417 ss.; V. Parisio, Carta costituzionale, giurisdizione esclusiva e pubblici servizi, in Dir. e soc., 2003, 75 ss.; Id., Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, appalti e natura delle posizioni giuridiche soggettive, in Giust. civ., 2003, 93 ss.; Id., Giudice amministrativo, giurisdizione esclusiva e pubblici servizi: spunti di riflessione su alcune questioni problematiche, in V. Parisio, A. Perini, (a cura di), Le nuove frontiere della giurisdizione esclusiva. Una riflessione a più voci, Milano, Giuffrè, 2002, 79 ss. F. Satta, Giurisdizione esclusiva, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 2001, Aggiornamento, Vol. V, 594 ss.; A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo - Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, Cedam, 2000, 1 ss.; P.M. Vipiana, Giurisdizione amministrativa esclusiva, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1991, vol. VII, 440 ss.; V. Domenichelli, Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, Cedam, 1988, 1 ss.; R. Meregazzi, La giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, in G. Miele (a cura di), La giustizia amministrativa, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1968, 213 ss.
[76] Cons. Stato, Ad. Plen., 23 febbraio 2018, n. 2, in Guida dir., 2018, 14, 56 ss., ha chiarito che “l'articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm. deve essere inteso nel senso di rimettere all'Adunanza plenaria la sola opzione fra l'integrale definizione della controversia e l'enunciazione di un principio di diritto, mentre non è predicabile (per ragioni sia testuali, che sistematiche) l'ulteriore distinzione in princìpi di diritto di carattere astratto e princìpi maggiormente attinenti alle peculiarità del caso concreto”.
[77] Sul punto cfr. M.A. Sandulli, L. Droghini, La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione, in Federalismi, n. 19-2020, 403 ss.
[78] In tema la letteratura è ampia: si rinvia, ad esempio, a E. Guarnieri, Accesso civico generalizzato: àrbitri e arbìtri, in Federalismi, n. 29/2020, 89 ss.; M. Filice, I limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Dir. amm., 2019, 861 ss.; M. De Rosa, B. Neri, Profili procedimentali dell’accesso generalizzato, in Dir. amm., 2019, 793 ss.; I. Piazza, L’organizzazione dell’accesso generalizzato: dal sistema di governance all’attuazione amministrativa, in Dir. amm., 2019, 645 ss.; A. Moliterni, La natura giuridica dell’accesso civico generalizzato nel sistema di trasparenza nei confronti dei pubblici poteri, in Dir. amm., 2019, 577 ss.; N. Vettori, Valori giuridici in conflitto nel regime delle forme di accesso civico, in Dir. amm., 2019, 539 ss.; M. Savino, Il FOIA italiano e i suoi critici: per un dibattito scientifico meno platonico, in Dir. amm., 2019, 452 ss.; D.U. Galetta, Accesso (civico) generalizzato ed esigenze di tutela dei dati personali ad un anno dall’entrata in vigore del Decreto FOIA: la trasparenza de “le vite degli altri”?, in Federalismi, n. 10/2018, 1 ss.; A. Porporato, Il nuovo accesso civico generalizzato introdotto dal d.lgs 25 maggio 2016 n. 97 attuativo della riforma Madia e i modelli di riferimento, in Federalismi, n. 12/2017, 2 ss.; M.G. Della Scala, Gli obblighi di pubblicazione delle P.A., in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2016, 994 ss.; S. Villamena, Il c.d. FOIA (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in Federalismi, n. 23/2016, 2 ss.; E. Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato e la persistente centralità degli obblighi di pubblicazione, in Dir. amm., 2016, 579 ss.; M. D’Arienzo, Diritto alla trasparenza e tutela dei dati personali nel d.lgs. n. 33/2013, con particolare riferimento alla disciplina dell’accesso civico, in Dir. e proc. amm., 2015, 123 ss.
[79] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, cit., 11.
[80] Le relative definizioni sono da far risalire allo studio di M. D’Alberti, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1 ss., che evidenzia come “la 'visione' e la 'voce' sono momenti chiaramente connessi. Dal punto di vista logico, la 'visione' dei documenti, cioè l'accesso alle informazioni, costituisce il presupposto necessario per poter esprimere compiutamente la 'voce', affinché, in altri termini, abbia luogo un pieno contraddittorio, in senso lato, fra l'amministrato e gli uffici”.
[81] “Il concetto di partecipazione sembra, nelle linee generali, sufficientemente chiaro. Nel suo significato più elementare, che rende però benissimo la sostanza del fenomeno (penso alla precisazione di Chiti in argomento) la partecipazione indica e realizza il «prender parte», ad un processo di decisione, di soggetti diversi da quelli ai quali un ordinamento attribuisce istituzionalmente la competenza a provvedere e che ordina (organizza) stabilmente per questo scopo. Il partecipante è «l'estraneo» rispetto al membro della famiglia”: così secondo l’insegnamento di M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 226 ss.
[82] Ricordando che, per F. Benvenuti, L’azione amministrativa tra garanzia ed efficienza, in Scritti giuridici, Milano, 2006, Vol. IV, 3655, il procedimento “comporta una democratizzazione del provvedimento in termini di garanzia e adeguatezza dei bisogni ponendosi così come principio di antiarbitrarietà nell’attività dell’amministrazione”.
[83] L’accesso civico e l’accesso civico generalizzato superano questa limitazione, riconoscendo il diritto a “chiunque”: sul punto si rinvia a A. Cauduro, Il diritto di accesso a dati e documenti amministrativi come promozione della partecipazione: un’innovazione limitata, in Dir. amm., 2017, 601 ss.
[84] Per un’ampia trattazione in materia si permette il rinvio a M. Ricciardo Calderaro, L’integrazione amministrativa e la tutela dei diritti, cit., 82 ss.
[85] Sul complesso rapporto tra riservatezza e trasparenza cfr. l’ampio studio di M.G. Losano, Trasparenza e segreto: una convivenza difficile nello Stato democratico, in Dir. pubbl., 2017, 660 ss.; ma già G. Arena, Il segreto amministrativo. Profili storici e sistematici, Padova, Cedam, 1983, 5 ss.
[86] In tema cfr. D.U. Galetta, Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2005, 819 ss.; di recente, V. Cerulli Irelli, La responsabilità del giuspubblicista. Spunti critici, in Federalismi, n. 30/2020, IX, ha osservato che “una buona amministrazione è per definizione un’amministrazione poco contenziosa, perché svolta con imparzialità e correttezza, nel rispetto della legge e dei diritti”.
[87] Su quest’aspetto si rinvia anche a C. Tommasi, Il diritto di accesso ai documenti dell’Unione europea: tra partecipazione e controllo diffuso, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2019, 839 ss.; G. Conte, Portata e limiti del diritto d’accesso ai documenti nell’Unione europea, in Dir. Un. Eur., 2013, 293 ss.
[88] In letteratura cfr. per tutti, M. Klatt, Art. 42 - Recht auf Zugang zu Dokumenten, in J. Schwarze, U. Becker, A. Hatje, J. Schoo (a cura di), EU-Kommentar, Baden-Baden, Nomos, 2019; S. Ninatti, 42 - Diritto di accesso ai documenti, in R. Mastroianni O. Pollicino, S. Allegrezza, F. Pappalardo, O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 781 ss.; B. Schöbener, Art. 42 - Recht auf Zugang zu Dokumenten, in Stern, Sachs (a cura di), Europäische Grundrechtecharta, Kölner Gemeinschafts Kommentar, Köln, C.H. Beck, 2016, 646 ss.
[89] Sul ruolo fondamentale di quest’ultima cfr. E. Follieri, L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in E. Follieri, A. Barone (a cura di), I principi vincolanti dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato sul codice del processo amministrativo (2010-2015), Padova, Cedam, 2015, 25 ss.; nonché Id., L'Adunanza Plenaria, "sovrano illuminato", prende coscienza che i principi enunciati nelle sue pronunzie sono fonti del diritto, in Urb. e app., 2018, 373 ss.; S. Oggianu, Il ruolo dell’Adunanza Plenaria nella riforma del processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2010, 859 ss.
[90] Così, ad esempio, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 7 marzo 2019, n. 457, in Foro amm., 2019, 611, secondo cui “il coniuge, anche in pendenza del giudizio di separazione o divorzio, ha il diritto di accedere secondo i normali canoni della legge 241/1990 alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale dell'altro coniuge, al fine di difendere il proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata. Infatti, il combinato disposto degli artt. 492-bis c.p.c. e 155-sexies disp. att. c.p.c., che prevede l'applicabilità delle modalità di ricerca telematica anche quando l'autorità giudiziaria deve adottare provvedimenti in materia di famiglia, costituisce un semplice ampliamento dei poteri istruttori del giudice della cognizione già previsti dal codice di procedura civile ai sensi dell'art. 210 c.p.c., ma non rappresenta un'esclusione dal diritto d'accesso dei documenti contenuti nell'Archivio dei rapporti finanziari”; così anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 7 novembre 2018, n. 6455, in Foro amm., 2018, 2066 ss.; contra, T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 dicembre 2018, n. 1144, in Foro amm., 2018, 2243 ss.
[91] Ad esempio, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 10 ottobre 2018, n. 756, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 11 ottobre 2016, n. 1847, ivi; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 6 giugno 2011, n. 1004, in Foro amm. TAR, 2011, 2101 ss.
[92] Che debbono tenere altresì conto del Regolamento GDPR, Reg. 2016/679/UE: sul punto cfr. E. D’Alterio, Protezione dei dati personali e accesso amministrativo: alla ricerca dell’”ordine segreto”, in Giorn. dir. amm., 2019, 9 ss.; F. Midiri, GDPR e accesso ai documenti amministrativi, in Foro amm., 2018, 2217 ss.
[93] Su questo delicato rapporto cfr. già le osservazioni di A. Simonati, L’accesso amministrativo e la tutela della riservatezza, Trento, 2002, 1 ss.; M.T.P. Caputi Jambrenghi, Diritto di accesso e tutela della riservatezza, Bari, Cacucci, 2000, 1 ss.; M. Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, 430 ss.
Kamala Harris, Ruth Bader Ginsburg e le altre. Quel che le donne (al potere) ci possono dire
di Tania Groppi
Nel giro di qualche settimana, tra la fine di settembre e gli inizi di novembre, nel corso di un 2020 flagellato da una inusitata e inattesa pandemia globale, due donne statunitensi hanno attratto l’attenzione di tutto il mondo, andando oltre la cerchia degli addetti ai lavori e contribuendo ad alimentare il dibattito, rinvigorito dall’emergenza COVID, sul ruolo che le donne possono e debbono avere nel nuovo millennio.
Il 18 settembre, Ruth Bader Ginsburg, figlia di genitori ebrei immigrati da Odessa, giudice progressista della Corte suprema, seconda donna nella storia ad esservi nominata, divenuta un’icona della sinistra liberal statunitense, è mancata dopo una lunga malattia proprio negli ultimi scampoli della Presidenza Trump, giusto in tempo per lasciare al Presidente le settimane necessarie per sostituirla con una figura di donna profondamente diversa, per appartenenza religiosa e cultura giuridica.
Il 3 novembre, Kamala Harris, figlia di genitori immigrati dall’India e dalla Giamaica, già procuratrice generale e quindi senatrice della California, è stata eletta vicepresidente degli Stati Uniti d’America, in ticket col Presidente Joe Biden, cumulando due record: la prima donna vicepresidente degli Stati Uniti (come è noto, mai una donna ha ricoperto la carica di Presidente e l’unica candidata è stata Hillary Clinton nel 2016) e la prima afro-asiamericana a ricoprire quell’incarico.
Nonostante il loro eccezionalismo, che su tanti temi contribuisce a farli avvertire molto distanti da noi europei (pensiamo a questioni come la pena di morte, la chiusura al diritto internazionale, il diritto di possedere armi da fuoco, la mancanza di un sistema sanitario pubblico, l’ostilità ai principi basilari dello Stato sociale), gli Stati Uniti continuano ad attrarre gli sguardi dell’Occidente, come accade fin dai tempi di Tocqueville. È assai difficile negare, “nonostante tutto” – dove nel “tutto” comprenderei non solo questa distanza, ma anche le innumerevoli pecche di un sistema costituzionale “invecchiato”, a partire da una serie di falle istituzionali come quelle che emergono in occasione delle elezioni – il fascino che esercita questo grande paese lontano-vicino, questa terra di contraddizioni estreme, una sorta di grande laboratorio nel quale andiamo a caccia di soluzioni, tendenze, anticipazioni.
È in questo quadro che possiamo leggere, e provare a comprendere, anche l’attenzione e l’interesse che hanno destato queste due figure femminili, immediatamente assurte a simboli di percorsi “possibili”, di strade che si aprono per le donne di tutto il mondo.
Siamo infatti in un momento storico molto particolare, per quanto riguarda i diritti delle donne e la loro posizione nella sfera pubblica, un momento che mi sembra assumere la forza di un turning point della storia, dopo i millenni di oppressione e di marginalizzazione che hanno dato luogo a quella che non possiamo non riconoscere come la più diffusa e persistente violazione dei diritti umani, da parte di poteri privati e pubblici.
Se le grandi dichiarazioni della fine del 1700 e l’affermarsi dello Stato liberale di diritto hanno posto le basi per la garanzia dei diritti e per la partecipazione dei consociati alla gestione del potere, esse hanno comunque scontato un grave limite: quello di avere come soggetto di riferimento un individuo, astratto sì, ma agevolmente riconducibile al maschio bianco e proprietario. Nonostante i tentativi di alcune figure femminili di spicco (come Olympe de Gouges, che scrisse nel 1791 la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, e Mary Wollstonecraft che nel 1792 pubblicò la “Rivendicazione dei diritti della donna”) di affiancarvi una dichiarazione dei diritti della donna, il paradigma dell’inferiorità della donna è restato dominante ancora a lungo.
Soltanto con l’affermarsi dello Stato democratico-pluralista, nella seconda metà del XX secolo, i testi costituzionali hanno assicurato i principi di eguaglianza e non discriminazione, ma il cammino per implementarli e attuarli si è rivelato assai lungo e complesso, al punto che, settanta anni dopo, anche nelle democrazie stabilizzate dell’Occidente si è ben lontani dall’aver raggiunto, in tutti i campi, una effettiva parità tra i sessi. Nonostante gli enormi progressi legislativi, le donne restano confinate ai margini della sfera pubblica e collocate in posizioni subalterne anche in quella privata, dal lavoro alla famiglia.
È davvero incredibile, qualcosa con cui credo qualsiasi donna deve prima o poi fare i conti, verificare sulla propria pelle la difficoltà dei principi giuridici di incidere sulla effettività dei rapporti di potere: la questione dei diritti delle donne è forse la sfera nella quale il peso della tradizione è più forte e gli strumenti del diritto e della politica sembrano troppo deboli, incapaci di scardinare paradigmi radicati nei millenni.
Questa distanza che pare incolmabile tra le proclamazioni contenute nei trattati internazionali e nelle costituzioni e la realtà delle vite ha generato, negli stessi movimenti delle donne, reazioni altalenanti: accanto ad epoche di lotte e rivendicazioni, ci sono stati periodi di stanchezza e scoraggiamento. Atteggiamenti questi che vanno calati nell’ambito dei diversi momenti storici, andando di pari passo con un maggior attivismo o una rassegnata passività della società: pensiamo al femminismo degli anni Settanta, inserito in un contesto di rivendicazioni da parte di tanti soggetti, oppure alla fuga nel privato e nel carrierismo che hanno connotato i decenni successivi.
Le crisi che si sono susseguite dal 2008, prima quella economico-finanziaria, poi quella determinata dalla pandemia, stanno imponendo all’Occidente una riflessione di ampia portata sui propri valori e identità, spingendo a un ripensamento su una serie di questioni di fondo che erano state in qualche modo accantonate: la crisi ambientale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, la questione femminile. In genere, non si giunge a mettere in discussione i presupposti fondativi delle democrazie costituzionali, ma a mostrarne le contraddizioni, che si annidano soprattutto nella distanza tra le proclamazioni di principio e la realtà.
È qui che si radica la nuova fase della lotta per i diritti delle donne, che vede al centro la necessità di dare attuazione alle norme esistenti, nella convinzione che una più ampia partecipazione femminile alle attività economiche e ai processi decisionali potrebbe arricchire la società tutta, contribuendo a superare le contraddizioni profonde delle democrazie pluraliste, che ne stanno incrinando la legittimazione agli occhi delle opinioni pubbliche, in Occidente ed altrove.
Siamo in una fase di rinnovata consapevolezza e attivismo, nella quale c’è bisogno di figure che siano di ispirazione sia per il loro contributo diretto, che per il loro percorso personale. Ecco qui Ruth Bader Ginsburg, autrice, come giudice della Corte Suprema, di opinions che sono state capaci di collegare la lotta contro le discriminazioni con una lettura del diritto costituzionale americano visto come storia dell’estensione dei diritti ai gruppi lungamente esclusi: le persone senza proprietà, i nativi americani, gli afroamericani, le donne. Ed ecco Kamala Harris, che questi principi e diritti si propone di inverare attraverso la politica.
Due donne che hanno molti tratti in comune. Non sono soltanto “seconde generazioni”. Figlie di immigrati che sono giunti negli States da paesi lontani, per salvarsi da persecuzioni o povertà, per studiare o comunque perseguire una vita migliore nel contesto del grande paese che invita i talenti di tutto il mondo a contribuire ed essere parte del “sogno americano”. Ma sono anche donne che hanno dedicato la loro vita al diritto, sono giuriste. Non dimentichiamo che Kamala Harris ha fatto tutta la sua carriera come pubblico ministero e avvocato, prima di candidarsi al Senato. Giuriste, ma non solo. C’è modo e modo, lo sappiamo bene, di essere giuristi. Il diritto ha due lati, può essere strumento nelle mani dei potenti, o strumento di difesa per gli inermi: occorre sempre scegliere da che parte stare, se con chi sta sopra o con chi sta sotto. Mi sentirei di dire che ciò che accomuna queste due luminose e illuminanti figure è una scelta di campo. E, chissà, ma questo aspetto meriterebbe una maggiore riflessione, lo scrivo qui in forma di intuizione: chissà che non sia un caso che le donne si facciano più agevolmente strada nel mondo del diritto, e che generalmente si facciano portatrici delle istanze di giustizia che salgono dal mondo degli esclusi. Chissà. Sarebbe bello poter credere (benché l’accusa di essenzialismo sia dietro l’angolo) che millenni di oppressione abbiano lasciato perlomeno questa attitudine, e che le giuriste si sentano chiamate, ancor più dei loro colleghi maschi, a una funzione di pacificazione e giustizia. Sarebbe bello poter credere che una volta immesse nei processi decisionali, sia che si tratti di adottare delicate scelte giudiziarie, che decisioni politiche, le donne siano in grado di far valere la loro diversità, nella direzione di una riduzione delle fatiche e delle sofferenze umane.
Se nei suoi decenni alla Corte suprema Ruth Bader Ginsburg ha fatto sentire tante e tante volte la sua voce in favore degli esclusi, Kamala Harris ha mostrato il suo piglio fin dalle parole di apertura del primo discorso dopo la vittoria elettorale, pronunciato non a caso vestita nel colore bianco delle suffragette: “La democrazia non è uno stato, ma un atto. La democrazia americana non è scontata, la sua forza dipende dalla nostra volontà di combattere per essa”. La aspetta un mandato complicato, in una nazione polarizzata e spaesata: entrata a pieni passi nel mondo maschile del potere, a Kamala Harris spetta altresì il compito gravoso di costruire un ulteriore pezzettino del lungo cammino della storia delle donne.
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