Legittimazione ad agire dell’ANAC e giurisdizione amministrativa (nota a T.A.R.Campania, Salerno Sez. I, 2.1.2021 n.1) di Esper Tedeschi
Sommario: 1. Cenni sulla legittimazione processuale dell’ANAC ex art. 211, co. 1-bis e 1-ter, d.lgs. n. 50/2016 - 2. La sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 2.01.2021, n. 1- 3. Brevi riflessioni conclusive sulla legittimazione “straordinaria” dell’ANAC.
1. Cenni sulla legittimazione processuale dell’ANAC ex art. 211, co. 1-bis e 1-ter, d.lgs. n. 50/2016.
La sentenza del T.A.R. Salerno n. 1/2021 offre l’occasione per riflettere in merito al complesso tema della legittimazione ad agire dell’ANAC.
Prima di descrivere la questione affrontata nel dettaglio dal giudice amministrativo, è opportuno spendere qualche parola in merito alla struttura alle due diverse ipotesi di legittimazione processuale individuate dall’art. 211, d.lgs. n. 50/2016.
Come ormai noto, l’art. 211 d.lgs. n. 50 del 2016 è stato modificato dal d.l. n. 50/2017 e dalla successiva legge di conversione n. 96/2017 che hanno comportato l’espunzione del comma 2 del medesimo articolo. Tale comma 2 prevedeva l’istituto delle c.d. raccomandazioni vincolanti con le quali l’ANAC, una volta riscontrate delle illegittimità negli atti di gara, era titolare del potere di adottare delle “raccomandazioni vincolanti” nei confronti della Stazione Appaltante, al fine di sollecitare (con le forme dell’“invito”) l’esercizio del potere in autotutela, da parte dell’Amministrazione, in senso conforme alla raccomandazione stessa[1].
La modifica normativa, in particolare, era stata auspicata dal Consiglio di Stato in sede consultiva, nei pareri nn. 855/2016 e 2777/2016[2]. Il legislatore delegato, a seguito delle criticità evidenziate in sede consultiva, dunque, ha sostituito le raccomandazioni vincolanti con due ipotesi di legittimazione ad agire individuate dai nuovi co. 1-bis e co.1-ter dell’art. 211 che, almeno sulla carta, dovrebbero rappresentare una soluzione che favorisca una forma di controllo collaborativo (tra l’ANAC e le Stazioni appaltanti). Poi, ai sensi dell’art. 211, co. 1-quater, la disciplina di dettaglio è rimessa a un regolamento interno all’Autorità con lo specifico fine di circoscrivere l’area della legittimazione attiva dinanzi al g.a.[3].
Le articolate previsioni dell’art. 211 introducono, nella materia della contrattualistica pubblica, un nuovo soggetto dotato di legittimazione attiva, con l’obiettivo (non dichiarato) di tutelare la legalità e la concorrenza nel settore degli appalti, consentendo l’impugnazione di bandi, atti generali e provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto.
In particolare, l’art. 211, co. 1-bis, d.lgs. n. 50 del 2016, attribuisce la legittimazione ad agire in giudizio dell’ANAC per l’impugnazione “dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante”[4]. Rientrano, quindi, nella fattispecie oggetto d’impugnazione diretta gli atti della procedura relativi a contratti di rilevante impatto sia in senso economico (criterio quantitativo), sia in senso di importanza della commessa pubblica (criterio qualitativo)[5].
L’art. 211, co. 1-ter, invece, adotta una soluzione equiparabile a quella già prevista dall’art. 21-bis, l. n. 287 del 1990 per l’AGCM[6]. Il co. 1-ter, difatti, attribuisce la legittimazione ad agire in giudizio previo parere motivato, con cui si invita la Stazione Appaltante a conformarsi entro un termine, decorso il quale – in caso di mancato adempimento alle prescrizioni dell’ANAC – l’Autorità può adire il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento del provvedimento “viziato da gravi violazioni del presente codice”[7]. Anche se, va detto, alcune differenze tra i due istituiti sono state individuate in merito all’oggetto del giudizio[8].
Tuttavia una differenza, non da poco, tra i due commi citati dell’art. 211, codice dei contratti pubblici e l’istituto dell’art. 21-bis, è l’assenza dell’indicazione specifica dell’interesse a tutela del quale l’Autorità agisce.
Tale differenza, significativa, fa riaffiorare il mai sopito dibattito sulla presenza di una funzione oggettiva della giurisdizione amministrativa, seppure a prevalenza soggettiva; cioè di una giustizia orientata non solo a tutelare gli interessi delle parti contraenti, ma anche volta a perseguire l’obiettivo, più generale, della legalità dell’azione amministrativa, che assume particolare rilievo nelle gare ad evidenza pubblica.
Sennonché, con riferimento alla legittimazione dell’ANAC sembra più corretto parlare di legittimazione “oggettiva” o “straordinaria” sia in riferimento all’ipotesi disciplinata dall’art. 211, co. 1-bis, sia dal co. 1-ter[9]. Difatti – pur non essendo indicato espressamente l’interesse alla cui tutela è preposta l’Autorità – anche con gli istituti predetti, al pari dell’art. 21-bis per l’AGCM, si prevede una legittimazione processuale sganciata dalla effettiva titolarità di un interesse legittimo, ma ricollegata, invece, alla tutela di un interesse generale (alla concorrenza e alla legalità dell’azione amministrativa)[10].
Come si dirà nel terzo paragrafo, pertanto, sembra che non ci sia stato, con la modifica all’art. 211, d.lgs. n. 50/2016, uno snaturamento della natura soggettiva della giurisdizione, bensì l’introduzione di una forma di “vigilanza collaborativa ai fini della tutela dell’interesse pubblico alla legittimità ed alla legalità dell’azione amministrativa in materia di procedure relative all’affidamento di contratti pubblici”[11] che si estrinseca in una legittimazione straordinaria ed oggettiva dell’ANAC[12].
2. La sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 2.01.2021, n. 1.
Venendo, ora, all’esame della sentenza in commento, occorre muovere dalla fattispecie concreta. Il “caso” deciso dal T.A.R. Campania, sede di Salerno, concerne la decisione dell’ANAC di impugnare gli atti della procedura e, segnatamente, singole clausole, in relazione alla qualificazione di centrale di committenza e di organismo di diritto pubblico di un’Associazione che aveva gestito i servizi di committenza ausiliaria per la Stazione Appaltante e alle stesse disposizioni che regolavano l’affidamento dei medesimi servizi prestati dall’Associazione afferenti alla procedura in questione, sulla base di un corrispettivo che l’ANAC ha ritenuto illegittimamente posto a carico dell’aggiudicatario con una alterazione della concorrenza.
Infatti l’individuazione dei soggetti ammessi a svolgere le attività di committenza ausiliarie “attiene al più ampio assetto del mercato relativo a tali attività, nell’ambito del quale le modalità di affidamento sono determinate in considerazione anche della qualità rivestita dall’affidatario; allo stesso modo l’imposizione di specifici oneri a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario incide sulla partecipazione alla specifica procedura”.
L’ANAC, dunque – ravvisate le “gravi violazioni” del codice dei contratti pubblici nell’ambito del mercato dei servizi di committenza ausiliari e dello specifico mercato a cui attiene l’oggetto della procedura – ha adottato il parere ex art. 211, co. 1-ter, d.lgs. n. 50/2016, assegnando un termine sia alla Stazione Appaltante che alla Centrale di committenza per l’adeguamento[13]. Decorso inutilmente il termine, l’Autorità ha deliberato di impugnare gli atti della procedura.
Le difese dell’Amministrazione intimata hanno consentito al giudice di affrontare in maniera approfondita il tema della legittimazione ad agire dell’ANAC. Difatti la Stazione appaltante ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per “insussistenza dei presupposti della legittimazione straordinaria dell’Autorità”, poiché, da un lato le clausole contestate non avevano una portata escludente né incidevano sulla concorrenzialità della gara, dall’altro lato – secondo l’Amministrazione – non vi erano i presupposti per l’esercizio dell’autotutela, difettando l’interesse pubblico all’annullamento della procedura
Il giudice ha tuttavia ritenuto come gli atti impugnati dall’ANAC rientrassero tra quelli assoggettabili all’azione dell’Autorità ex art. 211, co. 1-bis e 1-ter, d.lgs. n. 50/2016 e artt. 4 e 7 del Regolamento ANAC. Inoltre, l’Autorità avrebbe fatto valere “violazioni gravi delle regole della concorrenza nell’ambito del mercato dei servizi di committenza ausiliari e dello specifico mercato a cui attiene l’oggetto della procedura. Infatti l’individuazione dei soggetti ammessi a svolgere le attività di committenza ausiliarie attiene al più ampio assetto del mercato relativo a tali attività, nell’ambito del quale le modalità di affidamento sono determinate in considerazione anche della qualità rivestita dall’affidatario; allo stesso modo l’imposizione di specifici oneri a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario incide sulla partecipazione alla specifica procedura”.
Ciò detto, il T.A.R. apertamente si sbilancia a favore della natura puramente soggettiva della giurisdizione affermando che l’art. 211, codice dei contratti pubblici, ha riconosciuto una legittimazione ex lege volta ad assicurare la tutela di “interessi particolari e differenziati, eppure pubblici, di cui l’Autorità è portatrice”, avallando, sostanzialmente, la teoria della soggettivizazzione di interessi dal carattere generale[14].
Infine il T.A.R. ha anche offerto interessanti spunti di riflessione sull’oggetto d’impugnazione in caso di azione proposta a seguito della diffida, ex art. 211, co. 1-ter, ad esercitare l’autotutela doverosa.
3. Brevi riflessioni conclusive sulla legittimazione “straordinaria” dell’ANAC.
Si avverte, a questo punto l’esigenza di soffermarsi ulteriormente sulla legittimazione straordinaria dell’ANAC, al fine anche di accertare se, effettivamente, con tale attribuzione non si sia inciso sulla natura soggettiva della giurisdizione amministrativa.
Per quanto si condividano le conclusioni del T.A.R., non sembra inutile, ai fini di un’accurata, se pur breve, analisi, muovere dalla ri-strutturazione dell’ANAC (per effetto dell’art. 19 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014 n. 114)[15], alla quale ha corrisposto il potenziamento del contrasto nazionale alla corruzione – in via preventiva – nel quadro di una concezione extra-nazionale, convenzionalmente condivisa[16], da cui ha preso le mosse l’idea politica della “prevenzione”, alla stregua di un fenomeno distorsivo della “funzione pubblica” (non esclusivamente nazionale). Il processo di inclusione di tale lotta negli interessi fondamentali pubblici da perseguire ha preso avvio con l’istituzione, dapprima, di una Commissione orbitante nell’ambito del Dipartimento della funzione pubblica (il primo dei soggetti contemplati nell’art. 12 del citato d.gs. n. 150 del 2009, coinvolti nel processo di “misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale delle amministrazioni pubbliche”).
Gli obiettivi, al tempo, erano, al primo apparire, solo latamente riconducibile al contrasto preventivo alla corruzione[17], essendosi arrivati soltanto per tratti successivi, alla sensibilizzazione agli aspetti funzionali e organizzativi della lotta preventiva a tale fenomeno.
Nella successione degli atti legislativi (come individuati nella nota che precede), emerge che, alla ri-denominazione dell’Autorità, si accompagna l’accentuazione della sua indipendenza, in conformità a quanto richiesto dalle norme stabilite dalle convenzioni internazionali, univoche nel ritenere essenziale al fine la creazione di Autorità nazionali, effettivamente “indipendenti”[18].
In conclusione, con il decreto del 2014, l’ordinamento ha reinventato un’Autorità indipendente “nuova”, in virtù della convergenza delle attribuzioni già proprie di differente Autorità (contestualmente soppressa), in tema di contratti pubblici, proprio per essersi accentuata la percezione della carica di aggressività della corruzione, tale da penetrare negativamente nel pubblico come nel sociale, con ripercussioni devastanti nell’economia del Paese.
L’evento/occasione è stata l’Expo Milano 2015.
L’effetto politico-istituzionale è stato la pressocché immediata configurazione legislativa di un’Autorità dotata di autonomia e poteri di regolazione ed enforcement che la collocano, nella funzione della lotta alla corruzione, in una posizione del tutto analoga a quella di altre Autorità, effettivamente “indipendente” nel contesto nazionale.
L’accostamento più immediato e naturale è all’AGCM, con la quale l’ANAC condivide il sostanziale obiettivo finale della crescita economica del Paese (incoraggiando comportamenti virtuosi pubblici e privati, nell’un caso; e, nell’altro, facendo sì da evitare e combattere comportamenti anticoncorrenziali), con parecchi punti in comune, ancorché differiscano le strategie in rapporto alla funzione specifica affidata alle due differenti Autorità: per l’ANAC la lotta preventiva, con strumenti amministrativi, alla corruzione; per l’AGCM, quella ai comportamenti anticoncorrenziali in funzione del “libero mercato” inteso come “luogo nel quale si esplicita la pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l'esercizio dell'impresa”[19].
Accomunano entrambi, innanzitutto, il rango costituzionale e sovranazionale degli interessi assegnati alla loro cura: a) ciò vale per la “concorrenza per il mercato”, che è “di rango costituzionale ed europeo”[20]; b) ma vale altresì, a maggior ragione, per la lotta preventiva alla corruzione, a mente dell’innovato art. 97, co. 2, Cost., in relazione al co. 1, e degli impegni convenzionalmente assunti al riguardo dalla Repubblica italiana, in ambito sovra-nazionale[21].
Per quello che interessa, inoltre, l’accostamento è ulteriormente circostanziato dal difetto, per l’una come per l’altra Autorità di poteri coercitivi, idonei a contrapporsi a provvedimenti amministrativi lesivi dell’interesse pubblico a ciascuna assegnato e, correlativamente, l’avvertita esigenza del legislatore nazionale di investire entrambe di una speciale legittimazione ad agire in giudizio, per l’impugnazione di provvedimenti amministrativi asseritamente illegittimi e lesivi degli interessi pubblici di titolarità di ciascuna[22].
Il presente scritto impone, per la sua brevità, di esporre considerazioni di estrema sintesi, sicché, ci si limiterà a dire che l’ordinamento giuridico è duttile e aperto, per sua natura, alle istanze che provengono, in relazione ai tempi, da più parti; ne consegue che il passaggio dal “devi” al “puoi” (che caratterizza la derivazione, dal diritto oggettivo, di quello soggettivo) ha confini estremamente labili, in quanto esprime, in un dato momento storico, le connotazioni della “organizzazione [...] di una data comunità sociale” in un determinato periodo[23].
Non sembra, pertanto, azzardata l’idea che – in forza del processo di osmosi fra differenti ordinamenti nazionali, strettamente collegata alla appartenenza all’Europa – il modello nazionale, attuale, di “giustizia amministrativa” derivi dalla convergenza di tre differenti modelli, ovvero, quelli francese, tedesco e inglese[24], in un modello nuovo e originale, nel quale la pretesa di tutela nei riguardi di provvedimenti lesivi degli interessi legittimi pertinenti alla sfera giuridica soggettiva non ha, come presupposto essenziale – nella Carta Costituzionale – che la lesione si determini nella sfera soggettiva di un soggetto a priori qualificabile “privato”, bensì, esclusivamente, che l’interesse da tutelare sia “proprio” ovvero appannaggio della sfera giuridica di chi ne promuove l’azione[25].
Sebbene non fossero totalmente in errore quanti, prima della Costituzione repubblicana, propendevano per la natura oggettiva del processo amministrativo, indipendentemente da talune connotazioni di soggettività della strutturazione processuale della tutela accordata al soggetto[26], al più, induce a qualche perplessità che, dopo la Costituzione repubblicana, su tale convincimento abbiano insistito acuti conoscitori del “processo”, della sua strumentalità rispetto a posizioni sostanziali già definite dall’ordinamento e ai risvolti riparatori e attuativi della posizione soggettiva lesa[27]. L’equivoco si deve, non già alle “connotazioni costituzionali” della tutela dell’interesse legittimo, siccome affidata ai giudici della “giustizia amministrativa”, quanto, piuttosto al persistente equivoco di un “interesse legittimo” privo di consistenza sostanziale, in quanto soltanto occasionalmente protetto. È questa la conseguenza del lungo “morare” del legislatore nazionale nel dare un convincente e ragionevole assetto processuale a tale “giustizia amministrativa”[28], così differente, ma anche così strutturalmente coincidente con quella del “processo civile”, da avere quest’ultimo costituito, con il relativo codice, per lungo tempo, il punto di riferimento per ovviare alle scarne e talvolta inadeguate indicazioni provenienti dal corpo delle leggi e del regolamento del Consiglio di Stato, integrato, in parte minima, peraltro, dalla successiva legge del 1971, istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali. Non si contano le riforme e integrazioni successive, le quali, in buona sostanza, sono valse ad aprire finalmente la strada al “nuovo” codice del processo amministrativo, dove l’accostamento al processo civile si enuncia, sin dall’art. 1, con riferimento alla generalità delle azioni disciplinate nel codice, nel quale, d’altra parte si rinviene un archetipo strutturale tipico della giurisdizione soggettiva, per nulla scalfito da talune connotazioni eccezionali di “ipotetica” giurisdizione oggettiva.
La riflessione è che, ancor prima del codice, l’impronta in senso soggettivo della giurisdizione – guidata dal precetto costituzionale e da talune riforme – è dovuta alle felici intuizioni dei giudici amministrativi: sfumature di oggettività non contano per qualificare il processo, così come non conta, nel processo civile, che taluni istituti evochino profili di giurisdizione oggettiva (quali la legittimazione del p.m. nelle cause di nullità assoluta dei negozi giuridici, o nelle cause relative a minori, o in tema di rapporti di famiglia e quant’altro). Nessuno dubita neppure del fatto che debba rinvenirsi attività giurisdizionale anche in quelle attribuzioni del giudice civile che evocano l’esercizio di poteri amministrativi, quali le attribuzioni nei procedimenti definiti di “volontaria giurisdizione”.
Ciò posto, per rispondere all’interrogativo principale, i due problemi, quello relativo alla legittimazione processuale e quello della natura del processo cui dà luogo l’esercizio di tale legittimazione, devono essere tenuti, almeno inizialmente, distinti.
Si tratta di due problemi che, trattati congiuntamente, infatti, lasciano indulgere alla tentazione di considerare consequenziale una sopravvenuta giurisdizione oggettiva del giudice amministrativo, nella materia contrattualistica pubblica, mentre, al contrario, tale sensazione svanisce ove si muova separatamente, dalle esigenze che hanno condotto il legislatore, procedendo per astrazione, a riconoscere, all’Autorità di cui si tratta, legittimazione processuale (straordinaria) in due puntuali ipotesi, nell’ambito della sua funzione preventiva di lotta alla corruzione, occasionata dai contratti pubblici: ossia, nelle due ipotesi contemplate dall’art. 211 del Codice dei contratti pubblici.
Sul primo aspetto rileva la considerazione che l’istituzione di un’Autorità implica l’attribuzione di “poteri” funzionalizzati, che assoggettano il titolare al “vincolo della legalità” nella duplice implicazione che ne deriva in relazione alla “indicazione-di scopo” ed al relativo “vincolo”[29].
I “poteri” sono coessenziali all’autonomia accordata Autorità e vi si correlano strumenti di regolazione ed enforcement ai quali sono anche complementari poteri di controllo e sanzionatori, quest’ultimi, però, nella specie, limitati e inefficaci, per lo più, in quanto interlocutori sono, in linea generale, soggetti pubblici, anch’essi titolari di poteri: l’illegittimità emerge nella lesione di interessi propri degli operatori che vengono in contatto in occasione della procedura pubblica, se e nei limiti in cui richiedono tutela giurisdizionale; l’eventuale illiceità emerge in sede penale sub specie di “repressione” ed è quanto la “prevenzione” mira a evitare, per il freno che ne deriva alla fluidità del percorso produttivo.
La considerazione prima, “motrice” dell’ottica della “straordinarietà” nella quale si è mosso il legislatore nazionale, è che i “poteri” non generano “diritti” ed anzi, sono ad essi antitetici.
L’Autorità indipendente, nell’assetto ordinamentale nella quale è istituita, esercita il potere in adempimento di un “dovere giuridico e pubblico”, che ruota intorno a un interesse pubblico specifico; analogamente, i suoi apprezzamenti e le sue scelte “discrezionali” connotano “il potere”, sempre funzionalizzati e coessenziali alle attribuzioni e ai vincoli che ne derivano. Nell’ambito di tali poteri non è riconoscibile né quello di paralizzare i “poteri” di altre amministrazioni, né di agire in giudizio, per avversare la lesione dell’interesse pubblico che ne deriva, per effetto della violazione di puntuali regole di azione.
L’Autorità, espressione dell’organizzazione dell’Ordinamento che l’ha istituita, non ha neanche il “potere” di investire incidentalmente, il giudice delle leggi, nel corso di un proprio procedimento sanzionatorio, dello scioglimento del dubbio di costituzionalità di un atto legislativo[30].
Ma, nei limiti in cui gli è consentito dalla Costituzione, l’ordinamento giuridico è in condizione di trovare il rimedio. Alla regola generale si contrappone l’eccezione “straordinaria”, ma questa, a sua volta, richiede meccanismi di successiva approssimazione.
Nel nostro caso essi si rendono necessari in quanto – sebbene i precetti costituzionali in tema di “giustizia amministrativa”[31] non precludano ex se che posizioni di interesse legittimo suscettibili di tutela giurisdizionale possano anche sussistere in capo a soggetti pubblici - è nella natura stessa del “potere” pubblico che l’emersione di una posizione legittimante all’esercizio di un’azione in giudizio sia preceduta dalla “titolarità” di una posizione sostanziale che ne costituisce la fonte.
La legittimazione ad agire, infatti, è espressione del “diritto” di agire in giudizio, per la tutela di una propria posizione soggettiva, di “interesse legittimo” o di “diritto soggettivo” che sia.
Tale posizione non è rinvenibile, “ordinariamente”, in capo all’ANAC: la prevenzione della corruzione e la tutela della concorrenza sono interessi dei quali, essa non è titolare, essendone titolare direttamente ed esclusivamente lo Stato, per cui, di converso, l’ANAC non può avere, al riguardo, né interessi legittimi, né diritti soggettivi che possano subire lesione da parte di differenti “poteri”, a maggior ragioni non può essere titolare di diritto di azione e trovarsi in una posizione di legittimazione processuale.
È qui che l’ordinamento interviene, comportando:
a) l’oggettivazione dell’interesse; ed è questo davvero l’aspetto più difficile da sviscerare, in quanto né il legislatore né la sentenza in esame, né altrimenti, dottrina e giurisprudenza, lo hanno, invero, risolto, a differenza dell’ipotesi analoga - relativa all’AGCM - in cui la strada è stata spianata dallo stesso legislatore con espressa proposizione; nel nostro caso sembrerebbe che ad essere oggettivato sia l’interesse alla legalità (sub-specie di lotta alla corruzione) e alla tutela della concorrenza, rispetto al quale il legittimo espletamento della procedura concorsuale costituisce un aspetto complementare e l’occasione diretta, in caso di sua illegittimità, della lesione che ne deriva alla sfera soggettiva del titolare dell’interesse alla prevenzione alla corruzione, che ne è sostanzialmente compromesso;
b) in tale passaggio ideale, la titolarità della funzione diverrebbe, dunque, l’occasione, perché, l’interesse predetto, disancorato dalla “funzione”, possa articolarsi nelle sue componenti, fra le quali coessenziale, la legittimità della procedura concorsuale, prodromica al conseguimento della “efficienza” dell’amministrativa, nella quale si realizza il canone fondamentale di cui all’art. 97 Cost.;
c) l’attribuzione della legittimazione straordinaria ad agire, nelle due ipotesi contemplate nei commi 1-bis e 1-ter sopra specificati, chiude il quadro delle approssimazioni che “il diritto oggettivo” si è visto costretto a compiere per giungere al fatidico “puoi” del sillogismo normativo.
Ma risulta, poi, chiaro che, una volta messo a punto tale percorso, il legislatore non ha inteso modificare né le connotazioni strutturali del processo amministrativo, né i poteri giurisdizionali del giudice amministrativo, in quanto entrambi restano tali e quali, con le connotazioni proprie del giudizio a istanza di parte e i limiti, anche, che ne derivano, alle parti e al giudice, nell’esercizio del potere giurisdizionale, secondo gli ordinari criteri che governano tale giudizio.
Sintomatico, al riguardo, è che le due norme che prevedono l’azione – sia pure problematiche, per taluni profili, nelle loro implicazioni sostanziali – non introducano alcuna eccezione alle ordinarie regole del processo, neanche per ciò che riguarda la sospensione dei termini processuali nella fase prodromica delineata nel comma 1-ter[32].
L’attribuzione della straordinaria legittimazione, nelle due differenti ipotesi consente, dunque che l’ANAC ricorra contro i provvedimenti asseritamente illegittimi della stazione appaltante, non diversamente di come sono legittimati a fare – sussistendone i presupposti – i concorrenti ipoteticamente lesi, senza che le particolarità del caso incidano sul potere giurisdizione esercitato dal giudice amministrativo, che eserciterà il controllo giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impugnato, more solito, sulla base delle deduzioni delle parti e del principio di disponibilità tipico della giurisdizione soggettiva.
In altri termini, le particolarità che ineriscono ai presupposti di tale legittimazione, non ne snaturano le connotazioni.
Eventuali sintomi di emergente oggettivazione di tale giurisdizione – seppure in taluni casi innegabili – andranno ricercati altrove.
Qui si è al cospetto di un interesse che è per sua natura pubblico ma che costituisce il “presupposto” della legittimazione straordinaria, ovvero la prevenzione della corruzione, compromette la funzionalità di ogni intervento pubblico.
Sarebbe un grave errore accostare il fenomeno ai casi in cui è accordata legittimazione in funzione di tutela di interessi diffusi. Non vi è alcun dubbio, infatti, che l’interesse sia pubblico e che gli eventuali collegamenti sociologici e morali non ne mutino in alcun mono le connotazioni.
Marcatamente la necessità di conferire una legittimazione processuale straordinaria all’ANAC è il riflesso di lacune che i mutati assetti hanno determinato nel sistema dei controlli, all’origine facenti capo alla Corte dei conti, nel pensiero dei padri costituenti[33].
Quello che vi è di nuovo e di originale, nella attribuzione della legittimazione straordinaria all’ANAC, non è un mutato modo di concepire la giustizia amministrativa, quanto piuttosto nell’avere integrato, in funzione di controllo collaborativo, le opportunità di intervento dell’ANAC, tramite un’azione in giudizio, rispondente ai canoni tipici dell’azione amministrativa, soltanto con un presupposto in più, nell’ipotesi contemplata, dal più volte citato comma 1-ter.
[1] Tra gli autori che hanno affrontato il tema si segnalano M.A. Sandulli, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in Federalismi.it, n. 5, 2016; M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa” nel nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), in Federalismi.it, n. 10, 2016 e Id., Il nuovo precontenzioso ANAC. I pareri e le raccomandazioni vincolanti ex art. 211 del nuovo codice, Roma, 2017; L. Torchia, Il nuovo codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in Giorn. Dir. Amm., n. 5, 2016, pp. 503 e ss.; E. Follieri,Le novità sui ricorsi giurisdizionali amministrativi nel codice dei contratti pubblici, in Urb. e App., nn. 8-9, 2016, pp. 874 e ss.; F. Goisis, La breve esperienza delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC ex art. 211, co. 2, d.lgs. n. 50 del 2016: doverosità e funzione di giustizia nella autotutela decisoria, in P.A. Persona e Amministrazione, n. 1, 2017, p. 421.
[2] In particolare, il Consiglio di Stato, con il parere n. 855/2016 ha evidenziato come il precedente comma 2 ponesse delle criticità sotto il profilo della “compatibilità con il sistema delle autonomie, in quanto introduce[va] un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta con la sentenza 14 febbraio 2013, 20, pronunciatasi sull'art. 21 bis della legge n. 287/1990”. Non solo, perché, prosegue il Consiglio di Stato, sul piano della ragionevolezza e del principio di presunzione di legittimità degli atti amministrativi, si sarebbe creata una sorta di responsabilità da atto legittimo, ove la P.A. non si fosse conformata alla raccomandazione.
Inoltre con il parere n. 2777/2016, è stato anche sottolineato come la sanzione prevista in caso di mancato adeguamento alla raccomandazione dell’ANAC, colpendo solo e unicamente il dirigente, creava delle difficoltà sistematiche di compatibilità con il principio di responsabilità personale ex art. 3, co. 1, l. n. 689/1981. Ancora, ulteriori (e condivisibili) criticità erano segnalate in ragione del procedimento di vigilanza che si sarebbe venuto a creare, di difficile inquadramento all’interno del sistema e delle garanzie di diritto amministrativo.
[3] Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., approvato il 13 giugno 2018.
[4] La disposizione trova, poi, specificazione, negli artt. 3-5 (Capo II) del Regolamento ANAC del 13 giugno 2018.
[5] Il Consiglio di Stato, in sede di parere reso sullo schema di Regolamento dell’ANAC, ha apprezzato lo “sforzo” della previsione regolamentare di qualificare i contratti di “rilevante impatto”. Tuttavia l’elencazione fatta dall’ANAC al co. 2, dell’art. 3 del Regolamento lascia ancora qualche interrogativo, in quanto rimangono ancora dei tetti abbastanza elevati per l’individuazione dei contratti rilevanti sotto il profilo economico (“lavori di importo pari o superiore a 15 milioni di euro ovvero servizi e/o forniture di importo pari o superiore a 25 milioni di euro”) e – come osserva il Consiglio di Stato in sede consultiva – “risulta per contro generico e poco chiaro il richiamo operato ai fini della qualificazione di “contratti di rilevante impatto” al potenziale elevato numero di operatori; ugualmente oscuro, generico e fonte di equivoco appare anche il riferimento – sempre ai fini qualificatori in discussione – ai “contratti riconducibili a fattispecie, criminose, situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti”.
[6] Per un’ampia e recente disamina dell’istituto si veda N. Pica, La tutela processuale dell’interesse pubblico: considerazioni a partire dalla legittimazione ad agire dell’AGCM, in Dir. Proc. Amm., n. 3, 2019, pp. 807 e ss.
[7] Anche questa disposizione è poi dettagliata dal Regolamento ANAC del 2018 negli artt. 6-10 (Capo III).
[8] La fattispecie procedimentale disciplinata dall’art. 21-bis, l. n. 287/1990 sembrerebbe prevedere un parare-diffida dell’AGCM con portata conformativa e vincolante nei confronti dell’Amministrazione destinataria. Sicché, in dottrina, è prevalente l’idea che oggetto del giudizio sia la verifica della legittimità dell’atto individuato – tramite parere – come illegittimo dall’Autorità procedente, con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale atto adottato dall’Amministrazione non sarà oggetto esclusivo del giudizio, ma solo elemento della valutazione complessiva del giudice. Sul punto M. Clarich, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della L. n. 287/1990, in giustizia-amministrativa.it. Anche se, B.G. Mattarella, ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice amministrativo, in Giorn. dir. amm., qualifica il parere espresso dall’AGCM come un “invito” all’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione.
Con riferimento all’art. 211, co. 1-ter, d.lgs. n. 50/2016 sembra essere prevalente la tesi che individua nel parere una vera e propria diffida “produttiva di un obbligo di provvedere in ordine alla richiesta di autotutela” (M. Lipari, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dell’Anac, in giustizia amministrativa.it), come confermato, d’altronde, dal Consiglio di Stato in sede consultiva (parere n. 1119/2018). Di talché, il giudie – almeno laddove l’amministrazione non sia rimasta inerte – dovrebbe anche valutare se sussistono o meno i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela da parte della Stazione Appaltante. Cfr. S. Tuccillo, La legittimazione processuale delle Autorità Indipendenti. Il caso Anac, in P&A Persone e Amministrazione, n. 2, 2019, pp. 197 e ss.
[9] Non secondo S. Tuccillo, op. cit., che distingue a seconda se impugnino atti generali o atti puntuali. Nel primo caso emergerebbe la funzione oggettiva della giurisdizione, mentre, nella seconda ipotesi, ci sarebbe sempre “la tutela indiretta di soggetti individuati o individuabili”.
[10] Ossia la fattispecie tracciata da V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 2, 2014, per la definizione dell’ipotesi di legittimazione oggettiva, laddove ha precisato che “con la nozione di legittimazione “oggettiva” ad agire, mi riferisco in queste note, ai casi, molteplici nel nostro ordinamento processuale, nei quali determinati soggetti, in virtù di espressa previsione di legge, ovvero della loro posizione istituzionale nell'ambito dell'ordinamento, possono adire il giudice amministrativo (esercitando l'una o l'altra delle azioni ammissibili) per la tutela di interessi generali (pubblici) di cui sono portatori; cadendo dunque, in tali casi, il carattere prettamente “soggettivo” del processo amministrativo, come quello inteso alla tutela di situazioni soggettive protette (diritti e interessi legittimi: artt. 103, 113, Cost.), la cui sussistenza in concreto, deve essere rappresentata preliminarmente al giudice ai fini dell'esercizio dell'azione. La previsione di casi di legittimazione “oggettiva” non comporta affatto, come si mostra in queste note, che il processo assuma caratteri “di diritto oggettivo” (che in qualche caso si rinvengono anche nel processo amministrativo, del tutto a prescindere dai casi di legittimazione “oggettiva”)”.
Parzialmente diversa l’opinione di M.A. Sandulli, Profili oggettivi e soggettivi della giustizia amministrativa: il confronto, in Federalismi.it, n. 3, 2017 che individua indici dell’oggettivizzazione della giurisdizione nella legittimazione ad agire delle Autorità Indipendenti e di alcune amministrazioni centrali (MIUR e MEF in particolare). In altro precedente scritto l’A. tenta di individuare quale potrebbe essere l’interesse “soggettivizzato” di cui sarebbe portatore l’AGCM, interrogandosi sulla compatibilità con il dettato costituzionale (art. 103) della fattispecie dell’art. 21-bis (M.A. Sandulli, Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autorità indipendenti, in anticorruzione.it, 2013).
Tuttavia, in più di un’occasione la giurisprudenza si è espressa sulla compatibilità con l’art. 103 dell’azione descritta dall’art. 21-bis, l. n. 287/1990 (su tutte si veda la sentenza della Corte Cost., 14 febbraio 2013, ma anche T.A.R. Lazio, sede di Roma, sez. III, 15 marzo 2013, n. 2720).
[11] Cons. stato, parere n. 1119/2018 reso sullo schema di Regolamento sull’esercizio dei poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016.
[12] Sia consentito rinviare a quanto detto in un proprio precedente scritto Rapporto tra Ricorso principale e ricorso incidentale in materia d’appalti: profili oggettivi della giustizia amministrativa e integrazione europea, in Dir. Proc. Amm., n. 4, 2017, in particolare p. 1447 e s.
Cfr. sul tema M. Nigro, Giurisprudenza amministrativa e trasformazioni dell’amministrazione: riflessioni sulle conseguenze sostanziali di assetti processuali, in Studi centenario IV sezione, II, Roma, 1989, p. 574, che trattando di legittimazione oggettiva, per scelta legislativa, parla di emersione “nell’area del pubblico, di un pubblico non statale ma sociale, che trae la sua posizione e la sua legittimazione dai suoi collegamenti funzionali con gli interessi e le forze della società”, ovverosia di formazioni sociali nelle quali si aggregano interessi diffusi, legittimate ex lege a tutelare detti interessi in sede giurisdizionale.
[13] Come emerge dalla casistica, l’ANAC ha sempre preferito utilizzare lo schema a doppio stadio, in luogo dell’impugnazione in via diretta, anche laddove si trattava di contratti di importanza rilevante secondo il Regolamento ANAC. D’altra parte è anche una scelta ragionevole che, prudenzialmente, mette al riparo l’Autorità da possibili eccezioni d’inammissibilità per non aver adottato la previa diffida nei confronti della Stazione Appaltante in presenza di appalti dalla non chiara riconducibilità alle ipotesi dell’art. 3, co. 2 del Regolamento. Cfr. S. Tuccillo, op. cit., spec. pp. 196 e ss.
[14] Si legge, infatti, nella sentenza che “tale legittimazione, attribuita direttamente dalla legge, è volta infatti ad assicurare tutela agli interessi particolari e differenziati, eppure pubblici, di cui l’Autorità è portatrice, legati alla corretta applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici e, di conseguenza, alla piena ed effettiva realizzazione degli obiettivi posti dal legislatore con la citata disciplina, consentendo alla stessa di agire al fine di ristabilire la legalità violata (con una particolare configurazione, quindi dell’interesse ad agire) a prescindere dall’iniziativa di singoli concorrenti che lamentino una lesione diretta e immediata della loro sfera giuridica”. A supporto il T.A.R. richiama la recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 6787 del 2020 ove si legge che “legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in […] e non può essere qualificata nemmeno come legittimazione straordinaria o eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire o a ricorrere, ossia il collegamento dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità) di un interesse tutelato dall’ordinamento sul piano sostanziale. Collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore [concorrenza per il mercato], ma sono più in generale orientati - per scelta legislativa e configurazione generale di questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni - a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici (tanto che la norma primaria dice solo che la ragione dell’azione sta nella violazione de «le norme in materia di contratti pubblici»), anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso all’aggiudicazione, sicché esso - soprattutto nella fase della indizione della gara - non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac, come sopra ricordato: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018 cit., al punto 19.3.5.). L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che - pur qualificando il potere di agire ex art. 211 cit. come un caso di «legittimazione processuale straordinaria» - precisa che «la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 [non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse […] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge»)”.
[15] Come è noto, con il citato art. 19, d.l. n. 90 del 2014 (convertito, con modificazioni, con la l. n. 114 del 2014), all’ANAC sono state (fra l’altro) fatte transitare le originali attribuzioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 163 del 2006 e ss.mm.ii.
[16] Si ricordano, al riguardo, la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione (1997), la Convenzione del Consiglio d’Europa per il contrasto della corruzione (1999), la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione cd. UNCAC (2003).
[17] Per dare conto di tale evoluzione, non sembra inutile ricordare che l’attuale Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), è una derivazione della originaria “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche” istituita con d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (attuativa della l. 1 marzo 2009 n. 15), all’art. 13, quale “soggetto” (il primo e più importante fra quelli previsti dall’art. 12 dell’anzidetto d.lgs.) del processo di misurazione e valutazione della performance, nel quadro degli obiettivi enunciati, nell’art. 1, co. 2, ovvero “una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi”. Tale Commissione si è trovata, poi, a operare quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi dell’art. 1, l. 6 novembre 2012, n. 190, restando, tuttavia, poco più che un organo del Dipartimento della funzione pubblica (tale profilo viene segnalato come “significativo” in R. Cantone, F. Merloni, La nuova autorità nazionale anticorruzione, Torino, 2015, p. 2). Successivamente, il d.l. 31 agosto 2013, n. 101 (convertito con modificazioni in l. 30 ottobre 2013, n. 125) ha parzialmente ovviato al vuoto di indipendenza dell’anzidetta Autorità, e l’ha rinominatata, “Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni (A.N.A.C.), sempre, però, inquadrata nel solco degli obiettivi “funzionali” dell’organizzazione dell’Amministrazione pubblica, come positivamente messi a fuco dall’anzidetta legge n. 15 del 2009.
[18] In questo senso è anche la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.
[19] Cass., sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2207.
[20] Cons. Stato, Ad. plen., sent. N. 4 del 2018, punto 10.3.5. cit.
[21] Specificamente, sul punto, il Group of States Against Corruption (GRECO) del Consiglio d’Europa, al quale l’Italia ha aderito sin dal 1997, proprio con riferimento alla incidenza della corruzione sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ha specificamente suggerito che la regolazione delle procedure concorsuali relative ai contratti pubblici, coniughino la tutela della concorrenza e del mercato con il contrasto alla corruzione e alle infiltrazioni della criminalità organizzata, Sul punto, 43º riunione plenaria tenutasi a Strasburgo il 29 giugno/2 luglio 2009. In argomento, per una visione, anche di diritto comparato, della materia della corruzione e della sua incidenza sull’economia, F. Montedoro, S. Brunelli, A. Buratti, LA CORRUZIONE Definizione, misurazione e impatti economici, Roma, 2013.
[22] In evidenza, sul punto, da un lato, l’art. 21-bis, l. 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dall'art. 35, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha attribuito all’AGCM la legittimazione ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato; e, dall’altro, l’art. 211, co. 1-bis e 1-ter, d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), aggiunti dall’art. 52-ter, del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito con modificazioni dalla l. 21 giugno 2017, n. 96, i quali hanno conferito, a loro volta, all’ANAC la legittimazione ad agire in giudizio, nelle due differenziate ipotesi contemplate nei due commi citati, lasciando (con il successivo comma 1 quater) alla stessa ANAC, di individuare con proprio regolamento, i casi, o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercitare i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter comma (ora messi a punto con i citati.
[23] S. Pugliatti, Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, § 26.
[24] Si segnala, per un approfondimento delle differenti configurazioni, B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014, pp. 74 ess.
[25] Ciò è stato ampiamente, potrebbe dirsi fin troppo, sviscerato da dottrina e giurisprudenza e finache, dal giudice delle leggi.
[26] S. Spaventa, Discorso per l'inaugurazione della IV Sezione, in Riv. dir pubbl., 1909, p. 310.
[27] G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, p. 358.
[28] Come è noto ciò ha avuto, finalmente, luogo con l’adozione del “nuovo” codice del processo amministrativo, (avvenuta con d.lgs. Decreto legislativo, 2 luglio 2010, n. 104), rivelatosi, sin dal suo apparire, bisognoso di “correttivi” e tuttora in divenire nonché non ancora adattato a esigenze processuali delineatesi ancor prima della sua emanazione. Si pensi, alla c.d. “class action amministrativa” (di cui d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198) - non a caso evocata, in tanti commenti sulla legittimazione “straordinaria” delle Autorità indipendenti, in forza della rinvenuta assonanza con la legittimazione riconosciuta al singolo appartenente al “gruppo”, la cui base analogica è stata tratta dalla inclusione dell’interesse pubblico alla efficienza, nella sfera soggettiva, per il tramite della costituzionalizzazione della sussidiarietà orizzontale – che non trova una sua puntuale collocazione processuale, ancorché accordata prima della adozione dell’anzidetto c.p.a.
[29] Per un approfondimento su tali nozioni, C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982.
[30] In questo senso, mutatis mutandis, la sentenza della Corte Cost. 31 gennaio 2019, n. 13, indica principi di portata generale in ordine alla inammissibilità di una questione incidentale di legittimità, sollevata dall’AGCM, nell’ambito di un proprio procedimento sanzionatorio, mancando in questo i connotati del procedimento giurisdizionale.
[31] Art. 103, co 1, in coordinata lettura con gli artt. 24 co. 1, 111, co. 3, 113 e 125 co. 2, Cost., sulla cui interpretazione, ai fini della legittimazione processuale attiva anche di pubbliche amministrazioni, si sono troppo addentrati dottrina e giurisprudenza, perché si trovi altro da dire, in questo breve spazio.
[32] Viene di ricordare, al riguardo, l’esplicito avvertimento sul rispetto dei termini processuali che il Consiglio di Stato ha fatto all’Autorità nel parere n. 1119/2018.
[33] Interessanti, sul rapporto Corte dei conti/organizzazione pubblica e correlativo rispetto della legalità, i contributi, fra gli altri di A.M. Sandulli, La Corte dei conti nella prospettiva costituzionale, cit. in ordine alla funzione di raccordo – assegnato al controllo neutrale dei risultati – fra Potere esecutivo e Potere legislativo, in tema di indirizzo politico-legislativo, ma anche, A. Police, Corte dei conti e Società pubbliche. Riflessioni critiche a margine di una recente riforma, in Archivio documenti Giustizia Amministrativa, 2017, V. Tenore, La responsabilità amministrativo-contabile: profili sostanziali, in La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, V. Tenore (a cura di), Milano, 2018.