Questo contributo è parte del percorso intrapreso da questa Rivista per ricordare Giacomo Matteotti a cento anni dal suo assassinio, avvenuto il 10 giugno 1924. Il IV convegno di Giustizia Insieme, "La magistratura e l'indipendenza", Roma 12 aprile 2024 è stato dedicato alla memoria di Giacomo Matteotti. Per gli altri contributi già pubblicati si veda Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo di Licia Fierro, Discorso alla Camera del Deputati del 30 maggio 1924 di Giacomo Matteotti, "Il delitto Matteotti" e quel giudice che voleva essere indipendente (nel 1924) di Andrea Apollonio, Una risalente (ma non vecchia) vicenda processuale: il pestaggio fascista in danno dell’on. Giovanni Amendola del 26 dicembre 1923 di Costantino De Robbio, La magistratura al tempo di Giacomo Matteotti di Giuliano Scarselli, A margine del Processo Matteotti: la coerenza di un magistrato in tempo di regime di Costantino De Robbio, Giacomo Matteotti. Il giurista di Giovanni Canzio, Note su Giacomo Matteotti ed il penale costituzionale: la legalità dalla crisi dello Stato liberale alla «dominazione fascista» di Floriana Colao, Un Matteotti poco conosciuto di Enrico Manzon.
A cento anni esatti dal rapimento e dal brutale assassinio sappiamo molto dell’intransigenza di Giacomo Matteotti, delle tante battaglie per la giustizia e la libertà, nel suo Polesine, negli enti locali e in Parlamento. Sappiamo del coraggio senza pari e della sua strenua opposizione al fascismo, di cui aveva visto e denunciato la pericolosità ben prima di molti osservatori del suo tempo. Sappiamo della sua tragica fine, per mano dei sicari del dittatore, e di quanto egli impensierisse il loro mandante, per la precisione nella denuncia delle sue malefatte e per l’audacia nel metterne alla berlina le sparate demagogiche.
Sappiamo anche che Matteotti ha dedicato la prima parte della sua vita allo studio del diritto penale e dei sistemi carcerari e criminali, in Italia e all’estero, e che avrebbe avuto la strada spianata per la libera docenza universitaria, ma che vi rinunciò per rispondere al richiamo della politica. Non fu un impegno vano, va detto subito, quello dedicato da Matteotti al diritto penale: lascerà un segno indelebile nella sua formazione, nella sua visione del diritto e sulla sua concezione della forma e dei limiti del potere e gli consentirà di acquisire un metodo scientifico, che egli applicherà efficacemente anche alla prassi politica, con frutti straordinari sul piano della ricchezza e della profondità delle sue proposte.
È molto meno noto il grande impegno di Matteotti nella materia tributaria, il suo profondo convincimento della funzione di redistribuzione del prelievo fiscale a fini di giustizia sociale, la sua aspirazione ad un sistema impositivo unitario e coerente e, ancor di più, le sue proposte organiche di riforma in una materia che, anche al suo tempo, era terreno e strumento di iniziative tanto frammentarie quanto demagogiche.
Giacomo Matteotti si è dedicato con intensità e passione alla questione tributaria, anzi si può dire che essa costituisce una componente centrale del suo impegno. Vi si è rivolto con un approccio rigoroso, frutto di studi incessanti e meticolosi e affrontando, in un crescendo per vastità e profondità, tutti i temi più rilevanti della scienza delle finanze e dell’imposizione, il che gli ha consentito di propugnare un inedito riformismo, dagli approdi talora inattesi e sorprendentemente moderni.
L’impegno di Giacomo Matteotti nella materia tributaria si differenzia da quello nel diritto penale per approccio e contenuti. Il secondo, sebbene affrontato con rigore di metodo, non è diretto all’analisi di sistema bensì ad aspetti circoscritti, seppur non di minor rilevanza. Ciò, verosimilmente, perché avviene agli inizi di un percorso universitario, che implica un avvicinamento graduale ai grandi temi istituzionali.
In materia fiscale, invece, l’analisi è da subito a tutto campo, si correla all’attività amministrativa e politica e non è volta alla speculazione scientifica. Per Matteotti la questione fiscale, a partire dalla funzione redistributiva e perequativa, si colloca insomma al centro di un’iniziativa concreta che vuole segnare una netta discontinuità rispetto alla condizione dello Stato liberale, connotata dal rinvio costante delle riforme tributarie. Matteotti, rigoroso e profondo, prova una grande avversione per i programmi vaghi, la superficialità, l’imprecisione, gli opportunismi, il privilegio garantito sempre agli stessi. Diffida dei populismi e della demagogia: a poco più di vent'anni scrive già che è dannoso incitare all' odio contro le tasse: "noi dobbiamo limitarci a dimostrare che le imposte sono mal distribuite, ma diffondere nel tempo stesso la persuasione che sono assolutamente necessarie".
Matteotti studia, studia costantemente, letteralmente sino all’ultimo dei suoi giorni. I suoi testi, le sue relazioni sono sempre preceduti ed arricchiti da una preparazione scrupolosissima, quasi maniacale: lo riferisce chi lo conosce e lo frequenta, ma si intuisce agevolmente alla lettura dei suoi testi o dei suoi interventi. Negli anni Matteotti acquisirà così una straordinaria padronanza della materia tributaria, che gli consentirà di confutare, con grande severità di giudizio, le tante proposte che venivano avanzate in maniera spesso disorganica e frammentaria. Si può dire che Giacomo Matteotti sia il primo politico socialista dotato di una profonda competenza giuridico-economica. Meglio: egli costituisce una nuova figura di politico, che mette al centro della sua azione una solida conoscenza, un profondo sapere, ma non è tutto. Matteotti introduce un paradigma del tutto nuovo, che gli consente di tenere “sotto osservazione” la questione fiscale con piena consapevolezza politica e, ad un tempo, di dare profondità politica alla sua proposta fiscale. La dimensione politica della sua azione si avvantaggia della grande competenza tecnica, e quest’ultima rimane sempre al servizio della prima di cui è, anzi, la leva, il punto di forza, dotandola di uno spessore senza precedenti. Non è dunque un tecnocrate, tutt’altro. Matteotti, piuttosto, diffida dei tecnocrati, delle alte burocrazie e del loro potere invisibile e avversa fermamente le loro “riforme”, così come i politici che non dichiarano apertamente gli obiettivi che intendono perseguire e ne denuncia severamente la mancanza di visione e di orientamento.
Già a partire dai primi scritti l’approccio di Matteotti alla vicenda fiscale non è mai frammentario né isolato in sé stesso. Si dispiega, con grande consapevolezza, nel più ampio contesto economico e sociale che a Matteotti sta a cuore criticare e che gli interessa riformare, e costituisce occasione per enucleare i principi di riferimento, che costituiscono veri e propri pilastri del suo discorso riformista. Matteotti affronta subito, quando è ancora giovanissimo, e vi ritorna metodicamente negli anni, i temi dell’equità, dell’uguaglianza, della perequazione, della parità di trattamento, ai quali attinge dalle scienze sociali per immetterli nella vicenda fiscale. Principi, coltivati in prospettiva non accademica o per mera speculazione intellettuale, che sono piuttosto capisaldi di un programma politico pragmatico, elementi costitutivi del suo progetto riformatore, concretamente ancorato alle urgenze della società del suo tempo e, ad un tempo, profeticamente proiettato nel futuro.
Nei suoi discorsi parlamentari, così come negli scritti, si cimenta in confronti spesso anche duri e non privi di vervepolemica, tenendo testa ai più grandi studiosi e statisti del tempo, da Antonio Salandra a Francesco Saverio Nitti, a Filippo Meda a Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi, il quale al di là dell'aspro confronto politico nutre per Matteotti una grande considerazione.
L'impegno di Matteotti nella materia fiscale tuttavia non è mai incline alla polemica sterile o circoscritto alla critica, pur argomentata e documentatissima, dell'approccio spesso populistico dei suoi avversari politici. Tutt’altro: il connotato più rilevante del suo impegno nella materia risiede anzi in una grande capacità di elaborazione e proposizione sistematica,che gli consente di giungere ad una proposta di riforma tanto innovativa per i suoi tempi quanto straordinariamente attuale ai nostri.
Matteotti fa riferimento, nei discorsi cruciali, al sistema tributario: una chiara scelta di metodo, che conferisce profondità alla sua azione politica. Le questioni affrontate sono, così, sempre tasselli di un grande mosaico in costruzione che, con il passare del tempo, assume forma e consistenza, metodicamente, nella visione di sistema. Matteotti costruisce così trama e ordito del sistema tributario che ha in mente, dal quale non esige una generica equità. Matteotti pretende infatti giustizia, con una determinazione straordinaria. Si tratta di un approccio alto, di una visione densa di grande contenuto politico.
Il punto di svolta nel suo impegno è costituito dall’elezione alla Camera, a novembre del 1919. L'approdo in Parlamento lo spinge, se possibile, ad un impegno ancora più incisivo. Nella primavera precedente pubblica “La Riforma tributaria”, volumetto che raccoglie una serie di articoli su Critica sociale, la rivista socialista più autorevole. Si tratta di un vero e proprio manifesto politico che segna un cambio di passo rispetto alle proposte del tempo, anche degli stessi socialisti, caratterizzate da un approccio ridondante e frammentario, del tutto inefficace ad incidere su una società in profonda evoluzione come quella del primo dopoguerra.
Centrale nella proposta matteottiana è l'imposta generale progressiva sul reddito. Questione della quale si discuteva da tempo ma in relazione alla quale nessun politico, sino ad allora, aveva elaborato una proposta organica finalizzata a conseguire, grazie ad essa, l'obiettivo di giustizia sociale che Matteotti aveva in mente.
Del resto, si tratta di un tema nevralgico che segna anche il nostro presente perché, se al tempo non esisteva ancora, oggi la progressività si è in gran parte smarrita.
Nella Riforma di Matteotti l’imposta progressiva è un prelievo destinato inizialmente a cumularsi con le imposte reali in vigore (sui terreni, sui fabbricati, sulla ricchezza mobile) per poi gradualmente assorbirle, diventando imposta personale generale e progressiva sul reddito. La tassazione a mezzo di imposte reali e proporzionali è espressione di una concezione statica, e impone la focalizzazione su un elemento di reddito isolato, poco significativo a indicare effettivamente la forza economica complessiva e determinano ulteriori disuguaglianze. Nella visione di Matteotti i tradizionali prelievi reali sul reddito devono perciò essere superati e possono solo assumere una funzione ancillare e strumentale, quello che egli definisce il “fondamento ricognitivo”, mediante il censimento dei cespiti tassabili. Anche questo è un elemento peculiare della sua proposta di Riforma e la distingue decisamente dalle altre iniziative del tempo. Per Matteotti una razionalizzazione del sistema che introduca un prelievo incentrato sull’imposizione personale progressiva è la sola che consente di perseguire un reale obiettivo di equità, poiché è in grado colpire una capacità contributiva effettiva e complessiva, e si accompagna a una minore suscettibilità a determinare effetti di traslazione occulta del prelievo, fenomeno che si verifica con le imposte reali, particolarmente con quella sui fabbricati.
Né, precisa Matteotti, il prelievo in forma progressiva dovrà crescere indefinitamente fino al punto che l’imposta assorba tutto il reddito: occorre, perché i contribuenti si inducano a più sincere dichiarazioni, ribassare, semplificare e unificare le aliquote di imposta perché oltre un certo limite il contribuente potrebbe sentire l’ostilità del prelievo e cercare di sottrarsi al dovere fiscale.
È una visione modernissima, che lo spinge a cogliere nella semplificazione dei meccanismi impositivi una via per indurre il contribuente a pagare il dovuto. Inoltre, Matteotti critica gli accordi personalizzati sulle imposte sul reddito (con una certa semplificazione, quelli che oggi chiamiamo “concordato fiscale”), ai quali l’amministrazione fiscale del tempo era costretta a far ricorso anche per l’incapacità di perseguire i grandi evasori. Sono opzioni che Matteotti vede carichi di effetti incontrollabili di distribuzione ineguale del prelievo.
Negli anni successivi Matteotti affina ulteriormente la sua proposta, la discute in tutte le sedi, a partire dal Parlamento, nella cui centralità per la difesa delle prerogative democratiche e dello Stato di diritto crede fermamente e con grande coraggio ne difende le prerogative.
Al cuore della sua proposta rivoluzionaria e ancor oggi attualissima resta tuttavia una domanda che attiene più al metodo che al merito: possiamo chiedere che la questione fiscale sia affrontata alla luce del sole, nel luogo istituzionale preposto al dibattito pubblico, o dobbiamo rassegnarci alle leggi scritte dalle alte burocrazie nell’ombra dei corridoi ministeriali, ai decreti-legge convertiti frettolosamente senza dibattito parlamentare?
Siamo ormai al 1922. Il precipitare degli eventi, la marcia su Roma, la presa di potere formale dei fascisti e del loro duce non gli impediscono di continuare la sua lotta, che anzi si fa più serrata. Non pensa di abbandonare il Paese per trovare rifugio all’estero, dove amici e compagni lo accoglierebbero e gli assicurerebbero quella protezione che in Italia non è più possibile.
Il culmine dell’impegno di Matteotti nella materia fiscale è costituito dall’attenzione dedicata ai “pieni poteri”, nel momento più drammatico dell’insediamento del regime fascista nel cuore delle istituzioni democratiche, che verranno chiesti e conseguiti proprio con una legge fiscale. La legge sui pieni poteri è la prima legge portata in Parlamento da Benito Mussolini. E si tratta proprio di una legge fiscale, anzi di una legge per la riforma fiscale. Anche qui il tema dell’imposizione è centrale, ma la prospettiva si fa ancora più alta, istituzionale, e viene affrontata da Matteotti nel segno della coraggiosa difesa delle regole democratiche e dello Stato di diritto al cospetto di avversari che pur di metterlo a tacere non smetteranno di tormentarlo con tutti i mezzi e con la violenza, sino al tragico epilogo.
Nel ruolo della legge come strumento di garanzia in senso formale e sostanziale, Matteotti trova l’elemento che arricchisce in modo decisivo la sua azione in campo tributario. La legge vuol dire rappresentanza, l’irrinunciabile legame con il Parlamento, espressione di quel mondo reale nel quale è necessario che ciascun tributo trovi la propria funzione.
Non occorre certamente attendere gli ultimi mesi della sua vita per rendersi conto della visione costituzionale di Matteotti, perché la tensione verso le garanzie dello Stato di diritto è costante, a partire dall’epoca giovanile. Tuttavia, nel momento della conquista del potere da parte dei fascisti diventa più nitida e vibrante, come le parole scandite nella relazione di minoranza nella “Commissione dei nove”, che sollevano il velo sull’inconsistenza della relazione di Antonio Salandra e ne mettono a nudo una pochezza che non dipende certo dall’incapacità dell’estensore, tutt’altro. Salandra infatti è un grande accademico, autore di sterminate pubblicazioni in materia economico-finanziaria, di scienza dell’amministrazione e di diritto amministrativo, uno statista di provata esperienza che è stato a capo di dicasteri economici e anche Presidente del Consiglio. Tuttavia è lì per assecondare un disegno che porterà all’esautorazione del Parlamento e a conculcare le libertà democratiche, e tutta la sua scienza non gli basterà per renderlo credibile.
Le minacce, la persecuzione, i tormenti subìti negli ultimi anni, negli ultimi mesi di vita, non inducono Matteotti alla prudenza, o ad un cambio di registro.
La sua intransigenza si fa ancora più ferma, irremovibile, come del resto sino all’ultimo articolo pubblicato, pochissimi giorni prima del rapimento e dell’uccisione, ancora una volta sulla legge sui pieni poteri fiscali.
Le parole di Matteotti sono un volo altissimo, che purtroppo, non basterà a salvare il Parlamento che rimarrà, per vent’anni e più, solo uno “scenario dipinto”, come preconizza Filippo Turati nel corso del dibattito in Aula. Seppur vane in quel momento, produrranno un risultato straordinario. Sopravviveranno per oltre un secolo e saranno attuali ogni volta che, nell’esercizio della potestà normativa tributaria, si assiste a invasioni di campo tra poteri dello Stato e il Parlamento non esercita in pieno le sue prerogative.
Francesco Tundo, La Riforma tributaria. Il metodo Matteotti, Bologna University Press, 2024.
Nell'immagine il murales recentemente inaugurato sulla facciata del Liceo Copernico di Bologna per ricordare Giacomo Matteotti.