L'impugnazione del pignoramento davanti al giudice tributario: molti problemi e poche soluzioni
di Graziella Glendi
Sommario[1]: 1. Come si è passati dall’ “allargamento” della giurisdizione tributaria a un suo vero e proprio “allagamento” - 2. L’atto di pignoramento tra “opposizione” davanti al giudice dell’esecuzione e “impugnazione” davanti al giudice tributario - 3. Le problematiche del giudice tributario sull’impugnazione del pignoramento - 4. Ulteriori profili problematici sul riparto di giurisdizione - 5. Le incerte prospettive di una razionalizzazione.
1. Come si è passati dall’ “allargamento” della giurisdizione tributaria a un suo vero e proprio “allagamento”
L’evoluzione della giurisdizione tributaria, si sa, è avanzata negli anni per vie strette e tortuose, all’origine essendo, invero, assai dubbio che di “giurisdizione” si trattasse, ma, una volta ottenuto tale riconoscimento, è proseguita in crescente espansione, fino ad arrivare all’intervento normativo del 2001, completato nel 2005, dell’estensione al giudice tributario di «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati», come ancora oggi recita l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992.
Allargate le porte della giurisdizione tributaria, con restringimento di quelle del giudice civile ordinario di cognizione e del giudice amministrativo, l’art. 2, comma 1, nel secondo periodo tutt’ora soggiunge, quanto alle porte del giudice ordinario dell’esecuzione, che «restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del decreto del Presidente delle Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica». Tra esse, l’art. 57 che non ammette, né le opposizioni all’esecuzione regolate dall’art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, almeno fino all’intervento della sentenza della Corte costituzionale 31 maggio 2018, n. 114, né le opposizioni regolate dell’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale e alla notifica del titolo esecutivo. Tale disposizione è stata, da ultimo, fatta oggetto di direttiva dall’art. 19, comma 1, lett. c), della legge delega per la riforma fiscale 9 agosto 2023, n. 111, sulla cui portata sembra utile qualche riflessione, nonostante il legislatore delegato l’abbia completamente ignorata nel d.lgs. n. 110/2024 in «materia di riordino del sistema nazionale della riscossione», pubblicato in G.U. il 7 agosto 2024.
Se, dunque, gli interventi legislativi del 2001 e 2005 avevano portato a sperare nel finalmente raggiunto assetto di un sistema compiuto della speciale giurisdizione tributaria modellato, a livello processuale, dalle regole dettate dal d.lgs. n. 546/1992, il configurato “allargamento” di cui all’art. 2, è stato, invece, inteso dalla Suprema Corte quale elemento di “rottura” del sistema stesso, ravvisandone uno stretto collegamento con l’individuazione degli atti impugnabili di cui all’art. 19[2], in una sorta di preminenza del “criterio della materia” (i tributi), idoneo a travolgere i confini degli atti impugnabili predeterminati dal legislatore. Consentendosi ai giudici (e non al legislatore) di ritenere impugnabile un atto, se ravvisano l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (e non se rientra nella categoria predeterminata, anche in forza della residuale disposizione di cui all’art. 19, comma 1, lett. i).
Così è stata creata la categoria degli atti “facoltativamente” impugnabili[3], così si è ammessa l’impugnazione di uno degli atti tipici di cui all’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, non ritualmente notificato, di cui il contribuente abbia avuto conoscenza aliunde[4], così si è ritenuto impugnabile davanti al giudice tributario il pignoramento (primo atto dell’espropriazione forzata ex art. 491 c.p.c.) per il caso di omessa notifica dell’atto tributario esecutivo o dell’avviso di cui all’art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602/1973[5].
Il giudice tributario, dunque, si è ritrovato inondato dall’impugnazione di una cascata di atti, in via facoltativa, non notificati, tipicamente propri della fase esecutiva.
A tale “allagamento” è stato necessario porre rimedio.
Per gli atti facoltativamente impugnabili ci ha pensato la stessa Suprema Corte, avvertendo che l’ammessa facoltà di impugnare l’atto anticipatore della pretesa non esclude però l’onere di impugnare l’atto tipico in cui quella pretesa era destinata a formalizzarsi, con sostanziale superfluità, dunque, della riconosciuta facoltà, perché, «se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile si rivela inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti proprio dell’atto tipico»[6].
Per gli atti tipici non notificati ci ha pensato il legislatore, almeno con riguardo all’omessa notifica della cartella di pagamento, che evidentemente costituiva il vulnus più rilevante, introducendo, con il d.l. n. 146/2021, nell’art. 12 del d.p.r. n. 602/1973, il comma 4-bis, con limitazione della possibilità di far valere direttamente l’omessa notifica della cartella in sole tre circoscritte ipotesi. Con immediato sostegno della giurisprudenza di vertice che, in verticale cambio di rotta, ha optato per l’applicazione della disposizione ai giudizi pendenti[7]. Da ultimo, a seguito di uno degli ormai frequenti “moniti” al legislatore, ai quali la Corte costituzionale[8] ci ha abituato, con l’art. 12 d.lgs. n. 110/2004, sono state aggiunte altre tre ipotesi di pregiudizio tutelabile, ma in sostanza l’argine è stato tenuto fermo.
Resta ora da vedere che ne è dell’impugnazione del pignoramento davanti al giudice tributario.
2. L’atto di pignoramento tra “opposizione” davanti al giudice dell’esecuzione e “impugnazione” davanti al giudice tributario
L’attribuzione al giudice tributario dell’impugnazione del pignoramento quando venga dedotta l’omessa notifica dell’atto tributario esecutivo presupposto (cartella di pagamento portante il ruolo, accertamento esecutivo, cosiddetto impoesattivo, ingiunzione fiscale, se ancora ratione temporis utilizzata) o dell’intimazione di cui all’art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602/19973, è abbastanza recente.
Dopo un primo contrasto interno nella Corte di cassazione, sviluppato nel 2017[9], sempre in base all’idea del riconoscimento di tutela (che, per gli atti facoltativamente impugnabili, e per gli atti tipici non notificati e conosciuti aliunde, si è, alla fine, come visto, rivelato insidioso e fallace), a volte invocandosi, anche in tal caso, l’art. 100 c.p.c., ha prevalso, e, ormai può dirsi consolidato, l’orientamento per cui, ai fini del riparto di giurisdizione, va valorizzata la natura tributaria dell’atto di cui si deduce l’omessa notifica rispetto alla tipologia di atto impugnato (ovvero il pignoramento).
Non è questa la sede per analizzare le motivazioni, non sempre univoche e coerenti, rese a giustificazione di una tale scelta, né per scendere in qualsivoglia valutazione sulla loro bontà, quello che qui interessa è, piuttosto, vederne gli esiti a livello operativo.
Iniziando subito col dire, come i giudici di merito ben sanno, constatandolo continuamente, che, quando il pignorato reagisce all’esecuzione di atto tributario, sia che lo faccia davanti al giudice ordinario, sia che lo faccia davanti al giudice tributario, deduce tutta una serie di motivi di “opposizione” o di “impugnazione” che vanno ben oltre la sola omessa o viziata notifica dell’atto esecutivo o dell’intimazione di pagamento. Con casistica amplissima, di cui, per la frequenza, si possono ricordare: indeterminatezza nell’individuazione dei crediti azionati; omessa motivazione del calcolo degli interessi indicati nell’atto di pignoramento; insufficiente descrizione dei beni pignorati per i pignoramenti immobiliari; mancanza dell’avvertimento che il debitore può sostituire alle cose pignorate una somma di denaro pari al valore del credito e delle spese; contestazione del pignoramento di giacenze su conto corrente cointestato; contestazione di pignoramento di stipendi, salari o indennità inerenti al rapporto di lavoro o dovute a causa del licenziamento nella misura superiore al limite di legge; contestazione di pignoramento di somme per trattamento pensionistico nella misura superiore al limite di legge; prescrizione maturata prima della notifica dell’atto tributario che si assume omesso, o maturata successivamente ad essa, se, invece, la notifica si era ritualmente perfezionata.
E, subito dopo, aggiungere, come parimenti i giudici di merito ben sanno, che il pignoramento dell’agente della riscossione raramente attiene solo a provvedimenti esecutivi tributari, ma assai spesso riguarda anche atti relativi a crediti di natura previdenziale o sanzioni amministrative per violazioni delle norme del Codice della strada.
Va allora osservato che, mentre non vi è problema di riparto, quand’anche è impugnata davanti al giudice tributario un’intimazione di pagamento che porta pretese di natura diversa e venga sindacata l’omessa notifica dei diversi atti esecutivi, posto che il giudice tributario adito declina la propria giurisdizione in relazione a quelli non tributari in favore del giudice ordinario, sezione lavoro, o del giudice di pace, quando, invece, l’atto impugnato è il pignoramento e l’atto di cui si deduce l’omessa notifica è l’intimazione, sebbene il giudice tributario debba parimenti declinare la sua giurisdizione per la parte non tributaria, alla fine, sia il giudice tributario, sia il giudice dell’esecuzione si troveranno a dover decidere sulla stessa identica questione, ovvero la rituale notifica di quell’unico atto che è l’intimazione.
Sicché può ben verificarsi come, infatti si è verificato, questa volta per il caso di opposizione originariamente proposta davanti al giudice dell’esecuzione ex art. 615 c.p.c., che il giudice, nella fase del merito, dopo aver disatteso vizi contenutistici del pignoramento per la dedotta non corrispondenza dei crediti ivi indicati con quanto riportato nell’intimazione, affrontata l’ulteriore questione della notifica dell’intimazione prodromica exart. 140 c.p.c. a mezzo di corriere privato, abbia deciso per il rigetto dell’opposizione, ma solo per i crediti non tributari, declinando, invece, la propria giurisdizione per quelli tributari[10].
Se poi si assommano i due profili sopra evidenziati (deduzione di vizi ulteriori rispetto all’omessa notifica dell’atto presupposto e atto presupposto che riguarda pretese tributarie e non) può accadere, com’è infatti accaduto, che, adito, nel caso, il giudice tributario, esso abbia declinato la propria giurisdizione per le cartelle non riguardanti tributi, abbia vagliato, per le altre cartelle, la prova della notifica offerta dall’agente della riscossione e, per quelle ritenute non notificate, abbia annullato in parte qua l’atto di pignoramento, mentre, per quelle ritenute ben notificate, abbia, sotto altro profilo, ancora declinato la propria giurisdizione, con riguardo agli ulteriori vizi dedotti, nella specie relativi al calcolo degli interessi e alla eccepita prescrizione maturata successivamente all’avvenuta notifica delle cartelle, rimandando al Tribunale ordinario dell’esecuzione[11].
3. Le problematiche del giudice tributario sull’impugnazione del pignoramento
La tipologia dell’atto impugnato (pignoramento) pone, poi, al giudice tributario tutta una serie di problemi che non è abituato a trattare.
Un primo profilo su cui occorre ragionare attiene al fatto che, secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte[12], quando si tratta di pignoramento presso terzi, il terzo pignorato, non è soggetto “indifferente” all’opposizione proposta, in ragione degli obblighi ex lege imposti (art. 545 e 546 c.p.c.), per cui è litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione, con l’effetto, in mancanza di sua partecipazione, di rinvio dai gradi superiori al primo.
Secondo la Suprema Corte[13], il litis consortio con il terzo sussiste anche quando si tratta di opposizione al pignoramento ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973, con ordine diretto di pagamento al terzo. Mezzo prescelto dall’agente della riscossione per la sua rapidità e snellezza, in cui spicca la piena autonomia dell’agire dell’esecuzione tributaria, ancor più delle altre tipologie di pignoramento, per le quali, pur nella speciale disciplina del d.p.r. n. 602/1973, a un certo punto è previsto l’intervento giurisdizionale. Tanto è vero che parte della dottrina ha dubitato che si tratti di un vero e proprio pignoramento[14], mentre la Suprema Corte, opportunamente, lo considera «un'autentica espropriazione presso terzi»[15].
Orbene, se, dunque, invece che di “opposizione” davanti al giudice dell’esecuzione, si tratta di “impugnazione” davanti al giudice tributario, non è peregrino domandarsi se il giudice adito debba dare effetto a tale consolidato principio, curando che sia rispettato il litis consortio con il terzo pignorato, posto che l’eventuale suo provvedimento di sospensione riguarderà anche il terzo, così come la decisione sulla legittimità o meno dell’ordine di pagamento dell’agente della riscossione, con ogni conseguenza che ne deriva.
Tuttavia, salvo i casi in cui il difensore dell’impugnante si premuri di notificare il ricorso anche al terzo pignorato, ad oggi non pare che i giudici tributari, salvo qualche rara eccezione[16], si siano mostrati sensibili al fatto di dover ordinare l’integrazione del contraddittorio. Sarebbe, invece, buona cosa se lo facessero, per evitare il rischio che, stante la nullità della pronuncia resa, rilevabile anche d’ufficio, ne consegua, nei seguenti gradi, un rinvio al primo.
Ulteriore profilo problematico, che del pari coinvolge il terzo, sta nel fatto che l’ordine di pagamento di cui all’art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973 ha una durata di sessanta giorni, peraltro corrispondenti al termine per impugnare davanti al giudice tributario (mentre, se si azionasse l’opposizione ex art. 617 c.p.c., il termine per la sua proposizione è di venti giorni).
Termine assai contenuto, sicché può capitare che, pur proposto sollecitamente ricorso, con richiesta di sospensione, fin anche inaudita altera parte o nelle forme ordinarie ex art. 47 d.lgs. n. 546/1992, il terzo, nelle more, abbia già pagato.
Pare, dunque, altrettanto non peregrino domandarsi cosa il giudice tributario debba fare.
Se decidesse in favore del contribuente, con accoglimento del ricorso per il dedotto vizio di omessa notifica dell’atto tributario presupposto, ad esempio, dovrebbe pronunciare, come fa il giudice ordinario, condanna di restituzione di quanto indebitamente versato dal terzo all’agente della riscossione.
Ipotizzando, invece, che il giudice tributario ritenga ritualmente perfezionata la notifica dell’atto tributario presupposto e, quindi, infondato il motivo di impugnazione del pignoramento, ci si domanda se debba anche preoccuparsi di valutare se il pagamento è avvenuto, o meno, alla scadenza dei sessanta giorni dall’ordine.
Più precisamente, nel caso in cui il terzo abbia pagato, ci si chiede se il giudice tributario, oltre al rigetto del ricorso, debba anche pronunciare la liberazione del terzo dal vincolo, cosa non di poco conto per il classico caso di pignoramento delle giacenze sul conto corrente.
Qualora, invece, il terzo non abbia pagato, ci si chiede se il giudice tributario, invece che pronunciare il rigetto del ricorso, debba comportarsi come quello ordinario e dichiarare cessata la materia del contendere, come è stato deciso da attento giudice dell’esecuzione[17], sull’assunto che la scelta dell’Agenzia delle entrate-Riscossione di avvalersi dello strumento esecutivo previsto dall’art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973 è una decisione presa dall’ente in via alternativa a quella prevista dall’art. 543 c.p.c. e non può ipotizzarsi alcuna prosecuzione processuale dello strumento utilizzato, nell’ipotesi di mancato adempimento del terzo. Tanto è vero che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 72-bis, che richiama il comma 4 dell’art. 72, l’agente della riscossione non soddisfatto è tenuto a procedere secondo le modalità ordinarie del pignoramento presso terzi ex art. 543 e ss. c.p.c. ed è tenuto a farlo ex novo[18].
Con riguardo agli assai concreti profili esaminati, dunque, visto che per il pignoramento diretto di cui trattasi non vi è mai un intervento del giudice dell’esecuzione, sostituendosi l’ordine di pagamento del riscossore all’assegnazione del giudice, e il giudice subentra solamente in occasione dell’opposizione/impugnazione, parrebbe, invero, opportuno, quando si tratta del giudice tributario, che tale giudice possa, nel contraddittorio con il terzo debitor debitoris, esaurire ogni questione, in modo da evitare passaggi ad altra giurisdizione solamente per la pronuncia delle disposizioni inerenti all’avvenuto pignoramento consequenziali alla decisione resa sull’omessa notifica o meno dell’atto tributario.
4. Ulteriori profili problematici sul riparto di giurisdizione
Tornando, più in dettaglio, ai frequenti casi in cui i motivi di impugnazione davanti al giudice tributario, siano molteplici e tali da lambire sfere di spettanza del giudice dell’esecuzione, e sempre nella prospettiva delineata dalla Suprema Corte che l’atto impugnabile davanti al giudice tributario sia il pignoramento, occorre, in qualche modo, chiarire cosa spetti alla decisione dell’uno o dell’altro giudice, fermi i limiti di cui all’attuale dettato dell’art. 57 d.p.r. n. 602/1973, per quanto non toccato dalla pronuncia della Consulta 31 maggio 2018, n. 114.
Con riguardo ai più ricorrenti motivi di sindacato, di cui sopra si è fatto cenno, sembra che, ai sensi dell’art. 57, comma 1, d.p.r. n. 602/1973, resti comunque riservato al giudice ordinario discettare sulla pignorabilità dei beni.
Altri motivi, a titolo di esempio, del tipo contestazioni di un pignoramento relativo a stipendi, salari o indennità inerenti al rapporto di lavoro o dovute a causa del licenziamento nella misura superiore al quinto, oppure contestazione di pignoramento relativo a conto corrente in cui siano versati unicamente tali emolumenti, effettuati nella misura superiore ai limiti di legge, con i complessi calcoli ai quali è abituato il giudice dell’esecuzione, paiono anch’essi esulare dalla giurisdizione del giudice tributario, che, una volta verificata la ritualità della notifica dell’atto tributario di cui trattasi, su questi punti dovrà declinare la propria giurisdizione e rimandare al giudice dell’esecuzione.
Per fare altro esempio ancora, non è, invece, chiaro, neppure in seno alla Suprema Corte, se il giudice tributario debba occuparsi dell’eccepita prescrizione maturata dopo la verificata rituale notifica dell’atto tributario, o declinare la propria giurisdizione.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 114/2018, e le Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 7822/2020, avevano deciso in favore del giudice ordinario, per il quale, invero, non è così difficile calcolare se, dall’avvenuta notifica dell’atto tributario alla notifica del pignoramento, siano passati dieci anni per i tributi erariali, cinque anni per sanzioni e interessi, cinque anni per i tributi locali e tre per le tasse automobilistiche. Il tutto senza andare a cercare petizioni di principio sull’idea civilistica dell’“estinzione del credito” (e conseguente problematica a chi spetti pronunciarla), totalmente estranea, non solo a parere di chi scrive, ma anche a parere della Suprema Corte in ambito concorsuale[19], alla questione del confine della giurisdizione delineato dall’art. 2, d.lgs. n. 546/1992.
Certo è, dagli esempi fatti, che in sede di impugnazione del pignoramento, al giudice tributario, secondo l’orientamento della Suprema Corte, spetta solo uno spicchio, più o meno ampio, di cognizione e, per il resto, deve declinare la propria giurisdizione. Sicché ne discende un frazionamento del giudizio sull’atto di pignoramento che non pare semplificare il contenzioso.
Al riguardo, per la dinamica che ne deriva, si segnala, ancora, quanto segue.
Volendo considerare la deduzione da parte del pignorato davanti al giudice tributario di due vizi nettamente appartenenti alle due giurisdizioni, su cui il giudice, per la sua parte ha deciso, e per l’altra parte, di non di spettanza, ha declinato la propria giurisdizione, è noto che la riassunzione davanti al giudice munito di giurisdizione sull’altro motivo di contestazione va incardinata nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della decisione ex art. 59 della legge n. 69/2009.
È, tuttavia, possibile che la sentenza del giudice tributario venga impugnata anche in punto giurisdizione e, quindi, non si possa procedere alla riassunzione davanti al giudice dell’esecuzione. In tal caso, poiché gli effetti della sospensione eventualmente disposta ex art. 47 d.lgs. n. 546/1992 cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, per quanto del pignoramento non è stato annullato in sentenza dal giudice tributario, l’esecuzione andrà avanti, senza potersi incardinare l’opposizione sull’altro motivo.
È, poi, possibile che la sentenza venga impugnata, ma non in punto giurisdizione, allora l’interessato dovrà provvedere, non appena si è formato il giudicato interno, alla riassunzione davanti al giudice dell’esecuzione, ovviamente a mezzo di avvocato. In tale sede dovrà, innanzi tutto, valutarsi se, in ipotesi trattandosi di opposizione, non all’esecuzione, ma agli atti esecutivi, sia stato rispettato fin dal ricorso iniziale davanti al giudice tributario il termine dei venti giorni dalla notifica del pignoramento di cui all’art. 617 c.p.c.
Può, altresì, capitare che la sentenza del giudice tributario venga ribaltata negli ulteriori gradi. Sicché, se in origine l’esecutato aveva vinto, ottenendo l’annullamento del pignoramento per omessa notifica dell’atto tributario, ma non ha coltivato l’altro motivo appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario dell’esecuzione, si ritrova irrimediabilmente pregiudicato. Mentre, se l’ha coltivato, si ha un parallelo procedere dei due giudizi, magari relativi alla stessa notifica dell’atto presupposto (quando si tratta della medesima intimazione di pagamento relativa a titoli esecutivi di diversa natura) con esiti che viaggiano autonomamente tra loro.
Non pare, insomma, che un tale sistema di passaggio dall’un giudice all’altro renda snella e agevole la tutela, né giovi all’andamento dell’amministrazione preposta al recupero.
D’altro canto, neppure è ragionevole ipotizzare che sullo stesso atto di pignoramento vengano proposte contemporaneamente due azioni. L’una, di impugnazione davanti al giudice tributario per far valere l’omessa notifica dell’atto tributario presupposto, e l’altra, davanti al giudice ordinario per far valere lo stesso vizio per la parte in cui l’atto presupposto riguarda anche pretese di natura non tributaria e per tutti gli altri motivi di cui si è detto, dato che potrebbero esserci sullo stesso atto esiti diversi e contrastanti. Sebbene, come, sopra visto, un siffatto evento possa realizzarsi quand’anche il pignoramento sia stato originariamente opposto/impugnato davanti ad uno solo dei due giudici.
5. Le incerte prospettive di una razionalizzazione
Come accennato all’inizio, la legge delega, con l’art. 19, comma 1, lett. c), ha incaricato il Governo di modificare l’art. 57, d.p.r. n. 602/1973 « prevedendo che le opposizioni regolate dagli articoli 615, secondo comma, e 617 del codice di procedura civile siano proponibili dinanzi al giudice tributario, con le modalità e le forme previste dal citato decreto legislativo n. 546 del 1992, se il ricorrente assume la mancata o invalida notificazione della cartella di pagamento ovvero dell'intimazione di pagamento di cui all'articolo 50, comma 2, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973».
A parte la dimenticanza, non da poco, quale atto presupposto, dell’accertamento impoesattivo, e nonostante una vaga assonanza nella formulazione con quanto stabilito al comma 4-bis dell’art. 12, d.p.r. n. 602/1973, di cui sopra si è detto, pare che il testo della norma di delega apra le porte a una prospettiva del tutto “nuova”.
Infatti, questa volta, il legislatore ha sottratto tout court (almeno così sembra) dalla giurisdizione del giudice ordinario le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi di cui agli artt. 615, comma 2, e 617 c.p.c., ad esse sostituendo la giurisdizione, modellata sulle regole del d.lgs. n. 546/1992, del giudice tributario, quale “giudice dell’opposizione”, sia per la fase cautelare (che sarebbe di spettanza del giudice dell’esecuzione), sia per il merito dell’opposizione (che sarebbe di spettanza del giudice ordinario del merito dell’opposizione), questa volta non più eventuale (come per il giudizio di opposizione ordinario) ma usuale.
Resta, peraltro, assai discutibile, ai fini di una chiara delimitazione dei confini del riparto, in ragione di tutti i rilievi già sopra svolti, il fatto che il discrimen tra giurisdizioni sia segnato dall’avvenuta deduzione, o meno, a scelta del contribuente, di un vizio di omessa notifica degli atti menzionati (gli stessi di cui all’art. 2, d.lgs. n. 546), che, se dedotto, trascinerebbe con sé l’intera opposizione degli artt. 615, comma 2, e 617 c.p.c. davanti al giudice tributario.
Sta di fatto, come si è, altresì, accennato, che il legislatore delegato ha completamente ignorato tale direttiva.
Tuttavia, se si considera che, nell’espropriazione tributaria, il giudice dell’esecuzione, qualora non vi sia opposizione, interviene (salvo alcuni casi particolari per l’espropriazione immobiliare) solamente quando si tratta di assegnare le somme ricavate all’ente procedente, oppure distribuirle ex art. 84, d.p.r. n. 602/1973, o per eventuale sub procedimento di conversione del pignoramento, potrebbe non essere così destabilizzante che dell’ “opposizione” delineata dalla legge delega (escluse infatti le opposizioni di terzi) se ne occupi tout court il giudice tributario, piuttosto che il giudice dell’esecuzione, quando, per di più, nel processo esecutivo ordinario, la trattazione di quell’“opposizione” spetta al giudice del merito, limitandosi il giudice dell’esecuzione alla fase sommaria e alla sospensiva.
Questo porterebbe il giudice tributario a decidere su tutte le contestazioni sollevate avverso il pignoramento relativo a tributi, che, peraltro, in ragione della speciale configurazione di quell’esecuzione, è atto proprio del solo agente della riscossione, al pari di tutti gli altri suoi atti già appartenenti alla giurisdizione tributaria.
Al momento, però, in attesa di una rimeditazione del legislatore, auspicabilmente con l’apporto della dottrina, e, perché no, con il contributo della voce dei giudici tributari e ordinari dell’esecuzione, impegnati nel reciproco “palleggio” di cui si è detto, altro non resta che vederne l’assai poco entusiasmante prosecuzione.
[1]Il contributo è tratto, in forma sintetica e rielaborata, dalla relazione Spigolature di "opposizioni" e di "impugnazioni" davanti al giudice tributario nell'esecuzione forzata, tenuta al Convegno L'esecuzione forzata tributaria, presso il Dipartimento di giurisprudenza dell'Università di Catania del 24-25 novembre 2023, i cui atti sono in corso di pubblicazione nel volume L'esecuzione forzata tributaria, Wolters Kluwer-Cedam.
[2] A partire da Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776, con la puntuale critica a tale ravvisato collegamento di L. Ferlazzo Natoli, Considerazioni critiche sulla impugnazione facoltativa, Postilla allo scritto di G. Ingrao, in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1114, trattandosi «di due piani diversi e di due interessi che meritano autonoma protezione da parte del legislatore: quello di rendere unitaria la giurisdizione tributaria evitando interferenze con essa di quella amministrativa e ordinaria, e quello della certezza degli atti avverso i quali, e nei termini previsti dall’art. 19, è consentito ricorrere al giudice tributario».
[3] Inventata da Cass., sez. trib., n. 21045/2007, proprio per ovviare alle distorsioni e agli allarmi che l’aver attribuito al giudice l’individuazione degli atti impugnabili (a pena di decadenza) aveva ingenerato.
[4] Cass., sez. un., n. 19704/2015.
[5] Cass., sez. un., n. 13913/2017; Id. n. 13916/2017; Id. n. 24965/2017; Id., n. 7822/2020.
[6]Cass., sez. trib., n. 30736/2021, in Dir. prat. trib., 2022, 986, con nota di G. Glendi, La Suprema Corte finalmente chiarisce, e segna, i confini tra l’impugnazione anticipata e l’impugnazione nel termine decadenziale a pena di consolidamento dell’atto. Con giurisprudenza ormai consolidata, v., Cass., sez. trib., n. 11481/2022; Id., n. 1213/2023; Id., n. 16122/2023; Id. n. 14771/2024; Id. n. 22416/2024.
[7] Cass., sez. un., n. 26283/2022.
[8] Corte cost., n. 190/2023.
[9] Le pronunce a favore dell’impugnazione davanti al giudice tributario sono citate a nt. 4. In favore dell’opposizione davanti al giudice dell’esecuzione si era invece espressa Cass., sez. VI-3, n. 20928/2017.
[10] Trib. Palermo, 11 agosto 2023, n. 3840.
[11] CGT I gr. Vicenza, 14 settembre 2023, n. 273.
[12] Cass., sez. III, n. 13533/2021; Id., n. 9000/2022; Id., n., 3520/2023; Id., n. 5476/2023; Id., n. 10034/2023; Id., n. 16004/2024.
[13] Cass., sez. III, n. 16236/2022; Id., n. 36568/2023; Id., n. 9155/2024.
[14] C. Glendi, Quale termine di efficacia del pignoramento per l’esecuzione esattoriale, in GT- Riv. giur. trib., 2020, 746, ma già E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 562, trattandosi di qualcosa di più di un pignoramento, una vera e propria auto assegnazione del credito.
[15] Cass., sez. III, n. 20294/2011; Cass., sez. VI-3, n. 24541/2014; Cass., sez. III, n. 21258/2016; Id., n. 16236/2022.
[16] CGT I gr. Prato, 16 agosto 2023, n. 71.
[17] Ord. Trib. Lecce, 22 maggio 2019, citata da C. Spalluto e S. Carluccio in ProntoProfessionista.it del 22 luglio 2020.
[18] in tal senso M. R. Giugliano, L’ordine di pagamento diretto ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/73: dall’interpretazione evolutiva della giurisprudenza di legittimità alla recente legislazione di urgenza, in inexecutivis.it, 25 luglio 2022, in specie § 7.
[19] Cass., sez. un., n. 34447/2019.