L’”inquietante aurora” della “prima” magistratura tributaria
Postilla di Cesare Glendi
Sommario: 1. Divagazioni, più o meno pertinenti, a livello meteorologico-lessicale - 2. Una prima pienissima condivisione su quello che “al fondo” dovrebbe essere il quid proprium della “magistratura tributaria”. – 3. Diversi modi d’intendere la “specialità” della magistratura e della giurisdizione tributaria. - 4. Sulla cruciale necessità di riorganizzare il terzo grado del processo tributario a livello istituzionale secundum constitutionem. – 5. Silloge conclusiva.
1. Divagazioni, più o meno pertinenti, a livello metereologico -lessicale.
Da chi egregiamente ha scritto “L’incerta alba della quinta magistratura” [1] mi è stato rivolto, con quella cortesissima insistenza cui resisti non potest, l’invito ad una breve “postilla” con l’espressione in libero contrappunto di una personale opinione sul suo contenuto, al fine, magari, d’incentivare un aperto confronto d’idee sull’avviata stagione della c.d. magistratura tributaria professionale italiana, di cui alla legge 130/2022 e al bando di concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 giugno 2024.
Ottempero all’”ordine” sinteticamente, siccome tassativamente imposto dal novellato art. 121 c.p.c., permettendomi, soltanto, in limine, una piccolissima puntualizzazione, o divagazione, semantica sul titolo, sostituendo, per mio conto, alle parole virgolettate (che annunciano “l’incerta alba”) quelle, forsanche non proprio esatte, ma ossimoricamente icastiche, che, secondo una qualche più realistica e pessimistica previsione, inducono a pronosticare una ”inquietante aurora”, parlando, inoltre, non tanto, generalmente, di “quinta magistratura”, bensì, specialmente, di “prima magistratura tributaria”.
2. Una prima pienissima condivisione su quello che “al fondo” dovrebbe essere il quid proprium della “magistratura tributaria”.
Dopo questa, più o meno pertinente, digressione “meteorologico-lessicale”, vengo subito al dunque, per esprimere, anzitutto, pienissimo assenso a quanto si è scritto affermando, lucidamente, che “l’ordinamento della giustizia tributaria attuale è un vestito di Arlecchino, con molte toppe e tanti buchi” e che “il d.lgs. 545/1992, stravolto dalla legge 130/2022 e modifiche successive, fotografa la ‘transizione’”, da ciò che non è, ma dovrebbe diventare, “la nuova magistratura tributaria”, introiettando, com’è stato ancora ben detto, “l’autonomia, l’indipendenza, l’imparzialità, ossia le caratteristiche consustanziali dell’essere giudice nel quadro costituzionale italiano ed unionale europeo”. Il che, però, è solo facile a dirsi, come, del resto, si è subito puntualizzato, ma nient’affatto facile da concretizzarsi.
Perché per “fare una giurisdizione”, e tanto più per fare una magistratura come quella tributaria, vorrei aggiungere, che non è riuscita a “farsi autonomamente”, non ostante (ma forse proprio a causa di) un sin troppo stratificato e travagliato pellegrinaggio evolutivo ultracentenario (in una continua serie di “sinechie” con altre magistrature, e tra queste, in specie, la c.d. magistratura ordinaria [2], riducendosi, nella sostanza, ad una vera e propria “Cenerentola giurisdizionale” [3]), non bastano leggi e leggine, o normicciuole varie, sempre più, tra l’altro, deficitarie. Occorrendo, invece, ineludibilmente, l’attenta formazione in un corpo specializzato realmente vivificato e dotato dell’autonomia, indipendenza, imparzialità, ossia delle “caratteristiche consustanziali dell’essere giudice nel quadro costituzionale italiano ed unionale europeo”.
3. Diversi modi d’intendere la “specialità” della magistratura e della giurisdizione tributaria.
Nello scritto qui “postillato” si conclude, par di capire, dando atto, de iure condito, che il vero significato della riforma postagostana del 2022, tuttora in itinere, si pone comunque verticalmente nel segno della specialità. Trovando in questa connotazione di specialità la sua precisa ragione d’essere.
Il che appare assolutamente ineccepibile.
Anche se occorre, a mio parere, ben intendersi sul vero senso di quest’aggettivazione, di per sé suscettibile di qualche gamma di possibili accezioni e polarizzazioni, entro le quali si affacciano naturaliter, com’è ovvio, inevitabili frange di variegate divergenze di opinioni. In quanto, nello scritto a cui vien qui fatta postilla, si tende ad individuare il quid proprium del giudice tributario nell’essenziale finalizzazione del “determinare la “giusta imposta, che è lo specifico compito costituzionale ed unionale del giudice tributario”, che “implica, infatti, una grande competenza tecnica, ma una ancora più grande cultura degli obblighi e dei diritti; richiede un particolare equilibrio di pensiero; impone un’interpretazione davvero sentita della funzione giudicante, ovviamente senza ‘esagerazioni di senso’”. Il che, sia ben chiaro, non si vuole certo qui mettere in discussione. Anche se, penso, attiene ad una prospettiva teleologica, che non incide, negativamente, sul versante strutturale della specialità. Il quale, a mio fermo avviso [4], verte propriamente sul modo in cui la funzione del giudice dispositivamente si attua, e così, per l’appunto, connotando il quid proprium della sua pronuncia in una statuizione di annullamento del provvedimento impugnato, se valutato (nella sottostante cognitio) difforme dal paradigma normativo che regola la funzione impositiva lato sensu intesa, o in una statuizione di non annullamento di tale provvedimento, qualora la valutazione (sottostantemente alla cognitio) non incida sull’atto e sui relativi effetti (già prodotti dal provvedimento impugnato).
Se si riconosce, come si deve riconoscere, che l’avvento della magistratura tributaria istituzionalizzata dalla legge n. 130/2022 e disposizioni a seguire, è germinata nel segno della specialità della magistratura tributaria, questa dev’essere guarentigiata, sul piano specialisticamente strutturale, in termini di controllo dell’esercizio della funzione impositiva lato sensu intesa, diversamente dai modelli giudiziali di cui alla magistratura ordinaria e financo alle magistrature speciali cc.dd. ordinarie (amministrativa e contabile). In piena autonomia, strutturale, pur nell’uguale rispetto dei requisiti d’indipendenza e d’imparzialità che ne garantiscono la giurisdizionalità.
4. Sulla cruciale necessità di riorganizzare il terzo grado del processo tributario a livello istituzionale secundum constitutionem.
Indipendentemente da quanto sopra precisato, ma in logica prossimità, s’impone, com’è stato, infine, lucidamente avvertito, con encomiabile tempestività [5], l’esigenza di un rinnovato assetto apicale della magistratura tributaria. Non potendosi non tener conto dell’intrinseca criticità dovuta dall’attuale permanenza di un vertice assegnato de lege lata ad un giudice ordinario, qual è, pur al culmine, la nostra Suprema Corte di Cassazione, da un lato, e l’ormai disposta istituzionalizzazione, dall’altro, di una vera e propria magistratura speciale tributaria per i due gradi di merito, le cui decisioni, peraltro, restano asservite al sindacato finale di un organo giudiziale di vertice di cui, sempre de lege lata, non possono far parte proprio gli appartenenti alla magistratura speciale tributaria, infine pervenuta alla sua ormai prossima, finale configurazione.
Di ciò si è reso responsabilmente conto Enrico Manzon [6], il quale, ineccepibilmente, osserva che “tra le, molte, contraddizioni, della riforma della giustizia tributaria, forse quella di percezione meno immediata è il mantenimento della ’scissione’ ordinamentale tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, speciale la prima, ordinaria la seconda” e che questo vero è proprio vulnus “è destinato nel medio-lungo periodo a diventare un problema serissimo”, in quanto, a ben vedere la creazione di quella che l’A. chiama la “quinta magistratura”, ma che preferirei definire, al momento, la “prima magistratura tributaria”, “non subito, ma presto, sicuramente tra qualche anno, realizza la situazione – anomala - che un ordine professionale specializzato dedicato farà una ‘giurisprudenza sotto tutela’ del vertice di una giurisdizione con la quale, nemmeno di fatto, avrà più niente a che fare. Infatti, tra non molti anni, l’ampio serbatoio di giudici tributari del ‘ruolo unico’ che appartengono alla giurisdizione ordinaria sarà esaurito. Quindi, le pronunce dei giudici tributari verranno sindacate, pur nei limiti della legittimità, da una Sezione ‘specializzata’ della Corte di Cassazione (ex art. 3, legge 130/2022) formata, a quel punto, da magistrati che non hanno mai esercitato, nemmeno part time, la funzione dei primi” ed “è davvero difficile pensare che questa sia una buona cosa e soprattutto che possa reggere nel tempo”.
Alla stregua di queste “argute” premesse, con il più che lodevole proposito che “dunque bisognerà fare qualcosa”, si è, infine, suggerito, nell’ambito di una indispensabile revisione costituzionale, “l’istituzione medio tempore di una Corte di giustizia tributaria centrale” che, secondo i proponenti, oltre ad “altri pregi” [7], “porterebbe con sé questa ‘dote essenziale’: rendere attuabile, volendolo, nel medio periodo, un percorso di avvicinamento alla completa autonomia ordinamentale e funzionale del nuovo plesso giurisdizionale”. Avvertendo, quasi “accoratamente”, verrebbe da dire, “l’esigenza di un lavoro comune per la realizzazione della riforma della giustizia tributaria”.
In assoluta umiltà d’intenti, ma propositivamente, chiedendo comunque anticipatamente venia per l’incontrollabile franchezza, la prospettiva di una sostanziale “risurrezione” della Commissione tributaria centrale, sia pure diversamente denominata, riaggiustata e rimodellata, mi lascia estremamente perplesso. Probabilmente in ragione di pregresse reminiscenze dovute all’eccessiva età e a vecchi ricordi di quel che avveniva e “lentamente” si consumava in Via Cernaia. Mi pare oggettivamente preferibile dimenticare, pensando ad un diverso futuro, pur tenendo conto delle assai buone ragioni da cui è maturata l’idea di un “cuscinetto giurisdizionale intermedio”, che, nella sostanza, faciliti la transizione dal vecchio al nuovo ordineiudiciorum in materia tributaria.
E dunque, in estrema sintesi.
Sul piano dell’architettura costituzionale, dovrà certamente intervenirsi sulla formulazione dell’art. 111, ultimo comma, Cost. Che dovrebbe ormai essere rivivificato aggiungendo alle decisioni per le quali è ammesso il ricorso in cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione anche le decisioni delle corti di giustizia tributaria di secondo grado.
Altra disposizione, su cui occorrerà intervenire, è la VI transitoria e finale, ormai storicamente superata. In vece della quale dovrebbe trovare posto una nuova disposizione transitoria, nella quale dovrebbe fissarsi un termine, scaramanticamente diverso da quello rimasto troppo a lungo “canzonatorio” della vecchia VI disposizione transitoria e finale di cui sopra si è detto, entro il quale istituire di bel nuovo la Suprema Corte della giustizia tributaria. Che s’immagina composta da quindici componenti della magistratura tributaria, da sei della Suprema Corte di Cassazione, da due per il Consiglio di Stato e da due per la Corte dei Conti. I quali componenti tutti dovrebbero poi eleggere il Primo presidente della Corte Suprema della giustizia tributaria, suddivisa in cinque sezioni, distintamente per materie, dotate dei correlativi Presidenti, destinati anche a far parte, obbligatoriamente (salvo deroghe motivate) del corpo, rigidamente strutturato, delle Sezioni Unite della Corte Suprema della giustizia tributaria, con poteri nomofilattici, per lo meno, ad instar di quanto attualmente disposto dall’art. 374, 4° comma c.p.c. Salva ulteriore più dettagliata disciplina, da predisporre mediante legge ordinaria sapientemente congegnata. Ma con la previsione, già in sede di normativa costituzionale, che, sino alla istituzione della Corte Suprema della giustizia tributaria, resteranno ancora in vigore tutte le attribuzioni normativamente previste per il sindacato da parte dell’attuale Sezione tributaria della Corte di Cassazione su tutte le decisioni di secondo grado emesse dai giudici tributari esistenti.
5. Silloge conclusiva.
Quanto sopra sommariamente “abbozzato”, ben s’intende, al solo fine di porre in discussione un’idea, e niente più, eviterebbe l’insorgenza di una macchinosa e costituzionalmente opinabile istituzione di una sorta di stravagante “cassazione” a tempo con funzioni essenzialmente smaltitorie. Lasciando, invece, alla Sezione tributaria della Corte di Cassazione, che tra l’altro mostra, da ultimo, segni di miglioramenti quantitativo e qualitativo di non poco momento, il ben più nobile ruolo di “tedoforo” dalla precedente alla nuova nomofilachia tributaria di vertice, così da prefigurare adeguatamente il sorgere del culmine finale di una giurisdizione speciale tributaria tout court.
Voilà le firmament, le reste est procédure [8].
[1] E. MANZON, L’incerta alba della quinta magistratura, in questa Rivista, 28 giugno 2024.
[2] C. GLENDI, La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, in A. GUIDARA, Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino, 2021, specialmente ai paragrafi 2, 3, 4, 5, pag. 415 ss.
[3] Confinata, lo si può ben dire, a gestire “a costo zero” contenziosi miliardari, come non è dato riscontrare in nessun altro paese, più o meno civilizzato.
[4] V. ancora, C. GLENDI, La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, cit., loc. cit., paragrafi 10 a 14.
[5] E. MANZON – F. PISTOLESI, Una “cassazione speciale” da affiancare alla cassazione ordinaria: brevi appunti sull’idea di una Corte di giustizia tributaria centrale, in questa Rivista, 28 marzo 2024.
[6] E. MANZON, L’incerta alba della quinta magistratura, cit., loc. cit., segnatamente al punto 4, Un “tema speciale”: la Corte di giustizia tributaria centrale.
[7] Più diffusamente illustrati da E. MANZON – F. PISTOLESI, op. loc. cit., specialmente ai paragrafi 2.2. e 2.3.
[8] A meno che, invece, si tratti solo, di un irrequieto sogno di mezza estate, destinato a dissolversi nei più complicati e imprevedibili meandri della Storia.
Foto via https://www.flickr.com/photos/starcitizen/52445046906.