Sommario: 1. Dall'aurora boreale all'incerta luce dell'alba; 2. I magistrati tributari che verranno; 3. L’ordinamento della magistratura e l’organizzazione delle Corti; 4. Un “tema speciale”: la Corte di giustizia tributaria centrale; 5. In conclusione
1. Dall'aurora boreale all'incerta luce dell'alba
Il 7 giugno scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando del primo concorso esterno per la nuova magistratura tributaria professionale italiana istituita dalla legge 130/2022. Si avvia dunque il percorso di una riforma istituzionale della quale si è parlato a lungo negli scorsi decenni, anche se essenzialmente nella ristretta cerchia degli "addetti ai lavori". Una netta accelerazione si è avuta con la costituzione -nel 2021- della Commissione di studio per la riforma della giustizia tributaria, presieduta dal prof. Giacinto della Cananea, voluta dagli allora ministri della giustizia Cartabia e dell’economia/finanze Franco.
Come noto, la Commissione si è spaccata in due. La maggioranza dei componenti (quelli di provenienza accademica/professionale) ha presentato una articolata proposta normativa che prevedeva appunto un giudice speciale professionale di primo e secondo grado, a “tempo pieno”, assunto per concorso come le altre magistrature. Una minoranza di componenti (quelli di appartenenza magistratuale) ha contro proposto un intervento più limitato, che invece manteneva, almeno in via transitoria, il vecchio ordinamento per il primo grado ed interveniva in via mirata (rilevanza delle cause/delimitazioni territoriali) solo per il grado di appello.
Erano due “filosofie di intervento” molto distanti tra loro che, nonostante qualche sforzo, non è stato possibile conciliare e fondere in qualche forma di compromesso. La “minoranza” della Commissione della Cananea soprattutto obiettava che fare una magistratura “nuova di zecca” era un’impresa di notevole difficoltà e che richiedeva molto tempo, quindi implicava un’inevitabile, incerta, soprattutto lunga fase di transizione dal “vecchio” al “nuovo” assetto.
Ma la maggioranza di quella Commissione ha ritenuto che la strada della “quinta magistratura” era assolutamente indispensabile per garantire un livello più stabile e qualitativamente elevato della produzione giurisdizionale tributaria di merito, ad ogni costo ed ogni tempo di attuazione.
Erano forse troppo “realisti” i primi, sicuramente sono stati molto “illuministi” i secondi.
Forse bisognava intraprendere una strada totalmente diversa, la meno complessa, la più affidabile e costituzionalmente compatibile: “ordinarizzare” la giurisdizione tributaria nei due gradi di merito e quindi portarla all’interno dello stesso sistema generale, prefigurato dalla Costituzione repubblicana, con al vertice la Corte di Cassazione.[1]
Tuttavia, non sempre le idee meno complesse e perciò più realizzabili hanno fortuna nelle vicende umane e della politica legislativa in particolare. Anzi, nel nostro Paese parrebbe esattamente il contrario.
In questo caso poi hanno congiurato almeno tre fattori contrari non superabili: una posizione pregiudiziale contraria al giudice ordinario e favorevole a quello speciale di tutta o quasi la dottrina tributaristica, a partire dagli opinion leaders, che si sono fatti sentire con tutto il loro peso anche nella stessa Commissione della Cananea; il timore recondito della categoria di difensori professionali più interessata (commercialisti) di perdere un sostanziale monopolio; il disinteresse, se non addirittura la contrarietà espressa, della magistratura ordinaria a vedersi recapitata una competenza giurisdizionale aggiuntiva di notevole rilevanza sia quantitativa che qualitativa, senza garanzie di un correlato, necessario ed importante, aumento delle risorse personali e materiali per poterla adeguatamente affrontare.
A ciò, di per sé bastevole, va aggiunto un MEF molto poco propenso a rilasciare al ministero della giustizia un settore di attività giudiziaria che ha sempre considerato come “suo”, nelle varie accezioni, più o meno “politicamente corrette”, di questo termine.
Tant’è, è andata così. La Commissione della Cananea ha prodotto quelle proposte, sulla sua scia, nel convulso finale di legislatura, a camere sciolte, un pdl governativo generato in poche settimane è arrivato in Parlamento, che in una sola settimana, nel caldo agostano, ha generato la legge 31 agosto 2022, n. 130.
Sarebbe abbastanza sciocco pensare che si tratti di una scelta reversibile, ma altrettanto sarebbe pensare che les jeux sont faits. Anzi, con questo primo concorso esterno il “gioco” della quinta magistratura professionale italiana è solo al suo -timido/impacciato- inizio, dopo il clamoroso fallimento dell’opzione dei giudici tributari “togati”.
Adesso dunque, le “donne e gli uomini di buona volontà” che in qualche modo e misura sono interessati dall’attuazione di questa “riforma” hanno il dovere istituzionale e morale di almeno provare a farla decollare.
Non è un’impresa semplice, per nulla.
Di seguito si proverà ad illustrarne le difficoltà, evidenti, e a metterne in luce le opportunità, che pure ci possono essere, ma a determinate condizioni culturali e “di sistema”.
2. I magistrati tributari che verranno
Partiamo dalla questione delle risorse di personale giudicante ossia dai protagonisti di questa nuova magistratura.
Come detto, i professionisti delle altre magistrature hanno risposto negativamente all’ “appello” della legge 130/22. Su 100 posti a disposizione (50 per gli ordinari), hanno esercitato l’opzione in 22 (18 ordinari).
Non poteva andare diversamente: troppa incertezza sullo status giuridico ed economico; mancanza totale di un correlato disegno organizzativo (chi andrà a fare cosa e dove, salvo il “minimo sindacale garantito” della permanenza nella sede “tributaria” pregressa). Così ne sono mancati 78 ed è quindi mancato quel “nerbo iniziale” che doveva favorire la start up della riforma, “preferibilmente” nel grado di appello.
Peraltro, riflettendo sull’opzione fallita, si rende evidente soprattutto una prima, grave, aporia della riforma medesima: le nuove Corti di giustizia tributaria, implementate via via dal corpus di magistrati assunti per concorso ed a “tempo pieno” da chi verranno dirette? Dagli attuali Capi di Corte part time? Forse per le realtà più piccole (tante, troppe) può essere ipotizzabile. Non lo è per quelle più grandi.
Risulta allora chiaro che, fino a che, oltre i 22 che già ci sono, la nuova magistratura non avrà prodotto i “suoi” dirigenti, ci vorranno “vescovi” e “cardinali” stranieri, che non possono essere trovati se non nelle altre magistrature professionali e, per la legge dei “grandi numeri”, soprattutto in quella ordinaria.
Appare pertanto indispensabile riaprire a queste categorie l’opzione di transito nella magistratura tributariafull time, ma questa volta farlo in modo adeguato, con una visione d’assieme. Quindi bisogna dare ai potenziali optanti garanzie personali di natura ordinamentale/economica ed avere un’idea precisa sul dove allocare queste, indispensabili, risorse umane dirigenziali.
Tutto sommato è più semplice risolvere la prima questione, lo è invece molto meno la seconda, poiché ha una correlazione inscindibile con il grande tema organizzativo della revisione della “geografia” delle Corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado. Senza questo collegamento non è infatti possibile dare un senso oggettivo, completo, razionale a tale misura, che pure, di per sé, come detto appare non evitabile.
Questa prima riflessione è strategica, ma vale soltanto per la “testa” della quinta magistratura, per la sua dirigenza. Poi ci sono tutti gli altri magistrati, quelli che devono arrivare a completarne l’organico.
Adesso si parte con il primo concorso ed è lapalissiano dire che bisognerà partire nel migliore dei modi. [2]Chiare sono le difficoltà, non essendoci che le regole -minime- della legge 130/2022, più volte modificata e la lex bandi che la attua. Nessuna esperienza applicativa, a partire dai suoi criteri. Si tratta dunque di un compito delicatissimo, con più soggetti istituzionali coinvolti: il MEF che organizza, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria che sovraintende, la Commissione esaminatrice che concretizza la procedura concorsuale.
Le incognite/variabili sono molte e quello che accadrà la prima volta segnerà la strada di quelle successive (previste nel 2026/2029). Con la prima selezione saranno infatti messe le “basi soggettive” della nuova giurisdizione, la parte più sensibile, la più difficile della “sfida riformatrice”. Tuttavia, far nascere una magistratura da un concorso è la condizione costituzionalmente necessaria, ma il percorso di “costituzionalizzazione sostanziale” di una magistratura ha molti profili, nessuno di semplice e facile realizzazione.
Chi entra nelle magistrature attuali trova un ambiente professionale consolidato, fatto di prassi, di relazioni interpersonali, di norme ordinamentali. Trova Scuole superiori ed affidatari che ne curano il tirocinio di formazione iniziale e poi permanente. Trova un autogoverno strutturato, anche al livello locale. Insomma trova un apparato organizzativo.
I 22 “volonterosi optanti” ed i 146 vincitori del primo concorso non troveranno tutto questo, ma solo una sua pallida replica, anzi, troveranno solo un cantiere aperto, nel quale dovranno mettersi a lavorare con pochi punti di riferimento precisi. Non è certo il modo migliore per iniziare, per loro, ma anche per il sistema di giustizia che si vuole avviare, quasi avventurosamente, tipo: li buttiamo in acqua così imparano a nuotare (o vanno a fondo …).
Risulta perciò evidente che, nel tempo che ci sarà prima che la carica dei 146 arrivi sulla linea del fuoco, bisognerà approntare almeno le condizioni minime perché non finisca male.
Quindi organizzare una rete di formatori on the job; mettere la Scuola superiore della magistratura tributaria in condizione di operare; dare dei punti di riferimento dirigenziali solidi; rafforzare, di molto, il ruolo dell’autogoverno.
Altrimenti la sfida rimane solo quella che -geneticamente- è: un azzardo.
E fin qui non si è fatto ancora praticamente nulla per queste misure complementari indispensabili. Sperabile che qualcosa si faccia. Presto.
Comunque sia, selezionati al meglio di quello che con un concorso si può fare, accolti in modo adeguato ed adeguatamente “tirocinati”, il compito più difficile per i nuovi magistrati tributari, la parte più importante della loro “costituzionalizzazione sostanziale”, individuale e collettiva, sarà però quella di acquisire, immediatamente, dalla prima sentenza, il senso profondo della giurisdizione, nella sua dimensione culturale. Dovranno introiettare l’autonomia, l’indipendenza, l’imparzialità ossia le caratteristiche consustanziali dell’essere giudice nel quadro costituzionale italiano ed unionale europeo.
E questo non è né semplice né scontato, in un tempo nel quale la tendenza alla “burocratizzazione” è indubbiamente forte e vieppiù in una materia che vede una fortissima contrapposizione tra l’ “interesse fiscale” ed i “diritti del contribuente”. Determinare la giusta imposta, che è lo specifico compito costituzionale ed unionale del giudice tributario, implica infatti una grande competenza tecnica, ma una ancora più grande cultura degli obblighi e dei diritti; richiede un particolare equilibrio di pensiero; impone un’interpretazione davvero sentita della funzione giudicante, ovviamente senza “esagerazioni di senso”.
A tal fine, il “tempo pieno”, la specializzazione, da soli non bastano affatto. È invece necessario che la nuova magistratura acquisisca da subito l’habitus mentale che le compete, al pari delle altre esistenti, che acquisisca l’immediata consapevolezza del proprio ruolo di regolazione delle crisi di cooperazione, tantissime, che in Italia si concretizzano nella, "difficile", attuazione dei tributi. Insomma la "quinta magistratura" deve mettersi a fare giurisdizione, senza se, senza ma, con la guida dei principi costituzionali ed unionali, interpretando ed applicando la legge tributaria.
Qui sta la parte più delicata della sfida riformatrice e qui sta la chiave del suo successo.
Chi ha voluto “questa riforma”, nonostante tutti gli avvertimenti, ne ha forse sottovalutato questo aspetto, essenziale. Ora però, come detto, è inutile sottolinearlo. Bisogna quindi operare nel senso del “successo”, che pure è possibile.
3. L’ordinamento della magistratura e l’organizzazione delle Corti
Servono dunque risorse di personale giudicante all’altezza, sotto ogni profilo, tecnico e culturale, ma servono anche ordinamento (norme di) e strutture organizzative.
L’ordinamento della giustizia tributaria attuale è un vestito di Arlecchino, con molte toppe e tanti buchi. Il d.lgs. 545/1992, stravolto dalla legge 130/2022 e modifiche successive, fotografa la “transizione”. È quindi chiaro che la nuova magistratura necessita di un nuovo ordinamento, autonomo e completo in ogni sua parte, com’è per le altre (legge “archetipo” è quella, pur anch’essa molto novellata, di ordinamento giudiziario ordinario).
Ma, come noto, la normazione primaria è tutt’altro che sufficiente a “dare le regole” ad una magistratura: serve infatti quella secondaria attuativa/integrativa. E serve quindi chi la fa, che nel sistema della Costituzione e delle Carte europee, non possono essere che gli organi di governo autonomo.
Il CPGT nella strutturazione organizzativa attuale è inadeguato a questo ruolo (ma anche più in generale), a partire dalla disponibilità del tempo dei suoi componenti, per proseguire con le strutture materiali e con l’organizzazione del personale ausiliario. Oggi, è soltanto un organo di autogoverno per una magistratura “onoraria”, com’era quella preesistente.
Così com’è, il Consiglio non può affrontare utilmente nemmeno la start up di quella nuova e dunque il suo rafforzamento generale si presenta come questione del tutto necessaria ed urgente. Bene nemmeno pensare che questo non sia presto fatto, giacché altrimenti si autorizzano soltanto letture malevoli sulla volontà politica di garantire, sul serio, l’indipendenza e l’autonomia, individuale e collettiva (nel senso sopra detto) della magistratura tributaria.
Quanto alle strutture organizzative, bisogna partire dall’affermazione, difficilmente smentibile, che le Corti di giustizia tributaria [3] sono troppe e vanno ridotte. Questo è sicuramente il “punto chiave” di ogni possibile ed auspicabile ristrutturazione dell’offerta territoriale giurisdizionale di settore. È una questione nient’affatto semplice, multifattoriale, molto condizionata dai campanilismi politici, quindi da affrontare con tantissimo buon senso, pur non privo della necessaria determinazione. Probabilmente, la soluzione “di massima”, il compromesso sta nel salvaguardare il più possibile la “prossimità” del primo grado del giudizio, cercando invece di concentrarne il secondo grado. I modi sono più di uno (accorpamenti, sezioni distaccate, gestione amministrativa del personale giudicante ed ausiliario).
L’organico della nuova magistratura è 576, 128 in appello, gli altri in primo grado. È del tutto evidente che con l’organizzazione attuale non è possibile un’equa ed efficiente redistribuzione territoriale dello stesso. Quindi il tema della “revisione della geografia” è decisivo. Su di esso la leale cooperazione tra plesso politico (Governo-MEF/Parlamento) ed autogoverno (CPGT) è del tutto imposta dai principi e dal buon senso.
4. Un “tema speciale”: la Corte di giustizia tributaria centrale
Tra le, molte, contraddizioni, della riforma della giustizia tributaria, forse quella di percezione meno immediata è il mantenimento della “scissione” ordinamentale tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, speciale la prima, ordinaria la seconda.
Questo vero è proprio vulnus -che già tanti problemi ha creato, soprattutto dopo il 1996, quando è entrata in vigore la riforma del 1992 e quindi dopo la soppressione della Commissione tributaria centrale [4]- è destinato nel medio-lungo periodo a diventare un problema serissimo.
A ben vedere infatti la creazione della “quinta magistratura”, non subito, ma presto, sicuramente tra qualche anno, realizza la situazione -anomala- che un ordine professionale specializzato dedicato farà una “giurisprudenza sotto tutela” del vertice di una giurisdizione con la quale, nemmeno di fatto, avrà più niente a che fare. Infatti, tra non molti anni, l’ampio serbatoio di giudici tributari del “ruolo unico” che appartengono alla giurisdizione ordinaria sarà esaurito. Quindi, le pronunce dei giudici tributari verranno sindacate, pur nei limiti della legittimità, da una Sezione “specializzata” della Corte di Cassazione (ex art. 3, legge 130/2022) formata, a quel punto, da magistrati che non hanno mai esercitato, nemmeno part time, la funzione dei primi.[5]
È davvero difficile pensare che questa sia una buona cosa e soprattutto che possa reggere nel tempo. Dunque bisognerà fare qualcosa e qualcosa si è proposto di fare.[6]
Appare ormai chiaro che la migliore soluzione, la più ragionevole, è senz'altro la revisione dell’art. 111, ottavo comma, Cost., con l'attribuzione alle Corti di giustizia tributaria dello stesso status di autonomia giurisdizionale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, quindi limitando l'impugnabilità per cassazione delle decisioni tributarie alle sole questioni di giurisdizione.[7]
Tuttavia, a parte le difficoltà di qualsiasi revisione costituzionale, soprattutto in materia di giustizia, ve n’è una, per così dire, “di fatto”, che non può essere assolutamente trascurata, pena il rischio di un corto circuitogravissimo nel sistema della giustizia tributaria.
La revisione costituzionale deve essere infatti necessariamente preceduta da un abbattimento drastico dell’arretrato della Cassazione, altrimenti si profilerebbe un periodo transitorio lungo nel quale coesisterebbero “due nomofilachie”, quella vecchia e quella nuova. È del tutto evidente che questo -inevitabile- effetto di una revisione costituzionale non adeguatamente “preparata” sarebbe quanto di più manifestamente irrazionale. In ogni caso il Paese non se lo potrebbe permettere.
Ed allora l’istituzione medio tempore di una Corte di giustizia tributaria centrale, oltre agli altri pregi [8], porterebbe con sé questa "dote essenziale": rendere attuabile, volendolo, nel medio periodo, un percorso di avvicinamento alla completa autonomia ordinamentale e funzionale del nuovo plesso giurisdizionale.
E non pare affatto poco.
5. In conclusione
È dunque difficile salutare senza preoccupazione la pubblicazione del primo bando di concorso per magistrato tributario, anche senza voler trasmetterne un influsso negativo sui tanti che si accingono a questa prova, alla cui competenza ed impegno è principalmente affidato il passaggio dall'alba al pieno giorno della riforma,
Tuttavia, bisogna confidare che la necessità generi virtù. Questo può e deve accadere, ma sarà così solo alla condizione che i vari protagonisti di questa nuova storia istituzionale facciano fino in fondo la parte loro assegnata, che abbiano la piena contezza dei problemi e chiaro il modo per risolverli, che sappiano interagire.
Purtroppo, all’avvio della procedura concorsuale non sembra che sia effettivamente questa la situazione, quanto piuttosto, come avviene in Italia, ci sia ancora molta, come dire, “rilassatezza” in ordine alle mosse da fare. Soprattutto risulta davvero poco avvertita l’esigenza di un lavoro comune per la realizzazione della riforma della giustizia tributaria, quasi una trovatella alla ricerca di punti di riferimento che le diano la forza e la spinta per andare avanti con la giusta velocità e nel modo migliore.
Il tempo che abbiamo davanti dirà se le troverà.
[1] Cfr. E.MANZON, Per una riforma ordinamentale “possibile” della giustizia tributaria, in questa Rivista, 9 dicembre 2020.
[2] Denominazione ridondante, forse frutto del caldo agostano nel quale è stata coniata. Assai preferibile quella, più semplice e tradizionale, di Tribunale tributario e Corte tributaria di appello. Chissà se in qualche “ritocco” della riforma, magari in una stagione più fredda, questo non si possa fare. Magari proprio in sede di revisione della “geografia” degli organi di giustizia tributaria.
[3] V. E. MANZON, F. PISTOLESI, Una “cassazione speciale” da affiancare alla cassazione ordinaria: brevi appunti sull’idea di una Corte di giustizia tributaria centrale, in questa Rivista, 28 marzo 2024.
[5] cfr. C. GLENDI, Rinvio pregiudiziale nel processo tributario? Antinomie ai vertici, da risolvere presto e bene, in Diritto e pratica tributaria, n. 2/2023, 605.
[6] Cfr. E.MANZON, F. PISTOLESI, cit.
[7] cfr. C. GLENDI, L'incompiuta riforma della Cassazione tributaria. Cosa manca, in Diritto e pratica tributaria, n. 2/2023, 609.
[8] Cfr. E.MANZON, F. PISTOLESI, cit.