Il 16 ottobre 1943, all'alba, le truppe tedesche occupanti di Roma, con la collaborazione della polizia italiana, rastrellarono il ghetto ebraico della città. Era un sabato. le famiglie erano riunite nelle case. In quella che fu definita la "Strage del Ghetto", furono arrestati 1.259 ebrei, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini. Dopo il rilascio di un certo numero di componenti di famiglie di sangue misto (Mischlinge) o stranieri, 1.023 rastrellati furono deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Soltanto 16 di loro sopravvissero (15 uomini e una donna). Giulia è un personaggio di fantasia.
Brano tratto dal romanzo di Licia Fierro “Le seduzioni del tempo” edizione Terre Sommerse - collana Sidera
[…] Nell'agosto del ‘44 circa 8000 prigionieri provenienti da Auschwitz arrivarono a Bergen Belsen, inquadrati dalla SS del maggiore Haase e del capitano Kramer che si avvicendavano nel dare ordini con la voce tonante e gli occhi dei mostri senza alcuna espressione. Giulia era tra i nuovi ospiti. Per poco aveva evitato i lavori forzati, perché ad Auschwitz bisognava avere 12 anni per essere impiegati in quei lavori. Lei era divenuta così minuta che le sarebbe andato largo perfino il grembiulino della terza elementare e cominciavano pure a caderle i capelli. Aveva i capelli a chiazze. Si era convinta di aver raggiunto l'anticamera della morte. Neppure voleva parlare con le altre, come nel primo periodo, quando ancora credeva che si sarebbe svegliata dall'incubo in braccio a sua madre, nella casa calda dietro il portico d’Ottavia perché non poteva durare così a lungo il regno del male. Sarebbe arrivato il Dio degli eserciti a liberare il suo Popolo, lo avrebbe tratto dalle catene come in Egitto al tempo del Faraone e lo avrebbe condotto nella terra che odora di latte e di miele. Perché non credere al rabbino?
Poi trascorrevano i giorni e nessuna Tromba della riscossa suonava nel campo, solo le lunghe sirene, i fari che illuminavano la recinzione di ferro spinato, solo il rumore sordo degli stivali sulla terra battuta dove ogni tanto uno sparo seminava un paio di morti per soddisfare il gusto assassino.
“Svegliati, Gerusalemme” si ripeteva di notte, come se qualcuno in lontananza attraverso i fili segreti della mente potesse raccogliere il messaggio, come se oltre le siepi e la strada ferrata della Bassa Sassonia si fosse aperto il mare del Nord col bastone di un nuovo Mosè.
Era diventata adulta senza volerlo. Teneva spesso in testa un pezzo di stoffa. Lo usava per bendarsi un attimo di nascosto quando proprio non sopportava la visione del grande macello e si chiedeva se riaprendo gli occhi e tenendo dritte le orecchie non sentisse chiamare il suo numero per essere mandato a morire chissà dove.
Lo sapeva bene. Che erano tutti morti: la madre, il padre, i fratellini più piccoli. Solo per Fulvio, il primogenito, che non era a Roma la notte del ghetto, solo per lui sperava qualche rara volta di sopravvivere. Un giorno la megera bionda e ossuta che teneva sotto il comando le bambine, le si avvicinò parlando la sua lingua incomprensibile, poi la strattonò verso l'uscita della baracca. Doveva pulire gli alloggi dei soldati e farlo a puntino altrimenti l'avrebbe strozzata. Questo Giulia lo capì benissimo dai gesti e dalla presa stretta alla gola che le lasciò il segno rosso sul collo. Il vantaggio fu che poté raccattare le briciole di cibo come fanno i cani intorno alle tavole dei padroni. Ma ai cani si fanno carezze, a lei davano calci dovunque si trovasse. Una mattina riuscì a rubare una bella fetta di pane nero che infilò tra camicia e mutande per tenerla ben fissata. Di notte, nel grande silenzio, sgranocchiò quel tesoro e neppure pensò di condividerne un pezzetto con le sventurate. Invocava la morte e la fuggiva con l’innocenza di chi gioca una partita e non conosce per bene l'avversario. Quel tempo nella memoria è come una stagione unica, senza soluzione di continuità. Se dovesse disegnare i periodi o fare un diario preciso dei giorni, Giulia potrebbe solo squadrare un foglio, annerirlo tutto e avvolgervi del pane nero.
Un'alba di Aprile del ‘45, il 15 Aprile è ancora la sua Pasqua e il suo Natale. Il generale Montgomery aprì le porte alla luce del sole, squarciò la tenebra e il lutto, restituì al mondo ciò che era rimasto della gente infelice ed eletta. Più di 60.000 erano i morti di tifo e altri erano scheletri su gambe storte rattrappite e altri puzzavano ammucchiati. Ci voleva molta fantasia per definirli donne, uomini e bambini. Stracci di umanità putrescente che sarebbero morti col sole della libertà, al massimo l'indomani. Eppure Giulia li vide attraverso i cancelli come fossero i risultati dalla terra nemica e li aiutassero a cercare un mezzo per attraversarla all'incontrario. Una grande schiera di angeli l'accompagnava per la campagna. Lo zainetto inglese o americano pieno di cibo, una bottiglia di latta, bellissima per tanta acqua limpida di sorgente, per tanti giorni di viaggio ancora pieni di paura. Il gruppo era di quelli che si notano anche se avevano ricevuto vestiti e tute larghissime fatte per gente di sana e robusta costituzione.
Cominciava a risorgere la natura dopo il freddissimo inverno. La brughiera e le lande sono il paesaggio della Bassa Sassonia e certo, d'estate devono essere luoghi ideali per le passeggiate a piedi o in bicicletta. Dappertutto residui bellici, macchine trafitte di buchi, inservibili attrezzi da lavoro. Da Celle a Burgdorf ad Hannover avrebbero dovuto elemosinare chissà quanto per raggiungere la Svizzera o il Tirolo verso l'Italia passando per mezza Germania. Giulia si lasciava condurre nei solchi puliti di terra sterrata, sulle rotaie di treni sbuffanti, su vecchi camion sporchi di letame. E faceva strada, sempre più si allontanava dalle ciminiere di fabbriche in disuso, dalle cupole strette e lunghe di chiese abbandonate fin da quando la nuova religione nazista aveva sostituito al Vangelo il Main Kampf, alla bandiera nero- rosso-oro della Repubblica di Weimar la svastica, il simbolo delle genti ariane provenienti dall'antica India. […].
“Ma proprio nessuno si è accorto di noi, dico, della nostra rovina, dello sterminio?”.
“Certo che lo hanno saputo, ma non lo hanno voluto vedere”.
“E nessuna voce di uomini colti si è levata?”
“Piccola cara, sì, qualche voce dopo il rogo dei libri … una in particolare, la più bella, la meno ascoltata”
“Dimmela dunque”.
E Gad cominciò a recitare il Lamento di Brecht: “Parlino gli altri della propria vergogna, io parlo della mia. O Germania pallida madre! Come insozzata siedi tra i popoli! Fra i segnati d'infamia tu spicchi …”.
In Tema di Memoria v. Il sonno della ragione razzismo, antisemitismo e Shoah di Ruggero Taradel