Uso e abuso della parola libertà
di Licia Fierro
Se penso a tutte le discussioni, ai libri, ai saggi, ai dibattiti sulla libertà, mi rendo conto e, credo anche voi, di quanto sia difficile costruire una riflessione sul tema senza pretendere né di esaurirne i significati, né di fornire nuove definizioni. Il fatto è che in ogni momento storico gli uomini avvertono quasi naturalmente il bisogno di interrogarsi sul loro modo “attuale” di essere liberi. Certo il termine è in sé stesso equivoco: se filosoficamente è libero chi non è soggetto ad alcuna determinazione causale, politicamente è libero chi ha per legge la possibilità di esercitare i suoi diritti. Senza parlare della complessità delle implicazioni psicologiche dove la libertà si configura come capacità consapevole di dominare i propri impulsi assumendo comportamenti conseguenti e responsabili. La libertà, dunque, esclude ogni forma di subordinazione alla necessità causale, ogni schiavitù ad un qualsivoglia sistema politico che non si configuri come stato di diritto, infine essa esige la responsabilità. Penso che su queste premesse tutti possano concordare e ritenere che, a parte le componenti psicologiche oggetto di studi in tutt’altri ambiti, nel mondo occidentale si siano create nel tempo le condizioni di una libertà stabile e duratura. Specie a partire dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, anche dal punto di vista etico si è configurato con caratteri nettissimi il baratro esistente tra la libertà e la schiavitù. Non a caso il processo ultimo da cui è nato il nostro paese lo si chiama con termine appropriato guerra di Liberazione. Ritengo che sia necessario tener presente questa origine della nostra Repubblica proprio perché anche i giovani imparino a rispettare e difendere il valore della libertà non nella dimensione individualistica sterile, ma nel contesto della comune convivenza. Kant identificava la libertà col motto latino sapere aude ovvero “abbi il coraggio di usare la tua ragione”, perché solo alla luce di essa è possibile eliminare le paure, l’ignoranza, i pregiudizi; Hegel affermava che la libertà non può che nascere dal riconoscimento di sé nell’altro; Marx replicava, tuonando contro le astrazioni, che senza distruggere le discriminazioni economico-sociali non può esistere alcuna libertà. Tutte belle definizioni comprensibili ad un pubblico acculturato, ad una élite consapevole del travaglio ideologico che tra Ottocento e Novecento ha determinato scuole di pensiero antitetiche sul tema in questione: mi riferisco alle grandi costruzioni teoriche del liberalismo e del socialismo. Ma al di là dei massimi sistemi che cosa ci colpisce oggi? Da una parte la mancanza di ogni impedimento all’azione di chi, in qualunque modo, si accaparra i beni primari con la giustificazione del principio di libera iniziativa economica, dall’altra per dirla con Berlin non si capisce “che cosa o chi sia la fonte del controllo o dell’ingerenza che può indurre qualcuno a fare o ad essere questo invece di quello”. Dove comincia e dove trova il suo limite la libertà privata? Ha ancora ragion d’essere il controllo e come viene esercitato? Con quali leggi? Che cosa mette propriamente in crisi il modello occidentale di libertà quanto più essa sembrava sicura e ben fondata? Io credo che la maggior parte degli adulti come me abbia difficoltà a rispondere e perciò quando queste domande le propongono i giovani, le nostre argomentazioni risultano sempre più deboli. Un mio allievo un giorno mi disse “ma nell’era di Internet non c’è più senso a porsi il problema della libertà, ci sono modi di esercitarla in assoluto evitando pure i possibili controlli…” Questa affermazione mi ha sempre più indotta nel tempo a spostare la riflessione nei termini più ampi della questione morale. Mi sovviene e faccio mia la tesi di Sylos Labini quando, a proposito della vita sociale e politica, dice che se non se ne riconosce la rilevanza morale tutto diventa niente più che una lotta selvaggia. La conflittualità è immanente ad una società sempre più logorata dalla religione dell’individuo potente e affermato, l’individuo “di successo” non importa come, non importa a quale prezzo. È questa carenza sostanziale di eticità a rendere anche lo stato quasi impotente nei suoi mezzi di controllo e se possibile di coercizione. Prima di stupirci di tante forme di libertinaggio e di arbitrio, dovremmo interrogarci sulle nostre scelte etiche e di come esse si trasformino in modelli di comportamento per gli altri. Sappiamo ancora dimostrare coi fatti che abbiamo compreso il valore morale della libertà? In questi ultimi tempi l’occidente e il mondo intero sono stati chiamati ad esprimersi sulla necessità morale di adottare provvedimenti comuni e solidali di fronte ad una rivoluzione climatica che rischia di mettere in discussione la vita stessa dell’umanità. Ritornano utili le belle pagine di Bobbio sul concetto negativo e quello positivo di libertà.
Adesso che tutti siamo in bilico, perché inermi, quali forme di intervento prevediamo per renderci liberi da un pericolo comune? Un nemico che uccide senza guardare colore o continente, che mette in crisi la stessa sopravvivenza delle istituzioni democratiche ancor più delle guerre? È sui grandi temi, oltre che sulle questioni interne, piccole o grandi esse siano nei vari paesi, che si gioca la sopravvivenza o la disfatta di tutti quei modelli consolidati di libertà che sembravano inattaccabili e che oggi vacillano proprio nell’occidente che a lungo ne ha rivendicato origine e primato.
Immagine: Pablo Picasso, Due donne che corrono sulla spiaggia, olio su tela, 1922, Musée National Picasso, Paris.