ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Un giudice onorario professionale comune agli stati membri: un’utopia possibile
Sommario: 1. Introduzione - 2. Premessa - Obiettivi della Rete Europea delle Associazioni dei Giudici Laici. 3. Proposta per un progetto di valorizzazione del ruolo della magistratura laica e onoraria e per la sua implementazione. - 4. Principi costituzionali e ordinamentali: 4.1. Fonti Costituzionali – 4.2. Regio Decreto n° 12 del 30.1 1941(Ordinamento Giudiziario) – 5. Stato di diritto – 6. Carichi di ruolo - 7. Spending review – 8. Storia e vicende del giudice laico e onorario negli Stati Membri.Cenni – 9. Armonizzazione dei sistemi giudiziari tra gli obiettivi della C.E. – 10. European Small Claims Procedure (ESCP) e Provvedimento Europeo di Ingiunzione – 11. Direttive in materia di ADR e ODR – 12. Regolamento UE (CE) n. 261/2004 – 13. Regolamento (UE) 2016/679 – 14. Un giudice professionale onorario comune agli stati membri (a professional honorary Judges) – 15. Conclusioni.
1. Introduzione[1].
Dalla sottoscrizione della Carta Europea del Giudice Laico[2] in Bruxelles presso la sede del Parlamento Europeo, in cui si trovarono impegnate e coinvolte circa 20 associazioni europee, è stato costante anche lo sforzo successivo, almeno di una parte delle associazioni che l’hanno sottoscritta, per elaborare un percorso comune volto alla valorizzazione della magistratura laica e onoraria nei sistemi giudiziari. Il percorso non è apparso agevole a causa della sua eterogeneità e del suo impiego, spesso condizionato dalle vicende politiche dei singoli Stati Membri e dalla considerazione, non sempre favorevole, dei Governi e di una parte della magistratura di carriera.
In questo quadro complesso, si inserisce soprattutto la spinosa vicenda della magistratura onoraria italiana che, dopo la Riforma Cartabia resta ancora in attesa di un inquadramento giuridico concreto e di un trattamento economico e previdenziale definitivo.
2. Premessa - Obiettivi della Rete Europea delle Associazioni dei Giudici Laici (ENALJ)
Tra gli obiettivi previsti dallo Statuto di ENALJ (art. 3) [3] vi è quello di implementare la partecipazione dei giudici laici e onorari nel sistema giustizia e in definitiva, dei cittadini all’amministrazione della giustizia. Ciò appare in sintonia con le indicazioni e gli obiettivi espressi anche più recentemente, dalla stessa C.E (si richiama Reg U.E 2023/2836 C.E del 12.12.23) che si prefigge la promozione del coinvolgimento effettivo dei cittadini e delle organizzazioni della società civile ai processi di elaborazione delle politiche pubbliche. La partecipazione della società civile si esplica, in generale, raccogliendone opinioni e dati nelle varie fasi del processo di elaborazione delle politiche, specie quando le norme e le decisioni adottate abbiano un impatto su di esse, riservando alla stessa spazi e prerogative anche di intervento.
L’ENALJ si prefigge altresì di adottare forme di coinvolgimento e di attrazione verso la magistratura onoraria non solo attraverso la formazione, la partecipazione attiva a eventi scientifici e culturali ma anche analizzando percorsi propositivi da sottoporre alla stessa C.E, non escluse forme di tutela e di sicurezza sociale per i giudici non di carriera.
Il costante contatto con le associazioni degli altri Stati Membri ha evidenziato la diversa collocazione e impiego dei giudici laici e onorari e le diverse professionalità, sia quando operano a supporto della magistratura professionale per rendere più eque e trasparenti le decisioni (perché portano la loro esperienza dal mondo del lavoro e delle professioni e sono i giudici laici), sia quando collaborano con i magistrati di carriera e compongono le “giurie”, sia quando gestiscono ruoli autonomi come i magistrati onorari italiani. Ne è scaturito un proficuo confronto ed è stata esaminata la possibilità di valorizzarne il ruolo nel panorama giudiziario europeo in particolar modo attraverso la formazione, anche con il supporto di docenti universitari [4]. In questo percorso, notevole impatto assume l’esperienza italiana e il costante impiego richiesto di giudici onorari per sopperire alle carenze di magistrati professionali, con riduzione dei carichi di ruoli a essi assegnati o dando supporto nell’attività amministrativa e giurisdizionale (ufficio del processo) o comunque, destinando i magistrati onorari a controversie di minore complessità (giudici di pace)
L’inesauribile e fondamentale ruolo svolto dai magistrati non di carriera ha stimolato la Rete Europa in cooperazione con l’Università di Pozan, a percorrere la strada di un possibile confronto, di carattere interdisciplinare, anche tra accademici dei diversi paesi membri -da indicarsi dalle associazioni di categoria -su eventuali proposte da sottoporre alla Commissione Europea per un progetto di valorizzazione e implementazione del giudice onorario (da sostituirsi alla nomenclatura giudice laico tenuto conto delle diverse professionalità ormai impiegate nei sistemi giudiziari).
3. Proposta per un progetto di valorizzazione del ruolo della magistratura laica e onoraria e per la sua implementazione.
L’Italia per prima, si è fatta carico di elaborare una “bozza” di proposta per valorizzare il ruolo della magistratura onoraria e per la sua implementazione nel panorama giudiziario europeo. Su questo argomento tuttavia, è necessaria una breve premessa.
Non esiste a livello europeo una consapevolezza comune e condivisa del ruolo dei giudici laici e onorari e il loro impiego nei vari sistemi giudiziari può dipendere da vari fattori tra cui: 1) principi costituzionali e ordinamentali, 2) stato di diritto, 3) carichi di ruolo, 4) spending review, 5) storia e vicende dei giudici onorari negli stati membri
4. Principi costituzionali e ordinamentali
Non tutte le Costituzioni Europee e gli ordinamenti giuridici prevedono la figura del giudice laico e onorario.
Sul punto si richiamano per lo Stato italiano:
4.1. Fonti Costituzionali
Art.102 Costituzione: comma3°. La predetta disposizione dopo aver previsto che la giustizia sia esercitata da magistrati ordinari, stabilisce che la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia oltre che la collaborazione di magistrati laici con i giudici togati nelle sezioni specializzate.
art.106 comma 2°: le nomine di magistrati avvengono per concorso ma la legge sull'Ordinamento Giudiziario può ammettere la nomina anche elettiva di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.
4.2. Regio Decreto n° 12 del 30.1 1941(Ordinamento Giudiziario). L’art.1 lettera a) indica i Giudici di Pace tra i giudici che amministrano la Giustizia in materia civile e penale[5].
5. Stato di diritto
È una forma di Stato di matrice liberale in cui tra i principi cardine troviamo la tutela giurisdizionale effettiva, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura e trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione. Come già evidenziato, non tutti gli Stati membri considerano la partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia come ulteriore strumento per implementare i valori della democrazia partecipata e dei diritti fondamentali. Il richiamo all’Ungheria, accusata peraltro, di carenze nel sistema giudiziario, ci evidenzia che la partecipazione dei giudici onorari si è notevolmente ridotta venendo essi impiegati solo in alcuni settori (da quanto si apprende, nei Tribunali minorili e Militari).
Tuttavia, anche in altri paesi abbiamo assistito a una drastica riduzione della magistratura onoraria. Il parlamento francese in particolare, nel 2017, ha soppresso la figura del giudice di prossimità ma ha conservato la possibilità di ricorrere a questi giudici non professionali che diventeranno magistrati su base temporanea.
6. Carichi di ruolo
La costante implementazione della domanda di giustizia soprattutto in Italia sovraccaricando i Tribunali (le ex Preture), venne evidenziata già dall’Assemblea Costituente[6].Si palesò da una parte, la necessità di utilizzare la magistratura onoraria come strumento per ridurre i carichi delle Preture e conseguentemente quelli dei giudici professionali, riducendone anche il numero e i costi (Mortara) mentre da altra parte, se ne auspicava l’abolizione evidenziandone le criticità (Leone, che esprimeva dubbi sulla loro imparzialità essendo avvocati).
7. Spending review
L’esigenza di ridurre i costi dell’apparato giudiziario soprattutto in Italia, è rimasta costante nel tempo anche sostenuta da politiche di riduzione del contenzioso con interventi sul rito e sulla geografia giudiziaria e implementando le ADR ed è andata via via crescendo negli anni. Ne consegue che la magistratura onoraria resta ancora lo strumento per ridurre i carichi di ruolo dei giudici professionali e i rispettivi costi.
8. Storia e vicende del giudice laico e onorario negli Stati Membri. Cenni.
Non tutti gli Stati membri hanno la medesima e importante tradizione storica sul giudice laico e onorario e soprattutto sul giudice di pace. Il giudice di pace, in particolare, trae la sua origine nei paesi del common law, in Inghilterra soprattutto, dove risale al 1361 e si diffuse negli altri paesi successivamente[7].
La sua adozione in Francia risale al 1790 dove venne soppresso nel 1958.
In Italia vanta una lunga tradizione: il quadro normativo di riferimento principale si rinviene nella legge istitutiva del giudice di pace del 21.11.1991 n°374[8].
Si richiama inoltre, per concretezza e come esempio, la particolare funzione che svolgono i giudici laici di Austria, Belgio e Germania nelle materie commerciali presso i tribunali commerciali, che vantano una lunga tradizione storica in tale funzione tanto che la loro associazione, UEMC (Union Européeenne Des Magistrats statuant en matiére Commerciale) fino dal 1989, fa parte delle associazioni non governative del Consiglio d’Europa. In Germania in particolare, oltre le molteplici competenze di supporto alla magistratura di carriera anche nel settore penale, nelle giurie in cui i giudici onorari hanno un voto autonomo, viene riconosciuto il ruolo insostituibile che potrebbero svolgere i giudici laici e onorari nelle materie commerciali internazionali. Si tratta di controversie che sono soggette a procedure spedite ma particolari, da trattarsi davanti alle camere commerciali internazionali che stentano però a decollare. In proposito, la Germania ha presentato uno specifico progetto di legge rimasto praticamente sulla carta per i rari casi trattati. In tale campo, la funzione dei giudici onorari si evidenzia fondamentale poiché interagiscono con i giudici professionali, la loro presenza allontana il sospetto dell’affare “chiuso” e non approcciabile perché gestito dalle lobby del Business.
Va evidenziata infine, la peculiarità delle vicende che attengono alla situazione italiana. Sulla condizione dei giudice onorario si è pronunciata la Corte di Giustizia con le sentenze del 16 luglio 2020, U.X. contro Governo della Repubblica italiana (C‑658/18, EU: C: 2020 : 572) e del 7.4.2022 (C-236-20) e in ultimo, con quella del 27.6.24, ha stabilito che per il diritto UE, i magistrati elettivi previsti dall’Ordinamento Italiano sono una giurisdizione nazionale e quindi sono giudici comuni europei anche ai fini del rinvio pregiudiziale e lavoratori a tempo determinato[9].
In precedenza si era anche pronunciato il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, su reclamo n. 103/2013 presentato dall’Associazione Nazionale Giudici di Pace, con decisione del 16.11.16.
Non può sottacersi che il riconoscimento della funzione dei giudici onorari italiani e in particolare del giudice di pace come giudice comune europeo, risulta affatto nuova nel panorama europeo e riscontra a oggi, una concreta e tangibile ostilità di una parte della magistratura di carriera che non vede di buon occhio una riqualificazione delle funzioni “comparabili” a quelle di un magistrato di carriera e dello status del giudice onorario, alla luce delle sentenze del giudice europeo e nonostante pendano procedure di infrazione a oggi non ancora definite.
9. Armonizzazione dei sistemi giudiziari tra gli obiettivi della C.E
L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri (art. 67 TFUE) I sistemi giudiziari europei sono eterogenei e hanno caratteristiche strutturali e funzionali diverse. Tuttavia, come già evidenziato, l’armonizzazione dei sistemi, ossia il processo di progressivo ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri che consente di eliminare ogni ostacolo tecnico, amministrativo o normativo alle relazioni dell'Unione, costituisce un obiettivo della C.E per ottenere decisioni uniformi che garantiscano un migliore accesso alla giustizia e un maggiore efficientamento, per favorire la libera circolazione.
Non appare azzardato sostenere una proposta innovativa su cui lavorare che potrebbe avere a oggetto la istituzione del giudice onorario (professionale) europeo (ovvero del giudice di pace europeo) con attribuzione di specifiche competenze per valore limitato, in materie caratterizzate da minore complessità come quelle a cui si farà brevemente cenno infra, per dare un concreto apporto allo snellimento dei processi e al sistema giustizia ancora in affanno in gran parte dell’Europea, concorrendo alla concreta e complessiva realizzazione dello spazio di giustizia mediante una più elevata protezione del cittadino consumatore.
10. European Small Claims Procedure (ESCP) e Provvedimento Europeo di Ingiunzione
Nell’ottica di armonizzazione dei sistemi come obiettivo fondamentale e primario soprattutto per rafforzare la fiducia nei mercati e come detto, rafforzare la tutela del cittadino consumatore, la UE ha adottato diverse risoluzioni normative sia in materia stragiudiziale che giudiziale. Sono stati elaborati altresì, Il Regolamento CEE 861 /07 del parlamento Europeo e del Consiglio dell’11.7.07, come modificato dal Regolamento n° 2421/15, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità, definito European Small Claims Procedure (ESCP) inteso a semplificare e accelerare i procedimenti nei contenziosi relativi a controversie transfrontaliere nonché il Regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un Procedimento Europeo d'Ingiunzione di Pagamento.
La procedura semplificata ESCP e scritta su moduli standardizzati, è prevista per le controversie di modesta entità (fino a euro 5.000), in materia civile e commerciale, quando coinvolgono cittadini, consumatori e piccole e medie imprese di differenti Stati membri dell'Unione Europea. In genere, si tratta di controversie su contratti di vendita on line di beni e servizi. Si può consultare il portale europeo della giustizia per maggiori informazioni. Il procedimento consente di ottenere una decisione applicabile a tutta l’UE.
È opportuno quindi che i consumatori traggano vantaggio dall'accesso a mezzi facili, efficaci, rapidi e a basso costo per risolvere le controversie transfrontaliere
Si è più volte evidenziato che, in particolare, la maggiore difficoltà per la diffusione delle ESCP deriva sostanzialmente, dalla non univocità dei sistemi giudiziari e una totale armonizzazione tra sistemi sarebbe impossibile. In Italia, per esempio tali controversie rientrano nella competenza per valore del giudice onorario di pace e si potrebbe auspicare che anche negli altri ordinamenti se ne occupi un giudice comune per tutti, anche non di carriera (definito anche “professionale” ovvero “togato” come in Italia)
11. Direttive in materia di ADR e ODR
Possono essere citate come ulteriore esempio. Queste dettano disposizioni comuni per la risoluzione delle controversie dei consumatori e sui requisiti che devono possedere i relativi organismi[10]. Il Regolamento Europeo sulle Online Dispute Resolution (ODR) - regolamento (UE) N. 524/2013 del Parlamento Europeo del 21 maggio 2013 con la relativa piattaforma ODR - riguarda in particolare, le procedure destinate a risolvere extragiudizialmente le controversie tra imprese e consumatori originate dai contratti di beni e servizi stipulati on line.
12. Regolamento UE (CE) n. 261/2004
È un insieme di norme che tutela i diritti dei passeggeri in casi di cancellazioni, ritardi e overbooking dei voli. Questo regolamento garantisce che i passeggeri abbiano diritto a un compenso /indennizzo[11].
13. Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, noto come GDPR.
I predetti regolamenti sono stati emanati nell'ambito del programma di cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, ai sensi dell'art. 65 Trattato UE su funzionamento dell’UE.
Lo scopo della cooperazione giudiziaria, nell’ambito dello spazio di giustizia europeo, è di consentire ai cittadini di esercitare liberamente i diritti eliminando o comunque riducendone i limiti.
Nell’ottica di armonizzazione dei sistemi rientra la possibilità di garantire una stretta collaborazione tra le autorità per eliminare tutti gli ostacoli derivanti dalle incompatibilità tra i diversi sistemi giudiziari e amministrativi e assicurare esecutività delle decisioni.
Tali misure riguardano in particolare, il corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario, promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri pure conservando i sistemi le diverse peculiarità, per favorire un approccio fiduciario e migliorare l’accesso alla giustizia come parte della politica unionale.
Ne deriva che la proposta di un giudice onorario professionale comune europeo potrebbe essere valutata con favore per lo snellimento dei procedimenti e accrescere il senso di fiducia dei cittadini europei nella libera circolazione, nel mercato e negli investimenti agevolandone il ricorso a una tutela giurisdizionale effettiva.
14. Un giudice professionale onorario comune agli stati membri (A professional honorary Judges)
Nell’ottica di armonizzazione dei sistemi, un modello potrebbe essere individuato, in particolare, in un giudice onorario di pace europeo come strumento ulteriore per la realizzazione delle finalità sottese alle procedure semplificate e contribuire così al raggiungimento di un obiettivo fondamentale dell’UE Si può auspicare che l’ attività di cooperazione tra i giudici onorari europei, con scambio di dati ed esperienze, possa costituire anche un fondamentale strumento di diffusione delle ESCP[12] (l’esperienza insegna che il Decreto Ingiuntivo Europeo abbia avuto maggiore diffusione ma ancora resta di scarsa praticabilità).
Deve infatti, tenersi in debito conto il ruolo e l’importanza delle funzioni svolte dalla magistratura onoraria soprattutto in alcuni paesi.
Nulla osta, anche dopo le decisioni del giudice europeo, che quando svolge attività giurisdizionale, il giudice onorario, sia ormai da considerare giudice comune europeo, tenuto conto altresì, che molti giudici, non di carriera, sono esperti in diritto e in settori specializzati anche quando collaborano con i magistrati di carriera.
I giudici onorari ricevono comunque, tutti una formazione costante anche attraverso le singole associazioni come è emerso dal confronto ultra decennale con le altre magistrature.
Inoltre, grazie all’intensa attività svolta dalla Rete Europea in collaborazione con le Università che offrono anche una formazione sul diritto unionale e ne supportano ulteriormente la formazione[13], hanno, in gran parte perso, la laicità che li aveva contraddistinti nel corso degli anni.
Possono pertanto essere definiti con una nuova nomenclatura professional honorary Judges per distinguerli solo dai magistrati di carriera.
Lo strumento normativo per realizzare tale modello potrebbero essere le fonti derivate vincolanti (direttive e regolamenti) nel perseguimento degli obiettivi stabiliti dell’art.81 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, il quale così recita al punto 1: L'Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
A norma degli artt. 47 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali che prevede il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale e dell’art.6 par 1 della CEDU che prevede il diritto a un equo processo davanti a un giudice imparziale in tempi ragionevoli, non osta che una causa di minore entità sia esaminata da un giudice onorario (di pace) comune europeo che abbia ricevuto una formazione professionale, specifica sulle materie da trattare e che abbia acquisito esperienza, capacità e competenza.
Pertanto, una eventuale proposta da sottoporre alla C.E a cui spetta il compito di elaborare nuove proposte normative da presentare al Consiglio e al Parlamento Europeo, ben potrebbe essere vagliata, esaminata, elaborata e discussa da una commissione scientifica multidisciplinare, a partire da una analisi del giudice onorario (laico) relativamente alla sua storia, collocazione ruolo, status, condizioni e funzioni nei sistemi giudiziari europei attraverso una ricerca comparativa di carattere storico, sociale, filosofico e giuridico. Per il momento un simile progetto non trova riscontro anche per il disinteresse (ovvero riottosità) della magistratura di carriera (soprattutto in Italia) ma non appare una meta puramente teorica e irraggiungibile se si ha a cuore la realizzazione degli obiettivi dell’Unione garantendo una giustizia celere, economica ed efficace perché non resti insoddisfatta la domanda di giustizia del “cittadino europeo “.
15. Conclusioni
Sono note le difficoltà in cui versa la giustizia in Europa e le ormai cronache difficoltà in cui versa quella Italiana, in particolare, nonostante le riforme e i numerosi interventi sul rito e sulla geografia giudiziaria che non hanno migliorato la qualità della prestazione giudiziaria. Diventa pertanto, oltremodo difficile garantire un accesso al mercato interno tenuto conto dell’evolversi delle attività di scambio commerciale tra imprenditori europei ovvero tra imprenditori e consumatori (acquisti on line e sviluppo del turismo internazionale solo per fare un esempio) e non sono facilitati gli investimenti né la libera circolazione di beni e servizi, con danni anche alla economia.
Per garantire sicurezza e fiducia dei cittadini e delle imprese nella Giustizia è necessario che si prenda cura dei diritti di tutti senza discriminazioni, preclusioni e condizionamenti.
Su un sistema giudiziario efficiente e di facile accesso si fondano le democrazie europee e si innescano meccanismi positivi di crescita.
L’Unione Europea ha sollecitato più volte gli Stati Membri a migliorare i sistemi giudiziari nazionali al fine di semplificare gli investimenti.
Per una giustizia più rapida e che risponda ai propri fini, in una rinnovata sinergia tra magistratura di carriera, giudici onorari e Università, si evidenzia necessaria altresì una condivisione su una soluzione pratica come quella esaminata (tra le tante che hanno prodotto scarsi risultati) che renda realizzabile ciò che allo, stato, potrebbe apparire una utopia. Un riferimento ideale che si concretizzi in un rimedio effettivo e offra un approdo ulteriore alla giustizia in affanno; inoltre non può che accrescere il livello di fiducia nell’UE e nelle sue Istituzioni.
[1] Per gli argomenti trattati in questa breve relazione si rimanda anche: Report della vicepresidenza per la formazione e l’Educazione 2024, in Agenda dell’ Assemblea Annuale della Rete Europea delle Associazioni dei Giudici Laici e Onorari che si è svolta a LIPSIA il 10-13 Maggio 2024 ;Guida al Diritto il sole ventiquattrore “A Lipsia Assemblea Enalj verso il giudice onorario professionale, in Giustizia del 28 maggio 2024 ; The European Judge of Peace Proposal for the harmonization of judicial systems in civil matters, Small claims Procedure -call for competition Shuman Prize 2021 per il 70° anniversario della Dichiarazione di Shuman offerto dal CERN.
[2] Per un approfondimento si rimanda a “Il Giudice Onorario in Europa”, Diritto.it del 8.6.12 di M.Rosaria Porfilio. Dal 2010 al 2012, le attività di elaborazione della Carta e di inaugurazione della Giornata europea dei giudici onorari sono state sostenute finanziariamente dalla Commissione europea e organizzati dall'Accademia Europea di Berlino.
[3] Lo Statuto, sottoscritto da otto associazioni europee di giudici laici e onorari è stato presentato nell’Assemblea Generale tenutasi a Berlino l’11-13 Agosto 2012, in occasione della fondazione di ENALJ costituita sulla base delle previsioni contenute nella legge tedesca (Vereinsrecht) e relative alle associazioni no profit (art. 1 Statuto)
[4] Hanno dato il loro contributo il Prof. Piotr Jughacz, docente di filosofia dell’Università Adams Michiewicz di Poznan, direttore del centro Dikastai per la ricerca transdisciplinare sui giudici e sui Tribunali sociali e la Prof. Carolina Cern vicedirettore scientifico della facoltà di filosofia. La Prof Daniela Heid docente di diritto dei servizi pubblici e diritto UE, presso l’Università Federale Tedesca di Scienze Amministrative Applicate. Prof. Stefan Manchura della Ruhr-Universität Bochum (Germania). La prof. Maria Eugenia Bartoloni docente di Diritto U.E dell’Università Vanvitelli di Napoli capofila del Progetto Select - StrEnghten Lay and honorary judges European CompeTencies (vedi infra). Si richiama altresì la decisione del Consiglio dell’Unione Europea che l’8.3.21, ha pubblicato le “Conclusioni sul rafforzamento dell’applicazione della Carta dei Diritti Fondamentali” dell’UE (6795/21 JAI 233 FREMP 38). Al punto 23, il Consiglio nell’identificare come priorità l’individuazione di “ulteriori possibilità di miglioramento della competenza della magistratura e degli altri operatori della giustizia in merito alla Carta, attingendo a materiale formativo dedicato, compresi gli strumenti di e-learning, sottolinea inoltre l’importanza di interventi da parte degli Stati membri volti ad incoraggiare “le reti di giudici, di giudici onorari e laici e di altri operatori della giustizia a porre rinnovata enfasi sull’applicazione della Carta a livello nazionale”.
[5]Si richiamano in particolare, significativamente, l’art 1(dei giudici) comma prima sostituito dall’art. 1, D.P.R. 22.09.1988, n. 449, che è stato poi sostituito dall’art. 45, L. 21.11.1991, n. 374, con decorrenza dal 01.05.1995, ai sensi dell’art. 1, L. 04.12.1992, n. 477 e dell’art. 13, D.L. 07.10.1994, n. 571, come modificato dalla legge di conversione 06.12.1994, n. 673. Si richiamano ancora il DLGS 19 febbraio 1998 n°51 come modificato dalla L. 16 giugno 1998, n. 188.
[6] Lavori preparatori del 31.1.1947.
[7] In occasione della celebrazione dei 600 anni della istituzione del giudice di pace in Inghilterra e Galles, è stata sottoscritta dai delegati di circa 20 Stati membri la Carta Europea del Giudice Laico su progetto dell’Accademia Europea di Berlino, cofinanziato dalla C.E.
[8] In Italia il giudice di pace venne istituito nel solo regno di Napoli da Giuseppe Napoleone. Era nominato direttamente dall'imperatore e permane nei primi decenni dell'Unità d'Italia. Era eletto dal popolo tra gli elettori amministrativi che pagavano annualmente cento lire di imposta o ex sindaci e consiglieri provinciali in carica, ex membri della giunta amministrativa, ex ufficiali e impiegati civili.
Con il dispaccio Tanucci incorporato nella legge organica dell'Ordinamento Giudiziario delle due Sicilie, il 28.5.1917 venne introdotto il giudice conciliatore che sostituì il giudice di pace francese.
La figura del giudice conciliatore si diffuse su tutto lo Stato unitario ed era competente per le liti minori. Svolse una intensa attività in epoca preindustriale caratterizzata da una economia semplice prevalentemente agricola e rurale in condizioni di elevata litigiosità in materia di locazione di immobili di fondi, siepi e piante in cui il conciliatore era competente. Il Conciliatore svolse un'intensa attività tra la fine dell'800 e gli inizi del 900.
Con l'avvento dell'era industriale e capitalistica e la maggiore complessità delle risoluzioni necessarie per eliminare i conflitti, cominciò a essere richiesta una sempre maggiore competenza e conoscenza delle regole giuridiche affidata a magistrati semi professionali e preparati con conseguente ridimensione della figura del conciliatore fino alla sua totale abolizione con la legge 374/91 che istituiva la figura del giudice di pace e al dlgs 117/16 (cosiddetta riforma Orlando) che istituiva il ruolo unico della Magistratura Onoraria.
[9] La CGE si era già pronunciata sulla situazione previdenziale dei Recorders inglesi (sentenza del 1° marzo 2012 causa C-393/10)
[10] Direttiva n° e 231/11 e in particolare il reg n° 524/13 per le controversie on line
[11] In Europa e nel resto del mondo i diritti dei passeggeri aerei sono stati riconosciuti fin dal 1999, con l’istituzione della Convenzione di Montreal per l’unificazione di alcune regole per il trasporto aereo internazionale. Il Parlamento Europeo e la Commissione Europea hanno voluto garantire che i diritti dei passeggeri aerei in Europa venissero ulteriormente protetti e che i passeggeri avessero diritto al risarcimento completo.
[12] Tra le iniziative per una maggiore diffusione, si richiama il progetto SCAN Small Claims Analysis Net, cofinanziato dal programma Giustizia dell’UE 2014 2020 e realizzato in cooperazione tra 9 partener tra cui Università Federico II di Napoli capofila e la Luiss Guido Carli. La Piattaforma European Small Claims,è una web application capace di guidare il cittadino, step by step, per utilizzare in modo semplice e veloce e a costi ridotti il procedimento europeo. Per maggiori informazioni si rimanda: https://www.scanproject.eu/small-claims-platform.../. https://www.scanproject.eu/ Small claims Procedure, l’Esperienza Italiana, Webinar 7 maggio 2020. Appunti di Margherita Morelli
[13] Progetto di Formazione Select - StrEnghten Lay and honorary judges European CompeTencies Sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.Il Progetto è stato coofinanziato dalla Unione Europea CE nel programma nell’ambito del programma Justice 2014-2020. Capofila del Progetto l’Universtà Vanvitelli. È stato realizzato dalla FB European Consulting in cooperazione con l’Associazione Nazionale Giudici di pace, il Concilium Schlichtung undberatung GmbH, UEMC (European European Union of Judges in Commercial Matters e supportato da ENALJ
Per maggiori informazioni si rimanda al sito htpp://selectproject.eu/en e alla pagina facebook.
Sommario: 1. Nazionalità e dell’autodeterminazione dei popoli - 2. Le idee nazionaliste e i gruppi etnici “allogeni”. - 3. Dopo la Seconda guerra mondiale - 4. Il dovere della Memoria
1. Nazionalità e dell’autodeterminazione dei popoli.
La questione delle nazionalità e dell’autodeterminazione dei popoli copre secoli di storia, ancor più antica è la determinazione possibile dei loro confini territoriali.
Quando si volge lo sguardo a quel territorio che ha come limiti la Carinzia e il Friuli a nord, la Macedonia egea e bulgara a sud, per affacciarsi poi in Dalmazia e Istria sull’Adriatico ci si imbatte, come afferma Joze Pirjevec nel suo bel libro “Serbi Croati Sloveni” edito dal Mulino nei primi anni Novanta del secolo scorso, in uno scontro drammatico di popolazioni, civiltà, religioni che per la sua complessità ha pochi eguali nella storia del mondo.
Dopo la conclusione del Primo conflitto mondiale con la conferenza di pace di Parigi del 1919 nacque il regno dei serbi, dei croati e degli sloveni che, per volontà di Alessandro I Karađorđević, si chiamò Iugoslavia.
L’unificazione “a tavolino” di popoli e culture tanto diverse (cattolici i croati, ortodossi i serbi, musulmani i bosniaci) produsse ben presto gravi conflitti interetnici proprio mentre in Italia la crisi del dopoguerra trovava il suo sbocco nell’avvento del fascismo prima come movimento politico, poi come regime totalitario.
Già a partire dal 1919 l’Italia vittoriosa e forte del Patto di Londra del 1915 chiedeva per sé vasti territori in quelle zone di confine come testimonia la “questione fiumana” e l’avventura di Gabriele D’Annunzio che la notte tra l’11 e il 12 settembre del 1919 con i suoi volontari occupò Fiume, instaurò la cosiddetta reggenza del Carnaro e proclamò l’annessione della città all’Italia.
Lo “staterello” fiumano durò quindici mesi durante i quali il poeta vate ne progettò una Costituzione e si impegnò a organizzare plateali manifestazioni patriottiche quasi coreografiche anticipazioni delle adunate fasciste (solo Giolitti col trattato di Rapallo nel ’25 liquidò la questione fiumana e la città fu riconosciuta libera sia dall’Italia sia dalla Iugoslavia).
2. Le idee nazionaliste e i gruppi etnici “allogeni”.
Negli anni Venti, mentre si consolidavano le idee nazionaliste, non si accettava che entro i confini della “Patria” potessero esistere gruppi etnici “allogeni”. Il comportamento delle autorità fu dettato dalla pretesa di una rapida assimilazione di quelle popolazioni alle quali si cercò in ogni modo di togliere non solo le personalità più rappresentative ma pure le organizzazioni che potevano contribuire a mantenerne viva la coscienza e l’identità culturale.
Gli intellettuali, ma anche maestri, professori, impiegati, furono costretti all’emigrazione, mentre scuole, biblioteche ed enti culturali venivano chiusi. Uno dei momenti più drammatici fu quello del luglio 1920 quando fu incendiato il centro culturale sloveno di Trieste. Questo processo si concluse nel ’27 con la proibizione da parte del regime fascista di ogni attività politico-culturale. A questo punto la seconda fase mirò direttamente alla snazionalizzazione e alla “bonifica etnica” col divieto di usare la propria lingua madre perfino nel suo ultimo rifugio: la Chiesa!
Non si possono qui analizzare per intero le tappe di questa lunga e tormentata vicenda delle popolazioni slave di confine costrette o all’emarginazione o alla diaspora. Tutti i provvedimenti furono attuati nonostante il trattato di Rapallo del 1925 avesse stabilito, in ottemperanza ai principi di nazionalità e di autodeterminazione, i rispettivi confini e sovranità.
3. Dopo la Seconda guerra mondiale
La fine della Seconda guerra mondiale, sulla base del recente passato, avrebbe potuto garantire la pace in quei territori?
La repressione Mussoliniana di sloveni e croati attuata nei Balcani dopo l’occupazione militare del 1941 ebbe come effetto l’inasprimento della resistenza antifascista pure in Istria, il territorio riconosciuto all’Italia dopo la Prima guerra mondiale le cui coste erano per lo più abitate da italiani ricchi di una lunga tradizione di civile convivenza con gli slavi. La lotta antifascista si innescò sulla contrapposizione italo-slava alimentata dal regime fascista per l’intero ventennio e diventò tristemente nota come “questione adriatica”.
L’esercito comunista di Tito occupò l’Istria e poi tutta la Venezia Giulia, territori rivendicati perché di tradizione slava.
Questa rivendicazione, almeno all’inizio, trovò appoggio nel Partito Comunista Italiano ma non venne accettata dagli altri partigiani del luogo decisi a difendere i territori italiani dalle mire espansionistiche di Tito. Essi si organizzarono e questo portò alla spaccatura del movimento partigiano con effetti drammatici come l’eccidio di Porzûs, quando fra il 7 e il 18 febbraio del ’45 furono uccisi diciassette partigiani delle brigate Osoppo da partigiani gappisti. Tra loro anche Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo.
La discussione storiografica su quell’evento è ancora materia di dissidio e di interpretazioni controverse circa il rapporto tra il Partito Comunista Italiano, i comunisti di Tito e la stessa Unione Sovietica. Sta di fatto che nonostante l’opposizione dei partigiani delle Brigate Osoppo l’esercito titino raggiunse Trieste il 1° maggio del 1945, due giorni prima degli Alleati che poi costrinsero le forze di occupazione iugoslave a ritirarsi dal Friuli Venezia Giulia, ma non dall’Istria.
Da quel momento iniziò nell’Istria una lunga serie di azioni violente considerate di “pulizia etnica” da parte iugoslava al fine di liberare il territorio da ogni presenza italiana: esecuzioni di massa dei cittadini, gettati poi vivi o morti nelle più di 1500 cavità naturali prodotte dall’acqua nella roccia carsica dette “foibe”, termine che deriva dal latino fovea ovvero fossa.
Furono forse più di 15mila ad esservi gettati: donne, bambini, giovani, vecchi senza distinzione di idee purché italiani. Si trattò certamente dell’estremo frutto del nazionalismo e del modo di Tito di intendere e realizzare l’ideologia comunista, ma fu anzitutto esecrabile vendetta sulla popolazione italiana inerme.
Gli slavi che avevano subito oppressione e gravissime perdite nella guerra di liberazione risposero con la stessa ferocia ponendo le basi di rancori e recriminazioni mai veramente sopite nonostante la condanna unanime di quei fatti e le relazioni politiche ristabilite nella pace.
4. Il dovere della Memoria
Ricordare e commemorare le Foibe è dovere civile. Creare le condizioni perché i nuovi nazionalismi non abbiano spazio sarà possibile solo in una Europa dei popoli che ancora bisogna impegnarsi a costruire.
Senza questa determinazione le commemorazioni, questa ed altre, rischiano di trasformarsi in retorica celebrativa che è tutto il contrario della memoria storica dolorosa e condivisa.
Quale giustizia
Dialogo tra Marco Dell'Utri e Massimo Cacciari già pubblicato su Questa Rivista formato cartaceo, n.1, anno 2009.
Poco più di dieci anni fa, Mario Barcellona affidava alle pagine della ‘Trimestrale’ di diritto e procedura civile una sua relazione, tenuta ad Harvard, sull’idea del sociale nella teoria del diritto privato.
L’occasione forniva a B. l’opportunità di misurare, sul piano dell’epistemologia e del metodo, gli esiti di due importanti stagioni della storia delle idee del secondo Novecento condotte sull’incidenza ‘giuridica’ delle dinamiche sociali: vicende contrassegnate con l’allusione al solidarismo giudiziale (anni ‘60) e al c.d. uso alternativo del diritto (anni ‘70).
Nel giudizio di B. – in larga misura condivisibile –, là dove l’esperienza del solidarismo giudiziale era stata condotta, e s’era venuta esaurendo, nell’esercizio di un più maturo impegno di interpretazione dei dati positivi (in chiave evolutiva) alla luce dei principi costituzionali (e in tal senso in un quadro di sostanziale continuità metodologica con l’attitudine positivistica della tradizione), la proposta dell’uso alternativo del diritto aveva viceversa sollecitato l’operatore giuridico (il giudice in primo luogo) a farsi piuttosto ‘interprete della società’, alla ricerca dei modi e delle direzioni (per lo più lette secondo la chiave del conflitto di classe) attraverso cui la società e la sua coscienza vivono le proprie trasformazioni.
L’esperienza delle due stagioni (largamente superate e per alcuni versi da ritenersi fallite) si è tuttavia positivamente tradotta (come un paradossale lascito) in una sorta di maturazione culturale del giurista-giudice contemporaneo, misurabile attraverso l’accresciuta sensibilità per la dimensione ‘particolare’ (il rapporto, il gruppo, il contesto sociale) in cui la decisione concreta è destinata a incidere: una sorta di giustizia ‘orientata al caso’, dove dato positivo e dimensione normativa della realtà sociale giocano un ruolo di mutua interazione e di reciproci rimandi.
L’idea di un’interpretazione giudiziale ‘orientata al caso’ – secondo la formula che ripudia la persistente validità dell’astrazione moderna del ‘Soggetto Universale’, per riscoprire la specifica diversità di individui, gruppi o minoranze che, in ragione della particolarità delle culture di appartenenza, invocano il godimento di diritti e libertà ‘particolari’ (donne, minori, anziani, malati, omosessuali, immigrati, minoranze etniche o linguistiche, etc.) – ripropone l’interrogativo, che ancora anima le divisioni e gli aperti dissensi del dibattito contemporaneo, se possa ritenersi ancora accettabile, nelle società multiculturali, il modello tradizionale e autoritativo di giudice, o se, invece – respinta l’idea della generale condivisione delle norme, dei valori e dei principi dell’ordinamento giuridico, o del comune consenso sulle procedure decisionali –, non si ponga piuttosto il problema, del tutto inedito nei nostri sistemi, dell’accettazione ‘sociale’ della sentenza.
Il dibattito che indugia tra ‘giustificazione della validità delle norme’ e ‘giustificazione dell’applicazione della norma al caso concreto’, invita propriamente a guardare al di là del consenso astrattamente tributato alle norme all’atto della relativa approvazione formale, per sottolineare l’opportunità di ricorrere, al momento della loro applicazione, allo svolgimento di considerazioni aggiuntive e ulteriori, che sappiano confermarne l’adeguatezza rispetto al caso, in conformità al modo in cui la fattispecie (ossia il ‘frammento’ dell’esperienza di vita condotto all’esame del giudice) è stata definita dalle stesse parti.
Si rivela, da questo punto di vista, la decisività, in sede applicativa, dell’eguale accesso di tutti gli interessi che, in forza di una propria interpretazione della situazione, siano in grado di richiamarsi a motivi validi, ossia a ‘letture’ coerenti di norme valide, al fine di pervenire a un’interpretazione della ‘situazione comunemente condivisa’ che, sola, varrebbe a dotare di adeguata giustificazione la decisione assunta, al cospetto delle parti e della società pluralista.
Il discorso che accenna alla dimensione ‘democratica’ e ‘partecipata’ della vita del processo esercita un fascino non agevolmente eludibile, nella misura in cui chiama in causa il ruolo ‘attivo’ dei protagonisti della vita sociale, nella prospettiva di fondo di un modello di ‘giustizia conciliativa’ alternativo a quelli della tradizione.
È sufficiente solo un richiamo, in questa sede, alle riletture, secondo la chiave della giustizia ‘riconciliativa’, dei testi della tragedia greca (di Antigone, in primo luogo), delle antiche tradizioni ebraiche, ed in particolare della procedura del ryb, ossia dello scontro il cui scopo non è la punizione del colpevole ma il componimento della controversia attraverso il riconoscimento del torto compiuto, il perdono e quindi la riconciliazione e la pace. È l’umanità dell’avversario che si cerca di toccare e su cui si intende influire. L’obiettivo non è dunque la giustizia retributiva (ossia il ripianamento del torto con una sanzione equivalente) quanto il ristabilimento di una comunanza, incrinata o infranta dal torto commesso e subito. È, infine, la traccia e lo spirito dell’ubuntu africano tradizionale, orientato alla riconciliazione, alla reciproca accettazione, al riconoscimento dell’umanità delle persone, per farla riemergere quando questa è umiliata dal crimine non solo patito ma anche commesso.
E tuttavia, il percorso ‘obbligato’ che conduce alla soluzione dei conflitti – e quindi il suo affidamento all’esame e alla decisione del giudice, come ancora si addice all’essenza delle nostre culture – rivela, in tutta la sua evidenza, la delicatezza del ruolo cui è chiamato colui al quale è rimesso il compito di distinguere il difficile confine – che è poi la sostanza del conflitto – tra l’ortodossia e l’eresia, tra le vie esili della verità e le oscure inquietudini dell’errore.
Muovendo da tali premesse, quella che con maggiore evidenza si affaccia, nella prospettiva più larga della pagina dello storico del diritto, è la definitiva riformulazione, in chiave contemporanea, dei rapporti tra diritto e morale.
All’antico interdetto imposto al giurista – ritenuto per definizione ‘estraneo’ al discorso del filosofo, dello storico o, in generale, dello studioso delle ‘scienze umane’ –, va sostituendosi la sollecitazione a guardare, all’esercizio delle prerogative private, tanto alla luce delle norme positive dello stato, quanto (e più ancora) nella prospettiva di una legittimità che si radica e si conferma nella positività del costume sociale o di complessi di regole morali d’indole particolare.
A fronte di modi nuovi e diversi di vivere i valori positivi della Costituzione (nel che conviene scorgere la sostanza autentica della sua storicità, più ancora che nella contingente proliferazione di pretesi ‘nuovi diritti’), il criterio che sembra presiedere ai rapporti tra l’ordinamento statale e gli ordinamenti sociali minori appare strutturarsi secondo il senso o la funzione storicamente assolta dal principio tradizionale del sistema del diritto internazionale privato, ossia dalla nozione dell’ordine pubblico, come sintesi dei principi e dei valori essenziali del sistema, assunto come limite di commensurabilità tra valori che appartengono a ordinamenti diversamente distribuiti nello spazio.
Risale a pochi mesi fa, del resto, la pronuncia di una nostra Corte di merito, diretta a rendere esecutiva nel nostro sistema la decisione di un giudice inglese, incline a riconoscere la liceità e la meritevolezza – e quindi gli effetti sul piano dei rapporti parentali – dell’accordo gratuito di maternità surrogata (che la legge italiana espressamente ripudia), muovendo dalla più larga dimensione assiologica dell’ordine pubblico internazionale quale criterio ultimo di misurazione del grado di compatibilità tra ordinamenti neppure così lontani dal punto di vista storico-culturale.
La nozione della ‘dignità umana’, che la riflessione degli storici e dei filosofi del diritto restituisce all’operatore pratico, va progressivamente perdendo quei caratteri di unitarietà e universalità propri della cultura medioevale e moderna, legati alla dimensione creaturale della persona o alla riflessione sui diritti fondamentali secondo la tradizione giusnaturalistica.
Ciò che offende e ferisce la dignità umana viene oggi più comunemente riconosciuto in tutto quanto rende la persona un oggetto o uno strumento nelle mani altrui (persone, ideologie o culture dominanti che siano); in ciò che, sul piano dei rapporti tra le persone, svilisce o tradisce il senso dell’autorappresentazione che ciascuno intende dare di sé; ciò che ostacola (fuori dalla supposta dimensione universale della Dignità) la costruzione di una dignità concreta e irripetibile di ciascun individuo, la dignità del ‘senso’ che nessuno ha il diritto di imporre, nei limiti del reciproco riconoscimento.
“Questo non è una pipa” si affrettava a denunciare René Magritte nel suo dipinto dedicato a ‘I due misteri’. La provocazione artistica – finemente raccolta dal genio di Michel Foucault – chiamava lo spettatore a misurarsi con la rottura di una tradizione plurisecolare; con la negazione del principio cardine della pittura classica ferma all’indissolubile legame tra verosimiglianza e rappresentazione, tra segno e cosa. Il ribaltamento di quel principio valeva a riaffermare la liberazione della pittura dalla dittatura (e quindi dalla ‘violenza’) del verosimile e di una supposta realtà oggettiva di cui l’opera varrebbe a costituire la supina imitazione.
La ‘liberazione’ del diritto da quel genere di violenza (che è poi la violenza del potere) sta propriamente – per dirla con le parole di Gianni Vattimo – nell’esercizio dell’attività interpretativa. L’interpretazione attraverso l’applicazione della legge sarà priva di violenza (ossia senza imposizione di forza non negoziata) là dove – lungi dal rivelare apertamente detta violenza, o coprirla con aggiustamenti ad hoc – sappia ridurla progressivamente.
In questo senso è possibile parlare di progresso perché è attraverso l’accumulazione delle interpretazioni e il rimandarsi di esse, in modo da corroborare sempre meglio la soluzione di singoli casi (con l’accumulo di precedenti, conferme, applicazioni che ampliano, chiarificano, eccetera), che la violenza originaria viene effettivamente consumata. L’esperienza del diritto, che si sostanzia nella formalizzazione delle leggi (da intendere ermeneuticamente come il ‘monumento’, la ‘stipulazione’, la ‘sostanzialità’ della trasmissione storica) e nei sistemi istituzionali che le interpretano ed applicano, amministrando la giustizia, diviene così esperienza di consumazione dell’origine, non quindi mera rammemorazione o mascheramento dei suoi tratti violenti.
La giustizia che l’interpretazione conferisce al diritto non riguarda né la verità metafisica dell’infondatezza svelata, né la menzogna pietosa dell’affabulazione. Più specificamente, l’interpretazione – come applicazione che indebolisce la violenza dell’origine, che ne consuma le pretese di perentorietà e di definitività, smentendone la maschera sacrale – fa giustizia del diritto.
La ricchezza culturale implicata dalla circolarità ermeneutica dell’interpretazione e dall’attitudine pluralista del c.d. ‘diritto mite’ (o, se si preferisce, filosoficamente ‘debole’), pone quindi, in termini non più rimandabili, il tema della formazione del giurista-giudice, non più confinabile all’acquisizione di una competenza ‘tecnica’ di conoscenza e di capacità di gestione interpretativa delle norme positive, bensì aperta all’acquisizione della coscienza del diritto come prodotto eminentemente culturale, ossia della sua sostanziale indole simbolica, al pari di ogni altra espressione concreta di elaborazione sociale di ‘senso’.
In questo quadro, la formazione accademica italiana (che, al pari di quella continentale, sconta sul tema un sensibile ritardo culturale rispetto all’esperienza anglo-americana) si è venuta aprendo all’analisi e allo studio comparato del diritto e della letteratura, così come del cinema o del teatro (come laboratori etico-morali), ossia all’esame (fuori da ogni inopportuna digressione su presunti divertissement di giuristi raffinati) della dimensione culturale del diritto, in cui la ‘cultura’, secondo la proposta definitoria di Clifford Geertz, viene intesa come documento agìto, coincidente con ciò che viene detto attraverso le azioni sociali, ed in cui le strutture di senso appaiono inseparabili dai flussi di comportamento, a loro volta destinati a contrassegnare la realtà sociale come con-testo di continua rappresentazione, interpretazione e costruzione da parte dei soggetti.
Al pari di ogni altro testo letterario (o più genericamente culturale), conviene ribadire come il diritto sia parte integrante di questo ordine simbolico con-testuale, là dove contribuisce a strutturare la formulazione dell’identità collettiva, a guidare l’interpretazione e la trasmissione del sapere e della cultura sociale, a riconfigurare il tempo dell’esperienza, attraverso l’ordinazione del tempo vissuto e le progettazioni possibili di quello a venire.
Chiamare il giudice a rendersi consapevole di tutto questo, significa avviare il difficile compito di controllare come si addica, allo studio e all’applicazione del diritto – per il coinvolgimento culturale che ne connota l’esercizio e le responsabilità che ne discendono – la relativa attribuzione a soggetti rispetto ai quali parrebbe desiderabile ritrovare, quanto non opportunamente reclamare, una vocazione ed un impegno intellettuale non occasionali, né distratti.
Marco Dell'Utri
È semplice pensare alla “giustizia” in forme gnostico-dualistiche come dea abscondita, assolutamente straniera in questo mondo, astrattamente altra ogni misura di diritto positivo. E altrettanto semplice è ridurla a idea regolativa, in base alla quale orientare i comportamenti storicamente concreti del legislatore e del giudice che quelle leggi dovrebbe “applicare” (non occorre particolare scienza ermeneutica per sapere che ogni interpretazione è “produzione” e trasformazione normativa). In quest’ultimo senso intende “giustizia” l’opinare comune: come un Fine inattingibile in sé, ma che nonostante questo dovrebbe essere in grado di dar forma ad atti e pratiche determinati. L’aporia è evidente: se questa idea è immanente all’amministrazione del diritto, dovrà essere ogni volta dimostrabile il suo nesso alla fattispecie giudicata, e il suo Valore consisterà alla fine nel suo effettuale valere; se, invece, nessun atto è in grado di comprehendere in sé la sua infinita Potenza, tale Potenza rimarrà appunto sempre un Possibile “fantasma”. È un’aporia propriamente teologica: dall’Uno della Giustizia non possono ricavarsi che per saltus i Molti uno degli ordinamenti concreti e l’universale dissomiglianza dei pronunciamenti; oppure dell’Uno non si fa che il principio ordinatore immanente in ciascuno, “ciò” che ciascuno è nella sua essenza, e cioè null’altro che se stesso.
Per procedere oltre l’aporia sarà, allora, forse necessario superare l’idea di Giustizia come Principio universale di ordine, sostanza unitaria ed effettualmente predicabile di ogni giuris-dizione. La classica Dike esprimeva in fondo una tale idea: l’evidente unità dei cicli e dei ricorsi ordinanti il movimento degli astri, “dèi visibili”, il grande Numero abbracciante in sé tutti i Ritmi celesti, doveva trovare la propria immagine, il proprio eikòn, sub-lunare, nell’organizzazione del molteplice, diversificato, conflittuale inter-esse della polis.
Giustizia, dunque, come suprema concordia o armonia tra distinti, che soltanto “risolvendosi” in essa danno vita a un Cosmo. Giustizia come superamento dell’“idiotismo” degli enti particolari, che riconoscono di essere solo in quanto elementi dell’intero. Ma chi potrà dettare il Numero di una tale armonia? chi sarà il “nocchiero” e in base a quale idea, a quale Fine ridurrà al suo Uno le rotte e le orbite dei molti? Dike punisce coloro che non stanno ai suoi Ritmi, coloro che si ergono a pre-potenti rispetto al suo Logos, ma non può mettere a tacere la domanda sulla provenienza, sul fondamento, sulla legittimità del proprio stesso Ordine. E non appena questa domanda si impone, prende voce, anche come nuda interrogazione, l’unità è spezzata per sempre.
Dal punto di vista della cosmica Dike è perciò “ingiusto” chi si fa-parte, chi si sottrae all’Intero, chi presume di essere auto-nomos. Forse, nello stesso termine “legge” risuona questo appello ad una superiore unità, all’istanza ultima del “raccogliere” in Uno i distinti. Ma siamo davvero certi che è inevitabile pensare la Giustizia in questa prospettiva, secondo questo orientamento?
E se Giustizia, invece che energia centripeta, principio supremo ordinatore, che, come tale, lo abbiamo visto, minaccia ogni volta di risolversi nell’Ineffabile, o, all’opposto, in mera retorica, significasse la volontà di rendere a ciascuno il suo? Se Giustizia fosse un termine, per così dire, estro-verso, indicante come suprema esigenza la piena soddisfazione della “legge individuale”? Che significa “legge individuale”? Che le misure individuali di felicità, o anche semplicemente di eudaimonia, non si lasciano collocare in un’unica scala gerarchica. Nessun “giudice” potrà mai stabilire quanto valga per me un determinato bene e quanto mi sia costato acquisirlo. Nessun Principio può stabilire che cosa io intenda o percepisca per riconoscimento del mio valore.
Giustizia appare, allora, come l’idea che proprio attraverso il mutuo, giusto riconoscimento reciproco del valore di ciascuno possa costituirsi l’insieme, la communitas: quella dimensione comune che, proprio perché tale, a nessuno appartiene, e che, per la medesima ragione, custodisce in sé e difende il proprio di ciascuno.
Nel termine nomos non è forse proprio in questo senso che può essere pensato il rapporto a Dike? Nomos è assegnare la parte, articolare il tutto in parti dotati di valore proprio, responsabilizzare ciascuno alla propria parte.
Questo opera il nomos: suddivide, distingue, analizza in modo che a ogni individuo corrispondano responsabilità precise in base al suo carattere-daimon. Il “divino” (daimon) di ciascuno è precisamente la parte che gli è stata assegnata (daiomai) e che ne contraddistingue il carattere specifico. “Divino” è l’individuo perfettamente-nella-sua-parte, e non l’individuo che si è “superato” in una Luce universale, nel Lichtwesen a suo tempo criticato da Hegel, dove proprio la sua “legge individuale” verrebbe annullata. Giustizia apparirebbe, allora, la capacità di corrispondere all’esigenza di soddisfazione e riconoscimento che l’individuo esprime.
Ma l’individuo esattamente in quanto tale. E cioè compreso come parte che di per sé non può pretendere di farsi tutto o di “impadronirsi” della communitas. La “legge individuale” indica l’opposto di un farsi-legge dell’individuo; essa dice che nell’individuo si esprime una “legge”, quella appunto per cui nessuna misura individuale di felicità può valere come Principio universale. L’universale dell’individuo consiste nel suo non-essere universale e nell’esigere, per questo, riconoscimento e soddisfazione nella sua individualità. Giustizia è corrispondere a questo: “affidare” ad ognuno la sua parte, per la quale possa trovare come individuo piena soddisfazione, e ricondurlo a tale parte (Dike-Nemesi di nuovo!) non appena, tradendo se stesso, voglia imporre ad altri la propria misura.
È evidente come nessuna legge positiva, nessun diritto potrebbe esaurire in sé questa idea di Giustizia. La legge positiva, nella sua storicità, non appare, in questo quadro, che l’insieme delle norme miranti al riconoscimento dei diritti di ciascuno, precisamente nei limiti che la “legge individuale” prescrive. Ma nessuna legge potrà mai eliminare il pericolo della volontà individuale di ergersi a “universale”. Il diritto “arbitra” il campo o la scena o l’agorà dove “giocano” le distinte volontà di riconoscimento e soddisfazione.
Ma un tale diritto avrebbe profondamente a che fare con l’etymon, il significato radicale, del nomos collegato a Giustizia, poiché esso rappresenterebbe il ministro di quella idea dell’addivenire dell’individuo alla piena soddisfazione di sé, proprio nel suo essere tale, non nel sussumere in sé l’altro o nel volerlo con-vincere. Diritto è ministerium, da minus; quello della Giustizia è il vero magisterium, da magis.
Potremmo dire, in questo senso, che la Giustizia non giudica. Il giudizio spetta al ministerium, sulla base di valutazioni e situazioni storicamente determinate. E giudizio è sempre espressione di un punto di vista. Ma che la prospettiva del giudizio si interpreti come “incarnazione” di una Giustizia a sua volta giudicante dall’alto di principi e assiomi universalmente definiti, o che invece essa si intenda come garanzia dell’apertura alla eu-topia di una communitas fondata sulla “legge individuale”, mette in gioco una scelta, una decisione radicale. E io ritengo che nell’epoca attuale, di fronte alla sfida del “conflitto” tra civiltà, della costruzione di società multi-etniche e multi-religiose, solo quest’ultima prospettiva, nella sua apparente eu-topicità, sia quella davvero praticabile e realistica.
Massimo Cacciari
Immagine: Jacobello del Fiore, Trittico della Giustizia, tempera su tavola, 1421, Gallerie dell'Accademia, Venezia.
I progetti realizzati nel PON governance da università ed uffici giudiziari: un primo bilancio.
Inizio di una nuova prospettiva o episodio isolato e già dimenticato
PARTE SECONDA
di Claudio Castelli
Sommario: 1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei. 2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali. 2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN). 2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze. 3. Pesatura del fascicolo. 3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli. 3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane. 4. Applicazioni di intelligenza artificiale. 4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione. 4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze. 4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder. 4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia. 5. Controllo di gestione su singoli settori. 5.1 Università degli Studi, Tribunale e Corte di Appello di Brescia: Progetto pilota sul controllo di gestione. 5.2 Università degli Studi di Torino e Tribunale di Cuneo: Software di Gestione del Personale e dell'Organizzazione degli Uffici Giudiziari. 6. I cruscotti. 6.1 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto previsionale. 6.2 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto direzionale. 6.3 Università e Tribunale di Catania: cruscotto strategico basato su indicatori statistici per l’analisi delle performance del Tribunale di Catania e simulatore. 6.4 Università e Corte di Appello di Bari: Cruscotto di analisi dei flussi. 6.5 Università di Pavia: Cruscotto per l’analisi dei dati e il monitoraggio dei procedimenti giudiziari. 7. Una nuova collaborazione da mantenere per il futuro e costruens per il futuro.
5. Controllo di gestione su singoli settori
La vita degli uffici giudiziari non riguarda solo la giurisdizione o, ancora con un’ottica più ristretta, la cognizione, ma moltissimi altri aspetti. Alcuni sono puramente gestionali tipici della vita di qualsiasi organizzazione complessa, quali sono un Tribunale, una Corte o una Procura a partire dall’edilizia, dalle risorse umane e dalla loro gestione. Altri sono direttamente derivanti dalla giurisdizione e, se pure sono spesso trascurati, sono fondamentali per la stessa concretizzazione della giurisdizione, quali l’esecuzione penale, il pagamento delle spese di giustizia, il recupero crediti. Aspetti che, per la loro natura tecnica, potrebbero essere più facilmente automatizzati, superando tutte le attività umane a basso valore aggiunto.
5.1 Università degli Studi, Tribunale e Corte di Appello di Brescia: Progetto pilota sul controllo di gestione [11]
I settori oggetto dell’analisi e della proposta erano tre (esecuzione penale, spese di giustizia e recupero crediti), molto diversi, ma accomunati da criticità comuni: una tracciabilità difficoltosa dei fascicoli, - una bassa usabilità dei sistemi, - la mancanza di report e controlli automatici, - l’incomunicabilità dei sistemi attualmente esistenti.
Questo comportava un forte impegno di personale con basso valore aggiunto con conseguenti tempi lunghi dovuti alla creazione manuale delle comunicazioni da stampare singolarmente, al mancato tracciamento dello stato di avanzamento delle pratiche e all’inserimento manuale in foglio excel per i rilevamenti statistici.
Obiettivo era automatizzare tutti i processi, con un incremento di velocità, efficacia ed efficienza e tracciabilità dello stato dei fascicoli.
È stato quindi sviluppato un prototipo che in automatico stampa ed invia le comunicazioni, con un monitoraggio ed una tracciabilità in automatico. Le funzionalità comuni sono la gestione del profilo, la gestione dei fascicoli, il monitoraggio, la visualizzazione delle statistiche e la tracciabilità del fascicolo.
Il vantaggio per tutti e tre i campi di intervento è di semplificare la tracciabilità e di automatizzare la procedura (che comporta compilazione ed invio di moduli e/o provvedimenti). Inoltre per le esecuzioni penali viene consentita la verifica, sempre in via automatica, della data dell’irrevocabilità e per le spese di giustizia la segnalazione dei fascicoli in stallo e la notifica del ritardo con un sistema condiviso di raccolta dati e monitoraggio.
Il passaggio ulteriore previsto dal prototipo è di importare automaticamente i dati dai sistemi informatici in uso con un’integrazione con le banche dati ed i registri sottostanti, integrando il tutto in un’unica piattaforma.
5.2 Università degli Studi di Torino e Tribunale di Cuneo: Software di Gestione del Personale e dell'Organizzazione degli Uffici Giudiziari [12]
Il software di Gestione del Personale e dell’Organizzazione è stato progettato per consentire una visione d’insieme e una crescita coordinata delle buone pratiche nella gestione dell’organizzazione e del personale e incorpora le funzionalità classiche dei software di gestione del personale (scheda persona, ticketing, valutazione e formazione, ferie e pensionamento ecc.) e quelle più sofisticate di gestione dei flussi di lavoro, di generazione automatica di organigrammi, di evidenziazione delle scoperture di organico, di simulazione di scenari organizzativi e di agevolazione del processo di valutazione del personale amministrativo (compresi gli addetti all’Ufficio per il Processo).
“Il software è dedicato sia all’area amministrativa che giurisdizionale dell’Ufficio giudiziario e consente di:
o Avere un unico database, continuamente aggiornato, con tutti i dati e i documenti relativi al personale e all’organizzazione dell’Ufficio.
o Visualizzare, al livello di dettaglio desiderato, gli organigrammi dell’Ufficio Giudiziario (non solo l’organigramma attuale, ma anche quelli passati e i possibili organigrammi futuri); organigramma realizzato con i migliori standard grafici e mantenuto automaticamente aggiornato dal sistema.
o Evidenziare e gestire le mansioni e i carichi di lavoro sia per gli individui che per i gruppi e le unità organizzative.
o Evidenziare l’eventuale appartenenza di una persona a diversi gruppi di lavoro e progetti, inclusi i progetti che implicano la collaborazione con reti di partner (associazioni, enti ecc.) sul territorio.
o Dimostrare e gestire le scoperture di organico;
o Facilitare il processo di valutazione del personale in una modalità integrata, collaborativa e costruttiva.
o Gestire agevolmente la comunicazione interna al sistema giustizia (es. con l’invio automatico di e-mail a categorie specifiche di persone).
o Avere una piattaforma comune per tutte le risorse informative, di formazione e di aggiornamento (es. manuali, materiali didattici, documenti di riferimento per il personale).
o Avere un riferimento unico per l’aggiornamento e la standardizzazione delle procedure e per l’adozione delle buone pratiche.
o Gestire le richieste specifiche del personale (ticketing).
o Mappare, aggiornare e gestire facilmente i flussi di lavoro e gli indicatori di efficienza.”
6. I cruscotti
La vera e propria “epidemia” di sviluppo di cruscotti che sta interessando gli uffici giudiziari risponde alla necessità di avere un controllo in tempo reale di tutti gli aspetti dell’attività giudiziaria e amministrativa, a partire dal ruolo del singolo magistrato, per giungere alle sopravvenienze e definizioni e alle tendenze in atto, con modalità sempre più articolate e granulari per fasi del processo, per tipologia di procedimenti, per settori. La consapevolezza che si sta sempre più affermando è che solo avendo un quadro esatto della situazione si possono correggere tempestivamente eventuali falle e si può organizzare e programmare l’intervento sia del singolo magistrato, sia di chi sovrintende a singoli settori o all’intero ufficio, sia esso il Presidente, il Procuratore, il dirigente amministrativo, o comunque chi riveste incarichi di responsabilità.
Questo vuol dire effettuare un salto di qualità rispetto al semplice dato statistico, meramente rappresentativo di quanto avvenuto in un determinato periodo, per passare ad un approccio dinamico che fornisca elementi per agire.
L’esempio forse più interessante, che non fa parte dei progetti di questo Progetto Unitario, pur avendo una chiara interrelazione con gli stessi è il cruscotto che il Politecnico di Milano sta realizzando per la Corte di Cassazione con l’obiettivo di fornire informazioni rapide in tempo reale per consentire decisioni tempestive, dando informazioni tempestive sui flussi dei fascicoli e considerando i diversi passaggi procedurali con una definizione unitaria di dati e indicatori. Il passaggio è quello dalla misurazione al governo dell’organizzazione.[13]
6.1 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto previsionale[14]
“Il progetto si concentra sullo sviluppo di una dashboard interattiva che mira a semplificare e ottimizzare i processi decisionali della Corte d'Appello di Milano. Attraverso l'integrazione diretta con il sistema informativo del tribunale, la dashboard potrebbe offrire una visione in tempo reale della situazione attuale della Corte, fornendo strumenti visivi intuitivi per analizzare e monitorare le performance e i progressi.”
“I principali risultati attesi riguardano una riduzione dei tempi di processo, raggiungibile attraverso l’identificazione dei casi critici o anomali, che potranno essere segnalati ai magistrati, presidenti di sezione e/o corte in base a criteri di urgenza concordati. In parallelo, la realizzazione della dashboard mira ad aiutare il monitoraggio quotidiano delle attività della Corte, consentendo un controllo in tempo reale dei progressi verso gli obiettivi prefissati. Infine, si prevede che la dashboard diventi uno strumento utile per i magistrati, fornendo supporto decisionale basato su dati e analisi affidabili, facilitando così una migliore gestione ed efficienza generale.”
“Il risultato centrale sarà un prototipo di cruscotto interattivo, che è stato progettato per fornire una panoramica più strutturata e aggiornata dei dati correnti, servendo come un complemento utile al sistema esistente. Al suo interno verrà fornito un rapporto analitico che delineerà in maniera circostanziata le tendenze e i modelli rilevati durante l'analisi dei dati. Inoltre, il sistema includerà una funzionalità di allerta volta a identificare e segnalare casi che sembrano necessitare di una maggiore attenzione, agevolando così una gestione più proattiva dei fascicoli. Nel complesso, l'iniziativa intende arricchire il quadro di strumenti a disposizione del personale giudiziario, supportando una gestione delle attività più reattiva e consapevole.”
6.2 Politecnico di Milano e Corte di Appello di Milano: Cruscotto direzionale[15]
Il cruscotto direzionale progettato per la Corte di Appello di Milano contempla gli indicatori considerati rilevanti nel sistema di giustizia europeo, ossia: conteggio e analisi delle pendenze, durata dei procedimenti, indici relativi alla lavorazione dei fascicoli (ricambio e smaltimento), disposition time (indicatore principe per gli obiettivi del PNRR) e esito dei procedimenti.
L’estrazione dei dati dovrebbe avvenire prelevandoli automaticamente dai sistemi informativi e dai registri già esistenti, con un quotidiano aggiornamento.
“La caratteristica principale di un cruscotto direzionale è rappresentata dalla disponibilità dei dati aggiornata quotidianamente (approssimando la disponibilità in “tempo reale”), con utilizzo da parte dei responsabili (magistrati, direzione amministrativa) senza ricorso a intermediari (esperti informatici, ufficio statistico, ecc.). In altre parole, il cruscotto deve essere disponibile su qualsiasi device (computer, tablet, smartphone) e consultabile in ogni momento con il solo accesso da un’icona; una volta aperto, anche l’accesso alle diverse schermate deve essere semplice attraverso un menù intuitivo.”
“I destinatari del cruscotto ipotizzato per la Corte sono infatti: anzitutto, la Presidenza della Corte, che deve avere visione delle dinamiche di ingresso, flusso di lavorazione, capacità produttiva della Corte nel suo complesso e delle diverse Sezioni allo stato delle corse presente (sempre aggiornato) e nel tempo; in secondo luogo, le Presidenze delle Sezioni, che devono poter osservare la distribuzione dei fascicoli sulle materie di competenza e, su questa base, i tempi di lavorazione dei procedimenti.”
“A questo fine il presente documento contiene: (i) una selezione preliminare di indicatori (…); (ii) una proposta di visualizzazione, simulata sulla base dei dati della Corte nella finestra temporale marzo 2022-marzo 2023; (iii) le condizioni generali fondamentali per la riuscita del progetto.”
“Gli indicatori sono organizzati in categorie:
· indicatori di stock, che rappresentano lo stato delle cose in un momento puntuale nel tempo;
· indicatori di performance, che rilevano e prestazioni in un arco di tempo dato e sono a loro volta organizzati in:
o misure di performance relative allo stato di lavorazione dei fascicoli (verifica retrospettiva e possibilmente storica)
o misure di performance relative allo stato di lavorazione dei fascicoli (verifica predittiva delle prestazioni attese)
o misure di performance relative alla celebrazione delle udienze (verifica retrospettiva e possibilmente storica)
· indicatori di gestione delle risorse, relativi alla capacità produttiva della Corte.”
6.3 Università e Tribunale di Catania: cruscotto strategico basato su indicatori statistici per l’analisi delle performance del Tribunale di Catania e simulatore[16]
Il cruscotto strategico elaborato dall’Università di Catania vuole dare informazioni su definiti, pendenti ed indicatori di performance che possa servire a Giudici, Presidenti di sezione e al Presidente del Tribunale con un aggiornamento in tempo reale e la consultazione su qualsiasi supporto fisso o mobile. Parte dall’estrazione dei dati tramite il pacchetto Ispettori[17], li elabora e li pubblica in dashboards che mette a disposizione. Si articola poi in cruscotti di indicatori statistici per il giudice (pendenti, definiti, tempo medio per materia, disposition time, clearance rate, arretrato legge Pinto), per sezione (gli stessi indicatori specificati per sezione, per singolo giudice e comparati), per l’intero Ufficio.
Viene poi previsto un simulatore ad eventi discreti per valutare l’impatto dell’Ufficio per il processo nel miglioramento delle performance degli uffici giudiziari.
Il simulatore permette di valutare in modo predittivo gli eventi di una Sezione sulla base dell’incertezza e della variabilità del lavoro dei Giudici. E viene ad essere un importante supporto per i Presidenti di Sezione per fare analisi di scenari alternativi su come gestire al meglio per il futuro le risorse disponibili. Simulatore che è stato testato e verificato su di una sezione civile del Tribunale di Catania.
6.4 Università e Corte di Appello di Bari: Cruscotto di analisi dei flussi. [18]
Il cruscotto di monitoraggio elaborato analizza flussi in ingresso ed in uscita dai Tribunali partendo dall’analisi dei dati e delle informazioni già in possesso degli uffici giudiziari, elaborati in modo da offrire una visione compatta e sintetica della situazione. Viene dato “un particolare focus sugli indicatori di tipo macro (analisi dei flussi nel loro insieme) e di tipo organizzativo (analisi del carico di lavoro per giudici e sezioni).
L'adozione del cruscotto può offrire numerosi vantaggi agli Uffici Giudiziari dato che può contribuire a identificare eventuali inefficienze o ritardi nella gestione dei contenziosi permettendo di adottare misure correttive mirate e in tempi brevi. Inoltre, consente di monitorare e valutare l'efficacia delle politiche e delle strategie adottate, facilitando la presa di decisioni basate su dati concreti. Infine, utilizzando i dati che provengono direttamente dagli uffici giudiziari, permette di effettuare analisi statistiche in tempo reale riducendo di fatto i tempi di risposta agli imprevisti. La Corte di Appello di Bari, nell'ambito del progetto sopra indicato, in completa sinergia con l'Università degli Studi di Bari, che ha ideato e fornito il prodotto "CRUSCOTTO DI ANALISI DEI FLUSSI", si è dotata, di recente, di detto strumento che si è rivelato utilissimo, e che è già operativo presso la Sezione Lavoro della Corte (e che è in via di allestimento con riguardo alle Sezioni Civili Ordinarie). Esso consente - previo periodico scaricamento dei dati statistici riguardanti i flussi, estraendoli dal c.d. "Pacchetto Ispettori" del Ministero della Giustizia - di avere una rappresentazione dinamica (che si contrappone a quella "statica", propria dei sistemi “Consolle del Magistrato" e "Sicid"), del flusso dei dati. Il "Cruscotto" consente, in tempo reale, attraverso click successivi, sui grafici e sui dati presenti a video, di estrarre dati sempre più dettagliati, di esaminare i flussi, scorporandoli, con riferimento, ad oggetto, materia, magistrati assegnatari, eccetera. Il Presidente della Corte, ed i Presidenti di Sezione, possono così, avere un quadro completo, dettagliato, dei flussi, ad una certa data, (corrispondente a quella dei dati estratti dal "Pacchetto Ispettori'), operando, in tempo reale sui dati stessi, ed ottenendo i dati, sempre più dettagliati di interesse. I tempi di caricamento dei dati sono abbastanza rapidi, e il periodo di riferimento dei dati estratti dal "Pacchetto", viene, di volta in volta, scelto (ad es. anno, semestre, trimestre). È necessario, però, l’intervento di operatori addetti, addestrati al caricamento, di cui la Corte dispone.
Lo strumento è molto utile e consente di avere a disposizione, in tempi rapidissimi, dati che sarebbe impossibile, o assai complicato ottenere dal "Sicid" e da "Consolle” del Magistrato.”
6.5 Università di Pavia: Cruscotto per l’analisi dei dati e il monitoraggio dei procedimenti giudiziari[19]
È stato progettato un cruscotto direzionale specifico, utilizzando una tecnologia già in uso presso i Tribunali (software Office della Microsoft).
Il Cruscotto estrae i dati dai registri e sistemi gestionali dei Tribunali, li aggrega a seconda dei fenomeni di interesse e produce un foglio excel, con la possibilità (attraverso dei filtri selezionabili) di evidenziare e aggregare i dati per: - registro, - oggetto, - materia, - casistica, - periodo di riferimento, - giudice, esito del procedimento, altro.
La progettazione è partita dai dati già attualmente estraibili dai gestionali in uso per fornire le informazioni ed i dati oggettivi necessari per un migliore controllo di gestione ai fini dei processi decisionali.
Si parte dall’analisi dei dati estratti dalla consolle del cancelliere per poi individuare i principali indicatori dai dati di flusso (parametri quantitativi assunti come principali standard di efficienza della giustizia ovvero Disposition Time -DT-, Clearance Rate -CR- e Arretrato civile) per poi passare all’elaborazione dei dati.
“I dati sono poi stati elaborati all’interno di diversi fogli; ogni foglio prende in esame un particolare aspetto del fascicolo (per esempio la data del primo evento, il Giudice a cui era stato assegnato il fascicolo, l’oggetto e la materia del fascicolo) e lo analizza mettendolo in relazione con la durata del procedimento e il numero di fascicoli. I fogli in cui i dati sono elaborati contengono una tabella Pivot che consente l’aggiornamento automatico di tutti gli indicatori nel momento in cui il file Excel di partenza (dati estratti dalla consolle del Cancelliere) viene aggiornato/cambiato.”
7. Una nuova collaborazione da mantenere per il futuro e costruens per il futuro.
Con il Next generation UPP è stata sperimentata una collaborazione tra Uffici giudiziari e Università del tutto nuova che dimostra la ricchezza e le potenzialità che un rapporto stabile può apportare reciprocamente.[20] Possiamo fare di due realtà, entrambe con evidenti debolezze, una grande forza avvicinando le Università alle diverse realtà professionali ed inserendole a pieno titolo nei circuiti produttivi della giustizia e facendo abbandonare agli Uffici giudiziari l’autoreferenzialità avvantaggiandosi delle competenze multidisciplinari che le Università possono assicurare.
La interlocuzione e collaborazione costante con professori, ricercatori ed assegnisti di statistica, ingegneria gestionale e informatica ha portato ad individuare ulteriori esigenze e campi di sviluppo con la possibilità di sperimentazioni sul campo e con uno scambio continuo di idee ed esperienze che ha consentito di costruire ipotesi di cambiamento, progetti pilota, prototipi.
Abbiamo un terreno di cambiamento fecondo che costringe sia le strutture universitarie, sia gli uffici giudiziari a rimettersi in discussione con un processo di innovazione tanto più necessario e prezioso in un momento in cui le tecnologie ed in particolare l’Intelligenza Artificiale generativa stanno rivoluzionando assetti e modalità tradizionali.
È facile prevedere che in tempi brevi, probabilmente più brevi di quanto immaginiamo, saremo costretti a rivedere i percorsi di studio, le modalità di gestione e trattazione di procedure e processi, lo stesso percorso decisionale.
Poter affrontare questa nuova fase unendo capacità scientifiche e pratiche professionali garantisce un’ottima prospettiva. Questo porterebbe a proseguire, con altre forme, ma nell’ambito di un percorso nazionale e non affidato ai singoli Atenei e Uffici, una collaborazione e sinergia che dovrebbe diventare stabile, estesa a tutti gli Uffici (quindi anche a quelli esclusi dall’Ufficio per il processo, come le Procure e gli uffici minorili e di sorveglianza) e chiamando alla partecipazione anche l’avvocatura.
Un primo passo, comunque, sarebbe di dare seguito e di non sprecare l’enorme giacimento di idee, progetti, sperimentazioni che sono state sviluppate e che nel presente scritto sono rappresentate a livello inevitabilmente molto ridotto. La dimostrazione sul campo dell’utilità e delle potenzialità di qualcuno dei progetti proposti darebbe ulteriore ed enorme forza ad implementare un progetto comune, dimostrando in concreto risparmi, benefici e comodità che si possono conseguire.
Tra i vari progetti realizzati alcuni già oggi potrebbero essere messi a disposizione di tutti gli Uffici, altri dovrebbero essere ulteriormente sviluppati con una seconda fase di ricerca e sperimentazione di pochi mesi, altri ancora potrebbero beneficiare di un confronto tra le diverse prospettazioni (ad esempio in tema di cruscotti) per arrivare ad una sintesi operativa.
Le potenzialità e le possibilità sono davvero immense, con investimenti estremamente limitati e con prospettive eccellenti.
Quanto proprio non si può fare è far cadere tutto nel dimenticatoio, buttando letteralmente i fondi europei investiti e le intelligenze e le capacità sviluppate.
Una prospettiva che sarebbe inaccettabile. Per questo il Ministero della Giustizia, principale attore e responsabile del Progetto Unitario, va sollecitato e stimolato a riprendere proposte ed iniziative. Il presente scritto, con un sia pure parziale riscontro del lavoro fatto, vuole andare in questa direzione.
[12] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Torino > 1nextgen_unito_supdig_software.pdf
[13] S. Ronchi – G. Vecchi Il cruscotto direzionale della Corte Suprema di Cassazione in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.59 ss.
[14] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_previsionale.d
Vedi anche B. Pernici – M. Dilettis Valorizzare i dati degli uffici giudiziari: per un cruscotto previsionale in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.75 ss.
[15] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_cruscotto.pdf
[16] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Eventi – Università degli Studi di Catania – Roma 6 novembre 2024
Vedi anche Strumenti di court management – Università di Catania > 6Jsmart_unicatania_supdig_doc12.pdf e 6jsmart_unicatania_supdig7.pdf
[17] Strumento informatico che consente ai Presidenti di sezione e di Tribunale e ai rispettivi Uffici innovazione di elaborare un’analisi statistica, un monitoraggio ed un controllo dell’andamento dell’attività giudiziari estraendo in modo ordinato e lavorato i dati dai registri di cancelleria.
[18] Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 5 Start Upp > Eventi – cruscotto analisi e flussi Corte d’Appello di Bari – Roma 6 novembre 2024
[19] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Pavia > 1nextgen_unipv_supdig_cruscotto.pdf
[20] Vedi al riguardo G. Ondei La collaborazione tra uffici giudiziari e università come opportunità da consolidare in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato, pag.21 ss.
Controllo giudiziario e sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia. Possibili profili di incostituzionalità (nota a T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, ordinanza 28 ottobre 2024, n. 646)
di Silia Gardini
Sommario: 1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo – 2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia – 3. I paventati profili di incostituzionalità – 4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva.
1. Introduzione al tema e alla questione giuridica sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo
Il delicato bilanciamento tra la prevenzione delle infiltrazioni criminali nell’economia e nella fruizione e gestione delle risorse pubbliche e la salvaguardia delle libertà e dei diritti degli operatori economici impegna ampiamente e con sempre maggiore assiduità la giurisprudenza amministrativa e la dottrina. Non di rado, come nel caso in esame, dall’analisi applicativa degli istituti normativi delineati dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “Codice antimafia”), nella sua complessa strutturazione, emergono nodi problematici che fanno sorgere dei dubbi in merito alla piena proporzionalità e ragionevolezza di determinate procedure[1].
Con l’ordinanza in commento il Tribunale amministrativo per la Calabria - Reggio Calabria ha sollevato, dunque, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia, «per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale», nella parte in cui – in caso di ammissione alla misura del controllo giudiziario (di cui al medesimo art. 34-bis, comma 1) di un operatore economico, già destinatario di informazione interdittiva – non prevede che la sospensione degli effetti della stessa informazione interdittiva antimafia perduri anche per il tempo necessario alla definizione del procedimento di aggiornamento previsto dall’art. 91, comma 5 cod. antimafia.
L’attuale assetto normativo delinea, infatti, una situazione peculiare, in cui risulta assente un’espressa previsione di legge idonea a regolamentare le dinamiche – pure complesse – che si verificano nella fase terminale del controllo giudiziario c.d. “volontario”. Questa mancanza determina, sul piano pratico, rilevanti problematiche con riferimento alla lesione (spesso definitiva) della posizione giuridica dell’operatore economico prodotta a seguito della “riattivazione” del provvedimento interdittivo, nella finestra temporale intercorrente tra la cessazione del controllo giudiziario e l’aggiornamento dell’informazione antimafia ad opera della competente Prefettura.
L’indirizzo interpretativo ormai consolidato, nell’assenza di specifica regolamentazione, ha infatti escluso laprotrazione della sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, non potendo il controllo giudiziario determinare, ex se, il superamento del pregresso provvedimento interdittivo. Il problema si pone, a maggior ragione, a seguito del revirement attuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 7 e 8 del 13.02.2023, che hanno previsto – nell’ambito dei rapporti tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva e l’ammissione dell’impresa che ne è destinataria al controllo giudiziario – la non necessaria sospensione del primo in costanza del secondo[2]. Ciò vuol dire che, laddove il Giudice amministrativo adito non ravvisi l’illegittimità ratione temporis del provvedimento informativo antimafia e, dunque, non ne disponga l’annullamento, nel caso di mancato aggiornamento dell’interdittiva stessa prima dello scadere dei termini di vigenza del controllo giudiziario, l’interdittiva stessa tornerà a produrre tutti i suoi effetti inibitori.
La questione è spinosa, poiché la reviviscenza dell’interdittiva – anche per un tempo brevissimo – non soltanto priva di effettività l’istituto del controllo giudiziario (a maggior ragione se conclusosi con esito positivo e bonificante) e resetta tutte le azioni e i rapporti contrattuali nel frattempo avviati grazie ad esso (con effetti negativi anche sul buon andamento delle Amministrazioni coinvolte), ma finisce altresì per precludere qualsivoglia forma di tutela, anche successiva, in capo al soggetto che ne era destinatario.
Così è avvenuto nel caso specifico sottoposto alla cognizione del T.A.R. Reggio Calabria nella vicenda che ci interessa, laddove un’impresa – colpita da interdittiva e poi ammessa al controllo giudiziario – si era vista risolvere un importante contratto di appalto in corso di esecuzione con ANAS s.p.a., a causa della automatica reviviscenza degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario. A nulla erano serviti, nell’approssimarsi della scadenza della misura di sorveglianza, gli interventi dell’impresa e della stessa stazione appaltante volti a sollecitare la decisione della Prefettura sulla pendente domanda dell’impresa per l’iscrizione alla white list e sul connesso procedimento di aggiornamento dell’interdittiva (avviato d’ufficio dalla Prefettura a seguito della prima e comunque dovuto in conseguenza della conclusione del controllo giudiziario[3]). Spirati i termini del controllo giudiziario (già prorogati una volta per un anno) e in assenza di riscontro da parte degli organi prefettizi, la stazione appaltante non aveva avuto altra possibilità se non quella di disporre la risoluzione delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto.
A seguito dell’impugnazione di tale provvedimento risolutivo da parte della società appaltatrice, l’adito T.A.R. Reggio Calabria, pur non condividendo la ricostruzione proposta dalla ricorrente (che prospettava, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 34-bis cod. antimafia, la protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5 cod. antimafia[4]), ha accolto provvisoriamente la domanda cautelare sul presupposto del rilievo ex officio della questione di legittimità costituzionale, ritenendola non manifestamente infondata e rilevante per le ragioni espresse nell’ordinanza in commento, di cui meglio si dirà nei paragrafi successivi.
2. L’istituto del controllo giudiziario e i suoi rapporti con l’informazione interdittiva antimafia
Prima di analizzare i profili di possibile incostituzionalità paventati dal Giudice amministrativo nell’ordinanza de qua, al fine di meglio inquadrare i contorni della vicenda, è opportuno soffermarsi brevemente sulla configurazione e la ratio dell’istituto del controllo giudiziario, nella sua dinamica relazione con il sistema delle interdittive.
Com’è noto, il controllo giudiziario è disciplinato all’interno del libro I, titolo II, capo V del Codice antimafia, dedicato precisamente alle “Misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca”[5]. L’istituto trova applicazione, con finalità conservative e recuperatorie, nelle ipotesi in cui il rischio di infiltrazione mafiosa sia meramente occasionale e il condizionamento subito dall’impresa si presenti a un livello embrionale, non essendosi ancora realizzata un’opera di “immedesimazione” della realtà aziendale con l’organizzazione criminale[6].
Il controllo giudiziario può essere attuato a due differenti livelli di intensità: attraverso l’obbligo di comunicazione periodica al Questore e al nucleo di polizia tributaria degli atti di disposizione patrimoniale o di altri atti o contratti individuati dal Tribunale; ovvero, in termini più penetranti, attraverso la nomina di un amministratore, che però – diversamente da quanto avviene nell’ambito dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria, disciplinato dal precedente art. 34 – non si sostituisce all’impresa, ma assume funzioni di tutoraggio e di bonifica, riferendo periodicamente al giudice delegato e al pubblico ministero sull’andamento e sugli esiti dell’attività di controllo.
L’impresa, in costanza di controllo giudiziario, rimane, dunque, in ogni caso titolare diretta della propria attività.
Il controllo giudiziario si presenta, in tutta evidenza, come uno strumento agevolatorio, che pone in essere una “vigilanza prescrittiva” idonea a monitorare le azioni e i rapporti dell’impresa e, al contempo, a salvaguardare la continuità dell’attività imprenditoriale, anche nella prospettiva terapeutica di una sua bonifica. È l’unica misura di prevenzione la cui applicazione, in un’ottica innovativa di cooperazione tra amministrazione e impresa, può essere disposta (laddove l’impresa sia già destinataria di un’informativa antimafia interdittiva impugnata in sede amministrativa) anche a seguito di un’istanza di parte, dal cui accoglimento discende la sospensione degli effetti dell’interdittiva e la possibile ricollocazione dell’imprenditore sul mercato. La stessa Corte di cassazione ha riconosciuto che la misura in questione è stata prevista dal legislatore proprio allo scopo specifico di offrire un’alternativa al binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità, in attuazione del principio di proporzionalità e in vista di un possibile recupero dell’impresa[7].
La valutazione effettuata dal Giudice penale nel concedere la misura del controllo giudiziario è molto diversa da quella che compete al Prefetto con riferimento all’emanazione del provvedimento interdittivo. Non è una valutazione, per così dire, “statica”, poiché non fotografa – come invece fa l’interdittiva antimafia – una situazione di rischio di infiltrazione mafiosa in un determinato momento storico, ma realizza, invece, un giudizio prognostico circa l’emendabilità di una situazione già rilevata, connotata dal rischio di condizionamento o agevolazione di soggetti criminali, con il fine del risanamento dell’impresa e del suo riallineamento a un contesto economico sano. Quand’anche l’interdittiva non sia annullata dal giudice amministrativo, e dunque si accerti l’esistenza di infiltrazioni mafiose, l’esigenza di risanamento dell’impresa stessa non potrebbe comunque ritenersi venuta meno[8].
Ferma la distinzione ontologica e finalistica dei due istituti, è tuttavia innegabile che tra controllo giudiziario c.d. volontario e informazioni interdittive antimafia esistano importanti connessioni, che si manifestano su diversi piani.
Emerge innanzitutto una connessione procedurale, poiché l’impugnazione del provvedimento interdittivo dinanzi al Giudice amministrativo rappresenta una condizione imprescindibile ai fini della richiesta al Tribunale ordinario (in funzione di Giudice della prevenzione) della disposizione del controllo giudiziario.
Vi è poi una connessione effettuale, dal momento che l’ammissione a controllo giudiziario determina, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, l’automatica sospensione degli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo stesso. La sospensione ex lege degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia rimane comunque ad tempus, legata all’effettiva pendenza del controllo giudiziario[9].
Esiste, altresì, una connessione sostanziale: benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la Prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento[10]), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di “occasionalità” e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa, ponderati a tal fine dal Giudice – e, soprattutto, la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo (riferendosi, sia pure in via incidentale e in proiezione de futuro, a quegli stessi elementi indiziari sulla base dei quali il Prefetto formula la propria prognosi di rischio infiltrativo) acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.
Di talché, laddove il Prefetto ritenesse di confermare ugualmente l’interdittiva, considerando ancora attuale il rischio di condizionamento mafioso, per non incorrere nel vizio di eccesso di potere e nel conseguente annullamento giudiziario, il provvedimento confermativo dovrebbe essere sottoposto a un onere motivazionale rinforzato, non essendo sufficiente il richiamo alla mera persistenza degli elementi indiziari posti a base dell’originaria informativa, ma dovendo anche evidenziarsi le ragioni che rendono le conclusioni raggiunte dal Giudice della prevenzione non idonee ad accogliere una prognosi differente da parte dell’Autorità amministrativa prefettizia[11]. Diversamente opinando verrebbe snaturata la stessa funzione del controllo giudiziario, da cui deriverebbe soltanto l’effetto di sospendere temporaneamente e, dunque, posticipare le conseguenze del provvedimento interdittivo[12].
3. I paventati profili di incostituzionalità
Secondo la ricostruzione del Tribunale amministrativo reggino, la sopravvivenza dell’informazione interdittiva antimafia alla conclusione favorevole del controllo giudiziario, se pur obbligatoriamente necessitante di una rivalutazione da parte del Prefetto ai sensi dell’art. 91, comma 5, cod. antimafia, non sarebbe evitabile (neppure attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata), a causa della mancanza di una previsione normativa espressa idonea a regolamentare gli effetti del provvedimento interdittivo nelle more dello svolgimento dello stesso procedimento prefettizio di aggiornamento.
Da tale circostanza derivano, sul piano pratico, pericolosi effetti distorsivi, idonei a mettere in dubbio la coerenza dell’impianto della norma con i principi costituzionali di riferimento.
La doverosità dell’avvio del procedimento di riesame dell’interdittiva – nelle forme dell’autotutela revocatoria, al fine di valutarne, attraverso un’adeguata istruttoria e con le opportune garanzie di contraddittorio, la perdurante necessità – è stata saldamente argomentata dalla giurisprudenza[13]. Laddove tale procedimento di secondo grado venga definito prima dello spirare del termine di conclusione del controllo giudiziario, non si pone alcun problema, poiché sull’interdittiva originaria inciderebbe – nel bene o nel male – la nuova valutazione prefettizia.
Le Prefetture hanno, però, maturato in materia una prassi dannosa (sulla quale la stessa giurisprudenza amministrativa si è pronunciata in termini negativi[14]), che prevede la necessaria preventiva acquisizione della relazione conclusiva del controllo giudiziario e, dunque, l’avvio del procedimento di aggiornamento ex art. 91, comma 5 cod. antimafia quando gli effetti dell’interdittiva hanno già ripreso a manifestarsi.
Tale circostanza, sommata alla mancanza di un’apposita disciplina normativa della fattispecie, determina la “materializzazione” di un paradossale frangente temporale in cui il privato imprenditore destinatario dell’interdittiva risulta privo di qualsivoglia tutela e destinato a subire inerme gli effetti pregiudizievoli discendenti dal ripristino dell’efficacia dell’interdittiva. Prima della conclusione del procedimento di riesame, il privato non potrà né (re)impugnare l’originaria informazione antimafia, in quanto già coperta da giudicato, né presentare una nuova domanda di ammissione al controllo giudiziario, difettando in questo caso il presupposto processuale dell’avvenuta contestazione in sede giurisdizionale dell’interdittiva (che si manifesterebbe solo a seguito dell’eventuale e futuro provvedimento prefettizio di conferma).
Il T.A.R. Calabria – Reggio Calabria opportunamente utilizza l’espressione “limbo” per definire la posizione dell’operatore economico post controllo giudiziario, che risulta incapace di reagire in qualsiasi modo alla situazione derivante dalla mancata definizione del provvedimento di aggiornamento prefettizio e che dovrà, dunque, passivamente accettare, con conseguenze irreversibili, l’immediata e automatica risoluzione dei rapporti contrattuali in essere – come nel caso in esame – o l’esclusione dalle procedure di gara eventualmente in fase di aggiudicazione.
Tali conseguenze sono irreversibili per la fisiologica dinamica temporale dei provvedimenti coinvolti. La perdita del requisito di gara – legato alla insussistenza di tentativo di infiltrazione mafiosa – non potrebbe, infatti, essere superata né dall’eventuale successiva informazione liberatoria (che avrebbe chiaramente efficacia ex nunc), né dall’accoglimento della domanda cautelare proposta con l’impugnativa della nuova interdittiva eventualmente emessa con il procedimento di riesame (la cui efficacia potrebbe retroagire solo fino al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, non potendo tuttavia neutralizzare gli effetti prodottisi anteriormente, nel periodo di “riemersione” dell’originaria interdittiva).
Partendo da tali considerazioni, il Giudice amministrativo motiva il contrasto della normativa, innanzitutto, con l’art. 3 della Costituzione, evidenziando la possibilità che si verifichi – soprattutto nel settore degli appalti pubblici, come nel caso oggetto di controversia – un trattamento disomogeneo tra situazione sostanzialmente identiche[15]. A fronte dell’immobilismo forzoso dell’impresa reduce di controllo giudiziario e in attesa di aggiornamento dell’informativa antimafia, all’impresa che abbia invece la possibilità immediata di impugnare il provvedimento interdittivo, anche confermativo del precedente, risulta assicurata non soltanto una tutela giurisdizionale effettiva avverso il provvedimento lesivo, ma pure la facoltà di richiedere nuovamente la sottoposizione a controllo giudiziario volontario, anche nei casi in cui non venga accolta la domanda cautelare sospensiva nell’ambito del giudizio di impugnazione. Viene così garantita la possibilità di mantenere in vita i contratti d’appalto già stipulati al momento dell’adozione dell’interdittiva[16], così come quella di proseguire la gara in corso «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis» (come dispone il nuovo Codice dei contratti pubblici: art. 94, comma 2, D.lgs. n. 36/2023).
Considerazioni sostanzialmente identiche vengono richiamate per supportare la possibile illegittimità dell’art. 34-bis, comma 7 cod. antimafia per violazione degli artt. 24 e 117, comma 1 Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 13 della CEDU). In questo caso, ciò che rileva è la pregnante compressione del diritto di difesa dell’interessato, al quale viene, di fatto, preclusa la possibilità di attivare qualsiasi rimedio giurisdizionale, «tanto contro gli ‘effetti ripristinati’ dell’interdittiva, già oggetto di sindacato giudiziale definitivo, quanto, per evidente mancanza di interesse, contro il provvedimento – sempre ad ammettere che il giudice della prevenzione debba formalmente adottarlo – dichiarativo della cessazione del controllo per scadenza del termine massimo di durata»[17].
Nella ricostruzione del T.A.R. Calabria, i dubbi di costituzionalità della norma emergono anche con riferimento all’art. 97 Cost., dunque ai principi di buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Esponendo l’impresa, nonostante l’esito favorevole del controllo giudiziario e prim’ancora della valutazione dell’autorità prefettizia in merito alla utilità delle misure di self cleaning attuate nel periodo del controllo, a tutti gli effetti pregiudizievoli che il medesimo istituto del controllo giudiziario avrebbe dovuto evitare, si verifica una sorta di “corto circuito” normativo, una situazione paradossale in cui vengono rinnegate sul piano effettuale le stesse finalità che il legislatore si era fissato nel prevedere la normativa applicata[18]. L’impresa si trova, infatti, nuovamente esposta agli effetti negativi dell’interdittiva e tanto basta per ostacolare (se non rendere addirittura impossibile) il processo di recupero alla legalità intrapreso sotto l’egida del Tribunale penale.
L’irragionevolezza del quadro regolatorio emerge, in particolare, nei casi in cui la verifica prefettizia si concluda in modo favorevole, con un positivo apprezzamento della funzione bonificante del controllo giudiziario e, dunque, con l’emissione di un’informazione liberatoria. In questo caso il disallineamento dei tempi procedimentali determina, come sopra rilevato, il sostanziale azzeramento dell’azione – evidentemente virtuosa – nel frattempo costruita dall’impresa nei suoi rapporti con la Pubblica amministrazione, con buona pace degli sforzi compiuti dal privato e dalle istituzioni in questa direzione.
Con particolare riguardo al principio di proporzionalità, l’ordinanza di rimessione evidenzia altresì l’assenza di qualsivoglia meccanismo di graduazione nella riespansione degli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva, che avrebbe potuto essere modulata dal legislatore sul piano degli effetti (consentendo, ad esempio, l’esecuzione dei contratti in corso o lasciando impregiudicato l’esercizio delle attività soggette a regime autorizzatorio) ovvero attuato con soluzioni meno afflittive, come il meccanismo della condizione risolutiva di cui all’art. 92, comma 3 cod. antimafia, previsto nel caso di inosservanza del termine per il rilascio dell’informazione antimafia, o, ancora, mediante la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame.
A ben vedere, il danno che si produce in questi casi, assume una portata bidirezionale.
Dalla distorsione attuativa della normativa non discende soltanto un pregiudizio irreversibile per il privato operatore economico, ma anche un coinvolgimento lesivo degli interessi dei soggetti pubblici con cui esso entra in rapporto. Si pensi, nell’ambito del sistema dei contratti pubblici, alle stazioni appaltanti che – avendo avviato rapporti giuridici con soggetti ritenuti affidabili dall’ordinamento (in vigenza del controllo giudiziario) – si trovino, di punto in bianco a dover sospendere gare, lavori e forniture, ripartendo poi da zero, con un nuovo procedimento ad evidenza pubblica e tutto ciò che ne consegue in termini di dispendio di risorse economiche e funzionali, nonché con un allargamento potenzialmentemolto vasto dei tempi di realizzazione del servizio o della fornitura, a discapito dell’interesse della collettività. Da qui il potenziale contrasto dell’art. 34-bis, comma 7, sempre nella cornice dell’art. 97 Cost., anche con riguardo ai principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.
La norma censurata, tenuto conto della portata estremamente ampia e incisiva delle conseguenze che discendono dall’applicazione di un’interdittiva antimafia, che inibisce sia i rapporti con la pubblica amministrazione, sia le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, rileva secondo il Collegio reggino anche con riguardo a «l’art. 4 Cost., determinando un ingiustificato, e non necessario, sacrificio del diritto al lavoro, e, per le stesse ragioni, l’art. 41 Cost., pregiudicando incisivamente il libero esercizio dell’attività di impresa»[19].
4. Legalità preventiva e ragionevolezza del sistema: una riflessione conclusiva
Il sistema amministrativo della lotta alla criminalità organizzata si muove sul confine mobile della ricerca del miglior equilibrio possibile tra interessi che spesso appaiono tra loro contrastanti. Sia pur in costanza dell’apprezzabile sforzo del legislatore – da ultimo attuato con la novella del Codice antimafia del 2021 – verso la predisposizione di un sistema di prevenzione più articolato e gradualistico, è innegabile che si manifestino ancora in materia numerose distorsioni applicative, quasi sempre a discapito della parte imprenditoriale.
L’incidenza dell’istituto sulla libertà imprenditoriale resta evidentemente un problema aperto, rispetto al quale a volte l’eccessiva lesività (che emerge sul piano pratico) si lega alla incapacità di far “dialogare” virtuosamente tra loro i diversi istituti previsti dalla normativa di settore.
In tale contesto la giurisprudenza amministrativa ha svolto e svolge un ruolo estremamente rilevante, non soltanto nel tutelare le posizioni giuridiche dei soggetti coinvolti, ma anche e soprattutto nel fornire al legislatore importarti stimoli riformatori[20]. Lo ha fatto nel caso esaminato in questo scritto, suggerendo alla Corte costituzionale l’adozione di una sentenza additiva, con la quale connettere l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7 del Codice antimafia alla mancanza di una previsione espressa di raccordo tra questo istituto e il suo naturale contraltare amministrativo, ovvero l’informazione interdittiva antimafia.
La pronuncia della Consulta sulla questione sollevata dal T.A.R. Reggio Calabria sarà senz’altro molto importante. Nelle more della sua pubblicazione, qualsivoglia riflessione sul tema – pur considerando sempre le ragioni della lotta contro le mafie e i loro subdoli condizionamenti come vitali e primarie per il nostro ordinamento – non può che partire dalla constatazione che una misura di prevenzione non dovrebbe mai atteggiarsi come una sorta di sanzione anomala e che la legalità repressiva non dovrebbe mai confondersi con la legalità preventiva[21], i cui strumenti ed obiettivi dovrebbero, a loro volta, essere sempre collocati su un piano perpendicolare ma differente rispetto a quelli della prima.
[1] Cfr., F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e costituzionalità della lotta «anticipata» alla criminalità organizzata, in Giustamm, 2018.
[2] L’Adunanza plenaria, con le sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, non ha aderito alla tesi della sospensione necessaria del giudizio amministrativo, accolta invece nell’ordinanza di rimessione, affermando il seguente principio di diritto: «la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l'informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall'impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva». La Plenaria, non le pronunce in questione, nel ricostruire gli istituti sia da punto di vista sostanziale che da quello processuale, ha rilevato come neppure nella giurisprudenza della Cassazione penale in materia di impugnazione del diniego di ammissione al controllo giudiziario emerga una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto a quella delineata dall’art. 34-bis del D. lgs. n. 159 del 2011.Inoltre, aderire alla tesi della sospensione provocherebbe uno snaturamento del sistema tassativo previsto dall’art. 295 c.p.c., con inevitabili ricadute in termini di ragionevole durata del processo e non fondata neanche sull’esigenza di evitare giudicati contrastanti. Cfr., A. Giacalone, Informazione interdittiva antimafia e controllo giudiziario: analisi del rapporto esistente fra i due istituti e demarcazione dei relativi presupposti, in questa Rivista, 13 giugno 2024; C. Cappabianca, Gli effetti sul giudizio amministrativo del controllo giudiziario delle aziende ex art. 34-bis, comma 6, d.lg. n. 159/2011: dopo l'adunanza plenaria n. 7/2023, in Dir. proc. amm., 4/2023, 743 ss.
[3] Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] In sede di delibazione cautelare il Tribunale ha ritenuto l’argomentazione di parte non condivisibile, «ostando alla ricostruzione interpretativa, pur pregevole, prospettata dalla ricorrente in ordine alla protrazione della sospensione degli effetti dell’interdittiva anche dopo la cessazione, con esito positivo, del controllo giudiziario e sino alla definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia, la mancanza nell’ordinamento di una previsione espressa che regolamenti in modo puntuale tale peculiare profilo inerente alla fase terminale dei rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario c.d. volontario». Il dato testuale espresso dal comma 7 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, è stato considerato dal Giudice amministrativo insuperabile: ricollegando l’effetto tipico che consegue al decreto di ammissione al controllo giudiziario (ovvero la sospensione dell’incapacità a contrattare) alla sua vigenza, qualsiasi diversa interpretazione che, pur nell’ottica di correggere le vistose distorsioni applicative della normativa in esame, tenda a dilatare temporalmente l’effetto in questione oltre il momento di cessazione della misura prescrittiva sarebbe preclusa in nuce. Cfr., T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 213/2024, in www.giustizia-amministrativa.it.
[5] L’istituto appartiene a quelle misure di prevenzione patrimoniali “altre”, differenti rispetto alle forme di intervento patrimoniale tradizionali quali la confisca e il sequestro.
[6] Cfr., M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 maggio 2022; R. Rolli, V. Bilotto, F. Bruno, Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’Adunanza Plenaria, in www.ratioiuris.it, 15 febbraio 2023; Id., Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: l’Adunanza plenaria mette la parola fine (?) Al dibattuto rapporto tra i due istituti, in www.ratioiuris.it, 24 aprile 2023; M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, in Sistema penale, 2020. Per una ricostruzione più ampia e organica dell’istituto del controllo giudiziario nell’ambito del sistema amministrativo antimafia, si veda V. Salamone, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019.
[7] Cfr. Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2021, n. 24678; Id., sez. II. 31 maggio 2021, n. 21412.
[8] Secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, ripreso e ampliato dall’Adunanza plenaria con le già richiamate sentenze n. 7 e n. 8 del 13.02.2023, l’esito favorevole del controllo e l’eliminazione del rischio di infiltrazione non rilevano nel giudizio amministrativo di impugnazione del provvedimento interdittivo, che riguarda invece gli elementi esistenti al momento della sua emanazione: «il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa, rispetto alla quale rappresenta un post factum” (…) perché inevitabilmente diversi sono gli elementi fattuali considerati anche sul piano diacronico nelle due diverse sedi (…) la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisce dunque alla funzione tipica di tale istituto, che è un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, ed ha riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento». Così., Cons. di Stato, sez. III, sent. 11 gennaio 2021, n. 319, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 12 febbraio 2021. Se sul piano formale i due giudizi appaiono autonomi, è evidente che le due differenti delibazioni compiute dal Giudice Amministrativo e dal Giudice della prevenzione finiscano, comunque, per influenzarsi. Nell’ambito di un recente giudizio presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, il Giudice Amministrativo, che aveva inizialmente negato la concessione della misura cautelare sospensiva, ha infine accolto il ricorso in appello, annullando l’informazione antimafia, proprio a partire dalle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario. Cfr., CGA, sentenza n. 13 del 4 gennaio 2023, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] L’informazione interdittiva antimafia, come già ricordato, riprenderà i propri effetti una volta chiusa (per scadenza naturale o provvedimento anticipato dell’a.g.o.) la procedura ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, rimanendo comunque salvo, in ogni caso, anche prima della chiusura del controllo giudiziario, il potere-dovere della Prefettura ex art. 91, comma 5, ultimo periodo del D.lgs. n. 159 del 2011, di aggiornare, in sede amministrativa, anche su richiesta dell’interessato «l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa», pure, se del caso, prendendo in considerazione i risultati provvisori (ovvero definitivi) del controllo giudiziario medesimo. Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] Deve «escludersi che il controllo giudiziario sia in grado di cancellare gli eventi che in passato hanno dato sostanza al rischio infiltrativo, in guisa da assumere oltre ad una funzione cautelare e bonificante, anche una funzione riabilitante, poiché così ragionando si andrebbe oltre la volontà del legislatore, sino a costruire una sistema di prevenzione penale/amministrativa in cui l’informativa assume il ruolo di condizione di procedibilità del controllo giudiziario a domanda, e quest’ultimo quello di un percorso che esenta l’imprenditore da qualsivoglia effetto interdittivo nei rapporti con la Pubblica amministrazione (dapprima in sede cautelare e poi in forza dell’effetto riabilitante)». Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di G. Botto, Sul rapporto tra controllo giudiziario ad esito favorevole e aggiornamento dell’informativa antimafia, in questa Rivista, 5 ottobre 2022.
[11] Cfr., Consiglio di Stato sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, cit. Sul tema di segnala una interessante decisione del T.A.R. Puglia, Sez. II, 15 luglio 2022, n. 1044 in www.giustizia-amministrativa.it, con cui il Giudice ha accolto il ricorso presentato da un’impresa raggiunta da provvedimento interdittivo malgrado l’esito positivo del controllo giudiziario, proprio sulla scorta del difetto di motivazione del provvedimento prefettizio, che non aveva preso in debita considerazione gli elementi riportati nella relazione dell’amministratore giudiziario.
[12] Con riferimento all’aggiornamento dell’interdittiva, fondato anche sulla valutazione degli elementi intervenuti a seguito del provvedimento originario «si potrebbe considerare sussistente un obbligo del Prefetto di provvedere sulla istanza di riesame, dovendo avere rilevanza la sopravvenienza tenuta in considerazione dal legislatore (la conclusione positiva del controllo giudiziario)»: così, Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2022, n. 5615, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Al carattere provvisorio e statico dell’interdittiva antimafia corrisponde l’obbligo della Prefettura di provvedere al suo aggiornamento.La rivalutazione prefettizia risulta doverosa, anche in mancanza di un’iniziativa di parte, in forza del disposto dell’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 57/2020. Proprio dalla natura della valutazione sottesa all’interdittiva antimafia (che si limita a fotografare una certa realtà in un dato momento storico) deriva la scelta legislativa di disciplinare un meccanismo di necessario aggiornamento della stessa, come previsto all’art. 91, comma 5, cod. antimafia. La giurisprudenza ha, dunque, affermato il principio secondo cui, attesa l’autonomia per così dire funzionale tra la misura amministrativa dell’interdittiva antimafia e quella giurisdizionale del controllo giudiziario, è illegittimo il silenzio opposto dalla prefettura alla richiesta di riesame della misura amministrativa. Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, in www.giustizia-amministrativa.it, con nota di R. Rolli, M. Maggiolini, Atomo scisso e silenzio prefettizio: tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario, in questa Rivista, 8 maggio 2024. Sul punto, di recente si è pronunciato anche il T.A.R. Sicilia, Sez. I, con sentenza 16 luglio 2024, n. 2247: «il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, (…) ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva (…) ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva».
[14] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, cit.
[15] L’asimmetria tra le posizioni giuridiche prese in considerazione è stata evidenziata, in altro contesto, anche dalla Cassazione penale, che ha rilevato come il soggetto che solleciti la revisione del provvedimento interdittivo e adisca il giudice amministrativo invocando l’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto sia portatore di «una situazione giuridica più fievole di colui che contesta la conformità a diritto dell’originaria informazione interdittiva»: cfr., Cassazione penale, sentenza n. 19154/2023.
[16] Facoltà, questa, già riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza sotto il previgente Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 80, comma 2, ultimo periodo. Cfr., Cons. St., sez. V, 14 aprile 2022, n. 2847 e, da ultimo, TAR Toscana, sez. IV, 30 settembre 2024, n. 1074, in www.giustizia-amministrativa.it), ma anche quella di ottenere l’aggiudicazione quand’anche l’interdittiva sia stata emessa in corso di gara.
[17] Cfr. ordinanza in commento, pag. 31.
[18] L’espressione “effettività rinnegante”, coniata con precipuo riferimento al diritto penitenziario, ma utilizzabile in qualunque ambito, esprime lo scostamento tra il diritto affermato in sede normativa e la sua effettività, data da una «illegalità ufficiale attraverso la non applicazione e la manipolazione amministrativa delle norme». Cfr., F. Bricola, Il carcere “riformato”, Bologna, 1977, ora in Id., Scritti di diritto penale, vol. I, tomo II, Milano, 1997.
[19] Cfr. ordinanza in commento, pag. 45.
[20] Si pensi alle riflessioni sull’istituto del contradditorio, prima escluso nell’ambito dei procedimenti in materia di informative antimafia, oggi recepite dal legislatore, in particolare dopo la sentenza della Sez. III del Consiglio di Stato del 10 agosto 2020, n. 4979.
[21] Sulla distinzione tra legalità repressiva e legalità preventiva, cfr. V. Nuvolone, Le misure di prevenzione nel sistema penale italiano, in Ind. pen., 1973, 470. Di recente essa è stata ripresa dalla stessa Corte costituzionale, con la pronuncia n. 24/2019, in www.cortecostituzionale.it.
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