ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Pubblichiamo il testo della relazione della Commissione mista istituita presso il CSM per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale. La relazione è stata incentrata sullo stato di attuazione della riforma relativa alle residenze per le misure di sicurezza, meglio note come REMS. Ne emerge un quadro preoccupante, noto solo agli operatori di settore e spesso, anche tra questi, solo per contenuti generici. La realtà è quella di una carenza di strutture e di personale, di incertezza sul fabbisogno effettivo, di difficile comunicazione – non per disponibilità, ma per visioni culturali – tra amministrazione della giustizia e settore sanitario, cui la gestione delle REMS è affidata. Di fondo, rimane un problema sociale, che riguarda non solo il mondo carcerario, ma tutta la collettività, se si pensa al numero elevatissimo di detenuti affetti da vizi mentali e alle persone che neppure pena da scontare per accertata incapacità totale di intendere e di volere. Con questa relazione il Consiglio superiore della magistratura prova anche a mandare un segnale di ascolto verso universi culturali che devono cominciare parlarsi.
Il testo della risoluzione:
R.E.M.S.
DOCUMENTO FINALE
1. PREMESSA
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con la risoluzione del 26 luglio 2023, ha ricostituito - in ideale continuità con le precedenti positive esperienze consiliari - la Commissione Mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza e dell’Esecuzione Penale.
Ne sono Componenti:
Cons. Andrea MIRENDA, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura, Presidente;
Cons. Tullio MORELLO, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Cons. Eligio PAOLINI, Componente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Dott. Filippo SCAPELLATO, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Ancona;
Dott.ssa Marta D’ERAMO, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Pescara;
Dott. Marco PUGLIA, Magistrato di Sorveglianza presso Uff. Sorv. Santa Maria Capua Vetere;
Dott.ssa Maria Raffella FALCONE, Magistrato di Sorevglianza presso Uff. Sorv. Viterbo
Dott.ssa Adriana BLASCO, Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Milano;
Dott. Stefano TOCCI, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
Dott. Edmondo DE GREGORIO, Magistrato addetto al Gabinetto del Ministro della Giustizia;
Dott.ssa Oriana TANTIMONACO, Magistrato addetto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
La Commissione Mista opera nell'ambito delle competenze della IX commissione in materia di “atti, pareri, iniziative in relazione a problematiche inerenti la materia dell’esecuzione penale e della Magistratura di Sorveglianza, con esclusione dei profili organizzativi di competenza della Settima Commissione” ed ha, fra le sue attribuzioni, la ricerca di soluzioni alle problematiche connesse alla funzionalità degli uffici, alla esecuzione della pena ed alla tutela dei diritti dei detenuti e degli internati, valorizzando una visione globale dei problemi della pena e favorendo modelli di cooperazione istituzionale.
Lo scopo perseguito è quello di favorire la ripartenza di una riflessione comune sui problemi della sorveglianza e dell’esecuzione penale in generale, al fine di individuare concrete linee di intervento - sia ordinamentali che organizzative - capaci di affrontare quelle che, purtroppo, appaiono ormai le croniche criticità del nostro sistema penitenziario, legate principalmente, ma non solo: al sovraffollamento carcerario ed alle difficili condizioni intramurarie che ne conseguono sul piano trattamentale; al precario equilibrio tra afflittività della pena, disagio psichico e misure di sicurezza, in particolare per la precarietà dell’assistenza sanitaria intramurale, di competenza regionale; all’inadeguatezza complessiva, tanto ordinamentale che amministrativa, del modello organizzativo finalizzato alla esecuzione delle misure di sicurezza detentive e non.
Criticità, queste, cui si accompagnano non infrequenti lesioni dei diritti fondamentali delle persone sottoposte alla esecuzione della pena e/o delle misure di sicurezza.
La formazione composita della Commissione appare, ancora una volta, la formula meglio in grado di analizzare una realtà complessa e composita come quella dell’esecuzione penale, al fine di individuarne le carenze normative e le disfunzioni operative. Già in passato, difatti, la sinergia delle diverse competenze si è rivelata proficua e l’esperienza è stata più volte reiterata, sin dal quadriennio 1990/1994, ancora nella consiliatura 1998/2002 e, da ultimo, quella appena trascorsa.
I quaderni n. 160 del 2013 e n. 163 del 2015 danno conto delle due direttrici fondamentali seguite “in allora” dalla Commissione Mista, l’una volta a fornire al Consiglio ed agli altri interlocutori istituzionali coinvolti proposte di interventi normativi e organizzativi di pronta applicabilità per contenere il numero di detenuti negli istituti di pena; l’altra, volta alla migliore valorizzazione della professionalità della magistratura di sorveglianza ed alla ricognizione delle piante organiche di quegli uffici, onde verificarne la congruità rispetto al delicato compito assegnato.
2. LE TEMATICHE AFFRONTATE
La direttrice attuale, che peraltro riprende spunti già osservati e studiati in occasione delle precedenti Commissioni, è emersa in esito a numerose sedute che hanno permesso, dapprima, di trattare in termini generali i temi dell’Ufficio del Processo (da assicurare, per ovvi motivi, anche alla Magistratura di Sorveglianza); della implementazione, anche a livello grafico, dei sistemi SIEP e SIUS, magari avvalendosi degli UPP; del potenziamento dell’Uepe per le correlate attività di osservazione; dell’essenziale istituzione dei nuclei di polizia penitenziaria presso gli uffici di sorveglianza; del sovraffollamento carcerario; dell’idoneo trattamento dei detenuti psichiatrici (ipotizzando anche per essi l’affidamento terapeutico ?!); dell’assistenza ai tossicodipendenti in carcere e di come agevolarne l’accesso alle misure alternative; delle Rems e correlate liste di attesa e dei percorsi psichiatrici alternativi sul territorio (specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.22 del 2022 e dopo la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo v. Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 gennaio 2022- Ricorso n. 11791/20- Causa SY c. Italia)), delle ricadute pratiche degli ultimi interventi normativi (D.L. “Carcere Sicuro”) principalmente in materia di liberazione anticipata.
3. IL PROBELMA R.E.M.S.
Dopo questo approccio di ordine generale, l’attenzione della Commissione si è, quindi, concentrata proprio sul tema “R.E.M.S.”, nello sforzo di illuminarlo in tutta la sua attualità e gravità, onde giungere a contributi organizzativi e ordinamentali utili.
Si è preso atto, per le vie brevi, della tendenziale contrarietà del Ministero della Salute alla creazione di nuove REMS, giusta il principio “più contenitori ci sono, più vengono riempiti”; è stata posta, poi, in luce la questione di come dette strutture - a fronte di un titolo esecutivo – possano declinare l’internamento del soggetto sottoposto a misura di sicurezza detentiva, diversamente da quanto accade per il carcere in ipotesi di sovraffollamento e di quanto accadeva prima per gli OPG., senza con ciò ledere l’effettività della giurisdizione.
Si è puntualmente rilevato, da un lato, come la stima numerica del reale fabbisogno sia del tutto fuorviante e, dall’altro, come sia d’ostacolo ad un’“accoglienza indiscriminata” il profilo spiccatamente curativo e non anche contenitivo svolto delle Residenze in questione. Ha registrato, così, pieno consenso la necessità di un’adeguata e strutturale modifica normativa che, nel tener conto dei rilievi sollevati, si muova su due direttrici: la prima, di una generale e ragionata revisione del numero e dei posti all’interno delle REMS (inspiegabilmente assenti in Calabria e Umbria); la seconda, forse più pregnante, dell’aumento - a medio-lungo termine - dei centri di igiene mentale e delle strutture di accoglienza sul territorio.
Si è toccato anche il tema dell’adeguamento tecnico-scientifico delle perizie psichiatriche, per evitare, ad esempio, che in REMS finiscano soggetti affetti da psicopatie irrecuperabili (e perciò non curabili) ovvero, all’opposto, soggetti che ben potrebbero essere destinatari di un misura non detentiva da svolgersi sul territorio; ed ancora, si è parlato di concorsi ad hoc per i medici destinati alle REMS, al fine di superare le diserzioni attuali; del monitoraggio continuo delle strutture di internamento, anche al fine di verificare quante siano effettivamente le licenze di esperimento finale da esse proposte; di internamenti risalenti addirittura al 2019 e non ancora eseguiti; di “fermo biologico” della misura dell’internamento fino a quando non vi sia capienza in una struttura e della possibilità di sostituirla con la libertà vigilata in strutture territoriali acconce; della possibilità di rivalutazione “motu proprio” dell’internamento da parte del Magistrato di Sorveglianza, in ragione del tempo trascorso; del rischio di un possibile atteggiamento conservativo dei sanitari che, per comodità di gestione, potrebbero indugiare nel trattenere nelle strutture soggetti concretamente non più pericolosi; della necessità di monitorare continuamente i soggetti in lista di attesa, magari per il tramite dei servizi territoriali, così da avere dati utili, in tempo reale, ai fini della loro rivalutazione; infine, della necessità di un approccio “bifasico” alla valutazione dell’internamento provvisorio, pur con i limiti imposti dal segreto istruttorio.
Si è appreso, altresì, in parziale controtendenza con quanto anzidetto, che al Tavolo Tecnico istituito presso il Ministero della Salute è emersa una certa disponibilità ad aumentare del 20% la capienza delle REMS, pur evidenziandosi l’eccessivo uso della misura in questione (apprezzato intorno al 30%); l’eccedenza andrebbe, invece, risolta per il tramite dei Servizi Territoriali. Si sono poi ipotizzate, sempre in quella sede: la costituzione di tre strutture di Alta Sicurezza distribuite tra nord, centro e sud, destinate ciascuna ad accogliere 20 soggetti circa, per così dire, “inemendabili”, in cui prevalga l’aspetto “custodiale” su quello curativo, da affidarsi alla Polizia Penitenziaria, anche al fine di assicurare una migliore funzionalità e regolarità delle REMS ordinarie; la possibilità di predisporre “linee-guida” in tema di internamento a fini deflattivi e di istituire un albo speciale di professionisti che possano interfacciarsi anche con i Servizi Territoriali; la necessità di creare una cabina di regia c/o il DAP, che si interfacci continuamente con i P.U.R. (Punti Unici Regionali) incaricati di segnalare le strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
Infine, si è registrato apprezzamento per talune conclusioni contenute nel rapporto AGENAS 2021 (documento 4.6.2021), in particolare: la necessità di un aumento complessivo e strutturale dell’offerta psichiatrica per i soggetti sottoposti a misure di sicurezza detentive e non, con generale rafforzamento dell’offerta complessiva destinata ai pazienti autori di reato ed affetti da vizio totale o parziale di mente, onde ricondurre l’internamento ad extrema ratio, cui va garantita l’effettività; l’esigenza di un coordinamento strutturato tra periti e consulenti tecnici dell’autorità giudiziaria, da un lato, ed i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) territorialmente competenti, dall’altro; la previsione di una rivalutazione periodica della pericolosità sociale dei soggetti in lista di attesa per l’ingresso in una REMS, tendenzialmente a sei mesi dall’adozione della misura qualora non si stata ancora attuata; l’organizzazione di momenti di formazione comune tra magistrati, sanitari specializzati nel trattamento di pazienti psichiatrici autori di reato ed esperti in psichiatria forense; la complessiva revisione dell’impianto normativo vigente laddove non adeguato all’avvenuto superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Ferma, dunque, la necessità di implementare i posti disponibili presso le R.E.M.S. (700 circa sarebbero i soggetti in lista di attesa, di cui 45 detenuti “sine titulo”) ed, ancor prima, di individuare un meccanismo che consenta una precisa stima numerica del reale fabbisogno di posti (1.200-1.400 sarebbe il fabbisogno stimato, secondo un dato oramai tendenzialmente stabile), occorre guardare anche ai possibili percorsi di assistenza psichiatrica alternativi sul territorio, anche alla luce della novella legislativa introdotta dal D.L. “Carcere Sicuro”, conv. L. n. 112/2024; difatti, dopo l’art. 658 c.p.p., è stato inserito l’art. 658bis c.p.p. secondo cui, nell’ipotesi in cui debba essere applicata la misura di sicurezza dell’internamento in Rems (art. 215 2° c. nn. 2 e 3), il P.M. presso il Giudice indicato all’art. 665 c.p.p. chiede senza ritardo (e comunque entro 5 giorni) al magistrato di sorveglianza competente la fissazione dell’udienza per procedere agli accertamenti di cui all’art. 679 c.p.p., norma a sua volta novellata mediante l’inserimento del c. 1 bis, secondo cui fino alla decisione del m.d.s. permane la misura di sicurezza provvisoria applicata ex art. 312 c.p.p. e il tempo corrispondente è computato a tutti gli effetti e, nelle more della decisione, la misura di sicurezza provvisoria può essere disposta con ordinanza dal m.d.s. competente.
Dunque, si tratta di un congegno che grava procure e magistratura di sorveglianza di una serie di adempimenti urgenti che, tuttavia, si scontrano ad una prova dei fatti, non solo con il problema REMS, ma anche con la rete territoriale in genere, essendo prevista in astratto la possibilità che già in quella fase (ossia prima dell’accertamento della pericolosità sociale ex art. 679 c.p.p.) il magistrato di sorveglianza disponga una misura gradata, quale ad es. la libertà vigilata all’interno di apposita struttura individua dai servizi territoriali.
E qui entra in gioco il ruolo dei DSM e del sistema complessivo della sanità pubblica, anche alla luce delle modifiche legislative succedutesi nel tempo, che, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 22 del 2022), hanno lasciato numerosi punti irrisolti; difatti, la legge n. 81/2014 presenta una notevole fragilità, sia di impianto normativo, poggiando unicamente sul D.L 211 del 2011, sia di incompletezza riguardo al ruolo mancante della Giustizia nella organizzazione delle REMS, così come sottolineato dalla stessa della Corte costituzionale (set. citata) che, ponendo al centro della riflessione «l’esigenza, ai sensi dell’art. 110 Cost., di assicurare una esplicita base normativa allo stabile coinvolgimento del Ministero della giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario, anche in vista dell’eventuale potenziamento quantitativo delle strutture esistenti o degli strumenti alternativi», introduce scenari nuovi, in quanto demanda al legislatore il compito di assicurare «la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati rispetto alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività (e dunque dei diritti fondamentali delle potenziali vittime dei fatti di reato che potrebbero essere commessi dai destinatari delle misure)».
In questa prospettiva, dunque, il sistema dovrebbe trovare il suo punto di equilibrio nell’attribuzione al Ministero della Giustizia, per il tramite del DAP, di un “ruolo di chiusura”, non solo del sistema amministrativo di assegnazione degli interessati alle REMS, ma anche del meccanismo di individuazione di percorsi alternativi per i pazienti autori di reato; sappiano, invece, che ad anni di distanza dal passaggio della sanità penitenziaria alle ASL (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2008) e dalla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Legge 30 maggio 2014, n.81), a tutt’oggi il nostro paese vive una situazione di estrema difficoltà per la salute mentale, sia dei soggetti detenuti (rei folli), che di quelli non imputabili (folli rei).
I dati forniti dal Collegio Nazionale dei DSM nel documento programmatico sulla giustizia presentato il mese scorso, attestano che circa il 10-15% della popolazione detenuta in Italia risulta affetta da disturbo mentale grave, ossia 6.000-9.000 detenuti circa, su una popolazione complessiva di oltre 60.000. Sappiamo che con la riforma della Sanità Penitenziaria (DPCM 1° aprile 2008) e quella successiva per il superamento degli OPG (Legge 30 maggio 2014 n.81), per le due categorie rappresentate dai "folli rei" e dai "rei folli" sono stati definiti percorsi trattamentali e giuridici profondamente differenziati; difatti, a differenza di questi ultimi, che entrano nel circuito penitenziario, per cui la garanzia della cura viene assicurata all’interno dei circuiti detentivi o ricorrendo a misure alternative (la giurisprudenza costituzionale, con sentenza n. 99 del 2019, ha aperto alla possibilità di accedere a misure alternative per garantire anche ai soggetti con disturbo mentale eventuali trattamenti esterni, così come previsto per i soggetti con gravi patologie fisiche), i "folli rei" sono di fatto affidati alla sanità territoriale, spesso a detrimento delle funzioni di cura di pazienti psichiatrici non autori di reato, ed anche con evidenti problematiche sotto il profilo prettamente custodiale, che viene di fatto demandato Servizio Sanitario Nazionale. A tal riguardo, la Conferenza Unificata del 26 febbraio 2015, ha definito le linee attuative del D.M. 1° ottobre 2012 per il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, specificando (art. 6) che i servizi di sicurezza e vigilanza perimetrale delle strutture sanitarie sono attivati sulla base di specifici accordi con le Prefetture, anche sulla scorta delle informazioni contenute nel fascicolo dell'internato; sul piano della sicurezza interna, invece, le strutture sono chiamate a dotarsi di sistemi congrui, ma coerenti alla dimensione sanitaria della residenza, e le relative scelte organizzative sono demandate al Responsabile sanitario.
Quanto ai "rei folli”, invece, la riforma del 2014 ha previsto che essi, in quanto “imputabili”, espiino la pena in carcere in sezioni specialistiche dedicate ai disturbi mentali (c.d. ATSM) individuate dalla Conferenza Unificata del 22 gennaio 2015 (Accordo ai sensi dell'art.9, comma 2 lett. C del D.L. 28/8/1997, n. 281 sul documento "Linee guida in materia di modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti; implementazione delle reti sanitarie regionali e nazionali"). Ad oggi, nonostante la presenza di un numero sempre maggiore di persone affette da disturbo mentale (molte anche in comorbilità con disturbo da uso di sostanze), le sezioni “dedicate” non riescono assolutamente a rispondere in maniera adeguata alle esigenze di cura di questa popolazione, atteso che sono presenti in 33 istituti penitenziari (per un totale di 320 posti circa), che corrispondono orientativamente allo 0,5% della popolazione detenuta, a fronte di una presenza di persone con disturbo mentale grave in carcere stimata nel 10-15%; ne consegue che, se pur destinati all’ATSM, i detenuti “psichiatrici” finiscono per essere spesso allocati nelle sezioni comuni degli istituti ove sono presenti tali reparti, in totale promiscuità con la restante popolazione.
Inoltre, per le misure di sicurezza non detentive, che ben potrebbero -anzi, dovrebbero- essere valorizzate quale percorso alternativo al ricovero in REMS (istituto di cui spesso è stato denunciato l’utilizzo improprio, per il frequente “abuso” del ricorso alla non imputabilità anche per categorie diagnostiche che non la determinano, quali i disturbi della personalità), il trattamento viene realizzato unicamente in circuiti ordinari della salute mentale (ambulatoriali, semi-residenziali, residenziali), con una sovrapposizione dei piani del controllo e della cura non sempre adeguatamente gestibile ed elementi “costrittivi” che spesso inibiscono la libera scelta del paziente e la capacità di cura della equipe terapeutica.
SINTESI DELLE AUDIZIONI
La Commissione -come detto- ha provato a cercare un punto di equilibrio e di incontro tra le diverse esigenze rappresentate dai vari protagonisti dell’esperienza in esame, optando per il metodo della collaborazione che - a legislazione invariata - impegni gli stessi ad attuare strategie comuni e prassi utili a risolvere o, quantomeno, attenuare le criticità emerse.
Di qui la scelta di dare corso ad audizioni - tenutesi presso il Consiglio Superiore della Magistratura il 7 maggio e il 18 giugno 2024 - dei rappresentanti del DAP per il Ministero della Giustizia e del Ministero della Salute.
4.1. Dipartimento Amministrazione Penitenziaria
La seduta del 7.5.2024 è stata interamente dedicata all’audizione del dott. Giovanni Russo, Capo del DAP, onde ricevere ragguagli sulle elaborazioni sul tema REMS, alla luce delle interlocuzioni in corso tra Ministero, Sanità e DAP stesso. E’ emersa, anzitutto, la difficoltà del DAP ad ottenere dati aggiornati sulla capienza concreta delle strutture (attualmente 30), ai fini delle relative allocazioni. In breve, si è appreso che le Regioni non comunicano al DAP/MINISTERO “la totale o parziale occupazione dei posti letto”, non solo perché dato “riservato” al settore sanitario, ma anche perché non decisivo ai fini dell’utilizzabilità dell’eventuale posto libero, in quanto per ogni posto-letto occorre assicurare la corretta proporzione con il personale sanitario in forze (infermieri specializzati/ psichiatri/tecnici della riabilitazione etc.).
Tale dato introduce nella riflessione consiliare un elemento di indubbio rilievo, forse sin qui non adeguatamente considerato, ossia la “relativa” importanza del mero aumento dei posti, ove non accompagnato dagli indispensabili corollari logistici.
Il Dott. Russo, nel descrivere gli attuali moduli REMS (diffusi, ossia composti da piccole strutture con 2-4 posti letto; standard, con un massimo di 20 posti letto; polimodulari, ad es. Castiglione delle Stiviere, con pluralità di moduli da 20 posti letto ciascuno) ha ribadito, anche alla luce dell’avanzatissima esperienza trattamentale giordana, l’esigenza che, tanto il soggetto incapace di intendere/volere, quanto il detenuto psichiatrico siano “curati”, anziché “puniti”. Si è soffermato, poi, sulla tendenziale volontà del Ministero della Sanità di non farsi più carico di circa 180 soggetti psichiatrici sottoposti a misura di sicurezza detentiva, asseritamente incurabili, optando per il loro reinserimento nel circuito penitenziario.
Il Capo del DAP ha riferito dell’esistenza di un ufficio, in seno al DAP, a cui sono preposti 1 dirigente e 10 addetti, chiamato ogni giorno a compulsare le 30 REMS che insistono su tutto il territorio nazionale per verificare la disponibilità di posti per i c.d detenuti “sine titulo” (36 alla data del 7 maggio u.s.) che, avendo espiato la pena e dovendo essere sottoposti ad una misura di sicurezza, sono trattenuti in carcere; ai 36 “sine titulo”, si aggiungono poi i 677 c.d “liberi in attesa di internamento” (ma già destinatari di misura di sicurezza detentiva), dato questo che si pone in netto contrasto con i moniti della Corte Costituzionale, trattandosi di soggetti altamente pericolosi. Si apprende, altresì, che le liste d’attesa sono gestite dal sistema sanitario, solo da poco in coordinamento con il DAP.
Il Capo del DAP ha riferito altresì che, nonostante l’intervento della Corte Costituzionale risalente al 2022, non si sono registrati miglioramenti nel flusso di informazioni tra DAP e Sanità regionale; il DAP ha provato anche a ricorrere ai buoni uffici di AGENAS, affinché, come trustee, facesse da tramite con le strutture sanitare regionali, senza però ottenere risposta (il Dott. Russo ha parlato, eloquentemente, di “inespugnabilità del sistema sanitario”).
In assenza di poteri direttivi statali in materia (il Ministero della Giustizia può svolgere solo moral suasion), si stanno quindi elaborando - in seno alla Conferenza Stato-Regioni - alcune linee guida volte ad inquadrare l’autonomia regionale in questo ambito. Quanto all’istituzione di una cabina nazionale di esperti che valutino il reale bisogno dell’internamento in REMS ed al c.d doppio binario (integrazione dell’offerta curativa destinata al reo folle mediante il coordinamento con i servizi territoriali), il dott. Russo ha mostrato un certo scetticismo: a fronte di un fabbisogno di circa 1.400 posti letto, egli ritiene che, anche ad ammettere - per questa via - una scrematura del 25 % del fabbisogno complessivo, la scopertura resterebbe comunque enorme. Vede, dunque, con maggior favore la possibilità - in sede esecutiva - di un organismo centrale (validato dal Ministero, dalla Società Italiana di Psichiatria, etc.), che possa dare solidità e fondamento alla scelta, da parte del Magistrato di Sorveglianza, circa la misura da adottare e la struttura di accoglienza più idonea.
Accanto a ciò, viene vista con favore l’idea di realizzare un saldo collegamento tra le misure applicate e le varie realtà territoriali, nella prospettiva di un’inclusività (familiare e affettiva) dei soggetti ad esse sottoposti; egli ha anche apprezzato la possibilità che sia affidata al giudice della cognizione, dopo il giudicato, la diretta rivalutazione motu proprio del soggetto posto in misura, demandandone l’esame medico-legale ad un corpo centrale di esperti, anche ai fini della segmentazione delle REMS in varie tipologie, secondo quanto predicato dalla Corte Costituzionale. In questa fase egli auspica che vi sia il parere obbligatorio del PG/PM “…perchè è importante sentire anche la valutazione di chi ha sostenuto l’accusa, di chi può avere altri elementi di conoscenza collegati a fatti investigativi, etc.”.
Nel corso dell’audizione si è dato conto dell’esistenza di best practices, finalizzate ad attenuare la pericolosità dei c.d. liberi in attesa, ad es. attraverso il ricorso temporaneo alla libertà vigilata con prescrizioni “ben costruite”. Il dott. RUSSO, a questo riguardo ha ricordato la positiva esperienza veneta della detenzione domiciliare/libertà vigilata presso una casa di cura specializzata, quale rimedio alla mancanza di posti in REMS, secondo un modello che meriterebbe di essere validato a livello nazionale, mediante la creazione di strutture analoghe capaci di accogliere circa 10 persone per Regione, al costo di euro 100-150 pro die.
E’, altresì, emersa l’idea di una norma che imponga di procedere al riesame del “libero in attesa” decorso un certo tempo dalla definitività della misura applicatagli, come pure l’istituzione di un albo specializzato di psichiatri cui affidare, secondo le parole del Dott. Russo, una “super-consulenza”, volta a verificare l’effettiva necessità dell’internamento ovvero, la praticabilità di una diversa misura sanitaria idonea a garantire comunque la sicurezza; il tutto nella prospettiva di favorire forme di accoglienze diversificate.
Questi ha proposto che il riesame della pericolosità sociale avvenga dopo un anno dalla data di emissione del provvedimento, anche per le ipotesi di REMS già in esecuzione, mediante ricorso alla predetta super-commissione, onde evitare il rischio di una rilettura della misura in termini di ”ciclica amnistia di fatto” da parte della Sanità regionale; ha poi sollecitato l’intervento proattivo del CSM - mediante audizione del Ministero della Sanità - affinché si prenda definitivamente atto dell'attuale frammentazione del quadro normativo sotteso alla “gestione” delle misure di sicurezza (gestione sin qui concepita come una sorta di potere diffuso e concorrente su base nazionale e locale) e di come la stessa paralizzi -o comunque renda estremamente difficoltosa- la concreta attuazione delle misure stesse.
Nella prospettiva del DAP, tanto consentirebbe alla Corte Costituzionale, chiamata a breve a rivalutare la materia, di spingere il legislatore verso scelte più nette e maggiormente centralizzate; se l’attività consultiva del Consiglio Superiore della Magistratura riuscisse a fare da propulsore -riferisce il Dott. Russo- troverebbe solida sponda nel Ministero della giustizia.
4.2. Ministero della Salute e Ministero della Giustizia
Il 18 giugno 2024 ha fatto seguito l’audizione dei rappresentanti del Ministero della salute, nelle persone del dott. Marco Mattei, Capo di Gabinetto di quel Dicastero, del Prof. Siracusano e del Dott. Nicolo, rispettivamente Presidente e del Vicepresidente del Tavolo Tecnico sulla salute Mentale ivi costituito, e del Vicecapo di Gabinetto, cons. Ferrari.
L’audizione ed il confronto hanno confermato le note problematiche che affliggono le REMS: anzitutto l’inadeguatezza del numero dei posti-letto rispetto al fabbisogno realistico, individuato in 1.200 posti [1], aggravata peraltro da quello che viene descritto come un eccessivo ricorso alla misura detentiva; poi: lunghe liste d’attesa; criticità e ineffettività curativa dell’internamento nei casi di schietto disturbo della personalità; carenza di personale e generale diserzione dai relativi reclutamenti [2]; gravi criticità nelle garanzie di sicurezza per il personale (medico e non) ivi operante, posto che la pericolosità non viene meno per effetto del semplice ingresso del paziente in struttura. Detta analisi fattuale è stata ampiamente condivisa dagli esperti auditi, i quali ne hanno riconosciuta la centralità, rispetto ad ogni progetto di riforma.
Nel corso dell’incontro, è emersa una visione del fenomeno -per come elaborata del Ministero della Salute- tale per cui, ribadita l’extrema ratio del ricorso alla REMS, essa deve collocarsi in un più ampio, articolato e capiente sistema di servizi, che possa farsi carico del reo “folle”.
IL Dott. Giuseppe Nicolò ha prospettato l’istituzione di tre centri, inevitabilmente sottratti al principio di territorialità (nord, centro, sud), ciascuno con 80 posti, di cui almeno 4-5 per le donne[3], denominati UVAP, la cui sicurezza interna andrà affidata alla polizia penitenziaria[4], e destinati ad operare - su invio del magistrato [5]- come una sorta di “cabina di regia” ai fini della valutazione assistenziale e prognostica del soggetto, in relazione alla misura adottanda ( “Significa che il magistrato ha a disposizione, in breve tempo, un’unità in cui mandare il soggetto che viene ritenuto affetto da un qualche disturbo. In questa unità ci deve essere per forza la polizia penitenziaria perché deve essere ad alta sicurezza. Questa unità può dare solo suggerimenti al magistrato e al perito, quindi, non si sostituisce al perito, perché se curiamo una persona non possiamo fare i periti della stessa…”; si tratterebbe di “…un sistema che comunica bene con magistrato e perito. L'unità di valutazione di assessment e di prognosi, riferisce nel più breve tempo possibile al magistrato…” sulla necessità o meno della REMS).
Il Dott. Nicolò ha, quindi, introdotto il delicato tema dei c.d. antisociali soggetti afflitti da disturbi di personalità che non necessitano di presa in carico dai parte dei servizi sanitari, quanto piuttosto di contenimento; a tal proposito ha ricordato come “per gli antisociali tutta la letteratura dice che spendere soldi sanitari sono soldi buttati perché, fondamentalmente, hanno bisogno più di contenimento che di cura. Quindi, noi abbiamo immaginato dei luoghi, ove questi fossero ritenuti non imputabili o semi-infermi, che siano all'interno di strutture forti, probabilmente delle carceri, che abbiamo chiamato “strutture giudiziarie per l'esecuzione delle misure di sicurezza”. C'è una proposta che abbiamo rispolverato, fatta da Carlo Nordio, quando non era ancora ministro, che prevedeva per l'art.89 c.p. non il riconoscimento della semi-infermità ma l'attenuazione della pena. Comunque, il soggetto andava in carcere. Non è una cosa che abbiamo preso in considerazione perché lavorare sul codice è lavoro vostro, noi lavoriamo sugli aspetti sanitari, però noi pensiamo che queste persone, come succede in tutto il mondo, se vanno in una struttura del carcere, che può essere una sorta di comunità terapeutica ultra-protetta, in cui noi garantiamo come Dipartimento di salute mentale quel po' di assistenza sanitaria che necessita, risolviamo veramente grossi problemi e l'altra cosa che succede è che diminuiranno moltissimo le richieste di questi soggetti di infermità e di seminfermità perché sanno che andranno comunque in carcere.”
Dato il lamentato “abuso” del ricorso alla misura do sicurezza detentiva, si è poi affrontato il tema della formazione specifica dei periti medico-legali. Il Prof. Siracusano, Coordinatore del Tavolo tecnico sulla salute mentale, ha precisato, al riguardo, come “…una delle idee che noi abbiamo proposto è che seguissero tutti delle linee guida, così da rispondere alla stessa maniera; …omissis - abbiamo proposto proprio l'altro giorno al Capo di Gabinetto e anche al Ministro il fatto di cercare di costituire un corso fatto da Giustizia e Salute proprio su questo aspetto della perizia. Un corso ufficiale, che va studiato, perché il problema è proprio culturale”.
E’ stato quindi trattato anche il tema della c.d. filiera virtuosa, volta ad individuare con “appropriatezza” il trattamento da riservare al reo “folle”, sia esso detenuto o meno; è parere condiviso che di detta filiera, di cui le UVAP dovrebbero costituire un’articolazione centrale, debba far parte anche il giudice della cognizione, non potendo detta complessa tematica essere riservata alla sola magistratura di sorveglianza. Si è, quindi, ipotizzata la possibilità di elaborare “linee guida”, accanto alla nomina di consulenti appropriati già nella fase della cognizione, anche mediante la creazione di “… una banca dati incrociata con i dati … dei detenuti, dei detenuti malati di mente e dei vari gradi, insomma una banca dati che contenga tutte le informazioni, accessibile a tutti i protagonisti del sistema” (così la dott.ssa Ferrari, Vice Capo di Gabinetto Ministero della Salute)
Sempre in questa prospettiva, per così dire, “virtuosa”, si è posto l’accento sui DSM (Dipartimenti di Salute Mentale) ed è stata segnalata la necessità di studiare modalità per renderli più omogenei, mediante la elaborazione di linee guida che - con riferimento, in senso lato, al reo folle – suggeriscano indicazioni trattamentali omogenee ed efficaci, possibilmente non condizionate dalla situazione organizzativa locale. A tal riguardo, il dott. Nicolò’, Direttore di DSM – ha precisato che” …per l’applicazione della 22/2022 ci vuole qualcos’altro. Se il giudice (n.d.r. Costituzionale) ha detto che la REMS è una struttura che deve avere una conduzione prevalente giudiziaria…, omissis, tecnicamente noi dovremmo avere un organismo che coordini il sistema e che superi l'attuale frammentazione; questo, però, se non ho la filiera, veramente non ce la faccio. Vi garantisco che al mio cellulare, nel primo anno di REMS, tutte le notti c'era un giudice che mi minacciava di arrestarmi perché avevano l'abitudine di fermare la persona e portarla in OPG e io dicevo: “Guardi che non funziona così, non abbiamo il posto”, perché non potevamo fare soprannumero. Questa era la situazione. Adesso la collaborazione è a 360 gradi, però ci sono anche alcuni dipartimenti che non hanno più personale e hanno difficoltà poi a collocare le persone”
LE PROPOSTE
In estrema sintesi, anche alla luce di quanto emerso dal confronto “indiretto” tra Ministero della Giustizia e Ministero della Salute in esito alle disposte audizioni, le esigenze prioritarie che sembrano profilarsi attengono essenzialmente a:
la gestione delle R.E.M.S., in leale cooperazione con le restanti figure istituzionali
via via coinvolte secondo le indicazione della Corte Costituzionale sentenza n. 22/2022
[1] Così Giuseppe Nicolo: “Storicamente in Italia abbiamo avuto un'oscillazione tra 1.260 e 1.360 posti come indice di prevalenza negli OPG. Abbiamo avuto 600 posti letto in OPG prima dell'abolizione dei manicomi. Dopo l'abolizione dei manicomi, per ovvie ragioni, perché i manicomi, ovviamente, contenevano molto di più di quanto può contenere un territorio, fondamentalmente il numero di posti letto è stato stabilmente in Italia sui 1.200 posti letto. Quindi, l'esigenza è un indicatore di prevalenza e si è mantenuto costante. Secondo me, non si può comprimere con una legge, cioè non si può dire che ne dobbiamo avere di meno. Questa è più o meno l'esigenza rappresentata.”
[2] “nell'ultimo concorso su 120 persone, a 80 persone è stata proposta o la REMS o niente e 80 persone hanno rifiutato “: così, ancora, il Dott. Giuseppe Nicolo, in audizione.
[3] Così ancora il dott. Nicolò: “L’UVAP non ce la facciamo a farla territoriale. Il Friuli non ha le REMS, l’Umbria non ha le REMS, la Sicilia ne ha una sola con 250 persone in lista d’attesa e sarei curioso di sapere chi sono perché sono un po’ tante. La Calabria ha una sola REMS. La Regione Liguria, per esempio, ospita quelli che non trovano posto in altre regioni”.
[4] Riferisce il dott. Nicolò: “Il maggior costo delle REMS in Italia, in questo momento, non è il personale, è la vigilanza. Io spendo più di vigilanza che di personale. Spendo un milione e mezzo di vigilanza e 900 mila euro di personale. Ho copiato dal sistema più avanzato che c'è al mondo, che è quello dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Madison in Canada, e registriamo tutti i giorni gli atti violenti di ogni persona in modo che al magistrato quando ce lo chiede, non diamo una valutazione medico-legale, diamo il numero di atti violenti. Noi abbiamo avuto in nove anni, quattordici atti che hanno costituito pericolo di vita per gli operatori. Sono tanti. Io penso che non sia accettabile per un professionista andare a lavorare a rischio. Non si verifica sempre, ma quando si verifica le assicuro che ci sono persone che smettono di venire a lavorare da noi.”
[5] G. NICOLO’ “Nella fase di cognizione il magistrato deve capire se il soggetto è capace o incapace, quindi può mandarlo in UVAP, predisporre la perizia anche successivamente all'invio in UVAP o poco prima, lo deciderà il magistrato nella sua assoluta autonomia. L'UVAP dice al magistrato: “Questo è un paziente che…”. Ad esempio, noi stiamo seguendo un ragazzo di 18 anni, che sta veramente benissimo, che ha decapitato la madre; è stato un anno in carcere perché non c'era posto in REMS. Pericolosissimo, gravemente schizofrenico, ma è un ragazzo malato, non è un delinquente, è un poveretto che era convinto che la madre fosse il demonio e l'ha decapitata. Una cosa drammatica, terrificante, però quel ragazzo ha necessità delle nostre cure. Non chiedo né polizia penitenziaria né altro, chiedo soltanto di poterlo curare e lo curiamo bene in REMS perché, se curato non è un soggetto pericoloso. Valuto questo soggetto nell'UVAP e capisco che è un paziente psichiatrico grave: va direttamente in REMS. Quindi contatto la REMS di riferimento territoriale, però avendo introdotto 240 posti, avendo aumentato l'appropriatezza, noi ci aspettiamo che i numeri inizino a diventare gestibili perché il problema vero è aumentare l'appropriatezza.”
I progetti realizzati nel PON governance da università ed uffici giudiziari: un primo bilancio.
Inizio di una nuova prospettiva o episodio isolato e già dimenticato
PARTE PRIMA
di Claudio Castelli
Sommario: 1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei. 2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali. 2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN). 2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze. 3. Pesatura del fascicolo. 3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli. 3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane. 4. Applicazioni di intelligenza artificiale. 4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione. 4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze. 4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder. 4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia.
1. Il Progetto ministeriale finanziato con fondi europei.
Il PNRR per la giustizia ha proposto un vero e proprio pacchetto multisettoriale di interventi con obiettivi ambiziosissimi, ovvero il taglio dei tempi dei processi e l’eliminazione dell’arretrato nelle pendenze civili, vera e propria zavorra che ha rallentato il funzionamento della giustizia per anni. Da un lato sono state adottate nel 2021 riforme processuali ed ordinamentali (a dire il vero ben poco efficaci sotto il profilo dell’efficienza ed in alcuni casi controproducenti), dall’altro è stato costruito a partire dal febbraio 2021 l’Ufficio per il processo con l’assunzione in due tranche di 16500 giovani laureati per dare supporto alla giurisdizione. Ciò è stato accompagnato dal “Progetto unitario sulla diffusione dell’ufficio per il processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato” finanziato da fondi europei per le politiche di coesione (il PON Governance e Capacità Istituzionale 2014 – 2020) che ha coinvolto tutte le Università pubbliche italiane.[1]
Sono state individuate sei macroaree territoriali e ad esse, a seguito di un avviso pubblico, sono stati assegnati i fondi. Gli obiettivi del progetto, come recita lo stesso sito ministeriale, erano “favorire la diffusione dell’Ufficio per il Processo, sperimentare modelli innovativi utili allo smaltimento dell'arretrato e a prevenirne la formazione, consolidare il rapporto università-uffici per il processo per migliorare l'offerta formativa attraverso l'eccellenza universitaria”.
All’avviso pubblico hanno partecipato tutte le Università pubbliche italiane consorziate tra di loro nelle varie macroaree che, in collaborazione con gli uffici giudiziari del loro territorio, hanno supportato il cambiamento imposto dall’Ufficio per il processo, hanno aiutato quanto ai modelli organizzativi e hanno ideato strumenti di supporto digitale.
Non vi è dubbio che il progetto a livello nazionale ha scontato molti limiti. Innanzitutto una scarsa preparazione derivante dagli stessi tempi compressi dell’avviso pubblico e dell’aggiudicazione ed il tempo limitato del progetto contenuto in diciotto mesi dal marzo 2022 al settembre 2023. La stessa gestione da parte del Ministero della giustizia, pure promotore del progetto, ha evidenziato diversi aspetti critici. In primo luogo l’assenza di un coordinamento nazionale, essenziale per scambiarsi informazioni sui progetti in atto, evitare sovrapposizioni, creare collegamenti e scambi e confrontarsi sulle iniziative messe in campo. In secondo luogo l’assenza di rapporti e di un collegamento con la struttura informatica ministeriale (la DGSIA), in un quadro in cui il Ministero della Giustizia, monopolista dell’informatica giudiziaria, avrebbe dovuto assicurare la presenza e la collaborazione, indispensabile per lo sviluppo di progetti che inevitabilmente comportavano l’adozione di progetti informatici.
La divisione in sei macroaree, e poi l’affiancamento Ufficio – singola Università ha fatto sì di incoraggiare tante piccole monadi non comunicanti o scarsamente comunicanti, con progetti (anche di grandissimo interesse) resi noti solo alla fine del piano senza possibilità di interazioni e collaborazioni.
La pubblicazione sul sito del Ministero (https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/upp_progetto_innovazione_mappa) della mappa dei progetti elaborati e l’evento di presentazione degli stessi tenutosi il 6 novembre 2024 a Roma hanno consentito di avere un quadro generale delle realizzazioni e proposte di Università e Uffici giudiziari e consentono di prendere in esame e riproporre quelli, almeno in apparenza, più interessanti.
Va premesso che quanto verrà descritto in seguito riguarda solo alcuni dei progetti contenuti nelle sezioni relative agli “Strumenti di supporto digitale” e agli “Eventi”, non occupandosi invece delle sezioni relative alla formazione e ai modelli organizzativi. Queste ultime sono sezioni che contengono idee e realizzazioni di grande interesse per i singoli uffici, ma difficilmente rielaborabili per il futuro e esportabili. La prospettiva attuale difatti non può essere che quella di raccogliere e dare idee per diffondere e generalizzare i progetti più adatti, nella convinzione che molti di questi potrebbero essere estremamente preziosi per risparmiare lavoro a basso valore aggiunto, per digitalizzare i servizi e per programmare e monitorare adeguatamente il lavoro da parte dei singoli e dell’ufficio.
La scelta operata è inevitabilmente soggettiva e mi scuso sin da ora se, erroneamente, non prenderò in esame progetti che potrebbero avere sviluppi di grande interesse. Devo premettere che ho escluso tutti i progetti aventi come oggetto “Raccolta di indirizzi giurisprudenziali ed alimentazione banca dati di merito” in quanto la realizzazione della Banca Dati Giurisprudenza di Merito da parte del Ministero a fine 2023 ha in larga parte superato le elaborazioni compiute. Si tratta di decine di progetti che avevano avuto ad oggetto sia le modalità di raccolta e classificazione dei provvedimenti, sia la loro anonimizzazione o pseudoanonimizzazione. Da un lato è davvero assurda la sovrapposizione creata tra le varie macroaree e un Ministero che ha lavorato per conto suo senza fornire alcuna informazione, trasparenza e confronto di idee. Il risultato è stato di sprecare tempi e intelligenze. Dall’altro lato ancora oggi sarebbe probabilmente opportuno che il Ministero li prendesse in esame anche per superare i limiti e le critiche che hanno accompagnato la realizzazione della Banca Dati Giurisprudenziale, a partire dalla scarsa qualità della pseudoanonimizzazione per arrivare alle possibili applicazioni di Intelligenza Artificiale.
I progetti pilota individuati riguardano cinque grandi indirizzi che verranno separatamente presi in esame.
2. Assegnazione dei procedimenti e fissazione delle udienze con modalità digitali.
L’assegnazione dei procedimenti è un elemento essenziale in quanto concretizza il principio della precostituzione del giudice naturale e garantisce equità nella distribuzione dei procedimenti con fini di efficienza ed eguaglianza. È ovvio che algoritmi e intelligenza artificiale danno strumenti che consentono sistemi di assegnazione dei procedimenti sempre più raffinati e capaci di tener conto della tipologia e della qualità dei procedimenti e non solo della loro quantità.
D’altro canto la calendarizzazione dei processi è elemento cruciale nella gestione dei procedimenti: un calendario ben gestito evita ritardi e rinvii non necessari e consente alle parti di sapere i tempi del procedimento. Per impostare un buon calendario è poi necessario conoscere il contesto in cui si opera, oltre che la complessità e il numero dei procedimenti.
2.1 Politecnico e Tribunale di Milano: assegnazione all’ufficio GIP (sistema ASPEN)[2]
Il progetto del Politecnico e del Tribunale di Milano propone di rivedere, modernizzare e rendere più flessibile il sistema automatico di assegnazione Aspen che presidia sulla base di algoritmi le assegnazioni all’ufficio GIP – GUP di Milano (ma anche in altre città) sulla base di canestri relativi ai diversi tipi di provvedimenti richiesti dalla Procura (intercettazioni, misure cautelari, proroghe indagini etc.) con una limitata pesatura dei procedimenti (principalmente relativa a numero di imputati e di imputazioni).
La proposta comporta parallelamente interventi organizzativi ed interventi tecnici. Da un lato individuare una “classe di peso” dei fascicoli sulla cui base procedere ad assegnarli e unificare la gestione dei ruoli GIP e GUP, oggi separata. Dall’altro garantire integrazione e interoperabilità tra il sistema e il SICP, consentire una suddivisione dei magistrati in sezioni sulla base delle “materie” di loro competenza ed infine migliorare la flessibilità e la configurabilità del sistema in modo da poterlo adattare in funzione delle esigenze organizzative.
2.2 Università degli Studi e Tribunale di Catania: algoritmo di calendarizzazione automatica delle prime udienze [3]
La prospettazione qui avanzata riprende e implementa l’idea alla base del progetto Themis (agenda A-Lex, basata sull’idea della gestione sequenziale dei processi) e punta sullo sviluppo di un sistema informatico denominato “Agenda del giudice”, attraverso il quale il giudice, dopo aver definito, per ciascun fascicolo del suo ruolo, un livello di difficoltà presunto e la sua targatura, intesa come data dell’iscrizione a ruolo, può programmare l’udienza di precisazione delle conclusioni dei fascicoli pendenti, aggiornando la sua agenda al sopraggiungere di nuovi fascicoli.
Sono già noti e studiati da tempo i benefici dovuti all’attuazione di una gestione sequenziale dei fascicoli, in cui le udienze vengono programmate una dopo l'altra secondo l’ordine di iscrizione e la priorità assegnata ai processi.
Questo sistema informatico concretizza la gestione sequenziale. Prevede una previa classificazione e pesatura dei fascicoli sulla base di criteri di tipologie e di difficoltà prestabiliti, quindi fornisce al giudice una chiara visione complessiva di tutti i processi e gli consente di pianificare all’interno dell’agenda le date di udienza di precisazione delle conclusioni dei fascicoli pendenti e dei nuovi fascicoli in ingresso sulla base dell’anzianità e della complessità dei fascicoli.
Lo strumento è costituito da quattro fogli elettronici denominati: input, udienze da programmare, conciliazioni da programmare e calendario. Sono state realizzate due tipologie di Agende, una per lo smaltimento dell’arretrato e la calendarizzazione delle nuove udienze in ingresso ed una per lo smaltimento dell'arretrato in un periodo di tempo stabilito.
3. Pesatura del fascicolo
La pesatura del fascicolo è uno snodo fondamentale per capire il reale carico di lavoro di un ufficio e di un singolo magistrato. Attualmente parliamo genericamente di sopravvenienze di affari, con un’ottica meramente numerica. Ottica che è l’unica oggettiva possibile oggi, ma è anche traditrice perché tutti sappiamo che i procedimenti hanno complessità diverse che derivano dalle materie, dal numero di domande o contestazioni, dagli incombenti istruttori, dalla non univocità della giurisprudenza. Si tratta di elementi che fanno sì che il valore reale di un procedimento possa essere 1 o 100. Ciò è già rilevante per quanto riguarda il carico di lavoro di un ufficio, anche se quando si opera sui grandi numeri è inevitabile un effetto di livellamento. Ma diventa essenziale per quanto concerne le assegnazioni al singolo magistrato che, a seconda del peso del procedimento, possono giungere ad essere prive di equità e giungere a livelli di inesigibilità, con effetti negativi sia per il magistrato assegnatario, sia per la resa sul servizio. Una reale pesatura del procedimento automatizzata sulla base di criteri oggettivi mutuati dall’esperienza potrebbe quindi avere un effetto positivo per garantire assegnazioni eque ed un servizio più efficiente
3.1 Politecnico e Corte di Appello di Milano: ponderazione dei fascicoli [4]
Si punta ad avere un controllo e un governo dei flussi in entrata, con equità nelle assegnazioni dei processi attraverso una distribuzione efficiente effettuata sulla base di valutazioni quali-quantitative sulla tipologia e complessità del procedimento.
Sulla base delle esperienze maturate in ambito giudiziario e delle tempistiche rilevate vengono individuati degli indici di difficoltà a partire dalla materia dell’affare, delle domande e/o contestazioni, delle richieste istruttorie, della pluralità e dimensioni degli atti.
Su questa base si procede con applicazioni di intelligenza artificiale che automatizzano sulla base dei dati di input l’attribuzione di un peso al fascicolo, con la possibilità di procedere automaticamente anche alla sua assegnazione alla sezione e/o magistrato.
3.2 Università degli Studi e Corte di Appello di Bologna: la pesatura del fascicolo penale nelle Corti di Appello italiane [5]
La pesatura del fascicolo valuta la complessità dei differenti casi giudiziari, in base alla consapevolezza che ogni caso è differente nell’ammontare di tempo e di impegno richiesto al magistrato per la sua trattazione.
La pesatura del fascicolo svolge anche una funzione strategica, non solo organizzativa, per poter decidere politiche territoriali volte a dare una risposta a fenomeni locali.
Come indici vengono presi le imputazioni, il numero degli imputati, lo stato di detenzione, l’entità della pena prevista per i reati, l’eventuale risarcimento del danno con attenzione alle variabili della data di prescrizione e di improcedibilità.
Su questa base si procede all’utilizzo di tecniche di Intelligenza Artificiale (IA) per attribuire un peso al singolo procedimento. Il risultato è un incremento della trasparenza, spiegabilità e flessibilità della pesatura.
Si usano i dati estratti dai registri e si produce conoscenza dai testi con AI e Natural Language Processing per creare modelli matematici di pesatura flessibili per analizzare i casi. Viene altresì introdotto un pannello di controllo di interazione per verificare e modificare le pesature suggerite e le priorità.
4. Applicazioni di Intelligenza Artificiale
Le diverse possibilità di applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nella gestione della giurisdizione sono ancora tutte da esplorare, ma già emergono le loro enormi potenzialità. Già nei progetti che precedono abbiamo potuto verificare alcuni possibili utilizzi. Ora in questa sezione affronteremo alcune proposte che si fondano direttamente su applicazioni di IA relative a settori molto diversi ed in particolare relativi al supporto nella costruzione di documenti giuridici e alla scrittura legale. Per chi voglia approfondire il tema, anche in relazione alle utilizzazioni già sperimentate in altri Paesi invito a verificare il documento elaborato dall’Università S. Anna di Pisa “Studio comparato su modelli operativi per l’efficientamento dell’assegnazione della causa al ruolo del giudice” [6] di grandissimo interesse in quanto fornisce un resoconto delle varie iniziative realizzate a livello internazionale, in realtà non solo sull’assegnazione dei processi, ma con un’ottica molto più generale.
4.1 Università degli Studi e Tribunale di Catania: l’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella gestione dell’Ufficio per il processo per l’immigrazione [7]
“Questo progetto presenta un prototipo di piattaforma online per l'archiviazione e la consultazione dei dati delle sentenze giurisdizionali, nonché per il confronto tra di esse utilizzando un algoritmo di matching. L'obiettivo principale è fornire un supporto al lavoro dei giudici, consentendo loro di accedere facilmente alle sentenze precedenti e di utilizzarle come indizi utili per le sentenze attuali. L'archiviazione dei dati avviene in un formato strutturato, che facilita una ricerca rapida ed efficiente. Grazie all'interfaccia intuitiva della piattaforma, i giudici possono consultare agevolmente le sentenze e ricercare informazioni pertinenti alle questioni legali attuali. Attraverso l'utilizzo di questa piattaforma, i giudici possono beneficiare di un conveniente strumento di supporto decisionale.”
Il prototipo creato ha un’interfaccia grafica utente in cui vengono inserite oltre alle informazioni che identificano e caratterizzano il migrante richiedente la protezione, altre tipologie di informazioni ritenute utili ed essenziali per l'istruttoria processuale, e include altresì una sezione con cui è possibile annotare, gestire e organizzare le udienze relative alle pratiche in corso e consente di effettuare ricerche all'interno del database dei fascicoli.
La funzione di matching confronta i contenuti dei campi esistenti nella banca dati che in tal modo viene costruita e determina prima per ciascun campo e poi a livello generale un punteggio di somiglianza con procedimenti già trattati.
Al fine di supportare e agevolare la decisione del giudice in merito al procedimento in esame, il prototipo permette di effettuare un'operazione di matching (approssimativo) tra i campi fascicolari tramite cui è possibile estrarre, una lista ordinata di sentenze in merito ad istruttorie "simili" a quella in corso, in cui ogni sentenza si riferisce ad un'istruttoria tanto più simile a quella in corso quanto più in cima alla lista. In questo modo il processo decisionale del giudice potrebbe essere facilitato attraverso l'esame di un numero ristretto di sentenze pregresse, ossia le prime tot sentenze della lista di cui sopra. Come potrebbe essere facilitata la prevedibilità ed omogeneità della giurisprudenza.
4.2 Università di Torino e C.S.I. Piemonte: Laboratorio sentenze[8]
Il Progetto “Laboratorio Sentenze” ha diverse finalità:
- lo sviluppo di un algoritmo capace di generare sintesi di sentenze e di raffrontarle per poter, poi, riscontrare la similarità dei fatti alle stesse sottesi;
- il drafting assistito di sentenze, quindi la creazione di modelli-template di sentenze per casi ripetitivi;
- verificare la fattibilità della predizione dell’esito delle controversie, con tutte le implicazioni ad essa legate.
La sperimentazione ed i test legati anche alla progettazione di servizi di giustizia predittiva sono stati svolti sulla base di 1000 sentenze del Consiglio di Stato e della giustizia amministrativa.
“Obiettivi della sperimentazione
1) Elaborazione di sintesi di sentenze:
● sintesi del fatto;
● generazione automatica di schemi suddivisi per fatto, diritto ed esito.
2) Riscontro della similarità tra fatti sottesi a precedenti giudiziari:
● ricerca di fatti (o sintesi) sottesi a casi simili a quello su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, così che egli possa conoscere le decisioni assunte in relazione ad essi e servirsene a supporto della propria, anche con riguardo ai motivi di diritto.
3) Predizione dell’esito di nuovi giudizi:
● studio sull’effettiva realizzabilità riguardo un modello di predizione degli esiti delle controversie.”
“(…) I modelli generativi del linguaggio costituiscono una forma di intelligenza artificiale addestrata per generare testo.
Il funzionamento dei medesimi consta di due fasi:
1) fase di domanda/prompt: l’utente formula una domanda/prompt da sottoporre al modello;
2) fase di risposta: il modello processa il prompt ed elabora una risposta sulla base di quanto ha appreso in fase di addestramento. La risposta prodotta dal modello si fonda sul contesto fornitogli in fase di domanda e su quanto dallo stesso appreso dai testi analizzati nel corso dell’addestramento.”
4.3 Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e Università Statale di Milano: modelli di nuova generazione e document builder [9]
L’architettura creata parte dalla costruzione di un modello teorico (format) di provvedimento decisorio (oltre che di atto difensivo) che sviluppi alcune funzionalità già esistenti nella Consolle del giudice e dell’assistente. Inoltre è basata sulla “gestione di un database di documenti giuridici con funzionalità di archiviazione, indicizzazione e classificazione di sentenze e servizi per l’estrazione di conoscenza dalle sentenze memorizzate e per il reperimento semantico di (porzioni di) sentenze rilevanti.”
“L’approccio di estrazione della conoscenza alla base del document builder (approccio ASKE) si basa sull’uso di “Large Language Model” (LLM), modelli di ultima generazione per l’elaborazione del linguaggio naturale capaci di catturare il significato semantico di interi testi, considerando il contesto di utilizzo dei termini. Ciò permette non solo di definire quanto due testi sono simili, ovvero trattano degli stessi argomenti, ma consente anche di estrarre da essi i concetti principali rappresentativi del contenuto e utilizzare questi ultimi per indicizzare i documenti stessi a una granularità fine, a livello di singole frasi o paragrafi, abilitando la capacità di fornire come suggerimenti utili al giudice frammenti di testo puntuali anziché intere sentenze. Il database documentale alla base del document builder prevede una archiviazione delle sentenze con segmentazione delle stesse in sezioni e classificazione delle sezioni risultanti secondo il format di provvedimento decisorio definito da IUSS Pavia. A ciò si aggiunge la classificazione delle sentenze a livello di singole frasi/paragrafi in base ai concetti estratti.”
Come viene poi chiarito nel documento di presentazione:
“Il document builder è uno strumento che assiste e supporta il giudice nella scrittura dei provvedimenti giudiziari, con particolare attenzione alla motivazione, sfruttando tecniche di intelligenza artificiale per l’elaborazione del linguaggio naturale dei documenti giuridici. Il document builder è pensato per integrarsi e non sovrapporsi agli strumenti già a disposizione del giudice; sfruttando (un) format di provvedimento decisorio (elaborato dalla stessa) (…) IUSS Pavia, le sezioni iniziali della nuova sentenza possono essere popolate ricevendo i dati provenienti dalle diverse fonti del Processo Civile Telematico (e relativi registri), sfruttando ad esempio, funzionalità esistenti nella Consolle del giudice. Per la scrittura della sezione motivazione entrano in gioco le funzionalità del document builder.
Caratteristica distintiva del document builder è l’approccio human-in-the-loop, che permette all’utente giudicante di esercitare la propria libertà decisionale e il pieno controllo della formulazione motivazionale del provvedimento, selezionando il materiale proposto dallo strumento, cambiando o precisando alcuni parametri di interrogazione, o alcuni elementi di fatto e di diritto che contraddicono e cambiano la consequenzialità della proposta fornita dallo strumento. Per questo il document builder utilizza tecniche di intelligenza artificiale non generativa, ma con le stesse capacità di rappresentazione del significato del testo propria dei più innovativi modelli di elaborazione del linguaggio naturale, al fine di effettuare l’analisi semantica dei documenti ed estrarre concetti e significati da testi giuridici, elaborati e complessi, indipendentemente dalla forma sintattica utilizzata.
L’interfaccia del document builder è organizzata in due aree: un’area di lavoro principale in cui il giudicante effettua la stesura della motivazione e un’area di suggerimenti testuali forniti dallo strumento in risposta alle ricerche formulate dall’utente utili alla stesura della motivazione e alla decisione vera e propria. Mediante una funzionalità di ricerca per contenuto, l’utente inserisce una query a testo libero, ovvero una frase o locuzione che meglio esprime la questione giuridica di interesse. Come risultato della ricerca, lo strumento fornisce una lista di testi motivazionali più rilevanti, tratti dalle sentenze del corpus semanticamente simili/pertinenti al testo della query. La seconda funzionalità consiste nella ricerca per materia e concetto di interesse di frammenti motivazionali provenienti da precedenti giuridici. Entrambi i metodi di ricerca del document builder sfruttano tecniche di elaborazione del linguaggio naturale di ultima generazione sul corpus di documenti giurisprudenziali che eseguono un’analisi semantica delle sentenze stesse per reperire frammenti testuali effettivamente pertinenti all’oggetto della ricerca.
L’utente ha la possibilità di visualizzare il testo integrale di ciascun frammento risultante da una ricerca, considerata una funzionalità essenziale per consentire al giudicante di visionare (in sovraimpressione) la collocazione del frammento restituito come risultato della ricerca nel contesto dell’intera sezione motivazionale. L’utente ha quindi la possibilità di importare nell’area di lavoro tutti i frammenti testuali che ritiene utili ai fini della stesura della motivazione, utilizzandoli come citazioni o modificandone il contenuto e lavorando ai punti di raccordo fra gli stessi per arrivare alla formulazione finale della motivazione della sentenza in questione.”
4.4 Sapienza Università e Tribunale di Roma: Cicero – Large language models per la giustizia [10]
L’idea del progetto è di sviluppare LLMs specifici per l’italiano giuridico e di rendere disponibili dei dataset in lingua italiana. L’obiettivo è di creare dei modelli, oltre che performanti, trasparenti ed open source. Gli strumenti sviluppati dovranno svolgere diverse funzioni come quelle di assistente nella scrittura e di riassunto di atti. Cicero è un writing assistant prototipale sviluppato dall’Università per il supporto alla scrittura di sentenze nel settore civile, addestrato sulla base di un elevatissimo numero di sentenze (37.000).
[1] Per un bilancio dell’esperienza del Politecnico di Milano, contenente anche una descrizione del progetto (pag.7 ss) vedi PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO a cura di E. Melloni – G. Vecchi, Franco Angeli, Milano 2024
[2] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Politecnico di Milano > 1nextgen_polimi_supdig_aspen.pdf
Vedi anche N. Cotechini- E. Madiai La digitalizzazione al servizio della giustizia: una proposta per innovare il sistema ASPEN di assegnazione dei procedimenti al personale togato in PNRR, GIUSTIZIA E UFFICIO PER IL PROCESSO citato pag. 129 ss.
[3] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto all’attività decisoria – Università di Catania > 6jsmart_supdig_doc15.pdf
[4] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next Generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Eventi – Presentazione progetti Milano e Brescia – Roma 6 novembre 2024
[5] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 2 Uni Justice > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Università di Bologna > 2uni4just_unibo_supdig_slide_fascicoli_
Vedi anche 2uni4just_unibo_supdig_pesatura_fasci
[6] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 3 Giustizia Agile > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Scuola Universitaria Superiore S. Anna Pisa
[7] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 6 Just-Smart > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto all’attività decisoria – Università di Catania > 6jsmart_supdig_doc16.pdf
[8] Percorso: Progetto unitario per l’innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto attività decisoria – Università degli Studi di Torino > 1nextgen_unito_supdig_laboratorio_se, nonché > 1nextgen_unito_supdig_report_laborat
[9] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 1 Next generation UPP > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di supporto attività decisoria – Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia > 1nextgen_iusspavia_supdig_modelli_ng
Vedi anche 1nextgen_iusspavia_supdig_attivit_svolt e A. Santosuosso – G. Sartor Decidere con l’IA, Il Mulino, Bologna 2024 pag. 150 ss.
[10] Percorso: Progetto unitario per l'innovazione degli uffici per il processo > Macro Area 3 Giustizia Agile > Strumenti di supporto digitale > Strumenti di court management – Sapienza Università di Roma > 3giusagileuniroma1_supdig_convegno.
La rettificazione dell’identità anagrafica di genere nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
Valentina Capuozzo
Sommario: 1. Premessa – 2. La disciplina convenzionale – 3. Il percorso giurisprudenziale della Cedu – 3.1. La cautela iniziale – 3.2. La tutela per la transizione binaria – 3.3. La recente chiusura sul terzo genere – 5. Conclusioni.
1. Premessa
Negli ultimi decenni, la questione della rettificazione anagrafica del genere è venuta assumendo una rilevanza sempre crescente per il diritto, di pari passo alle rinnovate istanze di tutela dell’autodeterminazione individuale per ciò che riguarda la scelta dell’identità sessuale[1].
Si può parlare, a tale proposito, di un’evoluzione del diritto all’identità personale, che richiede agli ordinamenti statali un ripensamento delle legislazioni e delle procedure amministrative di identificazione nei registri civili, per rispondere alle istanze di quanti non si riconoscono nell’attribuzione originaria del sesso anagrafico.
Si tratta di un nodo giuridico di particolare complessità, in cui si intrecciano questioni relative insieme al principio di uguaglianza, alla libera determinazione dell’identità personale e alle tradizioni normative degli Stati, che, per essere comprese appieno, richiedono una breve premessa terminologica.
In primo luogo, occorre spiegare la differenza tra sesso e genere. Con il termine sesso, infatti, ci si riferisce a una condizione biologica, diversamente dal genere che indica invece un concetto meta-biologico[2]. Secondo la medicina, poi, in ciascun individuo si distinguono tre sessi: quello fenotipico, che si manifesta a livello morfologico; quello cromosomico (o genotipico), identificato con l’ultima coppia di cromosomi del cariotipo umano, vale a dire con le coppie che generalmente sono XX o XY; e il sesso psichico (o gender), determinato secondo l’autopercezione, concetto cui si riferisce l’identità di genere[3].
I tre sessi possono essere allineati o meno e il disallineamento può declinarsi in chiave binaria o non binaria, quando l’identità percepita non rientra nell’alternativa maschile/femminile, riflettendo nuove forme di soggettività[4].
È tale disallineamento, definito come disforia e incongruenza di genere[5], che fa sorgere la necessità di una rettificazione dei registri civili. Il problema giuridico si pone a partire dal momento attributivo del sesso anagrafico, che avviene alla nascita dell’individuo, quando è possibile considerare soltanto sesso fenotipico e cromosomico, poiché il sesso psichico si manifesta più tardi, con il progressivo sviluppo della percezione del sé[6].
In questi casi, la tutela dell’autodeterminazione individuale richiederebbe un adeguamento della registrazione anagrafica originaria, che tuttavia non sempre è prevista dalle normative statali. A tale proposito, gli studi comparativi operano una classificazione degli ordinamenti utilizzando come parametro, da un lato, il ruolo dell’autorità pubblica e dell’individuo nel riconoscimento del genere, e, dall’altro, la forma binaria o non binaria della scelta[7]. In applicazione di tali criteri si distinguono quattro modelli. Il più restrittivo per l’autodeterminazione individuale è il modello binary ascriptive, per cui il genere è attribuito dall’autorità pubblica solo in forma binaria. Anche nel modello non binary ascriptive è l’autorità pubblica ad attribuire il genere, ma sia in forma binaria sia non binaria. Nel sistema binary elective è l’individuo a scegliere, secondo l’alternativa maschile/femminile. Il modello nonbinary elective è invece quello più elastico, che attribuisce la scelta del genere sia in forma binaria sia non binaria[8].
L’appartenenza di ciascuno Stato all’uno o all’altro modello può cambiare a seconda dell’evoluzione del quadro normativo ordinamentale, che in effetti si presenta piuttosto mutevole trattandosi di una materia profondamente influenzata dai progressi della scienza e dal variare della percezione psico-sociale[9].
In questa cornice, il presente contributo intende analizzare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che si caratterizza per un approccio prudente, considerevolmente sensibile al requisito del consensus europeo. Il lavoro si sofferma in particolare sulle tappe che, in caso di transizione binaria, hanno segnato la progressiva affermazione del diritto alla rettificazione dell’identità di genere, a fronte della recente chiusura mostrata rispetto alla registrazione anagrafica di un terzo genere. L’analisi si concentra dapprima sulle norme convenzionali utilizzate dalla Corte di Strasburgo nell’evoluzione della sua giurisprudenza (par. 2) e, successivamente, sull’esame dei casi più significativi che ne hanno scandito lo sviluppo (par. 3).
2. La disciplina convenzionale
La giurisprudenza della Cedu sulla rettificazione del sesso anagrafico può considerarsi un esempio di interpretazione evolutiva del diritto convenzionale[10], che ha fondato le esigenze di tutela delle persone con disforia di genere innanzitutto sul principio di uguaglianza e pari opportunità e sul connesso divieto di discriminazione[11].
In tal senso, le norme di riferimento sono l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e il Protocollo addizionale n. 12 alla CEDU, che impongono agli Stati l’obbligo di garantire il godimento dei diritti convenzionali senza discriminazioni, inclusa quella basata sul sesso.
Rettificare l’identità anagrafica in conformità a quella percepita dall’individuo significa inoltre tutelarne il diritto alla salute, inteso in senso dinamico come completo benessere fisico, psicologico e sociale, compromesso dall’ansia e dalla sofferenza derivanti dalla discrepanza tra identità biologica e giuridica[12].
Anche l’articolo 12 CEDU, che garantisce il diritto al matrimonio, è stato utilizzato come parametro dalla Corte di Strasburgo. Nei sistemi giuridici in cui questo è vincolato al sesso anagrafico, infatti, l’impossibilità di rettificare tale dato finisce con l’impedire il libero accesso all’istituto matrimoniale, negando un diritto fondamentale sancito dalla Convenzione.
Un ruolo centrale è poi ricoperto dall’articolo 8 CEDU, che tutela il diritto alla vita privata e familiare. Come si vedrà, la Cedu ha ricondotto i diritti delle persone con disforia di genere al suo ambito applicativo per l’ampiezza del concetto di vita privata, che si riferisce non solo all’integrità psico-fisica della persona, ma anche all’identità sociale e di genere. In questo senso, la Corte ha espresso un orientamento ormai consolidato per cui la sfera sessuale, comprensiva dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, rientra tra i diritti protetti dall’articolo 8 CEDU in quanto definisce l’identità personale, così gradualmente riconoscendo l’importanza dell’identità di genere come parte essenziale dell’individualità della persona[13].
3. Il percorso giurisprudenziale della Cedu
3.1. La cautela iniziale
La giurisprudenza della Cedu in materia di rettificazione dell’identità anagrafica di genere si è inizialmente sviluppata con un approccio prudente, in linea con una concezione restrittiva del ruolo della Corte rispetto al margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri[14]. Per i primi anni, infatti, la Corte ha escluso che la mancata rettificazione dei documenti di stato civile potesse configurare una violazione della Convenzione, ritenendo la materia rientrante nella discrezionalità degli ordinamenti nazionali.
Questa impostazione iniziale trova il suo fondamento nel complesso bilanciamento sotteso alla questione, che vede la Corte tesa tra l’esigenza di tutelare l’identità dei soggetti con disforia di genere e quella di garantire la certezza del diritto cui sono improntate le tradizioni giuridiche statali.
Molto indicative, in questa prima fase di cautela, sono le sentenze Rees c. Regno Unito del 1986 e Cossey c. Regno Unito del 1990, che hanno visto la Cedu decidere su un caso di transessualismo, vale a dire una discrasia tra sesso fenotipico e sesso psichico che induce l’individuo a intraprendere un percorso di “trasnsito”, per mezzo di interventi chirurgici o trattamenti ormonali[15]. Secondo questo primo orientamento prudente, è il margine degli Stati a prevalere sul disagio di non poter adeguare i documenti anagrafici alla nuova identità di genere, in ragione delle significative implicazioni sociali e legislative legate all’obbligo di riconoscimento[16].
Vero è, però, che con il progressivo mutamento del sentire sociale e l’emergere di nuove evidenze scientifiche circa la discrasia tra sesso e genere, l’approccio della Corte di Strasburgo ha sin da subito mostrato un’evoluzione. Nel 1992, con la sentenza B. c. Francia[17], la Cedu ha utilizzato per la prima volta il parametro dell’articolo 8 della Convenzione. A partire da questa pronuncia, anch’essa resa a proposito di un caso di transessualismo, seppure con un andamento inizialmente ondivago[18], l’identità o l’identificazione sessuale, il nome, l’orientamento e la vita sessuale sono stati progressivamente ricondotti sotto l’ombrello dell’articolo 8 CEDU[19].
Nonostante tale evoluzione, in questa prima fase di cautela la Cedu si limitava a imporre agli Stati la cosiddetta “piccola soluzione”, che garantisce il diritto al cambiamento del nome, lasciando invece all’apprezzamento discrezionale degli Stati il riconoscimento giuridico del mutamento dei caratteri sessuali, la cd. “grande soluzione”[20].
Pur mantenendo un atteggiamento prudente, tuttavia, si può osservare che la Corte già mostrava segnali di apertura. Negli stessi casi Rees c. Regno Unito e Cossey c. Regno Unito, pur respingendo le richieste dei ricorrenti, la Cedu ha riconosciuto che il progresso scientifico e l’evoluzione del sentire sociale rappresentano fattori determinanti per aggiornare l’interpretazione delle disposizioni convenzionali[21], riflettendo una sensibilità crescente verso le istanze di tutela delle persone con disforia di genere e ponendo le basi per un graduale cambiamento giurisprudenziale che troverà compimento negli anni successivi.
3.2. La tutela per la transizione binaria
È la sentenza Christine Goodwin c. Regno Unito del 2002, anch’essa relativa a un caso di transessualismo, a rappresentare il momento di svolta per la giurisprudenza di Strasburgo. In tale pronuncia, infatti, la Corte riconosce per la prima volta che l’articolo 8 della Convenzione impone agli Stati un’obbligazione positiva di garantire il pieno riconoscimento giuridico del sesso di riassegnazione per le persone transessuali.
La vicenda sottesa alla decisione riguardava una persona che, pur avendo completato l’iter chirurgico di transizione da uomo a donna e vivendo come tale nella società, continuava a essere considerata di sesso maschile dall’ordinamento giuridico del Regno Unito, con tutte le conseguenze discriminanti e limitative che tale situazione comportava.
La Corte, nel dare seguito alle aperture già precedentemente manifestate, riscontra una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, affermando che il mancato riconoscimento giuridico dell’identità di genere dopo la transizione lede il rispetto della dignità e libertà umana, rappresentando un’interferenza dello Stato nella vita privata dell’individuo, atta a generare una condizione di vulnerabilità, umiliazione e stress per la persona interessata. Particolarmente significativa è la parte in cui la Corte argomenta circa l’incoerenza di una legislazione che, da un lato, consente interventi chirurgici e trattamenti di riassegnazione del sesso, ma, dall’altro, nega il pieno riconoscimento giuridico delle loro conseguenze, affermandone il contrasto con i principi della Convenzione[22].
La portata innovativa della sentenza Goodwin riguarda poi l’interpretazione dell’articolo 12 CEDU, relativo al diritto al matrimonio. Per la prima volta, la Cedu riconosce che le persone transessuali hanno il diritto di contrarre matrimonio conformemente alla loro nuova identità di genere, superando l’interpretazione tradizionale che collegava rigidamente il matrimonio al sesso attribuito alla nascita[23].
A seguito della sentenza Goodwin, altre pronunce hanno consolidato il riconoscimento del diritto alla rettificazione dell’identità anagrafica di genere quale componente essenziale del diritto al rispetto della vita privata ex articolo 8 della Convenzione. Tra queste, la sentenza Van Kück c. Germania del 2003, nell’ambito di un contenzioso assicurativo, ha precisato che il diritto delle persone a essere riconosciute nella propria identità di genere rappresenta uno degli aspetti fondamentali dell’autodeterminazione personale[24].
Un ulteriore sviluppo si è avuto con la sentenza A.P. Garçon e Nicot c. Francia del 2017. In questo caso, la Corte si è pronunciata contro la legislazione francese che subordinava la rettificazione delle voci relative al sesso e al nome nei registri di stato civile a interventi chirurgici o trattamenti medici idonei a causare sterilità permanente. La Corte ha stabilito che prevedere tale requisito viola l’articolo 8 CEDU poiché impone condizioni invasive e lesive della dignità umana per il riconoscimento giuridico del genere, così interferendo in misura sproporzionata con la vita privata della persona[25].
Degna di nota è poi la sentenza S.V. c. Italia del 2018, che ha censurato la rigidità procedurale della normativa italiana secondo la quale non era possibile ottenere la modifica del nome sui documenti prima del completamento definitivo della transizione con intervento chirurgico. Tale procedura, lasciando la ricorrente in una condizione di disagio e vulnerabilità per il limbo sociale cui era costretta, è stata ritenuta dalla Cedu incompatibile con l’obbligazione positiva dello Stato di garantire il rispetto della vita privata[26].
L’obbligo statale di prevedere procedure rapide, trasparenti e accessibili per il riconoscimento legale dell’identità di genere è stata poi oggetto, più recentemente, delle pronunce X c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia del 2019 e A.D. e altri c. Georgia 2022. In entrambi i casi, la Corte ha ribadito che la mancanza di strumenti adeguati a livello nazionale per consentire il cambiamento di genere anagrafico costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, confermando l’obbligo positivo di predisporre procedure adeguate a garantire una tutela effettiva e non discriminatoria[27].
3.3. La recente chiusura sul terzo genere
Posta innanzi al problema giuridico della registrazione anagrafica di un terzo genere, invece, la Cedu è ritornata su una posizione più cauta. La vicenda, decisa con la sentenza Y. c. Francia del 2023, riguardava un caso di intersessualismo, vale a dire una divergenza del sesso fenotipico o genotipico per ermafrofitismo o variazioni cromosomiche[28].
In particolare, si trattava di una persona che, pur essendo nata con caratteri sessuali ambigui, era stata registrata alla nascita come di sesso maschile in base al criterio di prevalenza, ma che, non identificandosi né come uomo né come donna, contestava la violazione dell’articolo 8 della Convenzione a seguito del rifiuto dello Stato francese di rettificare il proprio atto di nascita con la dizione “neutre” o “intersexe”[29].
In questo caso, la Corte non ha riscontrato alcuna violazione da parte dello Stato francese del diritto al rispetto della vita privata tutelato dall’articolo 8 CEDU, argomentando la decisione in termini che evidenziano una posizione di cautela rispetto alla questione del riconoscimento giuridico delle identità non binarie.
L’iter logico seguito dalla Corte si articola in più passaggi. In primo luogo, i giudici di Strasburgo rilevano che il ricorso non concerne l’inadempimento dell’obbligazione negativa di non ingerenza dello Stato nel diritto alla vita privata della ricorrente, quanto piuttosto l’inadempimento di un’obbligazione positiva in capo all’ordinamento, che quindi gode di un ampio margine di apprezzamento[30].
La Corte, poi, osserva che è a causa di una lacuna del diritto che non può essere rilasciato il documento corrispondente al genere della ricorrente. Lacuna che, tuttavia, può essere colmata soltanto dal legislatore nazionale e non dalla Cedu, occorrendo invero una valutazione sulle modifiche ordinamentali necessarie, oltreché un bilanciamento con gli altri interessi generali dello Stato[31]. A tale proposito, la Corte ricorda che la Convenzione è uno strumento sussidiario e che, in materia di politica generale di un ordinamento, va rispettato il margine di discrezionalità della decisione politica statale[32].
La Cedu osserva inoltre che la maggioranza degli Stati contraenti della Convenzione continua a prevedere un sistema binario per l’identificazione del sesso negli atti di nascita e nei documenti ufficiali, senza ammettere opzioni ulteriori. Al momento soltanto cinque degli Stati membri (Germania, Austria, Islanda, Paesi Bassi e Malta) consentono di indicare, sull’atto di nascita, un genere diverso rispetto all’alternativa maschile/femminile[33]. Quindi, la sentenza conclude che non può dirsi ancora esistente un consensus europeo favorevole alla registrazione non binaria.
Un altro elemento di rilievo è quello relativo agli interessi pubblici coinvolti, quali la certezza delle relazioni giuridiche e la sicurezza dei registri dello stato civile. Sebbene infatti la ricorrente non reclami il riconoscimento di un diritto generale alla registrazione anagrafica del terzo genere, ma solo la rettificazione del proprio stato civile, inevitabilmente questo richiederebbe allo Stato francese di modificare in tal senso tutto il suo diritto interno, scelta che la Cedu ha ritenuto appartenente alla sola discrezionalità del decisore politico statale.
4. Conclusioni
Riannodando le fila del discorso, si può dire che lo stato dell’arte della giurisprudenza di Strasburgo evidenzia una differenza notevole tra i passi avanti compiuti nella direzione di una tutela piena per la registrazione anagrafica della transizione binaria di genere, rispetto alla prudenza mostrata a proposito del non binarismo.
Questa cautela ha suscitato ampio dibattito. Si è parlato in proposito di un’eccessiva timidezza della Cedu nell’affrontare una questione così complessa, ma allo stesso tempo cruciale per la tutela dell’identità personale[34].
Nella sentenza Y. c. France, tuttavia, non sembrano mancare segnali di apertura che potrebbero indicare successivi revirements della Corte di Strasburgo. Il riferimento è alle argomentazioni che si leggono nella sentenza a proposito della Convenzione come strumento vivente, da interpretare e applicare alla luce delle condizioni esistenti. Tali considerazioni, analoghe a quelle sviluppate sul tema della transizione binaria, hanno già segnato un preludio a cambiamenti nella giurisprudenza della Cedu[35], la quale sembra orientata ad attendere ulteriori evoluzioni del diritto nazionale.
Sembra dunque non azzardato prevedere che non si tratta dell’ultima parola dei giudici di Strasburgo in materia di terzo genere, ma del primo passo verso un ampliamento di tutela che, tuttavia, per le notevoli implicazioni interne sugli ordinamenti, chiede ai legislatori nazionali un’importante riflessione sul metodo di riconoscimento delle persone.
[1] Si v. sul punto M.X. Catto, S. Osella, The Sexed Subject, in The Cambridge Companion to Gender and the Law, 2023, pp. 25 e ss.; R. Rubio-Marín, S. Osella, El nuevo derecho constitucional a la identidad de género entre la libertad de elección, el incremento de categorías y la subjetividad y fluidez de sus contenidos. Un análisis desde el derecho comparado, in Revista española de derecho constitucional, 40, n. 118/2020, pp. 45 e ss.; P. Valerio, P. Marcasciano, C. Scandurra, Una visione psico-sociale sulle varianze di genere: tra invisibilità, stima e risorse, in Rivista di sessuologia, gennaio 2016, pp. 23 e ss.
[2] Cfr. L. Palazzani, Identità di genere come problema biogiuridico, in F. D’Agostino (a cura di), Identità sessuale e identità di genere, Milano, 2012, 8 ss. Si v. anche A. Astone, Il controverso itinerario dell’identità di genere, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 2/2016, pp. 305 e ss.; G. Baldini, Riflessioni di biodiritto. Profili evolutivi e nuove questioni, Wolters-Kluver, Milano, 2019, pp. 243 e ss.; L.P. Martina, La prospettiva di genere. Un processo di normativizzazione politica mondiale, Aracne Editrice, Roma, 2017, p. 19; E. Ruspini, Le identità di genere, Roma, Carocci, 2023, p. 30.
[3] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, in GenIUS, n. 1/2018, p. 31.
[4] Si v. L. Palazzani, Identità di genere, cit.; C. Richards, W.P. Bouman, L. Seal, M.J. Barker, T.O Nieder, G.T Sjoen, Non-binary or Genderqueer Genders, in International Review of Psychiatry, n. 28/2016, pp. 95 e ss.
[5] La disforia di genere (gender dysphoria) è la classe diagnostica indicata dall’attuale versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), che definisce la condizione di malessere vissuto dall’individuo a causa del disallineamento tra identità di genere e sesso attribuito alla nascita, depatologizzandola rispetto al passato, quando veniva invece rubricata come un disordine dell’identità di genere (gender identity disorder). L’incongruenza di genere (gender incongruence) è la classe diagnostica utilizzata dall’Organizzazione mondiale della sanità nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), definita come una marcata e persistente incongruenza tra il genere sperimentato da un individuo e il sesso attribuito. Per un approfondimento, si v. ex aliis C. Richards, W.P. Bouman, L. Seal, M.J. Barker, T.O Nieder, G.T Sjoen, Non-binary or Genderqueer Genders, in International Review of Psychiatry, n. 28/2016, pp. 95 e ss.
[6] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 31 e ss.
[7] Cfr. S. Osella, R. Rubio-Marín, Gender Recognition at The Crossroads: Four Models and The Compass of Comparative Law, in International Journal of Constitutional Law, 2023, vol. 21, n. 2, pp. 574 ss.
[8] Ivi, p. 577 “Our argument departs from two basic premises. First, legal systems normally provide two legal genders or more. Gender recognition, therefore, may take a binary or a nonbinary form, depending on the number of gender options given in a specific jurisdiction. Second, legal identity can either be determined by the concerned person or by a third party. Recognition may thus be granted on the basis of self-determination (elective form), without any requirements, or on the basis of the fulfillment of certain preconditions (ascriptive form), such as conforming to medical or behavioral standards that a third party must certify. We contend that, at the intersection of these two axes, four main models of gender recognition can be identified: ascriptive binary, ascriptive nonbinary, elective binary, and elective nonbinary. These axes of classification rely on two central demands of trans and nonbinary advocacy—namely, the nonbinary option and gender self-determination. At a deeper level, these axes also relate to central issues discussed in queer theory, including the gender binary, and the understanding of gender as a system of norm production”.
[9] Cfr. sul punto P. Passaglia (a cura di), Appunto recante la panoramica degli ordinamenti nei quali è ammessa la registrazione del genere non binario, Com. 322, aprile 2024, predisposto dal Servizio Studi, Area di diritto comparato, della Corte costituzionale italiana, e reperibile al seguente indirizzo web: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/comp-322-genere-non-binario-1_20240930145106.
[10] Cfr. sul punto A.C. Visconti, La disforia di genere nel prisma della giurisprudenza europea, in Revista Brasileira de Direito Animal, n. 2/2024, p. 10.
[11] Si v. S. Whittle, Respect and Equality: Transsexual and Transgender Rights, Cavendish, London, 2002.
[12] Cfr. A. Lorenzetti, Diritti in transito. La condizione giuridica delle persone transessuali, FrancoAngeli, Milano, 2013, pp. 216 e ss.
[13] Tra le diverse pronunce si v. in part. Cedu, Van Kück c. Germania del 12 giugno 2003, par. 69; K.A. e A.D. c. Belgio del 17 febbraio 2005, parr. 78-79; Y.Y. c. Turchia del 10 marzo 2015, par. 56; A.P. Garçon and Nicot c. Francia del 6 aprile 2017, par. 92.
[14] Cfr. in part. Cedu, sentt. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986 e Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990.
[15] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 37 e ss.
[16] Cfr. Cedu, sent. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986, par. 35; sent. Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990, par. 40 ove la Corte afferma che in mancanza di significativi progressi scientifici l’intervento di riattribuzione di sesso non comporta l’acquisizione di tutte le caratteristiche biologiche dell’altro sesso.
[17] Cedu, sent. B. c. Francia, del 25 marzo 1992.
[18] Si v. Cedu, sent. Sheffield e Harsham c. Regno Unito, del 30 luglio 1998, sebbene con alcune partly dissenting opinions, su cui cfr. A.C. Visconti, La disforia di genere…, cit., p. 11.
[19] Cfr. in part. Cedu, sentt. Van Kück c. Germania, del 12 giugno 2003; Sclumpf c. Svizzera, dell’8 gennaio 2009; Y.Y. c. Turchia, del 10 ottobre 2018.
[20] Si v. sul punto S. Patti, Il transessualismo tra legge e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (e delle Corti costituzionali), in Nuova giur. civ. comm., 2006, pp. 143 e ss.
[21] Cfr. Rees c. Regno Unito, del 17 ottobre 1986, par. 47 e Cossey c. Regno Unito, del 27 settembre 1990, par. 42.
[22] Cedu, sentenza Christine Goodwin c. Regno Unito, dell’11 luglio 2002, par. 77 e 78.
[23] Ivi, par. 98. Per un approfondimento sul punto, cfr. A.C. Visconti, La disforia di genere…, cit., p. 10.
[24] Cedu, sent. Van Kück c. Germania, del 12 giugno 2003.
[25] Cedu, sent. A.P. Garçon e Nicot c. Francia, del 6 aprile 2017. Sulla questione della subordinazione della rettificazione dell’attribuzione di sesso a una condizione di infertilità permanente, si v. amplius A. Cordiano, La Corte di Strasburgo (ancora) alle prese con la transizione sessuale. Osservazioni in merito all’affaire Y.Y. c. Turquie, in Nuova giur. civ. comm., 2015, pp. 502 e ss.
[26] Cedu, S.V. c. Italia, dell’11 ottobre 2018, in part. parr. 57 e 72.
[27] Cedu, sentt. X c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia, del 17 gennaio 2019, par. 70; A.D. e altri c. Georgia, del 1° dicembre 2022, par. 76.
[28] Cfr. G. Viggiani, Appunti per un’epistemologia del sesso anagrafico, cit., pp. 37 e ss.
[29] Si tratta peraltro della seconda volta in un lasso di tempo limitato che la Cedu viene posta dinanzi a un caso riguardante la tutela delle persone intersessuali in Francia. Il riferimento è al caso M c. Francia del 26 aprile 2022, dichiarato tuttavia inammissibile poiché non erano stati esperiti tutti i gradi di giudizio interni, quindi non pronunciandosi nel merito della questione. Sul punto cfr. F. Brunetta D’Usseaux, Le persone intersessuali e il terzo genere: ciascuno Stato Membro può procedere al proprio ritmo, in DPCE online, n. 2/2023, pp. 2299 e ss.
[30] Cedu, sent. Y. c. France, del 31 gennaio 2023, par. 69.
[31] Ivi, par. 72.
[32] Sul punto cfr. V. Casillo, Cambio del marcatore di genere per persona intersex e art. 8 CEDU, in Giurisprudenza italiana, n.3/2023, p. 521.
[33] Si v. amplius D. Ferrari, F. Brunetta D’Usseaux, La condizione intersessuale dalla “normalizzazione” alla dignità? Linee di tendenza dal diritto internazionale alla Corte costituzionale tedesca, in GenIUS, 2018, pp. 125 e ss.
[34] Cfr. L. Aït Ahmed, La Cour européenne face au sexe neutre: les contorsions et l’embarras, in Rev. droits et libertés fondamentaux, 2023.
[35] F. Brunetta D’Usseaux, Le persone intersessuali e il terzo genere, cit., p.2304; M. Brillat, Mention «sexe neutre»: la CEDH se prononce, que faut-il retenir?, in Dalloz Actualité, 9 febbraio 2023.
Valparaiso, ricordo di Matilde e Pablo
di Paolo Spaziani
Da Santiago del Cile la baia di Valparaiso dista poco più di 100 chilometri.
Per andarvi si può prendere un autobus sull’Avenida Bernardo O'Higgins, nei pressi del Palacio de la Moneda. Inseguendo il sole al tramonto, il traffico dirada verso il cielo rosso del grande oceano, mentre l’odore del mare si impadronisce dei sensi e il rumore della metropoli cede il posto al silenzio degli aironi in volo.
La luminosa Avenida cittadina si spegne nella sonnolenta autopista costiera, ove il traffico, pur intenso nei fine settimana estivi, sembra progressivamente illanguidirsi, come a preconizzare il riposo delle vicine spiagge.
***
Valparaiso non era tra le mie destinazioni; avevo viaggiato per il Pantanal brasiliano cercando più volte di raggiungere Corumbà, da dove avrei voluto rientrare a Bahia, per poi salutare il Brasile e tornare a casa.
Peraltro, Corumbà sembrava irraggiungibile, così Hans – che avevo conosciuto navigando lungo il fiume Paraguay, su un barcone diretto ad Asunción – mi aveva convinto ad andare in Cile.
Era un ragazzo svizzero-tedesco, di una ricchissima famiglia di Zurigo. Viveva di rendita e passava il tempo girando il mondo, particolarmente il Sud America.
In un primo momento aveva deciso di scrivere un libro sulla musica folk brasiliana e sull’onda di questa decisione aveva viaggiato per tutto il Nordeste del Brasile, dal Cearà al Maranhão, dallo Stato di Bahia al Pernambuco e al Sergipe.
Successivamente aveva concepito l’ambizioso progetto di scrivere un volume di archeologia: ma non gli interessavano i Maya o gli Inca, era piuttosto attratto dai Moai e dal mistero della civiltà scomparsa di una piccola isola, situata a circa 3.500 miglia al largo di Valparaiso.
Durante il viaggio mi aveva parlato dell’originario gruppo di donne e uomini che vi sarebbe giunto in canoa dalle Marchesi, solcando coraggiosamente l’oceano per miglia e miglia a bordo di fragili canoe.
Essi – mi disse – si riconoscevano in un unico capostipite, colui che li avrebbe guidati in quel mitico viaggio, la cui memoria si perdeva nella notte dei tempi fino a scolorarsi in una figura diafana: il leggendario Hotu-Matua.
Nell’ascoltarlo, mi pareva di ricordare quanto avevo letto nei manuali di diritto romano sulla distinzione tra familia proprio iure, familia communi iure e gens nella Roma più antica.
Il nucleo originario degli abitanti di quell’isola era quindi una “famiglia diacronicamente allargata”, collocabile concettualmente tra la gens e la familia communi iure romana, in cui il comune capostipite esisteva nella memoria delle persone, ma non era più certamente identificabile, se non nel ricordo, che annegava nella leggenda.
Sarebbe stata questa figura leggendaria ad ispirare i Moai: i grandi tutori dell’isola che, con il volto verso la preziosa terra e le spalle al mare, avrebbero protetto le persone dai pericoli dell’ignoto pelago, rendendo loro dolce quella terra preziosa.
Solo sette di essi – quelli dell’Ahu Akivi (il luogo dell’anima, l’ombelico della terra, la sede dello spirito) – avrebbero guardato verso il mare; perché nell’onirica visione del religioso Hotu Matu, l’anima della guida leggendaria sarebbe volata attraverso l’Oceano e, dopo avere avvistato l’isola, rientrata nel corpo, avrebbe inviato i più coraggiosi del gruppo, acciocché vi arrivassero per primi e attendessero gli altri. Così sette pionieri avrebbero raggiunto la preziosa terra in anticipo e sarebbero rimasti in attesa per accogliervi il re. Le sette statue rivolte verso il mare sarebbero state erette in loro memoria ed onore.
Valparaiso, dunque, non era una delle mete del nostro peregrinare, ma piuttosto un punto di partenza; il punto da dove avremmo fatto il gran salto nell’immensità del Pacifico; da dove avremmo raggiunto quel luogo così dimenticato dalla storia, eppure pieno di storia, da sembrare la porta di un’altra dimensione: un luogo chiamato Rapa Nui.
***
Dal porto di Valparaiso la nave per l’Isola di Pasqua avrebbe viaggiato per dodici giorni. Ci avrebbe condotti al posto più remoto e isolato del pianeta. Distante quasi 4.000 chilometri dalle coste cilene e oltre 4.000 da Tahiti. Il luogo abitato più vicino – la romanzesca Pitcairn, l’isola dei discendenti degli ammutinati del Bounty – si sarebbe trovato a circa 2.000 chilometri.
All’ultimo momento rifiutai di imbarcarmi. Ero in viaggio da due mesi, avevo voglia di fermarmi e Valparaiso – luogo lirico per eccellenza, dove aveva riposato la sua tumultuosa anima e disteso le membra, stanche di una vertiginosa esistenza, uno dei miei poeti preferiti – mi sembrava il posto giusto per prendere una pausa.
Salutai Hans - ci dicemmo che ci saremmo reincontrati di nuovo, in futuro, in qualche angolo di mondo – e lo vidi sparire tra la folla nel porto.
***
Nei giorni successivi percorsi la baia.
Nonostante l’impietoso incedere di un’edilizia selvaggia, essa non aveva perduto il suo fascino innato. Tra ripidi pendii e dolci declivi sabbiosi, l’azzurro del Pacifico penetrava con lingue profonde i promontori di roccia dura e le penisole friabili di arena rossa.
Come perle preziose, lungo la baia, risaltavano di uno splendore naturale inoffuscabile le spiagge di Renaca, di Cartagena, di Viña del Mar, e, più a sud, di Isla Negra.
Qui, a ridosso del mare, quasi protetta dal rumore delle onde, meta di ininterrotto pellegrinaggio, sorgeva, lunga e stretta, la modesta casa di Pablo Neruda, trasformata in un museo.
Le lunghe vetrate, che chiudevano i piccoli locali, quasi scavalcavano la scogliera protettiva. E mentre questa respingeva con fermezza paziente la spuma sferzante delle maestose onde oceaniche, quelle sembravano quasi invitarle ad invadere l’intimità delle stanze luminose e a travolgere i numerosi oggetti che vi erano ordinatamente contenuti.
L’immagine dell’Oceano che, come un amante temuto e desiderato, è, ad un tempo, attratto e respinto dalla piccola abitazione, colpisce oggi il visitatore prima e più di ogni altra cosa.
Quella stessa immagine, simbolo di grandezza e di violenza, di pericolo e di vitalità, dovette essere tenuta presente dal poeta quando scrisse uno dei più bei componimenti del Canto General: El Gran Océano.
Quella stessa immagine consente, oggi – credo –, di comprendere la poetica di Pablo Neruda, nel suo continuo transitare tra realismo e surrealismo.
L’oceano è il Foro esterno, la realtà, che può essere sia la realtà materiale, composta dai suoi elementi primordiali (terra, acqua, fuoco, aria) o meno primordiali (l’oceano, la montagna, la natura), sia la realtà politica e sociale (la libertà, il popolo, la dittatura, il regime, l’oppressione, la tirannia).
La piccola dimora e le sue vetrate sono il Foro interno, la sfera intima, lirica ed elegiaca, l’anima che alberga in ognuno, il regno dei sentimenti.
La realtà invade l’anima che in parte se ne difende in parte ne viene travolta. I sentimenti sono forgiati dalle sensazioni. L’empirismo di ciò che si prova determina il moto della coscienza che interiorizza la sensazione e la valuta come sentimento.
Questo, dunque, non è altro che l’interiorizzazione della realtà materiale, delle sensazioni, dei sensi; ma in tale interiorizzazione, la realtà materiale viene a perdere la consistenza di mondo inanimato, per elevarsi a entità panteistica, ad ordine spirituale.
L’oceano, penetrato nella piccola casa, non è più soltanto
la potenza distesa delle acque
quanto piuttosto
l’immota solitudine affollata di vite.
E l’onda non è solo
quella che frange le coste e genera
la pace di arenile che contorna il mondo
quanto piuttosto
tempo, forse, o calice colmo
di ogni movimento, unità pura
non sigillata dalla morte, verde viscere
della totalità bruciante.
Anche il sentimento dell’amore è forgiato dalla realtà dei sensi.
Nella poesia Due Amanti Felici, il 48° dei Cento Sonetti d’Amore, due amanti felici sono pane aria e vino, e si fondono in un unico aroma.
Essi
non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.
Nella poesia Corpo di Donna, componimento della raccolta giovanile Venti poesie d’amore e una canzone disperata, il corpo della donna amata è come la terra per il contadino.
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.
Nella poesia Quando morrò, 89° dei Cento sonetti, l’amore sopravvive alla morte se l’amante superstite continuerà ad udire lo stesso vento, a sentire lo stesso aroma del mare, a calpestare la stessa arena.
Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi:
voglio la luce e il frumento delle tue mani amate
passare una volta ancora su di me la loro freschezza,
sentire la soavità che cambiò il mio destino.
Voglio che tu viva mentr’io, addormentato, t’attendo,
voglio che le tue orecchie continuino a udire il vento,
che fiuti l’aroma del mare che amammo uniti
e che continui a calpestare l’arena che calpestammo.
L’amore non è per Neruda un’avventura intellettuale. Egli non conosce un concetto di amore. L’amore è metamorfosi incompiuta delle sensazioni nei sentimenti. È trasfigurazione del senso nell’interiorità dell’elegia.
Dunque, non assume dimensioni filosofiche, non è domanda, né risposta, non è sillogismo, non è esercizio di logica. È un insieme disordinato di odori, di sapori, di visioni, di contatti, di suoni. Il sentimento nasce dalla sensazione, esiste in quanto c’è quella.
Peraltro, la sensazione è la sua matrice, ma non il suo limite. La morte della sensazione non determina quella del sentimento. Pur generato dalla sensazione, il sentimento vive di vita propria, si affranca dal senso e diviene afflato di eternità.
Amore mio, se muoio e tu non muori,
amore mio, se muori e io non muoio,
non concediamo ulteriore spazio al dolore:
non c’è immensità che valga quanto abbiamo vissuto.
Polvere nel frumento, sabbia tra le sabbie,
il tempo, l’acqua errante, il vento vago,
ci ha trasportato come grano navigante.
Avremmo potuto non incontrarci nel tempo.
Questa prateria in cui ci siamo trovati,
oh piccolo infinito! la rendiamo.
Ma questo amore, amore, non è finito,
così come non ebbe nascita,
non ha morte, è come un lungo fiume,
cambia solo di terra e labbra
È l’attitudine del sentimento, pur generato dal senso, a rivestirsi di infinito, a sfidare i limiti del tempo.
E nel sonetto successivo, il 93°, l’amore vince la fine consentendo agli amanti di vivere per sempre, confusi nell’eternità di un bacio.
Se un giorno il tuo petto si arresta,
se qualcosa cessa d'andar ardendo per le tue vene,
se la voce nella tua bocca esce senz'essere parola,
se le tue mani dimenticano di volare e s’addormentano.
Matilde, amore, lascia le tue labbra socchiuse
perché quell’ultimo bacio deve durare con me,
deve restare immobile per sempre sulla tua bocca
perché anche così m'accompagni nella mia morte.
Io morirò baciando la tua pazza bocca fredda,
abbracciando il grappolo perduto del tuo corpo,
cercando la luce dei tuoi occhi chiusi.
Così quando la terra riceverà il nostro abbraccio
andremo confusi in una sola morte
a vivere per sempre l’eternità di un bacio.
“Se un giorno il tuo petto si arresta”.
Leggevo questo sonetto, mentre, salito al primo piano della casa, avevo abbandonato i tanti, forse troppi, oggetti del piano inferiore e mi ero rifugiato nella silenziosa camera da letto, donde si udiva l’Oceano ritmicamente infrangersi sulla barriera delle rocce sottostanti.
Lo leggevo mentre immaginavo Matilde e Pablo sotto le coperte, dondolanti al mormorio della risacca, accompagnati, nell’amore e nel riposo, nella veglia e nel sonno, nelle parole e nel silenzio, dalla presenza infinita del Pacifico.
Lo leggevo quando, voltato l’angolo del giardino della villa, proprio di fronte all’oceano, scoprii la lapide nera dei due amanti, con i loro nomi lievi incisi: Matilde Urrutia e Pablo Neruda.
Non distante, eppure lontana dalle molte cose della casa.
Separata dai numerosi oggetti del passato.
Quasi sospesa come in un luogo e un tempo immutabili ed eterni.
Un tempo presente come le persone.
Come l’amore che le unì.
Immagine: Porto di Valparaíso via Wikimedia Commons.
Riteniamo opportuno per l’attualità del tema ripubblicare questo contributo, già pubblicato il 13 novembre 2018 su Questa Rivista
Il Tribunale dei ministri, questo sconosciuto. Annotazioni sparse
di Zaira Secchi
Parlare del Tribunale dei ministri è come entrare nella storia della Repubblica.
Il testo originario della Costituzione licenziato nel dicembre 1947 dall’Assemblea Costituente prevedeva all’art. 96, in combinazione con gli artt. 134 e 135, che fosse la Corte Costituzionale a giudicare il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, dopo la loro messa in stato di accusa da parte del Parlamento in seduta comune. La legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, consente infine l’effettivo funzionamento della Corte Costituzionale con l’introduzione delle norme integrative di cui all’art. 137, Cost. .
Pertanto in origine per i ministri era prevista una giurisdizione speciale del tutto analoga a quella del Presidente della Repubblica, per il quale invece, ancora oggi, è stata mantenuta la competenza della Corte Costituzionale nell’ambito di un procedimento che più recentemente anche da noi è stato denominato “impeachment” (anche quest’ultimo salito agli onori della cronaca da poco!), mutuando in maniera impropria tale termine dall’ordinamento anglosassone, istituto ivi utilizzato a partire dal 1376 per colpire i ministri del Re resisi responsabili di gravi prevaricazioni.
La disciplina oggi ancora in vigore viene, infine, introdotta nel 1989 con la legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, qui, invece, il destino penale dei ministri viene separato da quello del Presidente della Repubblica, consegnandolo alla giurisdizione ordinaria, ma attraverso un procedimento speciale molto articolato, pieno di particolarità e caratterizzato da un difficile sbocco giudiziale. A questa svolta si giungeva ben 11 anni dopo l’iniziativa popolare referendaria, quando, in seguito alla deflagrazione del cosiddetto “scandalo Lockheed” nel 1977, in cui erano stati coinvolti alcuni ministri, si era proposto di eliminare la giurisdizione speciale che non si percepiva più come garanzia, bensì come mero privilegio a favore dei ministri, che si volevano invece equiparati agli altri cittadini. Però il quesito, dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale insieme ad altri tre tra gli otto proposti, veniva accantonato un mese prima della sua sottoposizione alla volontà popolare grazie ad un intervento legislativo operato con legge 10 maggio 1978, n. 170, che in realtà non mutava affatto la natura di “giustizia politica” propria del procedimento originario. E’ inoltre significativo ricordare che il caso Lockheed fu l’unica vicenda giudiziaria penale a carico di ministri della Repubblica, che, passando attraverso le forche caudine della Commissione parlamentare inquirente, riuscì ad approdare davanti alla Corte Costituzionale. Alla svolta costituzionale del 1989 si arrivava, infine, dopo due anni dall’esito referendario -al secondo tentativo si riuscì, infatti, a tenere il relativo referendum- che abrogò nel novembre 1987 i primi otto articoli della legge 10 maggio 1978, n. 170, proprio quella con la quale si era “dribblata” la precedente iniziativa referendaria.
Con la legge costituzionale del 1989, quella ancora oggi in vigore, il legislatore ha spostato il connotato della “specialità” dalla figura del Giudice, prima Corte Costituzionale oggi Giudice ordinario, al procedimento che per la sua complessità ed articolazione può essere rappresentato visivamente come un percorso ad ostacoli, di cui l’ultimo ostacolo è rappresentato dall’autorizzazione a procedere. Tale autorizzazione può essere concessa dalla Camera di appartenenza o dal Senato in tutti i casi in cui il Presidente del Consiglio o il ministro non appartenga a nessuna delle due (come sarebbe il caso, per esempio, dell’attuale Presidente del Consiglio, che non fa parte di nessuna delle due Camere). Ma tale snodo del procedimento crea una radicale discontinuità tra il Tribunale dei ministri, che per tutta la fase delle indagini si muove secondo le regole del diritto penale valevoli per tutti, e la Camera interpellata, che in sede di autorizzazione a procedere è legittimata ad esprimere un giudizio, assolutamente insindacabile e di natura squisitamente politica, su quale interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o su quale preminente interesse pubblico nella funzione di governo sia concretamente prevalso o meno rispetto all’interesse invece tutelato dalla norma incriminatrice. L’autorizzazione a procedere concessa dalla competente Camera vale come condizione di procedibilità e risulta necessaria perché il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di appello competente per territorio possa, poi, procedere oltre secondo le norme ordinarie del codice di procedura penale, ma senza che nell’organo giudicante ci siano quegli stessi magistrati che hanno fatto parte del Collegio che ha svolto le indagini e che ha richiesto l’autorizzazione a procedere.
Iniziamo con l’individuare quale sia l’autorità giudiziaria a cui è stata assegnata la competenza ad indagare e a cui il Procuratore della Repubblica deve, omessa ogni indagine, trasmettere entro 15 giorni gli atti con le sue richieste. Va precisato innanzitutto che il ruolo del PM è più incisivo di quello che sembrerebbe emergere da una prima lettura degli articoli di legge, infatti egli: 1) prima di inviare gli atti al Tribunale dei ministri, deve comunque avere svolto tutte quelle indagini che gli consentano di qualificare il fatto come reato ministeriale, 2) deve dare parere obbligatorio, ma non vincolante, sull’archiviazione, potendo anche richiedere ulteriori indagini, se ritenute necessarie, 3) deve dare il proprio parere al Collegio che ritenga di rimettere gli atti alla competente Camera per acquisirne l’autorizzazione a procedere, 4) sarà il PM stesso, nel caso in cui lo richieda il Tribunale dei ministri, a trasmettere gli atti alla Camera competente per l’autorizzazione a procedere.
Il Tribunale dei ministri è un organo collegiale inesistente nello scenario ordinario e viene costituito ad hoc con sorteggio dei tre componenti ogni biennio nell’ambito di ogni singola Corte di appello: ha infatti una competenza distrettuale ovvero il Tribunale dei ministri si insedia presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di appello. Naturalmente quello di Roma ha una competenza di fatto quasi totalizzante, perché è la regola che i ministri esercitino le funzioni all’interno dei loro ministeri o delle riunioni consiliari, ma non è detto che l’evento antigiuridico si consumi sempre nell’ambito romano. La competenza territoriale, sempre di natura distrettuale, segue le regole ordinarie del codice di procedura penale nella ripartizione tra i vari Tribunali dei ministri. L’organo, si diceva, è collegiale ed è composto da un Presidente e da due Giudici a latere, che ne diventano i membri effettivi, sorteggiati tra tutti i magistrati di Tribunale del distretto aventi una anzianità non inferiore ai cinque anni. Viene infatti istituito presso la Corte di appello un seggio elettorale composto da tutti i Giudici civili e penali insieme ed è questa la prima particolarità, poiché tramite il sorteggio possono essere chiamati a decidere in materia penale anche Giudici civili. E’ infatti il caso a scegliere e magari può capitare che tutti e tre i componenti sorteggiati siano dei Giudici civili (come è capitato qui a Roma, dove peraltro la competenza non è mai promiscua), ma ci si attrezza: siamo Giudici o no? Dal sorteggio vengono esclusi i magistrati collocati fuori ruolo e vengono inserite all’interno di un’urna le schede recanti il nome di ogni singolo Giudice del distretto. All’estrazione a sorte procede in pubblica udienza il Collegio elettorale appositamente riunito presso la Corte di appello e presieduto dal Presidente della Corte e, una volta sorteggiati i tre membri effettivi, nella stessa seduta possono già venire estratte con le medesime modalità altre tre schede per i tre supplenti, al fine di garantire il costante funzionamento dell’organo collegiale; altrimenti ad ogni impedimento o trasferimento si dovrà procedere ad altro sorteggio con costituzione di una Commissione elettorale ad hoc. Si diceva che la durata di ogni singolo Collegio sorteggiato è di due anni, ma tale periodo può subire delle proroghe con riferimento a quei procedimenti per i quali siano già iniziate, seppure non terminate, le indagini: insomma tutto ciò che incameri fino al giorno prima della tua scadenza rimane tuo fino a conclusione delle indagini. Presidente lo diventa chi possiede le funzioni più elevate e, a parità di funzione, è il più anziano di età e non di carriera. Altra curiosità: ci si è infatti fidati maggiormente dell’esperienza di vita, piuttosto che professionale del magistrato.
E che funzioni si è chiamati a svolgere! Insieme di indagine e decisionali, insomma il Tribunale dei ministri cumula in sé la figura del PM e quella del Giudice delle indagini preliminari: una figura molto simile a quello che era il vecchio Giudice istruttore, ma questa volta in versione collegiale. Sì, perché si fanno le indagini sempre in tre, ma senza una propria polizia giudiziaria con la quale avere potuto costruire una pregresso affiatamento: il Tribunale dei ministri infatti si può rivolgere all’ “universo mondo” per la delega delle indagini, insomma con una totale discrezionalità nella scelta. La collegialità, che è senz’altro un valore, in questo caso affatica e rallenta non poco le attività, perché i tre Giudici possono, come capita assai spesso, avere tra loro sedi lavorative differenti, non solo nell’ambito della medesima città, ma anche nell’ambito di città diverse. Trattandosi di competenza distrettuale, il Tribunale dei ministri di Roma, per esempio, attinge i suoi componenti, oltre che dalla sede di Roma, anche tra i giudici dei Tribunali di Cassino, Civitavecchia, Frosinone, Latina, Rieti, Tivoli, Velletri e Viterbo, a distanza di centinaia di chilometri tra loro e senza che sia prevista una qualche esenzione dal lavoro ordinario. Quindi il Giudice del Tribunale dei ministri è costretto a muoversi sul territorio per riunirsi con gli altri componenti e a combinare i propri impegni con questi ultimi al fine di decidere collegialmente cosa fare e al fine di provvedere con atti collegiali, continuando comunque a svolgere appieno le proprie udienze ed a osservare tutte le scadenze nel deposito dei propri provvedimenti. Ma quale è il problema, ci si attrezza: siamo Giudici o no?
Il Tribunale dei ministri entro novanta giorni dal ricevimento degli atti o archivia con decreto non impugnabile oppure con relazione motivata trasmette gli atti al PM per l’inoltro alla Camera competente ai sensi dell’art. 5, l. cost. n. 1/1989. Il decreto di archiviazione può essere revocato dal Collegio qualora sopravvengano nuove prove, su specifica richiesta del PM. Il termine di novanta giorni per il compimento delle indagini dà il senso dell’estrema celerità con cui gli atti debbano essere compiuti e con cui si debba giungere ad una decisione conclusiva, ma comunque esso non è perentorio, bensì meramente ordinatorio. I reati ministeriali, si diceva, sono solo quelli commessi nell’esercizio delle loro funzioni dal Presidente del Consiglio e dai ministri, ma questi ultimi possono essere sottoposti al procedimento speciale in questione anche dopo che siano cessati dalla carica, nel caso in cui ovviamente la notitia criminis sia emersa o sia arrivata al Tribunale dei ministri successivamente.
Nulla è scontato in questo procedimento, neppure chi debba decidere sulla natura ministeriale del reato: il pubblico ministero che per primo raccoglie la notizia di reato, il Tribunale dei ministri che la riceve ed indaga su di essa o la Camera chiamata a pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere? Al riguardo è stato infatti più volte sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, che, via via chiarendo sempre di più gli aspetti procedurali, ha infine statuito sul conflitto sollevato dalla Cassazione contro il Senato in riferimento ai reati di ingiuria e diffamazione attribuiti all’allora ministro Castelli <<che non spetta all’organo parlamentare la valutazione in ordine alla natura ministeriale del reato, rimessa invece in modo esclusivo all’Autorità giudiziaria>> (Corte Cost. 25.2.2014, n. 29). In tali occasioni la Corte Costituzionale non è stata mai chiamata a sindacare il contenuto delle decisioni prese, bensì a regolare il procedimento, individuando semplicemente chi avrebbe dovuto decidere sul punto, se, appunto, l’organo giudiziario o quello parlamentare.
In conclusione, attingendo dall’esperienza personale, posso dire che lo svolgimento di tali funzioni può rappresentare una bella palestra professionale, giocata sempre sul filo della difficile conciliabilità degli impegni lavorativi, della delicatezza dei temi e della necessità di rapidità dell’intervento.
A questo link è possibile consultare il testo della Legge costituzionale n.1/1989. (LEGGE COSTITUZIONALE 16 gennaio 1989, n. 1, Art. 6 1. I rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione sono presentati o inviati al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio.2. Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati.)
Immagine via MET.
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