ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
“Giustizia Insieme”, fin dalla sua fondazione, si propone l’ambizioso progetto di realizzare una piattaforma permanente dedicata al confronto tra magistrati, avvocati, studiosi del diritto e società civile. È dunque per offrire delle chiavi di lettura dell'attualità, nonché un inquadramento tecnico-scientifico di tematiche anche complesse e molto dibattute, che riteniamo utile riproporre alle lettrici e ai lettori alcuni contributi in materia di diritto di sciopero e precettazione nei servizi pubblici essenziali, apparsi nel corso del 2024 su Questa Rivista.
di Maria Spanò
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il diritto di sciopero nell’art. 40 Cost. - 3. La delibera della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali - 4. L’ordinanza di precettazione ex art. 8 L. 146/1990.
Lo sciopero (generale) nei servizi essenziali tra percorsi giuridici e insidie politiche
di Antonello Zoppoli
Sommario: 1. Lo sciopero del 17 novembre 2023. - 2. Il problematico silenzio sullo “sciopero generale” (non una “lacuna”) della l. n. 146 del 12 giugno 1990. - 3. La possibile soluzione, non realizzata, della regolazione tramite le tecniche normative della l. n. 146/1990. - 4. La soluzione seguita: l’interpretazione della Commissione di garanzia nella delibera n. 03/134 del 24 settembre 2003. - 5. La delibera della Commissione di garanzia dell’8 novembre 2023 e la fattispecie dello sciopero generale. - 6. La fattispecie dello sciopero generale: peculiari modalità dello sciopero, nessuna appropriazione “definitoria”. - 7. Altre ragioni di solidità della delibera n. 03/134; il motivo di debolezza della delibera dell’8 novembre 2023. - 8. Precettazione e Commissione di garanzia, piani distinti ma comunicanti. - 9. L’illegittimità dell’ordinanza di precettazione del 13 novembre 2023.
La precettazione come strumento di gestione del conflitto sociale?
di Monica Mc Britton
L’ordinanza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 14.11.2023, relativa all’astensione dal lavoro proclamata da CGIL e UIL per il giorno 17.11.2023, rappresenta un fattore di forte discontinuità nel quadro delle relazioni sindacali. L’esame degli elementi di antinomia del provvedimento rispetto alla tradizione giuridica fondata sull’elaborazione dottrinale e sulle decisioni della Corte costituzionale porta alla luce un risultato estremo: la messa in discussione, da parte dell’autorità governativa, della nozione stessa di sciopero all’interno del nostro ordinamento.
Sommario: 1. Premesse. 2. Il settore dei trasporti. 3. La precettazione prima dell’intervento legislativo. 4. La Commissione di Garanzia. 5. L’ordinanza di “precettazione” nella l. n. 146/1990. 6. Il caso concreto: l’ordinanza del Ministro dei Trasporti 7. Considerazioni conclusive.
Gli attacchi notturni alla Global Sumud Flotilla hanno riacceso la protesta. Il 22 settembre decine di città italiane sono scese in piazza contro la complicità del governo con il massacro in corso a Gaza e in sostegno incondizionato alla Flotilla, ed in risposta alla continua ipocrisia dimostrata dalle forze politiche. A Montecitorio si è formato un presidio permanente, mentre cortei e iniziative hanno movimentato più di 77 città da nord a sud. A Milano, i manifestanti hanno provato a entrare nella stazione centrale scontrandosi con la polizia. A Bologna sono stati bloccati incroci strategici e tratti autostradali; a Torino l’accesso all’aeroporto è rimasto chiuso per ore. Roma ha visto oltre 100.000 persone paralizzare il Raccordo Anulare tra l’appoggio (impensabile) di automobilisti e passanti, prima di occupare la facoltà di Lettere della Sapienza.
Il 4 ottobre è attesa una nuova mobilitazione nazionale che promette di riempire ancora le strade della capitale a suon dell’ormai slogan: se bloccano la Flotilla, blocchiamo tutto.
Interessante è che per seguire i dati dei cortei è sufficiente aprire il sito del Ministero per gli Affari della Diaspora e per la Lotta all’Antisemitismo Israeliano, che in collaborazione con il J-soc National Center for Combating Antisemitism, ha pubblicato un rapporto capillare con orari, luoghi di concentrazione, coordinate geografiche, livelli di rischio attribuiti a ogni piazza, e l’elenco delle pagine social che hanno promosso le proteste.[1] Da quasi tutte le testate italiane, invece, si parla di un problema di ordine pubblico, più che sul perchè e quanti/e abbiano partecipato ai cortei, mettendo a nudo l’incapacità sia dei media che delle istituzioni di rispondere politicamente ed eticamente alle richieste di giustizia e solidarietà provenienti da grandi parti della popolazione.[2]
Sulla terraferma, navighiamo in un mare di confusione e contraddizioni. In Italia, il ministro della Difesa Guido Crosetto da una parte ha prima confermato l’impiego di una fregata Virginio Fasan per proteggere la Flotilla dopo gli attacchi notturni, salvo ritirarla dopo poche ore dichiarando che in acque israeliane non può garantire nulla, confondendo ancora una volta il nodo centrale della legittimità del blocco navale imposto da Israele nelle acque di fronte a Gaza. Difatti, seppure la flotta superasse la linea d’inizio del blocco navale non si troverebbe comunque in acque territoriali isrealiane, dettaglio su cui il Ministro Crosetto come il Ministro Nordio e molti altri continuano a insistentemente a confondersi. Ed invece è un passaggio fondamentale.
In acque internazionali solo le marine degli Stati di bandiera possono legalmente salire a bordo. israele sostiene di poterlo fare se le barche intromettono il blocco che si estende oltre 20 miglia nautiche dalla costa, in virtù del Manuale di Sanremo, ma la legalità del blocco imposto nel Gennaio 2009 fino ad oggi è molto dibattuta da giuristi e politici, come emerge da un’accurato approfondimento di ISPI[3]. Per essere legittimo un blocco navale non deve infliggere danni sproporzionati alla popolazione civile, affarmala ed impedire l’aiuto di aiuti umanitari (come affermato dallo stesso Manuale di Sanremo). Ad essere puntigliosi/e, una nave disarmata potrebbe in ogni caso attraversare quelle acque seppure fossero acque israeliane, ma che così non sono, perchè le acque territoriali davanti a Gaza sono acque sotto il controllo di Israele ed in nessun modo le sue acque territoriali. Inoltre, secondo la Convenzione di Ginevra, un blocco navale non può mai essere funzionale ad affamare una popolazione civile, cosa che contraddice la realtà di Gaza.[4]
Continuando sull’onda della confusione, all’Assemblea generale dell’ONU Giogia Meloni ha accusato Israele di aver “superato il limite del principio di proporzionalità” nella risposta ad Hamas, arrivando a “infrangere le norme umanitarie e causando una strage tra i civili”, per poi rivolgersi criticamente alla flottiglia: “Tutto questo è gratuito, pericoloso, irresponsabile. Non c’è bisogno di rischiare la propria incolumità infilarsi in un teatro di guerra per consegnare aiuti a Gaza che il governo italiano avrebbe potuto consegnare in poche ore”.[5] La proposta a cui fa riferimento sarebbe di affidare la consegna degli aiuti alla CEI e al Patriarcato Latino di Gerusalemme di Cipro, subordinando esclusivamente la distribuzione degli aiuti al governo israeliano, lo stesso che ha lo scopo di affamare il popolo palestinese (bloccando anche i biscotti al miele se troppo nutrienti)[6] e spopolarlo (come affermano i suoi stessi ministri).[7] Oltre che essere in contatto diretto con il Cardinale, Tony la Piccirella spiega che “la nostra missione ha lo scopo di aprire una canale permanente via terra e via mare che possa raggiungere aiuti reali e sufficienti alla popolazione, dunque la nostra rotta non può cambiare”, ribadendo che “la percolosità della missione non dipende da noi ma dalla violenza del governo israeliano” e dalla libertà lasciata ad israele di agire al di sopra della legge internazionale e della morale umana, senza alcuna conseguenza, e non da chi fa parte di una missione umanitaria pacifica protetta dal diritto internazionale.[8] Di fatto, così come è più facile concentrare l’attenzione sui disordini in piazza piuttosto che riconoscere il successo di una mobilitazione pacifica e diffusa in tutto il Paese, allo stesso modo è difficile ammettere il senso profondo della mobilitazione via mare, prendere il rischio di esporsi per creare un corriodoio umanitario permanente (al contrario di aiuti una tantum), diretto (per la consegna reale degli aiuti senza farse e mediatori), denunciare il genocidio in atto contando sul rispetto del diritto internazionale e dimostrarsi Stato civile. “Risparmiateci le lezioni di morale sulla pace se il vostro obiettivo è l’escalation. E non strumentalizzare la popolazione civile di Gaza se non vi interessa davvero il loro destino” ha detto Meloni.[9]
Anche il Presidente Mattarella ha ricevuto critiche relative all’ atteggiamento attendista dell’Italia e complicità con la strage dopo che, incontrando i rappresentanti israeliani al Quirinale, ha evitato ogni riferimento diretto al massacro e l’affamamento in corso, per rivolgere la stessa poker face invece alla Flotilla: rinunciate se volete salvarvi. Critiche sono arrivate anche in una lettera al Ministro Tajani da circa 700 dipendenti della Farnesina: lavorare con Israele durante una “guerra di sterminio” è un “profondo disagio etico e professionale”. I firmatari chiedono azioni immediate: riconoscimento dello Stato di Palestina, sospensione dell’accordo UE–Israele, nuove tariffe sui prodotti israeliani e perfino una “apartheid tax” come risarcimento ai palestinesi. Tutto questo avrà mica scosso il Ministro, che la mattina dell’avvicinamento della Flotilla alle coste di Gaza si è finalmente invece rivolto ad Israele chiedendo, almeno, di non usare violenza in caso di fermo di cittadini italiani che non sono li per motivi bellici.[10]
Oltreoceano, il 29 Settembre è stato annunciato il piano in 20 punti presentato da Trump e Netanyahu in conferenza stampa come peace in the Middle East (in perfetto stile sensazionalista-giullare trampiano).[11] ll piano prevede un cessate il fuoco immediato e lo scambio, entro 72 ore, di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas (circa 20 vivi e 28 morti), con i 250 ergastolani e 1.700 prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Seguirebbe un ritiro graduale delle forze israeliane da Gaza (senza alcuna tempistica definita), insieme al disarmo di Hamas e un’amnistia per chi decidesse di abbandonare la Striscia. La distribuzione degli aiuti sarebbe affidata a Nazioni Unite, Mezzaluna Rossa e ad alcune organizzazioni internazionali fino ad oggi escluse, mentre la farsa della Gaza Humanitarian Foundation verrebbe esclusa. Secondo il piano, Israele non dovrebbe né occupare né annettere la Striscia, ma il ritiro delle truppe avverrebbe progressivamente, con il trasferimento del potere a una “commissione palestinese tecnocratica e apolitica”. Quest’ultima sarebbe a sua volta posta sotto la supervisione di un nuovo organismo internazionale, il Consiglio della Pace, guidato direttamente da Trump e composto da leader palestinesi e figure internazionali, tra cui l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Nella terza fase, il documento prevede che:
19. Con il progredire dello sviluppo di Gaza e l’attuazione fedele del programma di riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese, potranno crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese, che riconosciamo come legittima aspirazione del popolo palestinese.
20. Gli Stati Uniti avvieranno quindi un dialogo tra Israele e palestinesi per concordare un orizzonte politico di coesistenza pacifica e prospera.
Come ha commentato il segretario generale della Jihad Islamica Palestinese, Ziad Nakhaleh[12], il piano non affronta minimamente la questione della Cisgiordania e prevede una Palestina disarmata, priva di rappresentanza reale, commissariata da potenze esterne scelte da Israele, senza disinnescare l’imposizione di rapporti di forza. Non c’è chiarezza neache sulla garanzia che l’attacco da parte di Israele non riprenda dopo la resa, di esilio volonario per i combattenti di Hamas che lo vorranno e sulla tempistica della ritirata delle truppe israeliane dalla Striscia. Nethanyau ha poi invitato Hamas ad accettare concludendo che Israele “finirà il lavoro, con le buone o le cattive”.
Tempo perso forse per me a scriverne, e per chi a leggerne, che la prima cosa che ha fatto Netanyahu tornato in israele è stata negare che il documento preveda una possibilità di creazione di uno Stato Palesinese, a cui si oppone fermamente, ed affermare che l’IDF rimarrà nella maggior parte della Striscia di Gaza. E così chi detta le regole disegna il gioco in modo da non poter mai perdere. Anzi, potrebbe persino trarre vantaggio dall’accordo sul fronte interno, sia continuando il massacro con l’appoggio delle parti più radicali del suo governo, sia firmando l’accordo, con l’appoggio delle fasce più moderate, cosa che diventerebbe anche un trampolino per la sua rielezione futura.
E allora, passare in rassegna i fatti di questa soap opera dell’orrore (fatti reali di politica contemporanea) serve più oggi a costruire una consapevolezza più completa che nei futuri libri di storia come quando non ci andava di dover studiare ogni data, nome, passaggio degli accaduti delle atrocità della storia. Sarà meglio domandarsi, indignarsi, decidersi oggi se parlare de "La guerriglia dei ProPal" e limitarsi al "non ve ne fotte niente di aiutare le persone", come direbbe un Bruno Vespa qualunque? Davanti a questa realtà, con molte più delle calcolate 65.000 vittime genocidate in Palestina dal 7 Ottobre 2023, quante volte si continuerà a nominare questa data come condizione preventiva per osare dire altro? Quante volte sarvirà criminalizzare chi protesta, rompendo delle vetrine, per evitare di formulare una risposta politica ed etica all’altezza delle richieste di un popolo sotto assedio?
Mancano 100 miglia a Gaza. È tempo di dissenso per costruire la pace.
Per seguire le barche: https://globalsumudflotilla.org/tracker/
[1] https://www.gov.il/BlobFolder/reports/italy_nationwide_demonstrations_general_strike_solidarity_gaza_2025-09-22/en/mashlat_half2_2025_italy_nationwide_demonstrations_general_strike_solidarity_gaza_2025-09-22.pdf
[2] https://www.instagram.com/p/DO3SgLOjMlY?img_index=1
[3] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gaza-flotilla-e-tensioni-217895
[4] Nicola Ghittoni su Morning, https://www.ilpost.it/podcasts/morning/, Ep. 1053: La Flotilla in zona ad alto rischio e le altre storie di oggi
[5] https://www.ilsole24ore.com/art/meloni-flotilla-sta-facendo-qualcosa-pericoloso-e-irresponsabile-AHfcRboC
[6] https://www.youtube.com/shorts/D4zd6MDEG2E
[7] https://www.corriere.it/esteri/25_settembre_18/smotrich-ministro-israele-ritratto-b8a17060-5200-466c-9757-637111c07xlk.shtml; https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/25/israele-vicepresidente-knesset-uccidere-tutti-adulti-gaza/7892177/
[8] https://www.instagram.com/reel/DPEuUIZDHWq/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==
[9] https://www.progetto-radici.it/2025/10/01/caso-flotilla-meloni-risparmiateci-lezioni-morale/
[10] https://www.middleeastmonitor.com/20250929-italys-foreign-ministry-in-revolt-over-israels-war-of-extermination-in-gaza/?utm_campaign=feed&utm_medium=referral&utm_source=later-linkinbio
[11] https://www.ilsole24ore.com/art/il-piano-20-punti-trump-testo-completo-AHjhIEuC
[12] https://www.middleeastmonitor.com/20250930-palestine-pij-leader-rejects-trumps-plan-warns-it-will-ignite-the-region/?utm_campaign=feed&utm_medium=referral&utm_source=later-linkinbio
Sommario: 1. Le Spine e il Garofano di Yaya Sinwar - 2. Un romanzo non presentabile alla Sapienza e la censura della storia del popolo palestinese - 3. Il tentativo di impedire la cronaca dello sterminio del popolo palestinese - 4. La crisi del diritto internazionale - 5. La definizione di terrorismo - 6. Conclusioni.
1. Le Spine e il Garofano di Yaya Sinwar
Il romanzo di Yahya Sinwar, Le Spine e il Garofano, ha un titolo simbolico le spine shawkah rappresentano la sofferenza – era di spine la corona di Cristo crocifisso in Palestina emblema dell’afflizione nell’ultimo frangente della Sua vita terrena-; il garofano, qurunful o, meglio, il chiodo di garofano, rappresenta la dolcezza e il sollievo alla sofferenza.
Nel romanzo di Sinwar sofferenza e dolcezza si intrecciano nella storia di una famiglia palestinese rifugiata nel campo profughi di Khan Yunis – campo oggi raso al suolo.
È la storia della famiglia di Ahmad e, al tempo stesso, la storia del popolo palestinese, popolo profugo a seguito della Nakba, che in arabo significa catastrofe, l’espulsione di 700 mila persone – la maggioranza dell'allora popolazione della Palestina – che seguì alla fondazione di Israele.
La storia è ambientata tra il 1967 e il 2004.
L’immagine che apre il romanzo è evocativa di una popolazione in lotta per la sopravvivenza, la voce narrante è quella di Ahmad, un bambino di cinque anni. La prima evocazione della sumud è quella che fa Ahmad della madre che nella baracca raccoglie, con pentole poggiate a terra la pioggia, che entra dal tetto, e solleva le lenzuola dei letti dove dormono i figli per evitarne l’inzuppamento.
La baracca è un rifugio precario che i componenti adulti della famiglia, fuggita dalla città di Falluja, credono temporaneo.
La mamma accudente, tenera e dignitosa, è l’aroma dolce del chiodo di garofano, il sollievo alla sofferenza, come l’aroma dei poveri dolci preparati per le feste di famiglia; così come odorano di chiodo di garofano: l’accoglienza dei parenti di Hebron e il calore della resilienza dignitosa che tiene insieme la famiglia del piccolo Ahmad così come tiene insieme il popolo dei rifugiati.
La seconda immagine che colpisce il lettore è quella del tunnel che il padre di Ahmad, e lo zio, scavano per nasconderci dentro le proprie famiglie, prima di partire per la guerra dalla quale entrambi non torneranno. Un tunnel per la salvezza di donne e bambini (un altro modo di considerare i famigerati tunnel di Hamas).
È la primavera del 1967.
La guerra dei sei giorni in arabo è indicata come la Naksa, è la seconda sconfitta a seguito della quale Israele ha occupato la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est e le Alture del Golan.
La seconda diaspora dei palestinesi.
Quando la famiglia, finiti gli scontri nel campo, uscirà dal tunnel troverà, al posto degli Egiziani, che offrivano le caramelle ad Ahmad e a suo fratello, soldati israeliani che portano via, con i camion, gli uomini del campo che hanno scelto di non fucilare.
La vita di Ahmad, dopo il ritorno nella baracca, prosegue, scandita per mesi dai megafoni che dalle Jeep militari, che girano incessantemente per il campo, impartiscono l’ordine di non uscire di casa senza autorizzazione.
I rifugiati che speravano di tornare a casa, dopo la sconfitta del 1967, diventano prigionieri di un campo di concentramento. “Gli arabi erano precipitati, in sei giorni, dal pinnacolo di un’autointossicazione di entusiasmo, al fondo del baratro dell’avvilimento”[1]
La storia si snoda tra il calore degli affetti della famiglia e dei rapporti vicinali e il dignitoso accesso all’istruzione e ai beni di prima necessità offerti dall’UNWRA[2].
La vita di Ahmad e dei suoi familiari, nella resilienza, dalla Naksa del 1967, va avanti tra gli studi universitari dei fratelli, la narrazione del diverso percorso dei cugini, i matrimoni e il riscatto economico, nei limiti consentiti in un campo profughi. Per chi si trasferisce dai parenti nella Westbank, a Hebron, il riscatto economico è più significativo.
La casa di Khan Yuinis, quella vicina al tunnel costruito dal padre di Ahmad, poco prima della guerra dei sei giorni, viene consolidata, il tetto che non riparava della pioggia, è sostituito da un tetto di amianto; l’unico stanzone centrale è stato diviso, il perimetro della baracca consolidata è stato esteso, quel minimo necessario ad accogliere le famiglie dei fratelli e del cugino di Ahmad.
La fortunata collocazione dell’originaria baracca in una via larga del campo la salva dalle distruzioni che invece subiscono, periodicamente, ad opera dei bulldozer israeliani, le case che si affacciano su vicoli stretti; l’esercizio del controllo è insensibile alla disperazione delle famiglie che assistono inermi alla distruzione dei loro rifugi.
I fratelli di Ahmad si diplomano, si laureano, si sposano in una situazione di precaria normalità; è la normalità del campo profughi, una normalità in cui i rifugiati subiscono detenzioni amministrative senza processo, sono ristretti in carceri ove, tra torture, angherie e privazione, elaborano programmi politici e piani di resistenza contro gli occupanti; carceri nelle quali i più deboli si vendono agli occupanti, divengono informatori del Mussad dando il via al fenomeno del collaborazionismo.
La narrazione di Sinwar ci restituisce un popolo palestinese proiettato agli studi, all’arte, alla cultura (si pensi all’enorme quantità di artisti, scrittori e registi palestinesi); un popolo orgoglioso, desideroso di riscatto sul piano intellettuale, impegnato nelle arti manuali così come in quelle intellettive; un popolo oppresso, ma resiliente e, al tempo stesso, determinato a resistere anche attraverso la diffusione della sua storia.
Le vicende dei componenti della famiglia e la storia del popolo palestinese sono contestualizzate in base agli accadimenti storici narrati dal punto di osservazione della Palestina. Da quel punto di osservazione le cause e gli effetti sono capovolti ciò stimola nel lettore la curiosità di conoscere il suono dell’altra campana e ricercare fonti documentali che spieghino la molla iniziale di questa sanguinosa faida tra due popoli, uno destinato a vincere sistematicamente con un Dio che lo protegge e l’altro destinato – come nel mito di Tantalo- a perdere, con un Dio che lo destina al martirio.
Sotto tale profilo è interessante richiamare quanto scritto da Jacob Talmon nel 1969 “Gli arabi agiscono sotto l'impulso dell'ira, di un bruciante senso di insulto ricevuto, di odio, di invidia. Gli ebrei sotto la spinta della paura e del sospetto. Le neurosi di entrambi nascono da una visione fissa e paranoica della storia. Invece d'essere una fonte di ispirazione, la preoccupazione per la storia si è trasformata per entrambi in catene. Gli arabi sono presi dalla visione di un impero arabo resuscitato dai tempi del Medioevo. Proprio nel momento in cui la visione sembrava prendere corpo, gli ebrei, con l'aiuto delle grandi potenze, si sono intrufolati tra gli arabi dell'Asia e quelli dell'Africa, senza chiedere il consenso. Nell'istante preciso in cui, così essi affermano, le potenze coloniali cominciarono a ritirarsi dalle altre parti del mondo il colonialismo trionfa su di loro” [3]
La vita della famiglia di Ahmad è scandita dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, dall’incessante penetrazione dei coloni israeliani nel westbank, dalla prima Intifada, dalla rappresaglia contro Hebron, dalla strage di Abramo, dall’inizio degli attentati suicidi con bombe realizzate con fertilizzanti e detersivo, dagli accordi di Oslo e dalla seconda Intifada.
È descritto il fenomeno endemico del collaborazionismo che trae le sue radici profonde nella povertà e nell’offerta da parte di Israele di libertà, riscatto e denaro.
Viene fatto cenno alla tecnica israeliana degli omicidi mirati[4], raccontati attraverso la storia del chimico inventore di esplosivi fabbricati con detersivi e fertilizzante.
Nel romanzo di Sinwar le intifade sono raccontate come tentativi di riscatto del popolo palestinese, o come reazione di provocazioni sottili ma percepite come particolarmente odiose, come quella del 28 settembre 2000: la visita da parte di Sharon alla Moschea Al-qusa che scatenò la seconda Intifada.
Nel racconto delle discussioni tra i fratelli di Ahmad emerge, chiara, la percezione della pericolosità del Likud[5], la delusione per la caduta di Barak seguita dalla nomina come primo ministro di Ariel Sharon, e poi di Netanyahu; momento che segna il tramonto degli Accordi di Oslo[6]; la fine della speranza di una convivenza pacifica tra israeliani e rifugiati palestinesi.
Il terzo piano della storia è quello della riflessione politica che si snoda nel confronto tra i fratelli e i cugini di Ahmad. Il fratello Mahmud, laico e socialista propende per l’OLP e per Al Fatha, festeggia la firma dei Patti di Oslo e sostiene l’Autorità palestinese; il fratello Hassan e il cugino Ibrahim, divenuti religiosi osservanti, propendono per la fratellanza mussulmana; il cugino, fratello Ibrahim, diventerà invece un collaborazionista.
La rappresentazione dei fatti è resa con tecnica narrativa che ricorda il verismo italiano; l'autore scompare dalla narrazione, e lascia che i fatti si sviluppino naturalmente, senza commenti o giudizi. Il lettore è indotto a individuare l’autore in Ahmad, perché nel 1967, come Sinwar, aveva cinque anni. Ahmad non emette mai giudizi ma si limita a descrivere i fatti.
Le spine e il garofano ci racconta il virare dell’aspirazione al ritorno a casa dei profughi del 1948[7] nell’aspirazione a di vincere l’assedio e vivere come cittadini liberi in uno stato sovrano.
L’ultimo capitolo è dedicato a Netanyahu al potere, con fasi alterne, dal 2004
Nelle spine e il garofano, come nei Malavoglia di Verga, la prospettiva dominante è quella della lotta per la vita; “la roba” nel romanzo di Sinwar è la “Terra di Palestina”, the land, la terra del documentario vincitore dell’Oscar 2025 “No other land”.
Sinwar nella prefazione del libro scrive: “Questa non è la mia storia personale né la storia di un individuo in particolare anche se tutti gli eventi sono reali ogni evento riguarda ogni palestinese l'unico elemento fittizio di quest'opera è la sua trasformazione in un romanzo che ruota attorno a personaggi specifici per soddisfare la forma e i requisiti di un'opera romanzesca tutto il resto è reale l'ho vissuto e gran parte di ciò proviene dalle testimonianze di coloro che hanno trascorso con le loro famiglie e i loro vicini decenni della loro vita nell'amata terra di Palestina dedico questo romanzo a tutti quelli che hanno il cuore legato alla terra dell'Israa e del Mi’raj” .
Il libro è stato scritto durante la detenzione nelle carceri Israeliane, durata ventitré anni, successiva a due detenzioni amministrative. Sinwar è stato liberato nel 2011, con altri mille palestinesi, in cambio del rilascio di Gilad Shalit[8]. Una vita contro mille a conferma che, in certi momenti della storia e in certi luoghi, le vite umane hanno un valore diverso. Yahya Sinwar è stato un politico palestinese, dal febbraio 2017 a capo di Hamas nella Striscia di Gaza e dal 6 agosto 2024, a seguito dell'omicidio mirato di Isma'il Haniyeh [9], e presidente dell'ufficio politico del partito. Dal settembre 2015 era ricercato per terrorismo dal governo degli Stati Uniti. Il 16 gennaio 2024 è stato aggiunto anche alla lista dei terroristi redatta dal Consiglio dell'Unione europea.
A seguito del suo coinvolgimento nell'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, per il ruolo nei massacri di civili svoltesi in tale occasione e nella presa di ostaggi (e nei crimini da essi subiti a Gaza), nel maggio 2024 il procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) ha chiesto il suo arresto assieme agli altri capi di Hamas Mohammed Deif e Isma'il Haniyeh per crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Il 16 ottobre 2024 Sinwar è morto a Rafah in uno scontro a fuoco con soldati israeliani.
2. Un romanzo non presentabile alla Sapienza e la censura della storia del popolo palestinese
Il libro, oltre che la storia di un popolo profugo evoca un’altra storia: quella del silenzio calato in occidente sui palestinesi, sui campi profughi sull’invasione colonialista in atto in Cisgiordania.
Un esempio della consegna al silenzio si rinviene – con le dovute proporzioni- nella revoca dell’autorizzazione alla presentazione, presso la facoltà di Fisica dell'Università La Sapienza di Roma, del romanzo Le spine e il garofano.
La Sapienza dopo il divieto della presentazione alla facoltà di Fisica ha vietato anche l'evento del 5 marzo scorso ( 2025). Evento di presentazione che doveva svolgersi presso la facoltà di Lettere. L’autorizzazione alla presentazione è stata revocata dalla Rettrice prof.ssa Polimeni su richiesta della Comunità ebraica. Sulla presentazione del libro è intervenuto anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha dichiarato: “La libera manifestazione del pensiero è sacra, però non bisogna superare il segno”, ha dichiarato, sottolineando che il diritto di espressione non può diventare “uno strumento per eludere i principi del nostro vivere civile e democratico”.
Il 6 maggio 2024 Davide Piccardo, editore del libro, è stato invitato dal prof. Marco Di Branco, docente della facoltà di lettere dell’Università la Sapienza per un intervento nell’ambito del suo corso di insegnamento.
E così, alla fine, all’Università La Sapienza si è potuto parlare del romanzo di Sinwar.
Diversamente da quanto è stato scritto per motivare la revoca dell’autorizzazione alla presentazione, il romanzo - scritto peraltro oltre venti anni prima della strage del 7 ottobre 2023 -non contiene alcun incitamento all’odio.
La revoca dell’autorizzazione alla presentazione del libro è la dimostrazione che non si vuole che si parli delle condizioni dei rifugiati palestinesi.
La censura alla storia ha impedito alle società occidentali di conoscere le dinamiche dell’occupazione israeliana, le condizioni di apartheid in cui vivono i palestinesi in Cisgiordania e in Israele, le condizioni dei rifugiati ristretti nei campi profughi[10].
La sorte del libro di Sinwar è analoga a quella di altre opere artistiche. Il film «Farha» del 2021, della regista giordana Darin Sallam che, attraverso gli occhi di un’adolescente, racconta di una strage a opera uomini della milizia israeliana avvenuta nel 1948, durante le fasi che portarono alla nascita dello Stato di Israele, non è visibile su canali pubblici o piattaforma internazionali in Italia[11]. Su Netflix è stato bloccato perché ritenuto di incitamento all’odio[12].
È di non facile reperibilità sulle piattaforme statunitensi anche il documentario vincitore dell’Oscar 2025 e del 74° Festival di Berlino “No other land” dei registi Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal, Rachel Szor. Quanto alla proiezione in Rai sembra vi siano state pressioni per togliere il film dal palinsesto o quanto meno posticiparne la programmazione[13].
Il 26 febbraio 2024, al Festival di Berlino Yuval Abraham, quando ha ricevuto il premio, ha evocato incisivamente la condizioni della popolazione palestinese nei paesi occupati: «Io e Basel abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo uguali. Io sono sottoposto al diritto civile, Basel al diritto militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io posso votare e Basel no. Io sono libero di andare dove voglio, Basel come milioni di palestinesi è rinchiuso nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid tra di noi, questa disuguaglianza, deve finire.» Basel Adra ha proseguito nella descrizione riferendo: «La mia comunità, la mia famiglia hanno filmato la cancellazione della nostra società per mano di questa occupazione brutale. Sono qui che celebro questo premio, ma mi è molto difficile mentre decine di migliaia di persone vengono trucidate e massacrate da Israele a Gaza. Masafer Yatta, la mia comunità, sta venendo rasa al suolo da bulldozer israeliani. Chiedo soltanto una cosa: alla Germania, visto che mi trovo qui a Berlino, di rispettare la volontà dell'ONU e smettere di mandare armi ad Israele.»
Per queste dichiarazioni Yuval Abrham e la sua famiglia sono stati perseguitati dai connazionali e costretti al trasferimento. Basel Adra[14] e l’altro coregista palestinese Hamdan Ballal[15], tornati in Palestina sono stati vittime di pestaggi da parte dei coloni israeliani. Mentre Odeh Awdah Muhammad Hadalin, attivista e insegnante palestinese noto per il suo contributo al documentario è stato ucciso da un colono.
La censura dei romanzi e dei film, attuata con diverse modalità, si rileva così in tutta la sua perniciosità come è uno strumento per perpetuare il nascondimento della Nakba e della Naksa o, quanto meno oscurare un punto di vista della storia, quello narrato dagli sconfitti e per perpetuare il nascondimento delle condizioni del popolo profugo palestinese.
Nel 1948, durante il conflitto, milizie ebraiche come Haganah e Irgun, e poi l’esercito israeliano, condussero operazioni che portarono alla distruzione di oltre 500 villaggi palestinesi.
Il massacro di Deir Yassin è tra gli avvenimenti storici più significativi della Nakba, strage della quale gli occidentali sono rimasti nella quasi totalità all’oscuro. Il 9 aprile del 1948 a Deir Yassin furono uccisi circa 100 civili[16], la strage terrorizzò la popolazione araba, composta di pastori e agricoltori, al punto da convincerla a fuggire. In quegli anni da Giaffa, uno dei più importanti porti del Medio Oriente e storica città araba, fuggirono circa 120mila palestinesi. Oggi Giaffa è un quartiere di Tel Aviv. In una lettera al New York Times pubblicata il 4 dicembre 1948 Albert Einstein, Hannah Arendt, Sidney Hook e altri esponenti della comunità ebraica statunitense condannarono il massacro di Deir Yassin e definirono “Fascisti, nazisti, terroristi” nell'ideologia, nell'organizzazione e nei metodi sia Menachem Begin[17], comandante dell'Irgun che aveva perpetrato la strage, sia il partito Tnuat Haherut (del Partito della Libertà), di cui lo stesso Begin era leader[18].
La storia del popolo profugo della Palestina evoca così la dolorosa domanda “Ma nessuno si è accorto di noi?”, ma in questo caso la risposta comporta anche un’analisi circa la costante attenzione al nascondimento delle notizie.
3. La cronaca dello sterminio del popolo palestinese e la strage dei giornalisti
Dopo il 7 ottobre 2023 in Palestina sono stati uccisi 268 tra giornalisti e operatori dei media. Il 25 agosto scorso, presso l’ospedale di Nasser di Khan Yunis, il campo profughi in cui è ambientato il romanzo di Sinwar, nel sud della Striscia di Gaza, ne sono stati uccisi cinque; in questo caso la strage è stato realizzato con una particolare tecnica di guerra: la tecnica dei due colpi dopo un primo missile che colpisce un obiettivo, solo apparentemente primario, viene lanciato un secondo missile che colpisce l’obbiettivo realmente primario ovvero coloro che si sapeva che primo missile sarebbero accorsi: medici e giornalisti.
La strage dei giornalisti e degli operatori dei media è funzionale a non mostrare la pulizia etnica in atto contro il popolo palestinese; i giornalisti stranieri non possono entrare a Gaza e con la strage dei giornalisti palestinesi si impedisce la cronaca quotidiana, si censura la narrazione della pulizia etnica in atto con l’obiettivo confessato da Bezalel Smotrich di trasformare la striscia in “un'Eldorado immobiliare da spartire con gli Usa" e altresì di appropriarsi dei giacimenti di gas di Gaza Marine.
Colpire giornalisti significa cancellare il diritto all’informazione, un diritto umano universale che in guerra è baluardo di civiltà. Senza giornalisti, i civili restano senza voce. “Quando muore un giornalista, muore una parte di civiltà”.[19]
Antoine Bernard, direttore di Reporter senza frontiere (Rsf) ha scritto: «prendere di mira i giornalisti palestinesi non significa solo ostacolare il presente, ma cancellare il futuro» e ha aggiunto «Il mondo dovrebbe tenere presente che un tale, incessante livello di crimini internazionali contro i giornalisti a Gaza ha innalzato la soglia di tolleranza al crimine a livelli senza precedenti».
A questo si aggiunge la doppia vittimizzazione: giornalisti uccisi e definiti terroristi[20].
4. La crisi del diritto internazionale
“Nulla sarà più come prima” ha scritto Anna Foa se il mondo civile e gli organismi internazionali si mostreranno non in grado di fermare lo sterminio in atto.
È la prima volata nella storia dell’umanità, come ha detto Massimo Cacciari, che un esercito combatte contro la popolazione civile; in tutte le guerre della storia l’uccisione dei civili è un’eventualità, un effetto collaterale da evitare; l’IDF in questo momento combatte invece contro donne e bambini in fuga, logorati da due anni di guerra e da una carestia indotta dalla medesima Nazione che li combatte.
L’umanità uscirà irrimediabilmente segnata da questo massacro.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 è stato terribile, il più devastante atto terroristico della storia di Israele così come la cattura dei 250 ostaggi, dei quali 50 sono ancora nelle mani di Hamas ma, per usare le parole di Grossman, "Davanti a tanta sofferenza, il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante".
I crimini contro il popolo palestinese graveranno sull’umanità intera così come l’olocausto e come le atomiche su Hiroshima e su Nagasaki.
Il diritto internazionale è in pericolo, “Israele sta demolendo anche quello” ha scritto Anna Foa.
Le organizzazioni internazionali istituite nel 1945 per impedire crimini contro l’umanità analoghi a quelli perpetrati dai regimi nazi-fascisti, sono anche loro sotto attacco.
I componenti della Corte internazionale dell’Aja sono destinatari di sanzioni da parte dell’USA[21]. La vicenda della mancata esecuzione da parte dell’Italia – uno dei paesi promotori dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale[22] - del mandato di cattura di Al Masri è uno dei tasselli che segna una drastica delegittimazione.
Le difficoltà – pratiche oltre che accademiche - all’esecuzione di mandato di arresto quali quelli contro Putin e contro Netanyahu[23] assegnano agli organi internazionali a un ruolo attendista. Le violazioni del diritto internazionale in atto in questo momento contro gli equipaggi delle imbarcazioni della Sumud Flotilla nei mari internazionali evidenziano un ritardo nell’attivazione in tempo utile di strumenti di azione ma, al tempo stesso, ricordano l’importanza del consenso e della comunità di intenti che deve caratterizzare il lavoro degli organismi sovraordinati i termini di collaborazione con le nazioni che li compongono o dalle quali hanno ricevuto mandato, con un potere di azione indubbiamente limitato dalle sovranità nazionali nonché dall’impossibilità di azioni in prevenzione. Il blocco navale del mare davanti a Gaza attuato nel 2009 dallo Stato di Israele è stato oggetto di approfondimento quanto alla legittimità solo a seguito dell’attacco di Israele dalla Maia mar nel corso del quale furono uccisi dieci attivisti[24].
Il riconoscimento dello Stato di Palestina costituisce senz’altro un importante passo avanti. Al 23 settembre 2025, 157 dei 193 stati membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto lo Stato della Palestina, ad essi sono da aggiungersi la Città del Vaticano Città del Vaticano e Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi. Tra essi manca all’appello l’Italia.
5. La definizione di terrorismo nel diritto internazionale
Nel diritto internazionale non esiste una definizione universalmente accettata di terrorismo, ma generalmente la nozione di terrorismo è correlata all'uso o alla minaccia dell’uso di violenza finalizzato a incutere terrore nella popolazione, e a costringere governi, organizzazioni internazionali o altri soggetti a compiere o astenersi da specifici atti, per ragioni politiche o ideologiche. Trattasi di nozione che include atti criminali di grande impatto, come attentati, rapimenti e dirottamenti.
In sostanza, ciò che accomuna le diverse definizioni è la condanna di azioni violente e ingiustificabili mirate a diffondere terrore per scopi politici, anche se il concetto rimane complesso e oggetto di continue discussioni internazionali, mentre sarebbe fondamentale l’elaborazione di una definizione univoca.
Solo organismi internazionali terzi attraverso un’istruttoria fondata su prove legittimante acquisite a carico e a discarico e verificate quanto all’autenticità e nell’ambito di un procedimento garantito possono emettere provvedimenti atti a inserire una persona o una associazione nell’elenco dei terroristi con validità internazionale. In questo senso in ambito internazionale non dovrebbe essere attribuito alcun valore alla dichiarazione proveniente da un singolo governo contro uno stato o una popolazione nemica.
In questo contesto mondiale di espansione dell’aggressività di taluni capi di governo preoccupa la leggerezza nell’uso dell’epiteto terrorista; uso leggero del quale purtroppo sono molti gli esempi: secondo il Ministro israeliano Itamar Ben Gvir vanno trattati come terroristi gli attivisti umanitari della Sumud flotilla [25]; Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo con il quale designa Antifa come “organizzazione terroristica interna” con l’effetto che gli antifascisti saranno trattati come terroristi[26]; Su X il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs, con riferimento alla decisione dell’eurocamere di non revocare l’immunità alla Salis, ha menzionato Terrorismi di estrema sinistra [27].
L’utilizzo improprio della nozione di terrorismo oltre che legittimare, nei confronti di taluni soggetti o associazione, deroghe - non giustificate - alle normali garanzie di difesa universalmente riconosciute nei paesi civili quale presidio del rispetto dei diritti umani, snatura la nozione stessa di terrorismo, la svuota del contenuto proprio creando una perniciosa confusione tra pericolosità reale e rappresentazione strumentale di pericolosità; l’utilizzo dell’attribuzione della qualità di terrorista a fini persecutori ne svilisce il significato.
In questa confusione lessicale, fondata su scelte arbitrarie e di comodo, si enfatizzano alcuni pericoli e se ne disconoscono altri invece reali come il blocco del mare di Gaza del 2009, l’assedio della popolazione palestinese iniziato nel 2006 con la vittoria elettorale di Hamas o gli attacchi dei coloni israeliani contro gli agricoltori e gli allevatori palestinesi in Cisgiordania.
La storia tra Hamas e Israele può essere raccontata come il confronto tra il piccolo naviglio e la flotta ove è la dimensione il tratto distintivo tra il bandito e il condottiero [28] ma anche come al storia dell’ultimo colonialismo occidentale che mette in conto lo sterminio dei nativi – analogo a quello degli indiani d’America e degli aborigeni australiani – davanti a una comunità internazionale che nonostante i principi consacrati nelle convenzioni e nei trattati sottoscritti dal 1945 a oggi resta paralizzata dall’assenza di strumenti di azione, quando non piegata da interessi economici che valgono più della sopravvivenza di un popolo.
6. Conclusioni
Il fatto che Sinwar sia stato dichiarato terrorista, come il partito di Hamas del quale è stato leader[29], non giustifica il diniego dell’autorizzazione alla presentazione del libro. Per chi conosce la storia della Palestina, come la conosceva Giulio Andreotti, ma anche come la conoscevano Amintore Fanfani, Aldo Moro e Bettino Craxi la contestualizzazione della definizione di terrorista è d’obbligo. La conoscenza della storia dei popoli e la storia delle persone che li compongono aiuta a evitare giudizi incoerenti con la realtà.
“Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista” ha detto Giulio Andreotti in un discorso tenuto in Senato l’8 luglio 2006, l’immagine fa pensare al piccolo Amhad del romanzo di Sinwar. Andreotti era il teorico della politica dell’equivicinanza – neologismo da lui introdotto- verso palestinesi e israeliani, seguita anche da Moro, da Fanfani, da d’Alema e da Craxi[30], politica purtroppo dimenticata dai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi vent’anni.
Quello che sta accadendo in Palestina compresa la proposta di tregua in venti punti di Trump del 30 settembre 2025, la cui genericità e inidoneità risolutiva anche con riguardo la riconoscimento dello Stato di Palestina[31] è sotto gli occhi di tutti a conferma l’attualità che di quello che ci ha ricordato la Licia Fierro citando Tucidide “ Noi crediamo che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi prima, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza”. [32]
Quanto a Netanyahu, al potere dal 2004, non resta che auspicare che il mandato di arresto emesso nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale il 21 novembre 2024[33] sia eseguito e inizi il processo a su carico, affinché si accerti la sua responsabilità in merito a condotte in violazione dl diritto umanitario e ciò affinché il diritto internazionale sia riaffermato e ribadita la fondamentale importanza dello Statuto di Roma.
[1] V.D. Segre, “Israele una società in evoluzione Rizzoli, 1973.
[2] L'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) è un'agenzia delle Nazioni Unite istituita nel 1949 per fornire assistenza e protezione ai profughi palestinesi registrati in Giordania, Libano, Siria e nei territori palestinesi occupati. I suoi servizi includono istruzione, assistenza sanitaria, aiuti di emergenza, infrastrutture e microcredito, con l'obiettivo di garantire una vita dignitosa ai rifugiati in attesa di una soluzione duratura alla loro situazione.
Il 28 ottobre 2024 la Knesset - il parlamento monocamerale d'Israele -ha votato due proposte di legge riguardanti UNRWA per la definitiva criminalizzazione ed espulsione di fatto dell'agenzia per i rifugiati palestinesi. Una approvata il 22 settembre 2025 con una maggioranza di 92 voti a 10 stabilisce che l’Unrwa non potrà più «gestire alcuna istituzione, fornire alcun servizio o condurre alcuna attività, direttamente o indirettamente» all’interno del territorio controllato da Israele. Il che include i territori palestinesi occupati dal 1967, dove quasi tre milioni di palestinesi sono registrati come rifugiati e centinaia di migliaia di questi beneficiano di servizi di sostegno primario. L’altra – in corso di approvazione - abroga l’accordo del 1967 tra le Nazioni Unite e Israele, che consentiva all’Unrwa di estendere il proprio operato all’interno dei territori palestinesi occupati, con l’impegno di Israele a facilitare il lavoro dell’Agenzia. Tale misura priva l’Unrwa anche dell’immunità diplomatica.
[3] J Talmon “History as a Fixation and Guide", New Outlook.
[4] Sugli omicidi mirati ha scritto un saggio Ronen Bergman. «Se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo» recita una frase del Talmud, il testo fondamentale dell'ebraismo, e fin dalla sua nascita, nel 1948, Israele pare aver fatto di questo insegnamento la propria parola d'ordine, forse a causa del trauma della Shoah e della sensazione, condivisa dai suoi leader e cittadini, che il paese e l'intero popolo ebraico siano in costante pericolo di annientamento. Per tutelare la propria sicurezza, Israele ritiene dunque che la prevenzione e la deterrenza siano le armi vincenti, tanto che molto spesso i suoi capi politici hanno scelto di ricorrere agli omicidi mirati di potenziali nemici, affidandone l'incarico a quello che, probabilmente, è il più formidabile apparato di intelligence esistente., Bergman racconta le fasi cruciali e le sofisticatissime tecniche di una campagna di esecuzioni extragiudiziali (senza tacere i brucianti interrogativi etici che essa pone) la cui escalation ha plasmato il volto attuale di Israele, del Medio Oriente e del mondo intero. https://www.mondadoristore.it/uccidi-per-primo-la-storia-segreta-degli-omicidi-mirati-di-israele-libro-ronen-bergman/p/9788804801528.
Dall'inizio della Seconda Intifada, il 29 settembre 2000, all'inizio di novembre 2003, almeno 126 civili palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane in esecuzioni extragiudiziarie, che il governo israeliano definisce "omicidi mirati" per motivi di sicurezza. 67 di questi omicidi sono stati perpetrati dall'aviazione e 59 dalle forze di terra. (www.btselem.org. Nel corso di queste operazioni, altri 86 palestinesi hanno perso la vita come "effetto non voluto", semplicemente perché si trovavano a passare nel posto sbagliato al momento sbagliato o per aver tentato di portare soccorso alle vittime dell'operazione stessa. Il 3 luglio 2003 il Segretario Générale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha pubblicamente condannato «quelli che sono diventati note come "omicidi mirati"», dicendosene profondamente turbato Omicidi mirati – Caritas Jerusalem ove si trova anche il documento di dissociazione dei veterani «Noi, veterani e piloti attivi che abbiamo servito e continuiamo a servire e ancora serviremo lo Stato d'Israele per lunghe settimane ogni anno, ci opponiamo a eseguire ordini di attacco che sono illegali e immorali come quelli che lo Stato di Israele sta conducendo nei Territori. Noi che siamo stati cresciuti per amare lo Stato d'Israele e contribuire all'impresa sionista, rifiutiamo di prendere parte agli attacchi dell'Air Force sui centri della popolazione civile. Noi, che sentiamo l'esercito israeliano e l'Air Force come parte inalienabile di noi stessi, ci rifiutiamo di continuare a infliggere sofferenze ai civili innocenti. Queste azioni sono illegali e immorali, e sono il diretto risultato dell'occupazione in atto che sta corrompendo tutta la società israeliana. Il perpetrarsi dell'occupazione minerà fatalmente la sicurezza dello Stato di Israele e la sua forza morale. Noi che prestiamo servizio come piloti attivi, combattenti, dirigenti e istruttori della prossima generazione di piloti, da questo momento dichiariamo che continueremo a servire l'Esercito israeliano e l'Air Force solo per le missioni in difesa dello Stato israeliano» (25/09/03). Brigadiere Generale Yiftah Spector, Colonnello Yigal Shohat, Colonnello Ran, Tenente Colonnello Yoel Piterberg, Tenente Colonnello David Yisraeli, Tenente Colonnello Adam Netzer, Tenente Colonnello Avner Ra'anan, Tenente Colonnello Gideon Shaham, Maggiore Haggai Tamir, Maggiore Amir Massad, Maggiore Gideon Dror, Maggiore David Marcus, Maggiore Professor Motti Peri, Maggiore Yotam, Maggiore Zeev Reshef, Maggiore Reuven, Capitano Assaf, Capitano Tomer, Capitano Ron, Capitano Yonatan, Capitano Allon, Capitano Amnon
http://s2ew.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/958/10_omicidi.pdf
Sulla (il)legittimità degli omicidi mirati mediante i droni e i possibili ricorsi alle corti* di Chantal Meloni https://www.ecchr.eu/fileadmin/Gutachten/Gutachten_Sulla_il_legittimita_degli_omicidi_mirati_mediante_i_droni_e_i_possibili_ricorsi_alle_corti.pdf
Dal 2004 a oggi sono stati uccisi con omicidio mirato 14 leder di Hamas.
Costituisce uno sviluppo della tattica difensiva dell’omicidio mirato l’applicazione dell’A.I. attraverso droni programmati a individuare la vittima e a decidere l’entità dell’effetto collaterale accettabile ( ovvero il numero dei civili estranei che possono essere uccisi insieme all’”obiettivo”). Nel 2021, è stato pubblicato “The Human-Machine Team: How to Create Synergy Between Human and Artificial Intelligence That Will Revolutionize Our World” (Come creare una sinergia tra intelligenza umana e artificiale che rivoluzionerà il nostro mondo) sotto lo pseudonimo di “Brigadier General Y.S.”. L’autore si dice sia l’attuale comandante dell’unità d’élite israeliana 8200. Nel libro si sostiene la necessità di progettare una macchina speciale in grado di elaborare rapidamente enormi quantità di dati per generare migliaia di potenziali “bersagli” da colpire in guerra. In un’inchiesta di +972 Magazine e Local Call si rivela che, in effetti, l’esercito israeliano ha sviluppato un programma basato sull’intelligenza artificiale noto come “Lavender”. Lavender sembra abbia svolto un ruolo centrale nei bombardamenti senza precedenti contro i palestinesi, soprattutto durante le prime fasi della guerra. ( vedi https://pagineesteri.it/2024/04/05/primo-piano/lavender-la-macchina-di-intelligenza-artificiale-che-dirige-i-bombardamenti-di-israele-su-gaza/ “Lavender”: La macchina di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti di Israele su Gaza di redazione | 5 Apr 2024 | Medioriente, Primo Piano Di Yuval Abraham – +972 Local Call 3 aprile 2024 (traduzione di Federica Riccardi).
[5] Il Likud trae le sue radici nel movimento sionista riformista di Vladimir Žabotinskij (dal 1923 Partito revisionista sionista o Hatzohar), liberale, e nella sua ala militare (Irgun Zvai Leumi o Etzel), nazionalista. Subito dopo la nascita di Israele questa ala si trasformò nel partito Herut (Libertà), che prosciugò il seguito di Hatzohar e nel 1961 si unì ai Libralim (Liberali) nel blocco elettorale Gahal, la maggiore forza di opposizione. Grazie a una nuova serie di convergenze il Likud fu fondato nel 1973 da Menachem Begin, che lo condusse alla storica vittoria del 1977, la prima volta in cui i laburisti andarono all'opposizione. Solo nel 1988 il Likud divenne un partito unitario.
[6] Gli accordi di Oslo, ufficialmente chiamati “Dichiarazione dei Principi riguardanti progetti di auto-governo ad interim o Dichiarazione di Principi”, sono stati ratificati il 13 settembre 1993 Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sotto l’egida di Bill Clinton. Gli accordi di Oslo hanno portato all'istituzione dell'Autorità Nazionale Palestinese – con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza – e hanno riconosciuto l'OLP come partner di Israele nei negoziati sulle questioni in sospeso. I negoziati proseguirono portando nel 1995 ai cosiddetti accordi di Oslo 2, che ampliavano l'autogoverno ad altre parti della Cisgiordania. Malgrado le grandi speranze suscitate dagli accordi e dalle successive intese, che s'impegnavano alla normalizzazione delle relazioni d'Israele col mondo arabo, il conflitto non è stato risolto. Le questioni più importanti che gli accordi non risolvevano erano: i confini di Israele e Palestina, i territori occupati da Israele, la presenza militare di Israele nei territori palestinesi. Yitzhak Rabin, osteggiato personalmente dalla destra nazionalista e conservatrice e dai leader del Likud che consideravano gli accordi di Oslo come un tentativo di abbandonare i territori occupati primo ministro di Israele e ministro della difesa, fu assassinato da Digal Amir, un colono ebreo estremista e sionista di destra - fermamente contrario all'iniziativa di pace di Rabin e particolarmente alla firma dei trattati
[7] la risoluzione 194 dell'Assemblea Generale dell'ONU approvata l'11 dicembre 1948, esprime apprezzamento per gli sforzi dell'Inviato delle Nazioni Unite Folke Bernadotte dopo il suo assassinio da parte dei membri della Banda Stern. Si occupa della situazione nella regione della Palestina, al momento, stabilire e definire il ruolo di una Commissione di Conciliazione delle Nazioni Unite come organizzazione per facilitare la pace nella regione. La risoluzione si compone di 15 articoli, i più citati dei quali sono:Articolo 7: protezione e il libero accesso ai Luoghi Santi, Articolo 8: la smilitarizzazione e il controllo delle Nazioni Unite su Gerusalemme; Articolo 9: il libero accesso a Gerusalemme; Articolo 11: chiede il ritorno dei profughi
[8] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/chi-era-sinwar
[9] Haniyeh è stato ucciso nel suo alloggio gestito da militari dei Pasdaran dopo aver partecipato alla cerimonia di insediamento del presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Il 23 dicembre 2024, Israele ha ammesso di essere dietro all'assassinio di Ismail Haniyeh. Un omicidio mirato.
[10] https://popcorntv.it/cinema/film-palestinesi-stanno-scomparendo-da-netflix/75073
[11] La Nakba per Israele non è mai esistita .
[12] Si veda il video in calce.
[13] Slitta la messa in onda di No Other Land, il film sull’occupazione israeliana rinviato su “richiesta politica”
[14] https://it.euronews.com/2025/09/14/cisgiordania-coloni-israeliani-fanno-irruzione-nella-casa-del-regista-premio-oscar-basel-a
[15] https://it.euronews.com/cultura/2025/03/25/il-regista-palestinese-premio-oscar-hamdan-ballal-aggredito-da-coloni-israeliani-e-poi-arr
[16] Memories of a massacre linger with a Palestinian, with war in Gaza as a reminder https://www.youtube.com/watch?v=O7ggLpJ-zQU
[17] Menachem Begin ha fondato il partito Likud definito terrorista da Albert Einstein, Hannah Arendt, Sidney Hook e altri esponenti della comunità ebraica statunitense
[18] https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/dallarete/la-lettera-di-albert-einstein-e-hannah-arendt-sulla-deriva-fascista-di-israele/
[19] il Prof. Foad Aodi da medico e giornalista richiama con forza la dichiarazione congiunta di Carlo Bartoli e Filippo Anelli: “Hanno espresso con chiarezza un principio che facciamo doverosamente nostro: non si possono colpire giornalisti e medici, perché significa spegnere contemporaneamente il diritto alla salute e il diritto all’informazione. Sono due pilastri dei diritti umani universali, che in guerra diventano la prima linea di civiltà. Senza medici e senza giornalisti, i civili restano senza cure e senza voce. Ringraziamo Bartoli e Anelli per la loro presa di posizione netta e ribadiamo che la comunità internazionale deve tradurre queste parole in azioni concrete, immediate e verificabili.”
[20] Il 10 agosto 2025, cinque reporter palestinesi di Al Jazeera sono stati uccisi presi di mira nei pressi dell'ospedale Al-Shifa di Gaza City. Uno di loro era Anas al-Sharif, corrispondente di 28 anni, che è stato ucciso insieme a Mohammed Qreiqeh, e ai cameramen Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. Si trovavano in una tenda dedicata alla stampa vicino all'ingresso principale dell'ospedale.
Le autorità israeliane hanno confermato di aver ucciso volutamente proprio Anas al-Sharif, accusandolo di essere il capo di una cellula di Hamas coinvolta in attacchi missilistici contro civili e forze israeliane..
Questa accusa è sempre stata negata da Al Jazeera e da organizzazioni per i diritti umani, che denunciano come infondate le accuse contro i giornalisti, considerato un tentativo di giustificare l'aggressione verso gli operatori della stampa.
[21] Il culmine della battaglia intrapresa dagli USA contro la Corte penale è stato raggiunto nello scorso mese di giugno con la promulgazione, da parte del Presidente Trump, dell’Executive Order on Blocking Property of Certain Persons Associated with the International Criminal Court, cui ha fatto seguito, il 2 settembre, l’imposizione di specifiche sanzioni a carico del Procuratore della Corte penale, la signora Fatou Bensouda, e del capo della Divisione Jurisdiction, Complementarity and Cooperation, Phakiso Mochochoko. In particolare, l’Executive Order prevede la possibilità di assumere misure come il congelamento di fondi e beni, presenti negli Stati Uniti, di proprietà di funzionari della Corte penale, nonché di ogni cittadino straniero che abbia collaborato con la Corte nelle indagini contro personale degli USA o di Stati “alleati” degli USA4 ; è, altresì, prevista la restrizione dei visti di ingresso negli Stati Uniti per i funzionari della Corte, coinvolti in siffatte indagini o destinatari dei suddetti provvedimenti sanzionatori, e per i loro familiari. Su tali basi, il provvedimento attuativo ha disposto l’iscrizione dei suddetti nominativi nella black list elaborata dal Treasury Department’s Office of Foreign Assets Control (OFAC) e la conseguente imposizione delle misure restrittive nei loro confronti. https://www.osorin.it/uploads/model_4/.files/40_item_2.pdf?v=1602149227 Le sanzioni statunitensi contro la Corte penale internazionale Egeria Nalin
[22] lo Statuto di Roma è il trattato internazionale adottato il 17 luglio 1998 che ha istituito la Corte Penale Internazionale (CPI). La CPI è un'istituzione permanente con sede all'Aia, competente a perseguire e giudicare competente a perseguire e giudicare il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione, ma solo quando le autorità nazionali non sono in grado o non intendono perseguire tali reati
[23] In data 21 novembre 2024, la I Camera predibattimentale della Corte penale internazionale ha respinto i ricorsi presentati dallo Stato di Israele ex artt. 18 e 19 dello Statuto di Roma per ottenere una nuova notifica dell’avvio dell’indagine da parte del Procuratore e per far valere il difetto di giurisdizione della Corte. Inoltre, sono stati emessi i mandati di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini contro l’umanità (omicidio, persecuzione e altri atti disumani) e crimini di guerra (fame come metodo di guerra e direzione intenzionale di un attacco contro la popolazione civile) commessi (almeno) dall’8 ottobre 2023 fino ad (almeno) il 20 maggio 2024. https://images.processopenaleegiustizia.it/f/sentenze/documento_e7qj4_ppg.pdf
[23] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/chi-era-sinwar
[24] ll diritto internazionale impone che non si possano riconoscere effetti giuridici ad annessioni territoriali illecite, di conseguenza è illecito qualsiasi riconoscimento di sovranità territoriale israeliana sul mare antistante Gaza. A riguardo la Corte internazionale di giustizia (International Court of Justice, Legal Consequences arising from the Policies and Practices of Israel in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, Avisory Opinion, 19 July 2024), ha chiarito che «Israele non ha diritto alla sovranità su alcuna parte del Territorio palestinese occupato e non possa esercitarvi poteri sovrani in virtù della sua occupazione» (§ 254). La Corte ha così ha affermato l’obbligo di Israele di «mettere fine alla sua presenza illecita nel più breve tempo possibile» (§ 267), ma ha anche affermato per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, e quindi ovviamente anche per lo Stato Italiano, l’obbligo di non riconoscere in alcun modo la presenza illecita di Israele nei Territori Palestinesi e di non attribuire alcuna conseguenza giuridica alla situazione creata da Israele con l’occupazione illecita; inoltre tutti gli Stati devono «vigilare affinché sia posto fine a ogni ostacolo all’esercizio del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione derivante dalla presenza illecita di Israele nel Territorio palestinese occupato» (§§ 278, 279). Facendo seguito a tali conclusioni l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con Risoluzione del 13 settembre 2024 (A/ES-10/L.31/Rev.1) ha imposto ad Israele un termine massimo di 12 mesi (scaduti quindi il 13 settembre 2025) per cessare l’occupazione illecita, ribadendo il divieto per tutti gli Stati di riconoscere effetti legali all’occupazione.
[25] È arrivata la sanzione ufficiale del ministero degli Esteri israeliano, che ha scritto su X: «Questa non è una missione umanitaria. È un’iniziativa jihadista a servizio dell’agenda del gruppo terrorista ». Il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha presentato ieri alla stampa i piani israeliani per la gestione della Global Sumud flotilla. I volontari che tentano di rompere il blocco israeliano su Gaza, navigando in maniera pacifica in acque internazionali, verranno trattati come fossero terroristi. Il leader suprematista di estrema destra ha minacciato di arrestare tutti i partecipanti alla missione e gettarli nelle prigioni di massima sicurezza di Ketziot e Damon. Crede che privarli della libertà e tenerli in isolamento possa spezzare la loro volontà e insieme impedire che altre imbarcazioni seguano l’esempio. «Non permetteremo alle persone che sostengono il terrorismo di vivere nell’agiatezza – ha dichiarato il capo di Potere ebraico – Affronteranno tutte le conseguenze delle loro azioni».
[26] Un gruppo politico che non esiste. Un reato che non esiste. Sono questi gli oggetti dell’ultimo ordine esecutivo di Donald Trump, che designa Antifa come “organizzazione terroristica interna”, accusata di aver organizzato una serie di violenze – tra cui rivolte, attacchi alle forze dell’ordine e doxing (diffusione di dati sensibili) – con l’obiettivo di “rovesciare il governo degli Stati Uniti”. L’ordine chiede a tutte le agenzie federali competenti di “indagare e smantellare” qualsiasi attività illegale associata ad Antifa o a coloro che la sostengono. La genericità del linguaggio utilizzato nell’ordine, i suoi scarsi fondamenti legali, creano in queste ore particolare preoccupazione. L’ordine, che di fatto renderebbe illegale ogni forma di antifascismo negli Stati Uniti, appare a molti come un passo ulteriore nell’offensiva dell’amministrazione contro dissenso e avversari politici.
[27] “È incomprensibile e scandaloso che l’Eurocamera legittimi il terrorismo di estrema sinistra – ha scritto su X il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs -. Salis e i suoi si sono recati in Ungheria con l’obiettivo premeditato di picchiare a caso la gente per strada, per convinzione politica. Non è una questione politica, ma di terrorismo” Balazs Orban, direttore politico dell’ufficio del premier Viktor Orban, legando la critica alla decisione di Donald Trump di dichiarare “terrorista” il movimento Antifa. “Antifa non è un movimento politico, ma un’organizzazione violenta. L’obiettivo dell’Ungheria è chiaro: pace e sicurezza per i nostri cittadini. I gruppi Antifa rappresentano l’opposto: in tutta l’Europa e negli Stati Uniti abbiamo visto l’attivismo trasformarsi in violenza di strada, intimidazioni e caos. Ecco perché abbiamo deciso, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, di designare Antifa come organizzazione terroristica in Ungheria”, ha scritto Orban su X.
[28] Il prof. Branco nel corso dell’iniziativa nella quale alla Sapienza è stata data voce all’editore del libro di Yahya Sinwar ha ricordato il dialogo tra Alessandro Magno e il Pirata nel De civitate Dei di Agostino: «Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta”».
[29] Nel maggio 2024 la Corte Penale Internazionale ha chiesto l'arresto dei leader di Hamas Yahya Sinwar, Ismāʿīl Haniyeh e Mohammed Deif, per crimini di guerra e contro l'umanità, nella stessa occasione in cui analoga richiesta veniva fatta per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant.[42][43]
Lo status di Ḥamās varia a seconda dei i Paesi: è considerata un'organizzazione terroristica da Unione europea,[79] Stati Uniti,[80] Israele,[81] Canada,[82] Regno Unito,[83] Australia,[84] Nuova Zelanda,[85] Giappone,[86] l'Organizzazione degli Stati Americani,[87] Argentina[88] e, a seguito del 7 ottobre 2023, dalla Svizzera,[89] mentre il Paraguay classifica come tale solo la sua ala militare.
[30] Andreotti nel discorso al Senato ha esposto una posizione che ha ispirato quasi mezzo secolo di politica estera «realista» all’italiana. La linea italiana di politica estera disse in quell’occasione Andreotti, «prescinde dal carattere strutturale del governo, perché è nata nel ‘70 a Venezia, quando per la prima volta si parlò della necessità di dialogo tra israeliani e palestinesi». Andreotti ha ricordato che nel ‘48 l’Onu ha creato lo Stato di Israele e lo stato arabo, ma «lo stato di Israele esiste, lo stato arabo no».
[31] https://www.affarinternazionali.it/il-piano-di-pace-in-20-punti-di-trump-per-gaza/
[32] Licia Fierro, C’è un modo per liberare gli uomini dalla “fatalità della guerra”?, su Questa Rivista https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-societa/3620-liberare-gli-uomini-dalla-fatalita-della-guerra-licia-fierro
[33] La Camera preliminare I della Corte penale internazionale (CPI) ha emesso due decisioni cruciali per la situazione nello Stato di Palestina. All’unanimità, la Camera ha respinto le richieste presentate da Israele ai sensi degli articoli 18 e 19 dello Statuto di Roma e ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant.
Israele aveva contestato la giurisdizione della Corte sulla situazione in Palestina e sui cittadini israeliani, richiedendo anche che la Procura notificasse nuovamente l’avvio dell’indagine. Tuttavia, la Camera ha stabilito che la giurisdizione territoriale della Corte si estende alla Palestina, come precedentemente deciso, e ha ritenuto prematura la contestazione di Israele, poiché lo Statuto non consente tale ricorso prima dell’emissione di un mandato di arresto.
Quanto alla richiesta di una nuova notifica dell’indagine, la Corte ha ricordato che Israele era stato informato nel 2021 e aveva scelto di non agire in quella fase. Pertanto, non vi erano ragioni per sospendere i procedimenti in corso, inclusi i mandati di arresto per Netanyahu e Gallant.
I mandati di arresto emessi riguardano presunti crimini commessi dai due esponenti politici israeliani, tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, durante il conflitto in Gaza. La Camera preliminare ha riscontrato fondati motivi per accusare Netanyahu e Gallant di crimini contro l’umanità e crimine di guerra.
Secondo la Corte, Netanyahu e Gallant hanno agito consapevolmente per impedire aiuti umanitari, violando il diritto internazionale umanitario. Tali azioni avrebbero causato malnutrizione, disidratazione e sofferenze gravi alla popolazione civile, con un impatto devastante su ospedali e infrastrutture essenziali. La Camera ha sottolineato che le restrizioni erano motivate politicamente e non da necessità militari.
Queste decisioni segnano un importante sviluppo nei procedimenti della CPI e pongono ulteriori interrogativi sulla responsabilità e il rispetto del diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese.
Dice di aver sofferto per il trattenimento impostole dalla regista Carine Tardieu e di aver ceduto in qualche occasione a vere e proprie crisi di nervi. In effetti, dinanzi a questa pellicola il primo elemento che balza agli occhi è una Valeria Bruni Tedeschi oltremodo contenuta, “frustrata”, come lei stessa si è definita. Ma questo forzato zittire la sua fragilità travolgente non ha fatto perdere di potenza a un personaggio pressoché perfetto, capace di sorreggere l’intero film. Perché è lei, la vicina di casa Sandra, l’impalcatura sulla quale si reggono la trama e l’intreccio de L’attachement – La tenerezza, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno per la sezione Orizzonti e arrivato nelle sale italiane soltanto ora, quanto la Bruni Tedeschi è pronta ad accogliere il successo dell’ultimo lavoro di Pietro Marcello, Duse.
Adattamento del romanzo L’intimité di Alice Ferney per la sceneggiatura di Tardieu, Moussafir e Feuvre, La tenerezza, nonostante i temi talvolta tragici e fortemente intrisi di umanità, è un film sussurrato, in punta di piedi, come la grazia che resta negli occhi dello spettatore mentre scorrono i titoli di coda.
Per presentarlo, Valeria Bruni Tedeschi ha citato più volte Simone Weil e il suo concetto di miracolo racchiuso nell’alterità, nell’incontro con l’altro-da-sé, nell’empatia della quale l’uomo sa essere capace. Attorno a questo incontro si dipana la trama de La tenerezza, dove Sandra, la vicina di casa schiva, una sigaretta dopo l’altra, vestiti larghi e occhiali da vista a protezione di occhi non incapaci di brillare, libraia femminista, non moglie, né madre, che non fa entrare nessuno in camera da letto (gli incontri occasionali si tengono nella sala gremita di libri), si trova catapultata suo malgrado nelle dinamiche familiari dei dirimpettai. La giovane coppia suona al suo campanello all’alba per affidarle momentaneamente il figlio Elliot (César Botti, un portento naturale) perché alla donna si sono rotte le acque e nessun parente risulta rintracciabile. Non c’è un sorriso a condire una disponibilità oltremodo riluttante, ma che non è in grado di tirarsi indietro, non un sorriso nemmeno per accogliere un bambino fin da subito sveglio e diretto, che lo spazio, prima nella casa, poi nella giornata, infine nella vita di Sandra saprà prenderselo da solo.
Gli eventi della famiglia scivolano in un vortice ad alta velocità, dove l’unità di misura è la crescita della piccola Lucille, dalla sua nascita fino al compimento dei due anni di età, tempo nel quale si dipanano ruoli sempre più definiti, tra piccoli egoismi e momenti di profonda malinconia. Così, Alex (Pio Marmaï, sempre convincente), un uomo impreparato a tenere insieme i pezzi di un nucleo familiare poliedrico, si mostrerà in tutta la sua incapacità tipicamente umana agli occhi di Sandra, che saprà spronarlo con ruvida dolcezza, quell’alchimia che sa attrarre i bambini molto più di una tenerezza sbandierata (e talvolta molto più forte di qualsiasi istinto materno).
Il titolo francese fa riferimento alla differenza tra attaccamento e amore, evocata da David, il padre biologico di Elliot, catturato dal distacco intellettuale di Sandra, un Raphaël Quenard carico di verve, perfettamente calzante al personaggio, discendente di una famiglia di allevatori di ostriche di Cancale, apparentemente inaffidabile, ma saggio e capace di quell’affetto paterno che Sandra, in conclusione a una scena significativa, definirà salomonico. Lei, che inizialmente rifiuta le ostriche che l’uomo offre ad ogni cerimonia, che sia un funerale, un compleanno o un matrimonio, finirà per accettarle (una scena densa di una raffinatezza plateale, che sospende il ritmo della narrazione).
Una menzione merita anche Marie-Christine Barrault, la nonna dei bambini, un ruolo soltanto a prima vista in disparte, ma che riesce a spiccare nel suo mostrarsi trasognata dal dolore e intrisa di pianto, anche quando sceglie di non apparire, dimostrazione che la regista è stata pienamente in grado di riempire una pellicola in sottrazione, fatta di dialoghi credibili e spesso crudi, nonostante il ricorso a qualche cliché del genere.
Sentimenti umani, dunque claudicanti, talvolta meschini e tal altra vibranti, ma mostrati senza concettualizzazioni, muovono le relazioni dei personaggi complessi e mai retorici portati in scena da Tardieu, tra affetto, dolore, empatia, sensi di colpa e la grande forza alla quale si è chiamati quando si ammette di aver amato. Una rete di delicatezza dove l’ordito non è necessariamente il vincolo di sangue. Insomma, una famiglia.
Il conflitto tra accesso difensivo e riservatezza nel quadro dell’attuazione della trasparenza amministrativa (nota a TAR Lazio, Sez. III bis, 7 aprile 2025, n. 6878)
di Cristina Fragomeni
Sommario: 1. Il contesto fattuale – 2. Cenni ricostruttivi sull’accesso ai documenti amministrativi. Le tensioni tra trasparenza e segretezza – 3. La decisione del TAR Lazio – 4. Rilievi conclusivi.
1. Il contesto fattuale
La controversia in commento trae le mosse da un episodio noto alla cronaca.
Nel corso di una lezione sul conflitto in atto tra israeliani e palestinesi, un insegnante di un istituto scolastico di secondo grado assegna agli studenti una traccia avente ad oggetto «le ragioni di Israele», da analizzare assumendo l’angolo visuale di un compagno di classe, indicato, con nome e cognome, come «cittadino italo - israeliano». Su impulso di una conseguente segnalazione, il fatto è assoggettato agli approfondimenti dell’Ufficio scolastico regionale e del Ministero dell’istruzione e del merito.
Un’associazione di volontariato, avente come scopo l’abbattimento di ogni forma di discriminazione, giunta a conoscenza della vicenda esposta, in data 29 aprile 2024, sottopone all’Ufficio scolastico regionale del Lazio e al Ministero dell’istruzione e del merito un’istanza di accesso agli atti, per ottenere la visione e l’estrazione di copia del provvedimento di archiviazione adottato dall’Ufficio, del complesso della documentazione afferente al procedimento disciplinare ed al procedimento ispettivo avviati nei confronti dell’insegnante, di ogni ulteriore atto o documento ad essi connesso e consequenziale.
Ricevuta la richiesta di accesso, l’USR, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi), provvede a renderne edotto il docente controinteressato, il quale si oppone all’ostensione degli atti. Recepite tali rimostranze, l’USR rigetta l’istanza ad exhibendum formulata dall’associazione, con nota del 16 maggio 2024, in cui si limita a dare atto delle avvenute acquisizione e considerazione delle motivazioni prodotte dal docente.
L’associazione richiedente insorge, dunque, innanzi al TAR Lazio avverso il predetto provvedimento di diniego, denunciandone la illegittimità e chiedendo l’accertamento del suo diritto ad accedere agli atti concernenti i procedimenti disciplinare ed ispettivo promossi nei riguardi dell’insegnante.
L’amministrazione ed il controinteressato si costituiscono in giudizio, deducendo l’infondatezza del ricorso ed insistendo per il relativo rigetto.
2. Cenni ricostruttivi sull’accesso ai documenti amministrativi. Le tensioni tra trasparenza e segretezza
La fattispecie in disamina trova inquadramento giuridico nella disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Ai sensi dell’art. 22, secondo comma, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, come ricordato dal TAR Lazio nella pronuncia che si annota, l’accesso ai documenti amministrativi incarna un principio generale dell’attività amministrativa, funzionale al coinvolgimento dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, all’imparzialità e alla trasparenza dell’azione amministrativa[1].
In particolare, la trasparenza è il principio che con maggiore frequenza entra in gioco ogniqualvolta si affronta il tema dell’accessibilità, come se si versasse al cospetto di una endiadi. Sul piano concettuale, il principio in discorso, di cui è nota l’ampiezza semantica, variabile in relazione all’ambito di applicazione[2], si configura quale condizione di effettiva conoscibilità e comprensibilità, da parte di soggetti esterni, delle attività e delle condotte imputabili alla pubblica amministrazione, operando strumentalmente alle esigenze di tutela e garanzia degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa[3].
Sul versante dottrinale, il principio di trasparenza è stato talvolta trattato come sinonimo di accesso ovvero di pubblicità[4]. Per quanto strettamente rileva in questa sede, il principio di trasparenza, inteso come «visibilità, conoscibilità e comprensibilità dell’azione amministrativa, dei suoi atti e della sua organizzazione», assorbe, in ragione della più estesa portata, l’accesso, il quale si connota in quanto sua declinazione; più puntualmente, tra l’accesso e la trasparenza intercorre un rapporto di mezzo a scopo, che conduce logicamente ad escludere l’esaurimento della trasparenza nell’accesso. In aggiunta, è stato rilevato l’atteggiarsi della trasparenza a parametro di misurazione della legittimità delle restrizioni dell’accesso[5].
Sul versante giurisprudenziale, a livello sovranazionale, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha qualificato il principio di trasparenza, di cui agli artt. 1 e 10 del TUE e 15 del TFUE, come strettamente funzionale alla partecipazione dei cittadini al processo decisionale nonché alle legittimità, efficienza e responsabilità della pubblica amministrazione nei riguardi del privato, all’interno di un sistema democratico[6].
A livello nazionale, sulla scorta di un’interpretazione sistematica del testo costituzionale, la protezione della trasparenza appare affidata agli artt. 1, 3, 21, 24, 28, 97, 98, 113, Cost.. Segnatamente, il fondamento più immediato è stato intravisto nell’art. 21[7], che si pone a presidio della libertà di manifestazione del pensiero - principio caratterizzante l’ordinamento democratico - e, indirettamente, dell’interesse generale all’informazione, il quale implica il libero accesso ai dati, il pluralismo delle fonti, l’assenza di ingiustificati impedimenti legali alla circolazione delle informazioni[8].
Ciò posto, il caso che si annota sollecita la considerazione, pur sommaria, dell’eventuale primato della trasparenza sulla segretezza.
In chiava storica, com’è noto, la legge sul procedimento sovverte il rapporto tra trasparenza e segretezza, assoggettato alla regola generale del segreto d’ufficio, di cui all’art. 15 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3[9], baluardo del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa[10], preservata, quest’ultima, da eventuali interferenze provenienti dai soggetti interessati. Coerentemente, parte della dottrina[11] ha ritenuto che l’incremento della partecipazione tramite l’accesso avrebbe potuto arrecare un vulnus ai principi di efficienza[12] e di economicità, anche in considerazione dei costi verosimilmente derivanti dall’apertura del patrimonio informativo detenuto dalla pubblica amministrazione[13].
Per contro, la svolta impressa dall’art. 28 della legge sul procedimento amministrativo eleva il diritto di accesso a regola generale e relega la riservatezza ad ipotesi eccezionali, oggetto di espressa previsione legislativa. Lungo tale direttrice, è consacrato il rilievo della trasparenza, proiezione diretta del principio democratico, il quale, a sua volta, sottende la visibilità del potere[14], la pubblicità delle modalità del suo esercizio[15], l’intelligibilità dei risultati finali in cui il medesimo potere si condensa[16]. Ne scaturisce un’indole della trasparenza antitetica rispetto alle logiche della segretezza e della non conoscibilità[17], in cui potenzialmente si annidano favoritismi, anomalie e, più in generale, illegittimità[18].
Tanto ricostruito, la disciplina applicabile al caso in esame è quella di cui agli artt. 22 e seguenti della legge sul procedimento. Il diritto di accedere ai documenti amministrativi è riconosciuto ai soggetti che non abbiano preso parte al procedimento amministrativo già definito, a condizione che ricorra un interesse diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, collegato alla documentazione per cui è richiesto l’accesso da una relazione di «strumentalità conoscitiva»; l’onere della relativa prova grava sull’istante, che, nella richiesta, dovrà analiticamente articolare le finalità dell’accesso[19].
L’accesso procedimentale afferisce, pertanto, ad un ambito circoscritto, in cui risalta il rapporto intercorrente tra la posizione dell’istante ed il documento per il quale è richiesto l’accesso. Tale impostazione, condivisa in dottrina[20], rinviene conferma nella stessa architettura dell’art. 22, che subordina l’accesso alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, pur nel contesto del principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, di cui al comma terzo, nei limiti posti dall’art. 24[21].
In definitiva, l’esercizio dell’accesso procedimentale postula l’esistenza di un interesse qualificato, precludendo in radice la legittimazione ad accedere del quisque de populo. Ai fini dell’accesso, del pari che per la partecipazione procedimentale, non può reputarsi sufficiente la sussistenza di un generico interesse alla trasparenza e al buon andamento dell’azione amministrativa, ma rileva la titolarità di un interesse sostanziale, connesso allo specifico procedimento incardinato[22].
3. La decisione del TAR Lazio
Nel caso di specie, l’istanza di accesso procedimentale è formulata da un’associazione di volontari, apolitica e senza fini di lucro, il cui scopo consiste nel contrastare «ogni forma di discriminazione secondo i principi dettati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». A ricoprire la posizione di soggetto istante è, pertanto, un’associazione portatrice di un interesse diffuso, attesa l’estendibilità di tale ultima qualificazione alle questioni in materia di discriminazione.
Il primo, fondamentale nodo da sciogliere concerne, quindi, il profilo della legittimazione all’accesso. Sul punto, in giurisprudenza è graniticamente affermata la coincidenza tra la posizione dell’odierna ricorrente e quella del singolo individuo, muovendo dalla medesimezza, per tutti i soggetti dell’ordinamento, dei requisiti sostanziali legittimanti l’esercizio del diritto di accesso. In altri termini, i predetti requisiti, che si compendiano nella ricorrenza di un interesse diretto, concreto ed attuale alla specifica cognizione documentale invocata, non variano in relazione al soggetto che presenta la richiesta, conformemente al tenore dell’art. 22 della Legge n. 241 del 1990, che include nella nozione di «interessato» i soggetti portatori di interessi pubblici o diffusi[23].
A giudizio del TAR Lazio, l’associazione ricorrente avrebbe dimostrato la titolarità di un interesse specifico, attuale e concreto ad accedere ai documenti sollecitati, soddisfacendo le esigenze di deduzione, puntuale rappresentazione e dimostrazione delle finalità cui è proteso l’accesso[24]. Più precisamente, nella fattispecie in disamina, l’appagamento della pretesa ostensiva è subordinato alla sussistenza di una relazione di necessità ovvero di stretta funzionalità tra la documentazione anelata e il perseguimento delle finalità statutarie[25]; la relativa dimostrazione costituisce il contenuto di un onere che incombe sull’associazione richiedente. Applicate tali coordinate ermeneutiche, il TAR Lazio ha valutato esistente uno specifico nesso tra la cognizione del «provvedimento di archiviazione e/o di censura» e di «tutta la documentazione relativa al procedimento disciplinare e al procedimento ispettivo» attivati nei confronti del docente e lo scopo associativo, emergente dell’art. 3 dello Statuto versato in atti, dello svolgimento da parte dell’associazione di attività difensiva in favore «dei diritti e degli interessi individuali e collettivi contro ogni forma di discriminazione e di diffamazione», inclusi i fenomeni di razzismo, antisemitismo, antisionismo. L’associazione ricorrente si qualifica, dunque, come un soggetto giuridico avente lo scopo statutario di fornire supporto alle vittime di fenomeni discriminatori, risultando, di conseguenza, manifeste la necessità di acquisire contezza in ordine a circostanze concernenti l’eventuale posizione di condotte discriminatorie e, in ultima analisi, la proiezione dell’interesse sotteso alla costituzione dell’associazione in una dimensione di aspirazione ostensiva[26].
Al riguardo occorre, altresì, sottolineare che la rappresentatività degli interessi diffusi sorregge un diritto alla conoscenza non generalizzato, bensì circoscritto agli atti che disvelino l’interesse ad intervenire per tutelare la categoria di soggetti rappresentata[27]. A giudizio del Collegio, anche tale profilo è soddisfatto, sul presupposto che la richiesta di accesso è proposta dall’associazione avuto riguardo a «circostanziati atti e individuati episodi di potenziale rilevanza discriminatoria».
Ciò chiarito in punto di legittimazione all’accesso della parte ricorrente, occorre precisare che l’avvenuta presentazione di un’istanza di accesso a documenti contenenti informazioni personali appartenenti a soggetti terzi comporta, per ciò solo, l’integrazione di un conflitto tra diritto di accesso e riservatezza.
A livello costituzionale, il diritto alla riservatezza rinverrebbe linfa nel combinato disposto degli artt. 2, 13, 14, 15, Cost.; allo stato attuale, la tutela della privacy è il risultato della sommatoria tra l’esclusione dell’altrui ingerenza nel proprio spazio privato ed il diritto ad avere la completa gestione delle proprie informazioni personali[28].
Sul piano concettuale, i confini della nozione di riservatezza sono stati tracciati a contrario, in conseguenza del simmetrico riempimento contenutistico della differente nozione di «spettanza dell’accesso agli atti»[29]. Ciò che occorre preliminarmente escludere, in coerenza con accorta dottrina, è il sostanziarsi della riservatezza in un interesse pubblico ovvero in un principio generale a presidio dell’attività delle pubbliche amministrazioni. La riservatezza costituisce non una situazione giuridica soggettiva idonea a limitare l’accesso, bensì una modalità dell’accesso medesimo[30]. Sicché, riannodando le fila di quanto innanzi ricostruito, il conflitto rilevante nella fattispecie controversa involgerebbe il diritto di accesso e, in qualità di suo antagonista, un «limite modale» del relativo esercizio[31].
Alla stregua di quanto avvenuto nel caso di specie, concernendo l’istanza di accesso dati riferibili a terze persone, la pubblica amministrazione, in ottemperanza all’obbligo di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006, è tenuta a trasmettere preventiva comunicazione al titolare dei dati riservati.
È possibile prefigurare due evoluzioni alternative, a seconda che il titolare abbia prestato assenso o meno alla divulgazione del dato. Il primo caso appare connotato da maggiore linearità, giacché, acquisito l’assenso, pur tacito, l’amministrazione risulterebbe dispensata dallo svolgimento di verifiche ulteriori, atteso il carattere disponibile della riservatezza, evincibile dal tenore complessivo della disciplina in materia di protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice per la protezione dei dati personali)[32].
La vicenda in rassegna ricade, tuttavia, nella seconda ipotesi rappresentata. Il docente controinteressato, ricevuto l’avviso da parte dell’amministrazione, ha esternato il suo dissenso alla diffusione dei documenti richiesti. In casi siffatti, preso atto dell’opposizione, compete alla pubblica amministrazione risolvere il dissidio maturato tra accesso e riservatezza, attraverso l’individuazione della situazione concretamente prevalente, in applicazione dei criteri definiti dalla legge.
Per quanto specificamente attiene al giudizio dell’amministrazione sulla richiesta ostensiva, esso ha natura estrinseca e assume ad oggetto la ricorrenza in capo all’istante di un bisogno di conoscenza legittimo e differenziato[33]. In particolare, l’amministrazione deve scrutinare l’esistenza di una connessione finalistica tra gli atti per i quali è avanzata l’istanza di accesso e le prospettive di una tutela giurisdizionale. Per contro, esulano dal perimetro della valutazione in discorso eventuali apprezzamenti di tipo prognostico sull’effettiva utilità del documento richiesto ai fini della tutela del bene della vita[34].
Di regola, in materia di accesso ai documenti amministrativi, le esigenze difensive, connesse all’effettività della tutela, sono considerate preminenti rispetto alle esigenze di riservatezza; tale principio deve essere contemperato in presenza di dati giudiziari, dati sensibili (appartenenza razziale ed etnica, credenze religiose, orientamenti politici, adesione a partiti, organizzazioni sindacali, etc.) ovvero di dati «supersensibili» (informazioni personali idonee a divulgare l’orientamento sessuale e le condizioni di salute dell’interessato)[35], assoggettati ad una tutela rafforzata, ai sensi della normativa in vigore.
Nel caso all’esame, osserva il TAR Lazio, assumono rilievo gli atti di un procedimento disciplinare, contenenti informazioni non sussumibili sotto le categorie dei dati giudiziari, sensibili, «supersensibili», con conseguente esclusione dell’applicazione dei criteri, inferibili dall’art. 24, settimo comma, della Legge n. 241 del 1990[36], della stretta indispensabilità, della indispensabilità e della parità di rango[37].
A residuare è, dunque, la necessità di tutelare l’interesse giuridico proprio dell’associazione, considerato dal legislatore prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione che ricorrano i presupposti per l’accesso difensivo[38]. Il «giudizio di prevalenza» è, in tal caso, effettuato a monte dal legislatore in favore dell’interesse alla conoscenza, non avanzando alcun margine di ponderazione a carico dell’amministrazione[39].
Ad un esame più approfondito, i commi del citato art. 24 appaiono ispirati a logiche eterogenee: i commi dal primo al sesto sono ascrivibili in una «logica partecipativa»; mentre il comma settimo, che nella fattispecie assume un’importanza nevralgica, risponde ad una differente «logica difensiva», legittimando l’accesso all’atto necessario al soddisfacimento di esigenze di tutela. Il carattere specifico della legittimazione accordata dalla disposizione in disamina suggella la corrispondenza dell’accesso difensivo ad una fattispecie ostensiva autonoma. L’accesso difensivo, per le ragioni evidenziate, è dotato di un proprio «statuto peculiare», che, nei confini di un’istanza esaustivamente motivata in ordine alla preordinazione dell’ostensione alla cura di un interesse giuridico tutelato, è idoneo a prevalere sulle istanze di riservatezza potenzialmente opponibili[40]. La posizione, a norma dell’art. 24, comma settimo, dell’obbligo di garantire l’accesso ai documenti amministrativi la cui cognizione sia indispensabile al fine di curare i propri interessi giuridici denota la tendenziale cedevolezza della riservatezza nel bilanciamento con il diritto di accesso[41].
La ricostruzione fin qui effettuata deve specchiarsi nella trama motivazionale del provvedimento di diniego. Nel contesto di comparazione tra le ragioni dell’accesso e quelle della riservatezza, assume, infatti, rilievo la motivazione della decisione amministrativa sull’actio ad exhibendum, da cui deve trapelare il raffronto, operato dalla pubblica amministrazione, tra la necessità difensiva e l’interesse alla riservatezza[42].
Tuttavia, nella fattispecie, la motivazione del provvedimento impugnato si esaurisce in un generico riferimento alle opposizioni all’istanza di ostensione eccepite dal docente controinteressato. Per tale ragione, non è possibile ricavare dal provvedimento gravato l’avvenuta conduzione, da parte dell’amministrazione, di una valutazione effettiva delle esigenze dell’associazione ricorrente in relazione alle contestazioni sollevate dal controinteressato, difettando persino il contenuto minimo, richiesto dalla giurisprudenza in materia di diniego di accesso ai documenti amministrativi, della precisa indicazione della ragione ostativa all’accoglimento della domanda[43].
4. Rilievi conclusivi
La vicenda esaminata stimola lo svolgimento di alcune considerazioni di chiusura.
In primo luogo, sebbene il TAR Lazio abbia respinto il pregio delle argomentazioni con cui la parte resistente ed il controinteressato deducevano la finalizzazione esplorativa dell’istanza di ostensione, si potrebbe ragionare sulla sufficienza, ai fini dell’accesso procedimentale, di una verifica in ordine alla pertinenza dello scopo statutario rispetto all’oggetto dell’istanza; in tale controllo si esaurirebbe, sostanzialmente, l’accertamento in merito all’esistenza di un interesse differenziato, concreto, attuale alla conoscenza.
Occorre tener presente, come reiteratamente rimarcato in giurisprudenza, che il diritto di accesso non può tradursi in un’actio popularis[44]; esso postula un accertamento accurato e concreto circa l’esistenza di una posizione qualificata, ricoperta dall’istante. In tal senso, in casi affini a quello esaminato, può avere valenza la dotazione di una struttura organizzativa idonea a soddisfare le esigenze di tutela dei soggetti rappresentati, di cui il richiedente dovrebbe dar conto nel corpo dell’istanza di ostensione.
La seconda riflessione disvela come, in definitiva, e pur nella diramazione degli aspetti problematici della fattispecie, il nucleo della riflessione rimanga ancorato all’attuazione della trasparenza.
Più approfonditamente, è doveroso porre l’accento sulla generalità delle ragioni (recte passivo richiamo delle contestazioni del controinteressato) addotte dalla pubblica amministrazione a suffragio del diniego di accesso agli atti e, dunque, sull’assenza di una motivazione da cui trasudi il vaglio degli interessi contrapposti. La riscontrata lacuna motivazionale del provvedimento di diniego avversato pone in dubbio l’osservanza da parte dell’amministrazione dell’obbligo su di essa gravante di soppesare l’esigenza di difesa e l’interesse alla riservatezza, all’esito dell’analisi delle contrapposte situazioni.
Com’è noto, la motivazione è lo strumento che legittima l’esercizio del potere attribuito dalla legge. Sedimentata giurisprudenza assegna all’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 un’accezione funzionale, in relazione alla quale sono ritenuti compatibili con la disposizione in questione i provvedimenti le cui ragioni siano articolate «in misura e con modalità tali» da consentire al cittadino la perspicua comprensione del percorso logico - giuridico seguito dall’amministrazione nel pervenire alla determinazione conclusiva[45]. La maturazione di una siffatta consapevolezza, nel caso in rassegna, è stata preclusa all’associazione destinataria del provvedimento che oppone il diniego all’istanza di accesso. La carenza in argomento, più gravemente, offusca l’effettività dell’attività della pubblica amministrazione nonché la sua stessa capacità di operare conformemente ai principi dell’agire pubblico.
[1] Sul tema della trasparenza, tra i tanti autorevoli contributi, si vedano A. Pajno, Trasparenza e riservatezza nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1990, 5 ss; A. Sandulli, Il procedimento amministrativo e la trasparenza, in S. Cassese, C. Franchini (a cura di), L’amministrazione pubblica italiana, Bologna, 1994, 101 ss; E. Cannada Bartoli, A proposito di tutela della riservatezza e trasparenza amministrativa, in Dir. proc. amm., 1999, 725 ss; F. Trimarchi Banfi, In tema di trasparenza amministrativa e di diritto alla riservatezza, in Aa. Vv., Studi in onore di E. Casetta, I, Napoli, 2001, 343 ss; M. R. Spasiano, Qualità e strumentalità del diritto di informazione, in F. Manganaro, A. Romano Tassone (a cura di), I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto di informazione, Torino, 2005, 129 ss; G. Arena, Trasparenza amministrativa (voce), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 5945 ss; E. Carloni, La «casa di vetro» e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pub., 2009, 3; A. Corrado, La “trasparenza” della legislazione italiana, in M. A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1408; A. Simonati, La ricerca in materia di trasparenza amministrativa: stato dell’arte e prospettive future, in Dir. amm., 2018, 2; F. Manganaro, Pubblicità e accesso per la trasparenza amministrativa, in L. Giani, M. Immordino, F. Manganaro(a cura di), Temi e questioni di diritto amministrativo, Napoli, 2019, 95 ss.
[2] Sulla nozione di trasparenza, si veda A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa?, in Dir. amm., 2013, 4, 749 ss.
[3] M. R. Spasiano, Il principio di buon andamento, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 124 ss.
[4] F. M. Nicosia, Il procedimento amministrativo. Principi e materiali. Commento alla legge 241/1990 e alla sua attuazione con i D.P.R. 300 e 352/1992, Napoli, 1992, 75.
[5] In tal senso, F. Manganaro, L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in F. G. Scoca (a cura di), Scritti in memoria di Roberto Marrama, Napoli, 2012, anche in Astrid-online.it.
[6] Cfr. Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 9 novembre 2010, C-92/09, Volker und Markus Schecke GbR e altri; sentenza 6 marzo 2003, causa C-41/00 P, Interporc/Commissione.
[7] M. Ramajoli, La convivenza tra trasparenza e riservatezza, in Dir. amm., 2024, 2, 473.
[8] Corte cost., 15 giugno 1972, n. 105.
[9] Il richiamato articolo vietava ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di trasmettere a quanti non ne avessero il diritto, anche in ipotesi di attività non segrete, informazioni concernenti provvedimenti ovvero operazioni amministrative nonché notizie apprese in ragione del proprio ufficio, laddove ne avrebbe potuto scaturire un danno nei confronti della pubblica amministrazione o di soggetti terzi.
[10] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in Federalismi.it, 2019, 10, 9.
[11] In particolare, pongono in evidenza il sovraccarico che la partecipazione concentrerebbe sul procedimento amministrativo V. Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in Giustamm.it, 2005; E. Cardi, La manifestazione di interessi nei procedimenti amministrativi, I e II, Rimini, 1983 - 1984, 3. Ad avviso di S. Cassese, Il privato e il procedimento amministrativo. Una analisi della legislazione e della giurisprudenza, in Arch. giur., 1970, 25, l’imparzialità escluderebbe la partecipazione, in ragione del suo postulare la neutralità dell’amministrazione «e quindi l’assenza di pressione degli amministrati».
[12] R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernità, Bari, 1989.
[13] A. Simonati, La trasparenza amministrativa e il legislatore: un caso di entropia normativa?, cit., 758, la quale, sui costi della trasparenza, opportunamente richiama M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2013, 797 ss; L. Berionni,Attuazione della trasparenza: il responsabile per la trasparenza e l’invarianza finanziaria, in B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, 2013, 372 ss.
[14] N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in Riv. it. sc. pol., 2, 1980, 181 ss.
[15] F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. amm., 2019, 4, 745 ss.
[16] G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in Aa. Vv.,
L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza. Atti del XXXV Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione - Varenna 1989, Milano, 1991, 13.
[17] R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 416 ss.
[18] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020, 49.
[19] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2020, nn. 19, 20, 21.
[20] È stato fondatamente osservato che l’accesso procedimentale condiziona la tutela dell’«interesse pubblico alla trasparenza dell’azione amministrativa» alla sussistenza dell’esigenza di proteggere un interesse individuale, in senso divergente rispetto all’originaria redazione dell’art. 22 della legge sul procedimento, che, al fine di garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa, riconosceva il diritto di accesso ai documenti amministrativi a chiunque fosse titolare di un «interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti». In tal senso, F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 10.
[21] Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 4838.
[22] TAR Lazio, Roma, Sez. III, 13 giugno 2000, n. 4878.
[23] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2021, n. 8333.
[24] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021, n. 4.
[25] Cfr. TAR Lazio, Sez. II ter, 14 marzo 2011, n. 2260, secondo cui «per giurisprudenza consolidata sul punto, il diritto di accesso, oltre che alle persone fisiche, spetta anche a enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi, ove corroborati dalla rappresentatività dell’associazione o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all’oggetto dell’istanza».
[26] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2021, n. 8333, cit..
[27] Cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. II, 17 aprile 2009, n 896; Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009, n.737; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 16 gennaio 2008, n. 249.
[28] M. Ramajoli, La convivenza tra trasparenza e riservatezza, cit., 475.
[29] D. Piccione, Riservatezza (disciplina amministrativa), in Enc. Dir., Annali VIII, Milano, 2015, 731.
[30] F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, cit., 750.
[31] D. Piccione, Riservatezza (disciplina amministrativa), cit., 742.
[32] TAR Sardegna, Cagliari, Sez. I, 7 febbraio 2018, n. 81.
[33]Analogamente, sul versante giurisdizionale, competerà al giudice, in sede di giurisdizione esclusiva, il vaglio in astratto delle esigenze difensive rappresentate dal soggetto richiedente l’accesso e della pertinenza dei documenti invocati. Cfr. TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 25 luglio 2024, n. 969.
[34] In tal senso, F. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in Federalismi.it, 2021, 20, 171, avuto specifico riguardo agli approdi dell’Adunanza Plenaria con le già menzionate pronunce nn. 19, 20, 21, del 25 settembre 2020.
[35] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 11 gennaio 2018, n. 139.
[36] In una posizione complementare rispetto alla norma citata si colloca l’art. 60 del D.Lgs. 196 del 2003, a tenore del quale: «Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile».
[37] Cfr., sulla configurazione dei dati di un procedimento disciplinare, Cons. Stato, Sez. III, 29 gennaio 2021, n. 884.
[38] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10 gennaio 2025, n. 149.
[39] F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 21. L’Autore individua in qualità di discrimen tra accesso defensionale e accesso civico la prevalenza del primo sulle esigenze di riservatezza; quanto all’accesso civico, diversamente, si rende necessaria una ponderazione tra gli interessi devoluta alla discrezionalità della pubblica amministrazione.
[40] Sulle considerazioni esposte, si veda F. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, cit., 169.
[41] F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, cit., 749. Cfr., per la giurisprudenza, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 26 settembre 2018, n. 2151; Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472; Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1568.
[42] Cons. Stato, Sez. III, 10 gennaio 2025, n. 149, cit..
[43] Cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. III, 29 luglio 2014, n. 1084; Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1173; Sez. VI, 4 dicembre 2009, n. 7637.
[44] Cons. Stato, Ad. Plen., 24 aprile 2012, n. 7.
[45] Cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. V, 2 aprile 2025, n. 2765; in senso analogo, si vedano, ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 3 febbraio 2025, n. 218; Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6026; Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1715.
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