Irretroattività e regime transitorio della declaratoria di improcedibilità (l. n. 134 del 2021)
di Giorgio Spangher
La Corte d’Appello di Napoli, Sez. I, con l’ordinanza 18.11.2021, proc. pen. n. 14045/2019, R.G. App. ha dichiarato irrilevante e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 344 bis c.p.p. e della norma transitoria di cui all’art. 2, comma 3, l. n. 134/2021 per violazione degli artt. 3, 24, 25, 27 Cost. e 6 Cedu nella parte in cui non è prevista l’applicazione ai procedimenti in corso per reati commessi in epoca antecedente il 1° gennaio 2020.
Si tratta, verosimilmente, della prima decisione in punto di operatività dell’art. 344 bis c.p.p., introdotto dalla l. n. 134 del 2021, all’art. 2, lett. a e b, con il quale è stata prevista la declaratoria di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, come delineati dai commi 1-9 del citato art. 344 bis c.p.p. (operativo dal 19 ottobre del 2021).
Con i commi 3, 4 e 5 del citato art. 2 della l. n. 134 del 2021 è previsto il regime transitorio della citata decisione di improcedibilità.
In particolare, il comma 3 prevede che le citate disposizioni di cui all’art. 344 bis c.p.p., si applichino ai reati commessi successivamente al 1° gennaio 2020; il comma 4 fissa i termini per la declaratoria di improcedibilità dall’entrata in vigore della legge, qualora gli atti siano già pervenuti al giudice delle impugnazioni; il comma 5 disciplina la tempistica dell’improcedibilità nel caso in cui l’impugnazione sia proposta entro il 31 dicembre 2024.
Il nodo interpretativo sotteso alle citate previsioni riguarda la possibilità o meno di ritenere che esse disciplinino due situazioni separate ovvero che debba essere proposta una loro lettura coordinata, di cui la più ampia (comma 5) comprende la prima (comma 4) differenziandosi solo per il termine iniziale di decorrenza.
Dovendosi riconoscere – quanto meno – che le due previsioni siano frutto di un difetto di coordinamento, la Corte d’Appello di Napoli aderisce alla interpretazione sistematica delle stesse, contenuta nella relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione del 3.11.2021 che al capo 19 suggerisce una lettura ritenuta maggiormente rispondente “alla logica ed alla ragionevolezza”. Le due previsioni saldandosi logicamente dovrebbero disciplinare il diverso termine di durata per tutti i giudizi da trattare fino al 31 dicembre 2024, siano essi o meno pendenti alla data di entrata in vigore della legge (fermo restando per quelli pendenti, la diversa decorrenza di detto termine stabilito dal comma 4).
Se si comprendono le ragioni pratiche-operative che sono sottese a questa ricostruzione, queste tuttavia non sono condivisibili.
Le due situazioni disciplinano situazioni diverse, decorrenze diverse, ma anche termini diversi, tempi diversi che sarebbe stato del tutto superfluo indicare nel comma 4 se regolati dal comma 5.
E’ possibile che nella concitazione delle mediazioni sia mancata “la lucidità” ma ciò non può indurre a stravolgere i dati normativi.
Per le indicate sottese ragioni, ci si potrebbe chiedere se i termini di cui al comma 4 siano suscettibili delle proroghe generali di cui all’art. 344 bis c.p.p. Anche in questo caso, tuttavia, la risposta dovrebbe essere negativa.
Il secondo profilo affrontato dalla Corte d’Appello di Napoli, che si sarebbe prefigurato già di per sé risolutivo, riguarda la questione della legittimità costituzionale dello sbarramento di operatività della nuova disciplina ai reati commessi antecedentemente al 1.01.2020.
Anche in questo caso il Collegio napoletano si rifà a quanto “affrontato approfonditamente” nella relazione dell’Ufficio del Massimario, aderendo alla ritenuta natura processuale e non mista (o ibrida) della declaratoria di improcedibilità e traendo indicazioni dalle sentenze della Corte costituzionale C. cost. n. 278/2020 e n. 140/2021 che proprio per i loro diversi esiti evidenziano come la disciplina di cui all’art 344 bis c.p.p. risponda ai canoni di legalità per i quali l’autore del reato deve essere posto nella condizione di conoscere la dimensione temporale del suo processo.
L’elemento “forte” del rispetto della dedotta questione di costituzionalità, risiederebbe altresì nella qualità “compensativa e riequilibratrice” della previsione, nella misura in cui intende assicurare una continuità tra l’applicazione della disciplina sostanziale e quella c.d. processuale, garantendo a tutti i processi pendenti in appello e in cassazione, per i reati commessi dal 1° gennaio 2020, un termine oltre il quale l’azione penale non può essere proseguita. Diversamente considerando, si determinerebbe una commistione tra termine di prescrizione e di improcedibilità, con conseguenti problemi di compatibilità e prevalenza dell’uno sull’altro.
Si tratta di opinione condivisibile nella misura in cui il nuovo regime imperniato sul sistema prescrizione-improcedibilità scardina l’attuale impianto processuale imperniato anche sul meccanismo dell’art. 129 c.p.p.
La decisione, naturalmente, lascia, allo stato, sullo sfondo tutte le altre questioni che la nuova previsione prospetta: dalla sua stessa costituzionalità in relazione non tanto con l’art. 112 Cost. (Ferrua), ma piuttosto con l’art. 101 Cost. e con l’effettività dell’attività giurisdizionale, sia con riferimento alla ragionevolezza, sia alla proporzionalità della declaratoria di improcedibilità; alle varie situazioni di operatività che non appaiono definite; al rapporto tra inammissibilità dell’impugnazione e improcedibilità; all’operatività in relazione alla responsabilità degli enti ex l. n. 231 del 2001, e solo per citare alcune questioni controverse.