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dal sito Web di reclutamento di Foodora
La qualificazione del lavoro dei riders alla prova della giurisprudenza: prime note di commento alla sentenza della Corte di Cassazione sezione lavoro del 24 gennaio 2020 n. 1663.
La sentenza della Corte di Cassazione sezione lavoro del 24 gennaio 2020 n. 1663 offre l’opportunità di affrontare il tema della natura della prestazione lavorativa dei riders e della disciplina loro applicabile; ciò, attraverso l’analisi delle tradizionali categorie codicistiche (lavoro autonomo e lavoro subordinato) e di quelle di recente introduzione, finalizzate a disciplinare le nuove forme di lavoro on demand anche al fine di scongiurare il diffondersi di pratiche abusive e socialmente deplorevoli (lavoro etero - organizzato).
Sommario: 1. Il caso. 2. Le questioni giuridiche e le soluzioni della Corte di Cassazione. 3. Le conseguenze delle opzioni interpretative della Corte di Cassazione sui rapporti tra etero-organizzazione e coordinamento della prestazione. 4. Le conseguenze delle opzioni interpretative della Corte di Cassazione sui rapporti tra etero-organizzazione e subordinazione.
1. Il caso.
Per comprendere meglio la vicenda oggetto di questo veloce contributo - che sicuramente non ha la presunzione dell’esaustività, vista la complessità e la vastità della materia - vorrei brevemente ripercorrere le tappe che hanno portato la Corte di Cassazione ad intervenire per la prima volta nel contenzioso sulla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei riders iniziato di fronte al Tribunale di Torino.
Con sentenza del 7 maggio 2018 il giudice di primo grado aveva respinto la domanda di alcuni lavoratori addetti alle consegne di pasti a domicilio organizzate tramite piattaforma digitale, tesa ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, ed aveva confermato la legittimità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritto con Foodora, escludendo l’applicabilità alla fattispecie anche dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015.[1]
Nel giudizio di fronte al Tribunale era rimasto provato che la prestazione lavorativa dei ricorrenti si era svolta a grandi linee nel modo seguente: dopo avere compilato un formulario sul sito di Foodora i lavoratori venivano convocati in piccoli gruppi presso l'ufficio per un primo colloquio nel quale veniva loro spiegato che l'attività presupponeva il possesso di una bicicletta e la disponibilità di un telefono cellulare con funzionalità avanzate (smartphone); in un secondo momento veniva loro proposta la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e, dietro versamento di una caparra di Euro 50, venivano loro consegnati gli indumenti di lavoro, i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l'attrezzatura per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box). Il contratto che veniva sottoscritto, cui era allegato un foglio contenente l’informativa sul trattamento dei dati personali e la prestazione del consenso, aveva le seguenti caratteristiche: si trattava di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa; era previsto che il lavoratore fosse libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita; il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione; era previsto che il collaboratore avrebbe agito in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente, ma era tuttavia fatto salvo il necessario coordinamento generale con l'attività della stessa committente; era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con comunicazione scritta da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con trenta giorni di anticipo; il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro trenta minuti dall'orario indicato per il ritiro del cibo, con la comminatoria a suo carico di una penale di euro 15; il compenso era stabilito in euro 5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità; il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare all'INPS domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995 n. 335 e la committente doveva provvedere a versare il relativo contributo; la committente doveva provvedere all'iscrizione del collaboratore all’INAIL ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 5; il premio era a carico del collaboratore per un terzo e della committente per due terzi; la committente - come accennato - doveva affidare al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista, un giubbotto e un bauletto dotato dei segni distintivi dell'azienda a fronte del versamento di una cauzione di euro 50.
Quanto alle modalità di esecuzione della prestazione, la gestione del rapporto avveniva attraverso piattaforma multimediale e un applicativo per smartphone per il cui uso venivano fornite da Foodora apposite istruzioni. L'azienda pubblicava settimanalmente le fasce orarie (slot) con l'indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno. Ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per le varie fasce orarie in base alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo. Raccolte le disponibilità, il responsabile della "flotta" confermava ai singoli riders l'assegnazione del turno. Ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all'orario di inizio di quest'ultimo in una delle tre zone di partenza predefinite, attivare l'applicativo inserendo le credenziali (nome dell'utilizzatore, user name, e password) per effettuare l'accesso e avviare la geolocalizzazione (GPS). Il rider riceveva quindi sull'applicazione la notifica dell'ordine con l'indicazione dell'indirizzo del ristorante. Accettato l'ordine, il rider doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l'ordine e comunicare tramite l'apposito comando dell'applicazione il buon esito della verifica. A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato tramite l'applicazione, e doveva quindi confermare di avere regolarmente effettuato la consegna.
Con sentenza dell’11 gennaio 2019 la Corte d'Appello di Torino, nel confermare l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti aveva accolto la domanda subordinata dei lavoratori, applicando la disciplina prevista dall'art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015.
Conseguentemente aveva dichiarato il diritto dei lavoratori a vedersi corrispondere le differenze maturate tra le somme percepite e quanto dovuto sulla base della retribuzione prevista per i dipendenti del V livello del CCNL logistica trasporto merci, con condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle somme richieste.
Per giungere a tale soluzione la Corte distrettuale, dopo aver accertato il carattere continuativo della prestazione e l’etero-organizzazione dell’attività di collaborazione dei riders anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro - condividendo sul punto la decisione del Tribunale - aveva escluso che queste fossero condizioni sufficienti a provare la subordinazione posto che i lavoratori erano liberi di scegliere se e quando lavorare.
Diversamente dal Tribunale aveva ritenuto invece la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015.
A parere dei giudici di secondo grado la fattispecie normativa prevista dall’art. 2 del d.lgs 81/2015 si collocherebbe, quale terzo genere, tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c. e le collaborazioni coordinate e continuative previste dall’art. 409 n. 3, c.p.c. a garanzia di una maggiore tutela delle nuove tipologie di lavoro sorte e sviluppate a seguito dell’evoluzione di nuove tecnologie.[2]
A parere della Corte torinese al lavoratore etero-organizzato deve perciò applicarsi, ai sensi del suddetto art. 2, comma 1, la disciplina del lavoro subordinato, in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza.
La Corte d’Appello ha quindi respinto ogni altro motivo tra cui in particolare quello relativo all’asserita illegittimità dei licenziamenti, non essendo in realtà mai stata espressa dal datore di lavoro una manifestazione di volontà di recedere dal contratto prima della naturale scadenza.[3]
2. Le questioni giuridiche e le soluzioni della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, nel richiamare la ricostruzione dei fatti contenuta nelle sentenze di merito, ha confermato il dispositivo della sentenza impugnata in quanto conforme a diritto, pur con diverso percorso argomentativo.
Innanzitutto occorre osservare che, in assenza di impugnazione del capo di sentenza relativo al rigetto dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, la Corte di Cassazione ha concentrato in via esclusiva l’attenzione sull'applicazione alla fattispecie litigiosa dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 81/2015, nel testo vigente ratione temporis, interpretato anche alla luce delle modifiche apportate dall’art. 1 del d.l. 3 settembre 2019 n. 101, convertito, con modificazioni dalla legge 2 novembre 2019, n. 128 - Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali.[4]
La prima osservazione che la lettura della sentenza suscita concerne l'irrilevanza attribuita dalla Corte di Cassazione alla qualificazione della fattispecie delle collaborazioni etero-organizzate come un terzo genere, rispetto al lavoro subordinato e alle collaborazioni coordinate e continuative.
La Corte di legittimità giustifica l’opzione ermeneutica sottolineando il percorso normativo compiuto dal legislatore del 2015, che all’art. 52 del medesimo d.lgs. 81 ha dapprima abrogato le disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto e contestualmente ha fatto salva la disciplina del contratto di collaborazione coordinata e continuativa contenuta nell'art. 409 c.p.c., così ripristinando una tipologia contrattuale più ampia[5] ma priva del regime sanzionatorio previsto dall’art. 69 d.lgs. 276/2003 per il contratto a progetto.
In particolare secondo la Corte il legislatore, d'un canto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d'altro canto, conscio degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell'art. 2094 c.c., si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi.
In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perchè ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina che non crea una nuova fattispecie.
Corollario di tale affermazione di principio è costituito dalla circostanza, affermata dalla Corte, per cui la disciplina applicabile dal giudice di merito alla fattispecie dedotta in giudizio può essere alternativamente l’art. 2094 c.c. ovvero l’art. 2, comma 1 d.lgs. 81/2015 a prescindere dalla qualificazione giuridica prospettata dalle parti, in quanto la norma in scrutinio non vuole, e non potrebbe neanche, introdurre alcuna limitazione rispetto al potere del giudice di qualificare la fattispecie riguardo all'effettivo tipo contrattuale che emerge dalla concreta attuazione della relazione negoziale…..trattandosi di un potere costituzionalmente necessario, alla luce della regola di effettività della tutela (cfr. Corte Cost. n. 115 del 1994) e funzionale, peraltro, a finalità di contrasto all'uso abusivo di schermi contrattuali perseguite dal legislatore anche con la disposizione esaminata (analogamente v. Cass. n. 2884 del 2012, sul D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 2, in tema di associazione in partecipazione).
Altra fondamentale conseguenza della scelta di politica legislativa - condivisa dalla Corte di Cassazione - volta ad assicurare al lavoratore etero-organizzato la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato è contenuta in un altro fondamentale passaggio della sentenza in commento, ove si afferma che la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici.
Di conseguenza resta affermata l’opzione interpretativa per la quale si applica al lavoro etero-organizzato la disciplina completa del rapporto di lavoro subordinato, fatte comunque salve situazioni particolari in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell'ambito dell'art. 2094 c.c..
Si tratterà per lo più di verificare la compatibilità della norma con le ipotesi di cessazione del rapporto ad opera del datore di lavoro.
Nulla quaestio in caso di rapporto di lavoro a termine, potendosi applicare, senza alcuna difficoltà, la disciplina del recesso ante tempus dal contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
Più complessa l’ipotesi di stipula di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo indeterminato al quale debba essere applicata la disciplina della cessazione del rapporto di lavoro subordinato.
Questo sarà sicuramente un tema di discussione nel prossimo futuro, anche in considerazione della specificazione aggiunta all’art. 2, comma 1 d.lgs. 81/2015 per cui Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalita' di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali, che a parere della decisione in commento costituisce un’affermazione rafforzativa della volontà del legislatore di utilizzare la tutela del lavoro subordinato a garanzia di una moltitudine di lavoratori, quali quelli operanti tramite piattaforme digitali, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea.
3. Le conseguenze delle opzioni interpretative della Corte di Cassazione sui rapporti tra etero-organizzazione e coordinamento della prestazione.
La definitiva giustificazione interpretativa contenuta nella decisione in commento risiede pertanto nella riconduzione a sistema della legge n. 81 del 22 maggio 2017 e del d.lgs. 81/2015, con la conseguente prospettazione di un ventaglio di possibilità di inquadramento dei lavoratori autonomi, ciascuno caratterizzato da diversi profili di disciplina sostanziale e processuale.
Non si tratta di una discussione meramente teorica, ma di un approccio interpretativo con notevoli implicazioni pratiche.
La scelta operata dalla Cassazione di prescindere dal profilo qualificatorio delle collaborazioni etero-organizzate consente, sostanzialmente, di non mutarne la natura di prestazione di lavoro autonomo, mantenendo così inalterata la dicotomia lavoro subordinato - lavoro autonomo.
L’osservazione è utile a definire la modifica all’articolo 409 n.3 c.p.c. come utile elemento di specificazione della fattispecie, alla stregua di un fattore chiarificatore nella distinzione tra il coordinamento (compatibile con l’autonomia), la etero-direzione (tipica della subordinazione) e la etero-organizzazione delle modalità di esecuzione anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (compatibile con l’autonomia).
Fatte queste premesse, alla luce dell’orientamento assunto dalla suprema Corte, oggi tracciare il confine tra etero-organizzazione e coordinamento costituisce perciò il momento determinante nella individuazione dell’autonomia della prestazione di opera (e non di lavoro) resa possibile in via non più esclusivamente personale in favore di un committente.
In sostanza, per aversi una collaborazione coordinata e continuativa genuina (non etero-organizzata) le modalità di coordinamento non devono essere imposte dal committente, ma possono essere scelte autonomamente dal collaboratore o concordate tra le parti, risultando così confermata la compatibilità tra l’autonomia organizzativa e il coordinamento, nel senso che l’attività lavorativa può essere organizzata autonomamente dal prestatore, benché sia coordinata dal committente.
Mentre nella fattispecie contemplata dall’art. 2 d.lgs. 81/2015 l’autonomia organizzativa del collaboratore risulta fortemente compressa dal potere di organizzazione in capo al committente, nella fattispecie di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c. essa non risulta scalfita dal requisito del coordinamento, che si limita ad orientare l’esecuzione della prestazione alle condizioni definite nel programma negoziale in vista del soddisfacimento dell’interesse creditorio.
Il lavoratore coordinato di cui all’art. 409 n. 3 può in tal modo essere definito come un lavoratore munito di una micro - organizzazione di risorse, soggetto ad un potere altrui utile a garantire l’utilità della sua prestazione nell’incontro dinamico tra due organizzazioni (quella “macro” del committente e quella “micro” del prestatore), mentre il lavoratore etero-organizzato di cui all’art. 2, comma 1 d.lgs. 81/2015 è sprovvisto di risorse proprie e promette l’adempimento della prestazione soggetto ad un potere utile all’inserimento della sua attività in una organizzazione altrui.
Ma la vera novità inserita nel novellato art. 409 n. 3 c.p.c. riguarda la possibilità di concordare le modalità di coordinamento che comprendono anche i modi ed i tempi di espletamento della prestazione al fine di garantire la genuinità delle scelte ed escludere l’ipotesi di etero-organizzazione.
Si renderà perciò assolutamente necessario formulare chiari accordi contrattuali, che evitino il rischio che tali modalità vengano in sede giudiziale considerate un’imposizione del committente, con conseguente applicazione al rapporto della disciplina del lavoro subordinato.
Dovrà in ogni caso tenersi conto che l’accordo sulle modalità di coordinamento attiene alla fase genetica del negozio, la quale non dovrà essere contraddetta dal concreto svolgimento del rapporto, proprio in nome della logica protettiva insita nell’art. 2, d.lgs. 81/2015 che, certamente, impone la prevalenza della dimensione fattuale rispetto alla volontà originariamente dichiarata.
Pertanto, se le parti hanno concordato le modalità del mero coordinamento tra di esse, ma poi emerge la sottoposizione della prestazione lavorativa ad un potere unilaterale di organizzazione (o, addirittura, di direzione) della stessa da parte del committente/datore di lavoro, la presunzione alimentata dal nomen iuris cadrà di fronte al dato fattuale, nei soliti termini a cui il contenzioso sulla qualificazione del rapporto di lavoro ci ha abituati.
In conclusione, coordinando la lettura dell’art. 2094 c.c., dell’art. 409 n. 3 c.p.c. e dell’art. 2 d.lgs. 81/2015 possono perciò essere individuate quattro ipotesi di qualificazione della prestazione lavorativa, ciascuna con un differente profilo di disciplina sostanziale e processuale:
1) prestazione di lavoro subordinato ex art. 2094 e ss. c.c.;
2) contratto d’opera ex art. 2222 c.c.;
3) collaborazione prevalentemente personale, coordinata e continuativa, ove la collaborazione è prestata nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti e il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa ex art. 409, n. 3, c.p.c.;
4) collaborazione continuativa, coordinata ed etero-organizzata ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015.
4. Le conseguenze delle opzioni interpretative della Corte di Cassazione sui rapporti tra etero-organizzazione e subordinazione
Ancora un'ultima considerazione merita di essere svolta, rispetto al passaggio della sentenza che concerne la differenza che può essere apprezzata tra gli obblighi assunti dai lavoratori nella fase genetica del rapporto e quelli derivanti dalla sua funzionalità che, a parere della Corte, costituiscono la linea di confine utile a distinguere la subordinazione dall’etero-direzione.
Ritiene infatti la Corte che la mera facoltà del lavoratore ad obbligarsi alla prestazione costituisce utile elemento per la conferma dell’autonomia della prestazione, mentre le obbligazioni assunte nella fase funzionale di esecuzione del rapporto risultano determinanti per la sua riconduzione alla fattispecie astratta di cui all’art. 2, comma 1, d..lgs. 81/2015.
In sostanza la Corte di Cassazione ha confermato l’interpretazione accolta dai giudici di merito che non avevano ritenuto condivisibile e, tanto meno applicabile al caso in esame, l'affermazione della Cassazione - contenuta nella sentenza n. 3457 del 2018 - resa in una fattispecie relativa agli addetti alla ricezione di scommesse presso agenzie ippiche - secondo la quale il potere direttivo del datore si esprime, oltre che nel controllo da parte del personale a tanto destinato, nella predisposizione del luogo, degli orari e di ogni pur minima modalità della prestazione (che, come dal giudicante incontestatamente accertato, era "standardizzata"). Poiché la subordinazione è limitata al rapporto effettivamente svoltosi, il fatto che, nel caso in esame, il singolo lavoratore fosse libero di accettare o non accettare l'offerta, e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso del datore, di farsi sostituire da altri (che gli subentrava nel rapporto, per tutta o parte della relativa durata), resta irrilevante.(…). [6]
La Corte di Appello di Torino prima, e la Corte di Cassazione poi, hanno al contrario affermato che la scelta del lavoratore di accettare o meno l’offerta di presentarsi al lavoro doveva considerarsi elemento esterno al contenuto del rapporto, idoneo a incidere, quindi, sulla sua costituzione e sulla sua durata, ma non sulla forma e sul contenuto della prestazione.
In tal modo hanno confermato l'argomentazione per cui, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiare struttura organizzativa del datore di lavoro e del relativo atteggiarsi del rapporto, al fine di riconoscere la sussistenza della subordinazione, valore determinante è attribuito all'accertamento dell'obbligo del lavoratore di porsi a disposizione del datore di lavoro, con continuità e nel rispetto delle direttive impartite.
Occorre a questo punto rilevare che, diversamente dalla giurisprudenza italiana, in altri ordinamenti europei sono state adottate soluzioni diverse con riferimento alle prestazioni di lavoro dei riders, pur essendo queste connotate dalle medesime modalità di esecuzione.
Pur nella consapevolezza della diversità di discipline vigenti nei diversi Paesi europei e senza voler svolgere in questa sede delle compiute valutazioni comparatistiche, è però interessante evidenziare che in alcune decisioni aventi ad oggetto la qualificazione del lavoro nelle piattaforme digitali l’argomentazione della libertà di accettare o meno il lavoro è stata ritenuta puramente formale e non sostanziale.
La Corte di Cassazione del lavoro francese, con la decisione del 28 novembre 2018, n. 1737, prescindendo dal requisito dell’obbligatorietà genetica della prestazione, ha qualificato il rapporto dei riders come subordinato, osservando sia che l’applicazione della piattaforma digitale era dotata di un sistema di geolocalizzazione che consentiva alla società il monitoraggio in tempo reale della posizione del rider e la contabilizzazione del numero totale di chilometri percorsi, di modo che il ruolo della piattaforma non si poteva considerare limitato semplicemente a mettere in contatto tra loro il ristoratore, il cliente e il rider, sia che il datore di lavoro (Take Eat Easy) aveva un potere “afflittivo” nei confronti del rider medesimo.
Nel ragionamento della Corte francese ha avuto un peso determinante la sentenza della Corte Ue Asociación Profesional Elite Taxi nella quale i giudici ricostruiscono, in assenza di una definizione normativa, la nozione di lavoratore subordinato distinto dal lavoratore autonomo. [7]
Anche nelle Corti inglesi la valutazione del modello lavorativo dei tassisti di Uber[8] o dei riders[9] ha costituito l’occasione per considerare la prestazione lavorativa svolta nella sua globalità, valorizzando in particolar modo gli aspetti legati al rischio d’impresa ed alla titolarità dei mezzi di produzione immateriali come proprietà del marchio, dati dei clienti, app, piattaforma o algoritmi.
L’apparente libertà di adesione alla potenziale chiamata (obbligatorietà genetica) è stata considerata come parte di singole e plurime disponibilità tecnologicamente organizzate ed integrate, che rendono pressoché nullo il rischio per l'impresa rispetto alla possibilità di rendere o non rendere il servizio nel caso concreto e che qualificano il lavoratore come subordinato in quanto economicamente dipendente.
Il 1 giugno 2018 anche un tribunale del lavoro di Valencia[10] ha dichiarato che uno dei riders di Deliveroo era un dipendente piuttosto che un lavoratore autonomo.
Il dibattito è appena cominciato, la giurisprudenza europea interessata ai lavoratori cc.dd. on demand avrà modo di elaborare la nozione ed approfondire la disciplina applicabile al lavoro tramite piattaforme.[11]
Ciò che preme qui rilevare è che il passaggio da una società fondata sul paradigma del lavoro industriale di tipo subordinato a tempo pieno e indeterminato ad una società caratterizzata da discontinuità e autonomia del lavoro - nella quale la disoccupazione e l’esclusione sociale hanno raggiunto una preoccupante dimensione ed hanno aumentato le divergenze sociali tra e all’interno degli Stati membri dell’U.E. - rende sempre più necessario un approccio integrato che tenga conto delle differenti tipologie di lavoro nell'era digitale, confrontandosi con le opzioni regolative emergenti per ciascuna di esse, al fine di garantire una maggiore uniformità delle tutele e di scongiurare il dilagare di forme di sfruttamento plateali.
La frantumazione dello schema tipico del lavoro subordinato ha diminuito il valore e la dignità del lavoro: è compito del legislatore e degli interpreti dare un volto umano alla protezione dei lavoratori della c.d. Gig Economy.
[1]Sentenza Tribunale di Torino del 07/05/2018 n. 778. In termini analoghi si è espresso anche il Tribunale di Milano con sentenza del 04/07/2018 n. 1853.
[2] In dottrina si sono sviluppate diverse interpretazioni della norma, tra le quali senza pretesa di esaustività si ricordano: P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, in Arg.dir.lav., 2015, 1130 ss.; M. PALLINI, Dalla eterodirezione alla etero-organizzazione: una nuova nozione di subordinazione?, in RGL, 2016, I, 65 ss.; U. CARABELLI, Introduzione, al tema Subordinazione e autonomia dopo il d.lgs. n. 81/2015, in Riv. giur. lav., 2016, I, 5; U. CARABELLI-L. FASSINA (a cura di), Il lavoro autonomo e il lavoro agile alla luce della legge n. 81/2017, Roma, 41; P. ICHINO, Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig economy, in RIDL, 2018, II, 294 ss; C. SPINELLI, Tecnologie digitali e lavoro agile, Bari, 2018, 105 ss.
[3] In tal senso la giurisprudenza unanime in caso di contratti a termine: cfr. per tutte Cassazione civile sez. lav. 26/03/2019, n. 8385.
[4] 1. Al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 2, comma 1:
1) al primo periodo, la parola: "esclusivamente" è sostituita dalla seguente: "prevalentemente" e le parole: "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro" sono soppresse;
2) dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: "Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.";……
c) dopo il capo V è inserito il seguente: Capo V-bis. Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali. (…), (v. infra § 4. nota 11).
[5] Si tenga altresì presente che l’art. 15 l. 81/2017 - c.d. Jobs Act degli autonomi - ha aggiunto, in coda alla previsione normativa contenuta nell’art. 409 n. 3 c.p.c., la precisazione che la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa.
[6] In epoca precedente la Corte di Cassazione con la nota sentenza del 21/03/2012 n. 4476 si era già espressa in termini analoghi con riferimento ai lavoratori dei call center confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva ritenuto non decisiva per affermare la natura autonoma del rapporto, la possibilità per la lavoratrice di recarsi o meno a lavoro e di effettuare un orario di lavoro autodeterminato pur nell'ambito delle sei ore di turno previste.
[7] Si tratta della nota sentenza C. Giust. 20 dicembre 2017, C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi v. Uber nella quale era precisato che il servizio d’intermediazione, come quello svolto da Uber in Spagna, avente ad oggetto la messa in contatto mediante un’applicazione per smartphone, dietro retribuzione, di conducenti non professionisti, che utilizzano il proprio veicolo, con persone che desiderano effettuare uno spostamento nell’area urbana, doveva essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto e rientrava, pertanto, nella qualificazione di “servizi nel settore dei trasporti”, ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, con l’implicita riqualificazione del rapporto di lavoro dei conducenti non professionisti di Uber in lavoro subordinato.
[8] Employment Tribunal of London, 28 ottobre 2016, n. 2202550, in https://www.judiciary.gov.uk/wp-content/uploads/2016/10/aslam-and-farrar-v-uberemployment-judgment-20161028-2.pdf con nota di D. CABRELLI, Uber e il concetto giuridico di “worker”: la prospettiva britannica, in DRI, 2017, pp. 575-58;
[9] Il leading case è costituito da EA, GASCOIGNE v. Addison Lee Ltd, Case No: 2200436/2016, 25 July, 2017 reperibile in Mr C Gascoigne v Addison Lee Ltd: 2200436/2016 - GOV.UK
[10] TSJ Cataluña, Juzgado de lo Social nº 6 Valencia, Sentencia 244/2018, 1 jun. Rec. 633/2017. La sentenza è riportata da G. PACELLA, Alienità del risultato, alienità dell’organizzazione: ancora una sentenza spagnola qualifica come subordinati i fattorini di Deliveroo in Labour & Law Issue, vol. 4, no. 1, 2018.
[11] Si ricorda che nel nostro ordinamento è vigente la disciplina introdotta della tutela del lavoro tramite piattaforme digitali introdotta dal d.l. 3 settembre 2019 n. 101 (in Gazz. Uff., 4 settembre 2019, n. 207) convertito, con modificazioni dalla l. 2 novembre 2019, n. 128.
L’Inps e l’Inail rispettivamente con la circolare del 19/11/2019, n.141 e con la nota n. 866 del 23/01/2020 hanno fornito precise istruzioni utili per la corretta applicazione delle nuove disposizioni.