Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite
di Arnaldo Morace Pinelli
Sommario: 1. Premessa. - 2. Le ragioni del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo - 3. Segue: la gestante è strumentalizzata ai bisogni di genitorialità della coppia committente - 4. Le Sezioni Unite del 2019 e la sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021. Persistenza del divieto di maternità surrogata e contestuale esigenza di tutelare più incisivamente colui che nasce dalla pratica illecita - 5. L’ordinanza interlocutoria n. 1822/2022. La questione della maternità surrogata viene nuovamente rimessa alle Sezioni Unite - 6. Corte cost. n. 79/2022. Il bilanciamento degli interessi in gioco spetta al legislatore. L’interesse del minore si realizza attraverso l’adozione particolare del genitore d’intenzione. Il ruolo della giurisprudenza.
1. Premessa
Il tema della maternità surrogata pone due questioni, distinte tra loro, che spesso vengono confuse, ossia quella della illiceità della peculiare tecnica procreativa e quella della salvaguardia di colui che nasce ricorrendo ad essa, che non ha colpa della violazione del divieto ed è «bisognoso di tutela come ogni altro e più di ogni altro», benché il legislatore, in questa materia, si sia limitato a vietare e sanzionare, mentre «avrebbe dovuto… regolare la sorte del nato malgrado il divieto».[1] La legge n. 40/2004, infatti, tace al riguardo.
Come cercheremo di dire, tuttavia, questa giusta esigenza di tutela del minore non implica in alcun modo il superamento, diretto o indiretto, del divieto di maternità surrogata, ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale e della Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
2. Le ragioni del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo
La maternità surrogata si fonda su un contratto «con il quale una donna si presta ad essere fecondata artificialmente, per poi consegnare alla coppia committente il nato», contratto che, nel nostro ordinamento, non solo è vietato ma anche penalmente sanzionato (art. 12 n. 6, l. 40/2004),[2] in quanto – come è stato recentemente ribadito della Corte costituzionale - «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane»,[3] «assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».[4]
La contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata, ostativa al riconoscimento e alla trascrizione nei registri dello stato civile in Italia dei provvedimenti che attribuiscono lo status filiationis, nel caso in cui la coppia sia ricorsa a tale pratica di p.m.a. all’estero, non riposa soltanto nell’art. 12 l. n. 40/2004, che introduce il reato di intermediazione commerciale in tale materia, ma affonda radici profonde nel diritto civile,[5] come dimostra il fatto che dottrina e giurisprudenza predicavano l’invalidità degli accordi di maternità surrogata ben prima dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004.
Sintetizzando al massimo, la maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo. Essa si fonda su un contratto con cui si dispone di diritti inviolabili, efficace nei confronti di un soggetto estraneo all’accordo e vulnerabile: il nascituro. Il rapporto di filiazione origina da un contratto, sul presupposto che l’autodeterminazione procreativa dei committenti sia sufficiente a costituire lo status.[6]
Il rilievo giuridico che si pretende di attribuire al progetto genitoriale dei committenti implica, necessariamente, l’assorbimento dell’interesse del figlio in quello dei genitori. Del resto proprio questo dice quella parte della giurisprudenza che, in questi casi, fa coincidere il preminente interesse del minore con la conservazione dello status filiationis, in qualsiasi modo acquisito all’estero.[7] Dalla condivisibile premessa che le conseguenze della «violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 - imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia – non possono ricadere su chi è nato», si fa discendere, alla stregua di un corollario, il principio per cui l’interesse del minore sarebbe tutelato attraverso un automatismo, ossia mediante il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia del provvedimento che attribuisce lo status filiationis, validamente formato all’estero, indipendentemente dal fatto che i genitori siano ricorsi ad una pratica di p.m.a. vietata in Italia.[8] Agitando la formula del the best interest of the child - di cui non si è mancato di sottolineare l’ontologica vaghezza[9] -, si finisce con l’ammettere la surrogazione di maternità,[10] seppure circoscrivendo la mercificazione ai corpi di donne straniere e, soprattutto, si legittimano ex post le scelte degli adulti, al di fuori di qualsiasi valutazione in concreto dell’effettivo interesse del minore nato dalla pratica illecita.
A ben vedere, dunque, la maternità surrogata postula un controllo proprietario dell’esistenza. L’accordo di surrogazione «ha come prestazione caratterizzante la generazione di un essere umano dotato di certe proprietà fisiche (costituzione genetica) e giuridiche (stato filiale) e come scopo la costituzione, modificazione estinzione di diritti e doveri genitoriali».[11] Da questo punto di vista, l’invalidità dell’accordo sussiste indipendentemente dal fatto che esso sia stipulato a titolo oneroso o a titolo gratuito.
Questo potere degli adulti (i committenti) sulla vita del bambino (e della gestante) si pone in aperto conflitto con il diritto contemporaneo della filiazione, che procede in una direzione opposta, ossia quella del controllo del potere dei genitori sui figli.[12] L’autonomia privata si espande nei rapporti simmetrici [all’ampia facoltà di scelta degli adulti tra i modelli di convivenza (matrimonio, unioni civili, convivenze regolate dal diritto, mere convivenze eterologhe o omoaffettive), si affianca una significativa libertà nella determinazione di diritti e doveri e nello scioglimento del rapporto], mentre i rapporti tra figli e genitori sono presidiati da norme inderogabili e dal rilievo che assume lo status filationis, inteso quale sintesi di situazioni giuridiche indisponibili ai privati.[13]
La riforma Bianca sulla fiIiazione del 2012 proietta definitivamente l’ordinamento sulla persona del minore. Il nuovo art. 315 bis c.c. enuncia lo statuto dei diritti fondamentali del figlio come persona, mentre in passato «la posizione giuridica del figlio veniva identificata solo relativamente ai doveri dei genitori e agli obblighi delle prestazioni alimentari».[14] Il figlio viene posto al centro del sistema, ultimandosi il passaggio da una concezione del minore, quale soggetto debole da tutelare, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere. Ed i suoi diritti, scolpiti nell’art. 315 bis c.c. (il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, il diritto all’ascolto) rientrano nel novero di quelli fondamentali della persona e sono garantiti dall’art. 2 Cost.
Questa visione minori-centrica si ripercuote anche nel rapporto con i genitori, focalizzato sulla persona del figlio e sulla prevalenza dei suoi diritti. Costituisce portato fondamentale della riforma del 2012 la sostituzione della nozione di potestà, evocativa di un potere sul minore, con quella di responsabilità genitoriale, che evidenzia invece l’impegno che l’ordinamento richiede ai genitori, non identificabile «come una “potestà” sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio».[15] Questa sostituzione lessicale assume una valenza culturale profonda, segnando il radicale mutamento di prospettiva operato dalla riforma: nel rapporto genitori-figlio l’ordinamento si colloca dalla parte del minore, in virtù del superiore interesse di cui questi è portatore.
La centralità della posizione del minore, quale soggetto titolare di diritti fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost., permea anche la legge sull’adozione. L’art. 1 l. n. 184/1983 proclama solennemente il suo diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia e l’inclusione di un siffatto diritto nello speciale statuto dell’art. 315 bis c.c. conferma che ci troviamo in presenza di un diritto fondamentale della persona, essendo la famiglia «un bene essenziale per la vita affettiva e per l’armoniosa formazione» del minore.[16] Siffatto diritto rientra tra quelli assoluti, esperibili nei confronti di tutti i terzi, compreso lo Stato, verso cui il minore – per quel che qui soprattutto interessa - vanta la pretesa a non subire provvedimenti di adozione, affidamento e allontanamento al di fuori dei casi previsti dalla legge e ad un concreto intervento volto a rimuovere le difficoltà personali ed economiche che sono di ostacolo all’esercizio del diritto.
Quando la famiglia manca o l’ambiente familiare è irrecuperabile, «il minore abbandonato ha diritto ad essere adottato perché ha diritto ad una famiglia, come enunciato dal titolo della legge, e ha diritto ad una famiglia perché solo una famiglia può dargli quell’amore di cui ha fondamentalmente bisogno».[17] Il diritto del minore alla propria famiglia si specifica, poi, nel diritto alla bigenitorialità, ossia alla doppia figura genitoriale, espressamente sancito, nel caso di crisi del rapporto che lega i genitori, dall’art. 337 ter c.c.
Il nostro ordinamento conosce, dunque, il diritto del figlio di crescere nella sua famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura e – prima ancora – il suo diritto ad avere una famiglia e, dunque, ad essere adottato, ove si trovi in stato d’abbandono. Non esiste, invece, un diritto dell’individuo ad avere figli[18] e, più segnatamente, un diritto ad adottare,[19] che – anche nella sua teorica postulazione – svilisce la posizione e la dignità del figlio, riducendo la sua persona ad oggetto di un diritto altrui.[20] Ciò significa che l’interesse giuridicamente rilevante ad adottare, certamente configurabile, «può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato».[21]
Se questo è il sistema, non vi è spazio per un contratto, quale è quello di maternità surrogata, che instaura sulla vita del bambino (e della gestante) un potere privato di controllo esercitato dalla coppia committente.
3. Segue: la gestante è strumentalizzata ai bisogni di genitorialità della coppia committente
La maternità surrogata confligge poi con i valori fondamentali espressi dagli artt. 2 e 29 cost. L’ordinamento guarda alla persona umana come a un valore in sé e non come a un semplice mezzo per il soddisfacimento dell’altrui interesse. La gestante non è strumentalizzabile ai bisogni di genitorialità della coppia committente.
Sotto tale profilo si coglie la lesione della dignità della donna, da declinarsi in termini oggettivi e non soggettivi. Anche se la gestante sia libera dal bisogno e mossa da animo solidale ci troviamo in presenza di una maternità che non è liberamente desiderata: la fecondità personale è subordinata a un progetto di altri, titolari del prodotto (il bimbo) che dettano le condizioni della produzione (la gestazione).
Sempre, indipendentemente dal carattere oneroso o gratuito/solidale della singola pratica procreativa, si assiste ad una inammissibile oggettivazione/mercificazione del corpo della donna, strumentalizzato per appagare il desiderio di genitorialità dei committenti, e alla reificazione del minore, gestito alla stregua di un bene, il cui destino è segnato dalle clausole di un atto d’autonomia privata: il contratto di maternità surrogata.
È, dunque, lesa anche la dignità del nascituro. Senza addentrarci nell’ardua questione se l’embrione umano sia persona, soggetto di diritto o nulla di tutto ciò, è certo che, anche prima dell’impianto, ne viene riconosciuta la dignità, «quale entità che ha in sé il principio della vita»,[22] valore «di rilievo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.».[23] Per questo motivo l’embrione è fatto oggetto di precise tutele (artt. 13 e 14 l. n. 40/2004) e soltanto la necessità di salvaguardare il diritto alla salute della donna (che è già persona e dunque prevale sull’embrione, che persona ancora deve diventare) consente un affievolimento della tutela e, dunque, l’interruzione della p.m.a., con il rifiuto dell’impianto[24] (l’embrione non può però essere soppresso: art. 13 l. n. 40/2004), ovvero, ove questo sia avvenuto, con il ricorso all’aborto.
Se, poi, si ritiene che il rapporto materno sia creato dalla gestazione, la sottrazione del figlio alla madre uterina è anche lesiva dell’interesse del minore «a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto».[25] In effetti, nel caso di fecondazione eterologa la legge stabilisce chi è il padre e chi la madre (artt. 6, 8 e 9 l. n. 40/2004). Nulla dice, invece, con riguardo al nato da maternità surrogata e notoriamente la dottrina è divisa tra coloro che ritengono che madre sia la gestante[26] e coloro secondo i quali «paternità e maternità, e così lo stato del nato, debbano riportarsi a chi ha concorso alla fecondazione e quindi alla creazione dell’embrione».[27] Un siffatto nodo può essere sciolto soltanto dal legislatore, chiamato anche a decidere il ruolo che deve essere assegnato al genitore d’intenzione.[28]
4. Le Sezioni Unite del 2019 e la sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021. Persistenza del divieto di maternità surrogata e contestuale esigenza di tutelare più incisivamente colui che nasce dalla pratica illecita
Le Sezioni unite, con la nota pronuncia del 2019,[29] hanno dunque negato la possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che affermi il rapporto di genitorialità tra un bambino nato a seguito di maternità surrogata e il c.d. genitore d’intenzione, sul presupposto che il divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma sesto, l. n. 40/2004, integra un principio di ordine pubblico, posto a tutela di valori fondamentali, rispetto ai quali la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto.
Peraltro tale giudice non si è limitato ad affermare l’illiceità della pratica procreativa, ma si è preoccupato di individuare una tutela per colui che sia nato dalla sua sperimentazione. Siffatta tutela, secondo le Sezioni unite, si realizza attraverso la possibilità della stepchild adoption da parte del genitore d’intenzione, con cui si salvaguarda «la continuità della relazione affettiva ed educativa» eventualmente instauratasi tra il minore e tale soggetto,[30] risultando dall’indagine propedeutica all’adozione particolare che il genitore d’intenzione è diventato genitore sociale, avendo costruito con il minore un rapporto fondamentale per la sua crescita ed il suo sviluppo. In effetti, se si astrae dall’inesistente diritto degli adulti alla genitorialità, in una prospettiva genuinamente minori-centrica, con riguardo al nato da una pratica di maternità surrogata il problema non è quello di tutelare il suo diritto ad avere una famiglia, giacché egli ha già un genitore biologico, bensì quello di preservare il legame affettivo eventualmente creatosi con il genitore d’intenzione.
Questo lodevole sforzo ermeneutico, presentava, peraltro, un limite oggettivo, derivante dalla peculiare disciplina dell’adozione particolare, istituto eccezionale inidoneo a tutelare con pienezza il minore. Prima di un recente intervento della Corte costituzionale,[31] l’adozione particolare non istituiva un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante e neppure tra l’adottante e la famiglia dell’adottato (art. 300 c.c. e 55 l. adoz.). Inoltre, l’adozione particolare è rimessa alla volontà dell’adottante e dipende dall’assenso del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo, in caso di crisi della coppia (art. 46 l. adoz.).
Muovendo da tali considerazioni, una pronuncia della prima sezione civile della Corte di Cassazione, a meno di un anno dalla sentenza delle Sezioni unite, ha ritenuto di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, dell’art. 64, comma 1, lett. “g” l. n. 218/95 e dell’art. 18 d.p.r. n. 396/2000 «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente (fornita dalle Sezioni unite), che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».[32]
Le attese del giudice rimettente sono peraltro andate deluse. La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato inammissibili le questioni sollevate,[33] ribadendo con fermezza la condanna della maternità surrogata e la necessità di bilanciare l’interesse del minore «alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore». Ha quindi condiviso il diniego delle Sezioni unite in ordine alla trascrivibilità dei provvedimenti giudiziari stranieri e, a fortiori, dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il c.d. padre d’intenzione, ritenendo che l’interesse del minore ad ottenere il riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia, che lo abbiano accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale, debba realizzarsi senza automatismi, «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato,…sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice» in ordine all’esistenza e al valore di tale relazione.
L’importante pronuncia ha, peraltro, denunziato i limiti dell’adozione particolare nell’assicurare siffatta tutela, rilevando, tuttavia, che il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare, almeno «in prima battuta», al legislatore, «al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco».
5. L’ordinanza interlocutoria n. 1822/2022. La questione della maternità surrogata viene nuovamente rimessa alle Sezioni Unite
Appena dieci mesi dopo il deposito della sentenza della Corte costituzionale, tuttavia, una pronuncia della prima sezione civile della Corte di cassazione[34] ha chiesto un nuovo intervento delle Sezioni unite, sottoponendo una soluzione interpretativa ritenuta «adeguata a rispondere all’implicita chiamata “interpretativa” posta in essere con la sentenza n. 33/2021 dalla Corte costituzionale». L’ordinanza interlocutoria insiste sulla necessità di rivalutare «gli strumenti normativi esistenti (delibazione e trascrizione)», quando non si configuri «un insuperabile ostacolo alla loro utilizzazione derivante dalla natura di ordine pubblico del divieto penale», all’esito di una bilanciamento, da effettuarsi in concreto, con i valori sottesi al divieto di surrogazione di maternità. In particolare, la lesione della dignità della donna sarebbe esclusa (e quindi il provvedimento estero sarebbe delibabile o trascrivibile) quando, in base alla legislazione straniera, la gravidanza per altri «sia il frutto di una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino». Quanto poi alla «preservazione dell’istituto dell’adozione», l’ordinanza interlocutoria reputa che il discrimen alla delibabilità/trascrizione del provvedimento straniero sia costituito «dalla tutela del minore da pratiche elusive e illegali intese a vanificare le norme che lo garantiscono, specificamente nei procedimenti di adozione internazionale, da qualsiasi forma di mercificazione».
6. Corte cost. n. 79/2022. Il bilanciamento degli interessi in gioco spetta al legislatore. L’interesse del minore si realizza attraverso l’adozione particolare del genitore d’intenzione. Il ruolo della giurisprudenza
A nostro avviso l’ordinanza interlocutoria non coglie le insuperabili ragioni del divieto di maternità surrogata, esposte ai superiori §§ 3 e 4.[35] Serio è però il problema della tutela del minore nato dalla sperimentazione di tale pratica all’estero, avendo la Corte costituzionale denunciato l’attuale inadeguatezza dell’istituto dell’adozione particolare.
Con specifico riguardo alla posizione del minore, la Corte Edu ha escluso che dall’art. 8 CEDU si possa inferire un diritto al riconoscimento dei rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla maternità surrogata, e ha dato atto di un ampio margine di apprezzamento spettante agli Stati membri in ordine alla possibilità di riconoscere siffatti rapporti di filiazione.[36] D’altro canto ha affermato la necessità di tutelare l’interesse del minore a preservare il legame che si sia venuto a consolidare con il genitore d’intenzione con «modalità che garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera».[37]
Successivamente al deposito dell’ordinanza interlocutoria, è intervenuta una fondamentale pronuncia della Corte costituzionale, la quale, ribadite le ragioni del divieto, non ha mancato di sottolineare come la scelta operata dal nostro ordinamento del ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari (opportunamente emendato) abbia il pregio di «tenere in equilibrio molteplici istanze implicate nella complessa vicenda» e al contempo «di garantire una piena protezione all’interesse del minore».[38]
Lungi «dal dare rilevanza al solo consenso e dall’assecondare attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità», l’adozione particolare «dimostra una precipua vocazione a tutelare l’interesse del minore a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate», presupponendo «un giudizio sul migliore interesse del minore e un accertamento sull’idoneità dell’adottante».
Si impone, peraltro, un adeguamento dell’istituto e, in questa prospettiva, la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 55 l. adoz., nella parte in cui, mediante il rinvio all’art. 300, comma 2, c.c., escludeva la parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, rimuovendo un ostacolo all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari. In tal modo il minore si avvantaggia delle garanzie personali e patrimoniali che discendono dal riconoscimento giuridico dei legami parentali ed è, al contempo, salvaguardata l’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare adottivo.[39]
La Corte costituzionale ha, dunque, indicato la strada, che non è quella della delibabilità/trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad «assecondare … il mero desiderio di genitorialità» degli adulti, che ricorrono all’estero alla pratica vietata nel nostro ordinamento, ma di riformare l’adozione particolare, istituto per sua natura volto alla realizzazione del preminente interesse del minore (art. 57, comma 1, l. adoz.) e capace di tenere in equilibrio i molteplici valori in conflitto, garantendo la piena protezione di tale interesse.[40]
La Corte costituzionale, in altri termini, ha lasciato al legislatore il difficile bilanciamento dei valori in gioco (disincentivazione della maternità surrogata e tutela del minore nato dal ricorso a tale pratica all’estero). Ha posto l’accento su questo secondo valore e, allo scopo di realizzare la migliore tutela del minore, si è concentrata sull’istituto dell’adozione particolare, la cui disciplina non implica alcun confronto con il divieto di surrogazione di maternità.
Nella medesima ottica si devono porre, a nostro avviso, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, eventualmente sciogliendo, in via ermeneutica, quei nodi che rendono l’istituto dell’adozione particolare ancora carente, come, ad esempio, la previsione della necessità dell’assenso del genitore biologico all’adozione (art. 46 l. adoz.). Collegando quest’ultima norma al già richiamato art. 57 l. adoz., che impone al giudice di valutare se l’adozione particolare realizzi in concreto il preminente interesse del minore, il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, appare ragionevole soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzata tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione. Se tale legame sussiste, il rifiuto non sarebbe certamente giustificato dalla crisi della coppia committente né potrebbe essere rimesso alla discrezionalità del genitore biologico. Della questione potrebbe essere ovviamente investita la Corte costituzionale.
Non ci pare, invece, che, in caso di maternità surrogata, la genitorialità giuridica possa fondarsi sulla volontà della coppia che ha voluto e organizzato la procreazione assistita, così come avviene per la fecondazione assistita, omologa o eterologa che sia (artt. 6, 8 e 9 l. n. 40/2004), risultato allo stato non conseguibile in via ermeneutica, costituendo la fattispecie della maternità surrogata un reato.
[1] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. OPPO, Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, 49 e ss.
[2] F. GAZZONI, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in www.personaedanno.it.
Osserva C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2017, 445, che siffatto contratto è certamente invalido: «del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro».
[3] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79; Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, in Familia, 2021, 391, con nota di A. MORACE PINELLI, La tutela del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata; Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, 5.
[4] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79, che richiama Corte cost., 8 marzo 2021, n. 33 cit.
[5] Cfr. il bellissimo saggio di V. CALDERAI, Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Riv. dir. civ., 2022, 479 e ss.
[6] Cfr. V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 481 e ss.
[7] Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Foro it., 2016, I, 3329.
[8] Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, cit.
[9] M. BIANCA, Prefazione, in The best interest of the child, a cura di M. BIANCA, Roma, 2021, XV e ss.
[10] App. Trento 23 febbraio 2017, in Foro it., 2017, I, 1034.
[11] V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 495.
[12] V. CALDERAI, Ordine pubblico, cit., 495 e ss.
[13] M. PARADISO, Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 e ss., spec. § 4.
[14] M. BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in La riforma del diritto della filiazione (l. n. 219/12), in N.l.c.c., 2013, 509.
[15] Così la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/2013.
[16] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 337.
[17] Così C.M. BIANCA, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016, nel corso dell’indagine conoscitiva diretta a verificare lo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido.
[18] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, cit.; Corte cost., 9 marzo 2021 n. 32, in Fam. e dir., 2021, 677: Corte cost., 20 ottobre 2020, n. 230.
Corte Edu, Grande Camera, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c./ Italia, Foro it., 2017, IV, 105, con nota di CASABURI, afferma con cristallina chiarezza che la CEDU «non sancisce alcun diritto di diventare genitore» (§ 215).
Sul punto, cfr. il nostro Per una riforma dell’adozione, in Dir. fam., 2016, 720 e ss.
[19] Secondo la giurisprudenza della Corte Edu non esiste un diritto soggettivo di adottare, in quanto lo stesso non è evincibile dall’art. 8 CEDU. Il diritto al rispetto di una «vita familiare» non tutela il semplice desiderio di formare una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia o quanto meno di una potenziale relazione che avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio.
Cfr. Corte Edu, 19 febbraio 2013, n. 19010, X c. Austria, in Corr. giur., 2013, 712, con nota di A. MASCIA, Adozione co-genitoriale per una coppia omosessuale; Corte Edu, 27 aprile 2010 n. 16318; Corte Edu, 22 gennaio 2008, n. 43546, E.D. c. Francia, in Dir. fam., 2008, 0190, con nota di A. DONATI, Omosessualità e procedimento di adozione in una recente sentenza della Corte di Strasburgo; Corte Edu, 26 febbraio 2002, n. 36515, Fretté c. Francia, in Familia, 2003, 521, con nota di E. VARANO, La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’inesistenza del diritto di adottare.
[20] La Corte costituzionale ha ribadito con la massima fermezza che già l’embrione umano in vitro non è una res ma un’«entità che ha in sé il principio della vita» e la cui «dignità… costituisce… un valore di rilevo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.» (Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, in Giur. it., 2017, 307, con nota di D. CARUSI, Embrioni in soprannumero e destinazione alla ricerca: il diritto vigente; Corte cost., 6 ottobre 2015, n. 229, in Dir. pen. e processo, 2016, 62, con nota di A. VALLINI, Gli ultimi fantasmi della legge 40: incostituzionale il (supposto) reato di selezione preimpianto).
[21] In tal senso, cfr. C.M. BIANCA, Audizione, cit.
[22] Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, cit.; Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229, cit.
Cfr. pure Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, in Foro it., 2009, I, 2301.
[23] Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, cit.; Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229, cit.
[24] Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, cit.
Cfr., in termini generali, Corte Cost., 18 febbraio 1975, n. 27, in Giur. costit., 1975, I, 117 e ss.
[25] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 445..
[26] C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, cit., 445.
[27] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. OPPO, Scritti giuridici, VII, cit., 52.
[28] Così M. BIANCA, La tanto attesa decisione, cit., 383.
[29] Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, 1951.
[30] Così già Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, I, 5.
[31] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[32] Cass., I Sez. civ., ord., 29 aprile 2020 n. 8325, in giudicedonna.it, 2/2020, con nota di M. BIANCA, Il revirement della Cassazione dopo la decisione delle Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato.
[33] Sent. n. 33/2021, cit.
[34] Cass., 21 gennaio 2022, n. 1842.
[35] Sul punto rinviamo al nostro Il problema della maternità surrogata torna all’esame delle Sezioni Unite, in Familia, 2022, 437 e ss.
[36] Corte EDU, 18 agosto 2021, Valdìs Fjolnisdòttir e altri contro Islanda, §§ 66-70 e 75; Corte EDU, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, cit. §§ 197-199.
[37] Corte EDU, 16 luglio 2020, D. contro Francia, § 51, richiamata da Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, cit.; Corte EDU, 12 dicembre 2019, C. ed E. contro Francia, § 42; Corte EDU, Grande Camera, parere consultivo 10 aprile 2019, in N.g.c.c., 2019, 757, con nota di A. GRASSO, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre naturale, § 54.
[38] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[39] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.
[40] Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79.