LE ELEZIONI SUPPLETIVE PER IL CSM. L’INTERVISTA AI CANDIDATI di Michela Petrini e Laura Reale
L’ 11 ed il 12 aprile p.v. si svolgeranno le elezioni suppletive per la nomina di un componente, per la categoria dei giudicanti, del Consiglio Superiore della Magistratura.
Si tratta della terza tornata di elezioni suppletive a seguito di quanto emerso dall’indagine della Procura di Perugia, che ha portato alle dimissioni di alcuni componenti dell’organo di autogoverno, rendendo necessario, dunque, per l’assenza di candidati, l’indizione di nuove elezioni.
Rimane poco più di un anno di consiliatura per l’attuale C.S.M. e, tuttavia, si tratta di un anno di indubbio peso ed intensità. Può sostenersi che mai, come oggi, la magistratura avverta la necessità di riacquistare fiducia nell’organo di autogoverno, chiamato dunque ad affrontare una fase di transizione storica e tale per cui può ragionevolmente ritenersi che le scelte di oggi condizioneranno gli anni futuri della magistratura tutta e del modo di essere magistrati.
“Giustizia Insieme” ha ritenuto opportuno sottoporre ai quattro candidati alcune domande al fine di rendere note agli elettori, oltre che la biografia, le posizioni degli stessi in merito ad alcuni temi di rilevante interesse ed utili ad offrire al lettore alcuni elementi di valutazione, per poter così meglio orientare la propria scelta.
1.Il rapporto tra la politica e la magistratura non è mai stato sereno.
Da anni registriamo attacchi della politica alla magistratura, accusata di strumentalizzare i processi penali per attaccare o indebolire una certa parte politica. Oggi, tuttavia, anche grazie all’inchiesta della Procura di Perugia, è emerso uno scenario diverso, nel quale politici e magistrati sembrano ricercare alleanze e appoggi per conseguire, reciproci, privati, obiettivi.
Il Prof. Giovanni Maria Flick, nel suo libro “Giustizia in crisi (salvo intese)” mette in evidenzia le distorsioni dell’attuale rapporto tra potere politico e potere giudiziario ed afferma che “la politica debba accettare l’idea che, nel rapporto con la giustizia, il rispetto reciproco è fondamentale” , mentre la “magistratura può’ risalire la china soltanto e soprattutto con la cultura, prima ancora che con le leggi; ritornando a ragionare di una cultura della legalità’ sostanziale , della reputazione , della responsabilità’”.
Ritieni che il sistema delle “porte girevoli” tra politica e magistratura abbia contribuito a determinare l’attuale assetto dei rapporti? E quali passi concreti possono essere fatti, da un lato per ripristinare un reciproco rispetto istituzionale e, dall’altro, per impedire che si instaurino canali di dialogo privilegiati e finalizzati esclusivamente a perseguire interessi estranei alla cultura della legalità?
MARIA TIZIANA BALDUINI
Il dibattito sull’orientamento politico della magistratura è avvelenato da posizioni ideologiche e ambizioni personali provenienti da una piccola parte di colleghi in danno di tutti gli altri. Il diritto anche dei magistrati di partecipare alla vita pubblica e al confronto dialettico implica assoluto equilibrio per la delicatezza delle funzioni esercitate, perché non è l’attività giudiziaria, ma quella politica, ad essere primariamente deputata ad elaborare ed attuare i valori e le trasformazioni della società. I magistrati non perseguono fini politici e non sono investiti di alcuna salvifica missione morale. La Costituzione ci richiama al dovere di una collaborazione che deve essere leale fra poteri dello Stato, in totale contrapposizione con l’immagine di avversari da contrastare. La maggioranza di colleghe e colleghi si ispirano a valori di moderazione, essendo esenti da pregiudiziali ideologiche, competenti, capaci di ascoltare, aperti al confronto sui contenuti, mai prevenuti, in grado di farsi interpreti di quei valori di servizio che sono propri del rilievo istituzionale del ruolo, da esercitare sempre con onore e dignità rifuggendo da logiche di potere.
L’inchiesta di Perugia ha tuttavia scoperchiato ben più di qualche deprecabile fatto, svelando appieno anche finte purezze, ipocrisie e un gravissimo corto circuito in cui è precipitato il Csm. Occorrono certamente norme più stringenti per la partecipazione dei magistrati alla politica, ma la questione non è limitata a coloro che finiscono negli organi elettivi. E’ un tema di valenza culturale, anzi di fragilità culturale, di pensiero debole, di perdita di valori fino a qualche tempo fa ben saldi e interiorizzati. Il reciproco rispetto istituzionale passa attraverso la forza culturale delle persone chiamate ad incarnare certi ruoli e a rispettare sempre le regole. Si tratta di profili generali e mentalità che o si possiedono o non si possiedono.
Sono favorevole alla previsione per legge di una separazione più marcata che eviti le cd. “porte girevoli", ma, al contempo, osservo che non si può nascondere la verità con l’ennesimo velo di pudore. Nelle note vicende degli ultimi due anni la politica non è la principale, insana, protagonista, giacché non può sfuggire che si è in realtà prevalentemente consumata una indecente lotta oligarchica di conservazione del potere, tutta interna alla magistratura.
MARIO CIGNA
Il rapporto tra politica e magistratura deve essere ispirato al rispetto reciproco, con la consapevolezza della diversità delle rispettive funzioni.
Il magistrato, soggetto soltanto alla legge, deve giudicare da terzo, senza alcuna interferenza, al solo fine di tutelare la legalità e di far valere, anche nei confronti della “politica” e della stessa magistratura, il rispetto delle regole.
La “politica” deve pretendere detta terzietà ed essere quindi consapevole che i procedimenti penali tendono all’accertamento dell’illegalità e non costituiscono mai strumento per attaccare o indebolire una certa parte politica; al riguardo va peraltro evidenziato che i fatti di cui all’inchiesta di Perugia, ancora compiutamente da accertare nel loro rilievo penale o disciplinare o deontologico, sono stati portati alla luce dalla stessa magistratura, senza alcuno spirito corporativo, al solo fine di far valere la legalità.
La magistratura, da parte sua, deve evitare ogni commistione con la politica, con cui deve dialogare solo attraverso gli organi istituzionalmente competenti; a tal fine la magistratura non solo deve essere terza, ma anche apparire tale, sicché, non potendosi impedire al magistrato di aspirare a cariche politiche, apportando la propria specifica esperienza, va poi impedito (o comunque reso estremamente complesso) il ritorno nella magistratura (c.d. porte girevoli), non potendosi dubitare che la candidatura del magistrato in una carica politica (e, a maggior ragione, l’effettivo espletamento della carica) comporti un “offuscamento” della sua precedente immagine di terzietà.
MARCO D’ORAZI
Vorrei innanzi tutto ringraziare la redazione di GIUSTIZIA INSIEME, per la opportunità di questa intervista; essa consente ai lettori di conoscere le posizioni dei vari candidati. E’ una iniziativa importante, in questo periodo grigio per la magistratura italiana.
La risposta richiede una premessa.
Abbiamo assistito, nel biennio 2019-2021, al manifestarsi acuto di una crisi della gestione dell’autogoverno, da parte delle tre correnti tradizionali (Area-Unicost-M.I.). L’esito di questa gestione è, francamente, fallimentare. Gli allarmi di molti magistrati sono rimasti inascoltati, quando non irrisi; anche quando emergevano spie chiarissime di questa crisi. Oggi, raccogliamo dunque i cocci di una gestione negativa, che dura da almeno un quindicennio (anche se, come si usa dire, motus in fine velocior). E’una valutazione politica, che prescinde dalla qualità delle persone che hanno gestito le tre correnti tradizionali (quattro, prima della fusione in Area), a volte persone di grande levatura ed ottimi colleghi.
La grave crisi dell’autogoverno si è evidenziata nella mancata trasparenza delle scelte di alcune posizioni; con una evidente sotto-rappresentazione, ad esempio, dei magistrati non correntizzati nei posti direttivi; in vere e proprie macroscopiche ingiustizie, che inevitabilmente conducono a risentimenti e tensioni negli uffici; in una normazione secondaria ipertrofica e non tecnicamente avveduta; in un carrierismo a volte grottesco; in un disciplinare spesso feroce con i magistrati di prima linea.
Lo scorso anno, nel libro Una Giustizia degna dell’Italia-Idee sparse per la riscossa della magistratura, ho cercato di analizzare le ragioni di questa malattia, paragonando questo fenomeno, mutatis mutandis, a quello che Enrico Berliguer denunciò nella famosa intervista a Scalfari (Repubblica, 28 luglio 1981); una perdita di senso dei partiti tradizionali e la loro riduzione a centri di potere, ad agenzie di placement.
Questa la premessa.
Ed è la ragione che mi ha spinto, superando una personale vocazione al lavoro puramente intellettuale, ad impegnarmi in un gruppo di magistrati, come Autonomia e Indipendenza, nel quale ho trovato una casa, che profuma di bucato, dalla quale iniziare una ricostruzione, insieme e non contro i colleghi.
In questo quindicennio e per le ragioni che ho detto sopra, si sono infiacchite le risposte immunitarie.
La risposta alla domanda è dunque questa: è stato allora possibile, in alcuni casi, che si creassero canali di dialogo non trasparenti ed il perseguimento di interessi privatistici. Quanto avvenuto è però la conseguenza di questo fallimento storico delle tre correnti tradizionali, che ci lascia un corpo infiacchito ed aperto a questi fenomeni.
LUCA MINNITI
Il tema è risalente, si pensi alle infiltrazioni della Loggia P2, ma oggi presenta delle novità significative non solo per le cadute deontologiche emerse di recente, ma per il profondo mutamento del sistema politico.
In ogni caso il problema è sempre quello dell’imparzialità e dell’immagine di imparzialità dei magistrati.
Ma la trasformazione in un sistema bipolare del sistema politico, l’accentuazione della polemica personale, il conflitto individuale come paradigma della competizione, rendono l’agone politico vieppiù incompatibile con l’immagine di imparzialità del magistrato.
Ed anche il modo di raccogliere il consenso, attraverso i nuovi media, ha alimentato una idea personalistica della politica e del potere, incompatibile con l’immagine che deve offrire il potere giurisdizionale attraverso tutti i suoi membri.
Nelle proposte del Governo si vuole introdurre il divieto per i magistrati di candidarsi, anche per le elezioni amministrative, nel territorio in cui hanno esercitato le funzioni ed il divieto, per i magistrati eletti in parlamento o che abbiano assunto incarichi di governo nazionale, di rientrare in magistratura alla fine del mandato con destinazione a funzioni amministrative.
La proposta mi trova d’accordo.
Per altro verso l’impegno dei magistrati in incarichi amministrativi è fenomeno molto diverso: gli incarichi fiduciari da parte di una istituzione, sono incarichi di tipo amministrativo, affidati a magistrati, che pur fondandosi su una scelta di tipo fiduciario, hanno natura tecnica, che nulla ha a che vedere con la rappresentanza politica.
Non è corretto, a mio avviso, equiparare l’incarico elettivo o di Governo, con incarichi amministrativi, anche se è giusto prevedere, come fa la proposta governativa, un periodo di decantazione tra l’incarico amministrativo e la nomina ad incarichi direttivi o semi-direttivi; esso serve sia a preservare l’immagine di imparzialità delle decisioni del Consiglio che a garantire la nomina di dirigenti che provengono da un impegno attuale e recente nella giurisdizione.
2. Nell’articolo di Giovanni Tamburino Ripensando ad A. Nappi “Quattro anni a palazzo dei marescialli” di Giovanni Tamburino, pubblicato su questa rivista il 29 marzo scorso viene affrontato l’argomento della politicità del Csm. Politicità intesa non come politica di governo sui temi della giustizia, funzione che spetta ai rappresentanti del popolo, ma come “attuazione della politica della giustizia”. Scrive Giovanni Tamburino “coloro che entrano nel CSM devono avere la consapevolezza che nel ruolo di gestione/amministrazione dei singoli magistrati e nei provvedimenti paranormativi hanno un compito di rilievo politico: il rilievo politico che possiede in uno Stato il funzionamento concreto della sua giustizia”. La caduta della “politicità” è così individuata come la prima causa della crisi del CSM. Cosa pensi di questa affermazione?
MARIA TIZIANA BALDUINI
Anche a costo di apparire in minoranza, reputo che il Csm sia un organo di alta amministrazione, anche se fra le funzioni ve n’è una, quella disciplinare, che ha natura giurisdizionale. Non occorre impegnare il termine “politicità” per affermare che occorre operare le scelte con consapevolezza, comprendendone il valore per la vita delle Istituzioni e dell'intera magistratura. La rilevanza costituzionale del Csm risiede nella circostanza che gli atti di gestone che riguardano i magistrati, risultando potenzialmente lesivi della loro indipendenza, vanno preservati da un esercizio diretto del potere politico. Da qui il concetto di organo di garanzia, che mi appare assai più confacente. Mi rafforza nel convincimento pensare che una natura diversa, con rilievo politico, non sembra comunque avere attecchito in Consiglio nel significato auspicato, dal momento in cui l’odierno comune sentire attribuisce invece al termine il valore - non nobile - di “schieramento sistematico di parte, per appartenenza”, piuttosto che di declinazione del funzionamento concreto della giustizia.
MARIO CIGNA
Il Csm è organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, il cui “rilievo costituzionale” è dato proprio dalla sua stessa finalità, atteso che autonomia ed indipendenza costituiscono valori costituzionali.
Il Csm non è, tuttavia, un organo costituzionale “politico” (come Parlamento e Governo), non essendo i suoi atti volti ad attuare un programma prefissato; è indubbio, tuttavia, che i suoi atti, come quelli di tutti gli altri organi di garanzia (v. Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale), concernendo il funzionamento in concreto della giustizia nel Paese, influenzino la “politica” ed in particolare concorrano alla “politica giudiziaria” , abbiano quindi, per usare l’espressione di Paolo Barile, una loro “politicità intrinseca”; il Csm non può comunque considerarsi un organo meramente tecnico-amministrativo (sia pure di “alta amministrazione”), come reso evidente dalla partecipazione dei “laici” e dalla stessa Presidenza, attribuita al Capo dello Stato; partecipazione che non avrebbe alcun senso se il CSM fosse solo un organo meramente tecnico-amministrativo.
MARCO D’ORAZI
La affermazione di Tamburino è pienamente condivisibile.
La crisi dell’autogoverno non è dovuta alla “politicizzazione” della magistratura, per usare uno slogan.
La crisi dell’autogoverno è dovuta alla perdita di forza ideale delle tre correnti tradizionali; che si sono così adagiate su una gestione mediocre dell’esistente, se non su un franco familismo amorale. Il fallimento storico, di cui parlavo prima, non è dunque dovuto ad un eccesso di politicizzazione ma alla perdita di forza degli ideali che sorreggevano le tre correnti tradizionali.
Meglio di Tamburino, francamente, non saprei dire.
LUCA MINNITI
L’art. 105 Cost., disegna un organo con proprie attribuzioni sostanziali, che implicano l’esercizio di una discrezionalità amministrativa e non meramente tecnica.
L’azione di governo autonomo della magistratura, in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, deve essere capace di un immediato adeguamento all’evoluzione dei tempi e alle mutevoli necessità della giurisdizione, a loro volta continuamente sollecitate dalle imprevedibili necessità sociali e dalle specifiche esigenze dei diversi territori.
Un irrigidimento dei parametri valutativi e degli indicatori, attraverso la loro sussunzione a livello normativo primario, e un eccessivo dettaglio nella loro formulazione, privano l’azione consiliare della duttilità necessaria per un intervento tempestivo ed efficace nel settore dell’organizzazione della giurisdizione civile e penale, in tutte le declinazioni in cui tale intervento si attua (dall’organizzazione degli uffici alla carriera dei magistrati).
La qualità, l’efficacia, l’efficienza della giurisdizione esigono un Csm in grado di fare scelte di politica giudiziaria consone con il dettato normativo ma adeguate alle specificità del caso, alle necessità del momento, alla migliore attuazione dei principi di buona amministrazione della giustizia.
3. Sono oramai molte le delibere del Csm per conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi che vengono annullate dalla giustizia amministrativa; di recente è stata ritenuta censurabile anche la delibera di nomina di alcuni componenti del comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura. Il tema del sindacato sull’esercizio della discrezionalità amministrativa è stato oggetto di numerose riflessioni e approfondimenti sia in dottrina che in giurisprudenza.
La commissione Paladin – molto rigida sull’applicazione del principio di riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario – affermava comunque che «l’esistenza di un organo quale il CSM rischierebbe di non avere senso, se i provvedimenti ad esso spettanti fossero del tutto vincolati alla necessaria e meccanica applicazione di previe norme di legge». Anche la Corte Costituzionale ha affermato che «dalla riserva di legge discende la necessità che sia la fonte primaria a stabilire i criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le conseguenti modalità della nomina. La riserva non implica, invece, che tali criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente [esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli […] uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei diversi candidati» (sentenza nr. 72 del 1991).
Qual è la tua posizione in merito? Avresti difficoltà a sostenere, per un incarico direttivo o semidirettivo, un candidato non iscritto ad alcuna corrente oppure iscritto ad una corrente diversa da quella nella quale ti riconosci, qualora lo ritenessi più meritevole?
MARIA TIZIANA BALDUINI
La mia storia personale ed in particolare l’attività che ho svolto in seno al Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Roma fornisce un’adeguata risposta a questa domanda. Le mie azioni sono sempre state improntate alla valorizzazione dei meriti dei colleghi ed all’esame delle differenti questioni in un’ottica di equità.
MARIO CIGNA
La nomina dei magistrati negli uffici direttivi spetta al CSM per previsione dell’art. 105 Costituzione. La Corte costituzionale esclude che la legge possa sopprimere ogni discrezionalità nelle nomine, come nelle scelte organizzative e tabellari. Vi è un ambito di discrezionalità, quindi, rimesso al CSM, che certamente non deve significare arbitrio.
Al CSM è necessario esercitare la discrezionalità utilizzando lo stesso modello che il magistrato adotta nell’attività giurisdizionale; e cioè: accertare i fatti, studiare le regole ed applicare le regole al caso concreto, decidere da terzo, senza alcuna interferenza; esattamente in quest’ordine, e mai prima decidere e poi collegare alla decisione regole e fatti; il Csm, specie nelle valutazioni comparative, deve utilizzare al meglio la necessaria discrezionalità, dopo avere condiviso le regole generali (i cd. “paletti”) entro le quali la stessa va applicata in maniera identica per tutti i casi analoghi.
Ritengo fondamentale che il magistrato, anche all’interno del CSM, conservi la sua terzietà, da tutti, e non subisca alcuna interferenza né da gruppi politici o economici né da gruppi associativi; Unicost, il gruppo associativo che mi sostiene, ha consacrato ufficialmente questo principio, prevedendo espressamente nel nuovo Statuto (la cui bozza è stata predisposta dall’assemblea costituente e sarà –si spera- a breve approvata dall’assemblea generale del gruppo) il “patto di corresponsabilità etica” tra elettore e candidato al CSM, in base al quale “il candidato si impegna, in caso di elezione, a rifiutare ogni indebita interferenza ed a combattere logiche spartitorie”; di conseguenza, mi impegno ad indicare, per la nomina ad un incarico direttivo o semidirettivo, sempre il collega più meritevole, prescindendo dalla sua appartenenza, o meno, a qualsiasi gruppo associativo.
MARCO D’ORAZI
Le domande sono due.
Parto dall’ultima.
La crisi del C.S.M. nasce proprio dalla natura partigiana di molte delle scelte delle tre correnti tradizionali. Così, se un candidato è della corrente Verde, questo viene sospinto dai consiglieri della corrente Verde come una meraviglia della giurisprudenza del XXI secolo; lo stesso se il candidato è della corrente Blu: i consiglieri Blu lo descriveranno come novello Papiniano.
Occorre che questi fenomeni cessino e questa esigenza di cambiamento è la ragione fondamentale del mio impegno.
La risposta all’ultima domanda è dunque un forte e chiaro sì; peraltro, proprio l’analisi del voto degli attuali componenti di Autonomia e Indipendenza mostra come gli stessi votino spesso in modo difforme fra loro, proprio perché vi è una libertà di coscienza assoluta, senza alcun vincolo di gruppo.
Nei miei scritti - da ultimo nel libro Una giustizia degna dell’Italia, pg. 53 - da molti anni ho battezzato questa domanda come la “domanda di Mimmo”; un collega di Ferrara, Domenico “Mimmo” Stigliano, in una precedente campagna elettorale, chiese ad alcuni candidati se, in presenza di un candidato, di un’altra corrente o di nessuna corrente ma di maggior valore del candidato della loro corrente, quei candidati avrebbero avuto il coraggio intellettuale di votare per il magistrato di maggiore valore.
A costo di ripetermi, la risposta alla “domanda di Mimmo” è un forte e chiaro sì. È anzi questa la ragione del mio impegno; la constatazione che troppe volte a quella domanda non è stata data l’unica risposta degna di un magistrato.
Diverso discorso va fatto per la gestione della discrezionalità come tema generale.
La riforma c.d. Castelli-Mastella ha letteralmente gettato sul C.S.M. una discrezionalità inedita.
Non vi è stata, da parte delle correnti tradizionali, una adeguata capacità culturale e tecnica, per gestire questa discrezionalità. Innanzi tutto, sul piano culturale: l’ideologia che sorreggeva la riforma era una ideologia, già vecchia al momento in cui è stata proposta, vagamente efficientista; l’associazionismo non ha saputo offrire una narrazione alternativa, che tenesse fermo il principio del terzo comma dell’articolo 107 Cost., pur nella necessità di una scelta del “più adatto”.
Anche sul piano tecnico, occorreva meglio regolare questa inedita discrezionalità. La discrezionalità può essere “spesa”, per usare la espressione del diritto amministrativo, anche in più fasi, cioè con provvedimenti più generali (circolari), che chiariscano in modo preciso i criteri delle scelte concrete (le nomine). Così facendo, il C.S.M. non abdica alla sua discrezionalità ma la regola “a cascata”; naturalmente, per alcune nomine, rimane un profilo, per così dire, di “intuitus personae”; rispetto a tali nomine, rimane ferma la “domanda di Mimmo”.
LUCA MINNITI
Ovviamente non avrei nessuna difficoltà ed anzi riterrei arbitraria una scelta opposta che desse alla collocazione associativa un qualunque peso nella scelta e mi batterei per spogliare qualsiasi decisione da questa interferenza.
Ma l’inquinamento delle decisioni del CSM non si combatte con la dissoluzione del potere del Csm ma con il suo corretto uso: i magistrati esercitano nella giurisdizione la propria imparzialità, devono conservare e coltivare la stessa capacità anche nell’Autogoverno, costruendo strumenti tecnico giuridici idonei a dotare anche l’esercizio della discrezionalità nel CSM del medesimo standard di imparzialità adottato nella giurisdizione.
4. Quale possibile futuro componente del Consiglio Superiore della Magistratura sei favorevole ad introdurre una normativa che impedisca ai consiglieri di concorrere per uffici direttivi o semidirettivi immediatamente dopo la fine del mandato? In caso positivo come potrebbe essere, in concreto, strutturato tale limite anche in relazione alla durata?
MARIA TIZIANA BALDUINI
La disciplina sul rientro in ruolo dei consiglieri togati (art. 30, comma 2, del dpr 26 settembre 1958 n. 916), vigente fino al 2017, traeva la sua ragion d’essere nel forte impegno dei gruppi associativi nell’aggregazione del consenso elettorale. E anche i consiglieri uscenti dei singoli gruppi erano in grado di assumere, in tale contesto, un ruolo di polarizzazione del consenso contribuendo all’elezione dei neo consiglieri. La disciplina previgente sul rientro in ruolo mirava quindi a rimuovere l’ombra del sospetto che i neo eletti potessero, vuoi per contiguità associativa vuoi per debito di riconoscenza, esercitare le funzioni consiliari in modo improprio favorendo le ambizioni dei loro predecessori, il tutto secondo uno schema destinato a perpetuarsi da una consiliatura all’altra. Certo sarebbe utile, a mio personale avviso, reintrodurre tale disciplina, ma con l’avvertenza che non basta: ci vuole molto di più per recuperare la fiducia dei colleghi nell’Organo di autogoverno. Occorre un cambio radicale di prospettiva che intervenga sul piano decisivo delle condotte individuali in modo da rassicurare i colleghi sul fatto che la funzione istituzionale sia sempre esercitata con assoluta trasparenza ed obiettività e soprattutto al di fuori da logiche di appartenenza.
MARIO CIGNA
Sono assolutamente favorevole. In tal modo, infatti, possono essere evitati ipotetici condizionamenti, derivanti dalla precedente attività consiliare, che potrebbero inquinare le regole e la valutazione del merito.
MARCO D’ORAZI
Come è noto, un limite di questo tipo già esisteva. L’art. 13 della legge 44 del 28 marzo 2002 aveva infatti modificato l’art. 30, comma 2, del d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, nel senso di prevedere un periodo, successivo alla fine del mandato, durante il quale i componenti uscenti del C.S.M. non potevano essere destinati ad ufficio direttivo o semi-direttivo o ad un nuovo fuori-ruolo, per un biennio. La ratio della norma era chiara; già nel 2002 si evidenziavano tendenze oligarchiche dei gruppi dirigenti delle correnti e, dunque, il legislatore aveva inteso imporre un “bagno di giurisdizione”, come si usa dire, proprio per impedire carriere parallele.
È altresì noto che, attraverso un emendamento di incerta attribuzione - in termini giornalistici, si è parlato di una “manina” - si è consentito ai magistrati uscenti dalla consiliatura 2014-2018 nuovi fuori ruolo, abrogando appunto l’articolo 30, comma 2, del d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 ed il relativo divieto. La A.N.M. ha mostrato la propria contrarietà a questa modifica, invitando anzi i magistrati uscenti ad improntare la loro condotta alla normativa abrogata.
Questa la storia.
Tecnicamente, ritengo non praticabile reintrodurre il divieto in via amministrativa. Spetta dunque al legislatore, qualora lo ritenga opportuno, prevedere una norma analoga a quella abrogata; appunto con il fine di ribadire, in modo plastico, che il periodo al C.S.M. è un servizio alla giurisdizione e scoraggiare carriere parallele.
Quindi, attendiamo il legislatore.
Posso però dire che, anche in mancanza di tale norma, assumo l’impegno, se eletto, di rientrare in ruolo come giudice del Tribunale di Bologna.
LUCA MINNITI
In prima persona, come hanno già manifestato i Consiglieri candidati ed eletti da Area Dg, assumo l’impegno, anche in assenza di una legge, di non chiedere incarichi per due anni.
In questo senso potrebbe esser utile una legge e la riforma Bonafede, che ne prevede 4 di anni, mi vede comunque favorevole.
5. Come valuti l'attuale sistema di valutazione di professionalità e come ti poni rispetto alla prospettiva, di recente ventilata, di inserire dei meccanismi di verifica della tenuta dei provvedimenti giurisdizionali nei gradi successivi come indice di qualità del lavoro?
MARIA TIZIANA BALDUINI
L’attuale sistema di valutazione di professionalità è troppo macchinoso e certamente sarebbe utile semplificarlo; in tale ottica, senz’altro positivi sono alcuni spunti contenuti nel ddl di riforma ordinamentale attualmente all’esame del Parlamento.
Non credo tuttavia sia corretto concentrarsi su una verifica della “tenuta” dei provvedimenti giurisdizionali nelle successive fasi giudiziali. Si tratta di un tema che viene strumentalmente agitato nel dibattito pubblico allo scopo di intimidire la magistratura inquirente e imbrigliare il controllo di legalità dalla stessa esercitato.
L’attuale sistema già prevede, come noto, un monitoraggio delle “significative anomalie” nel rapporto tra i provvedimenti emessi e gli esiti delle successive fasi o gradi del giudizio. E mi fermerei qui: spingersi oltre questo limite significa negare in radice il valore intellettuale del lavoro del magistrato e ignorare che una diversità di valutazioni nelle diverse fasi del processo è in qualche misura fisiologica. Lo scopo del processo è proprio quello di pervenire, nella pienezza del contraddittorio, all’accertamento della verità, che è frutto di un percorso complesso che si nutre dell’approfondimento di un dato sovente mutevole anche per l’incidenza fondamentale esercitata su di esso dalla dialettica processuale. L’eventuale riforma della decisione non significa che ha sbagliato il magistrato che l’ha emessa, essendo anzi frequente che una difformità di valutazione tra un grado di giudizio e l’altro non sia affatto dipesa da precedenti manchevolezze.
MARIO CIGNA
Le valutazioni di professionalità, pur assolutamente necessarie, hanno perso il loro spirito più autentico, e cioè la verifica del raggiungimento, da parte del magistrato in valutazione, di uno standard quantitativo e qualitativo adeguato alla funzione giudiziaria; il che rileva, anche per il conferimento di incarico direttivo o semidirettivo (v. art. 11, comma 15 d.lgs. 160/2006), in quanto il contenuto della valutazione di professionalità può essere poi utilizzato al fine della valutazione comparativa in sede di conferimento dell’incarico predetto.
Le valutazioni di professionalità presentano, poi, altre criticità; tra queste: la difficoltà, da parte dei dirigenti sia di esprimere giudizi negativi sia di far emergere specifiche doti del magistrato in valutazione; la difficoltà di far emergere la qualità del lavoro svolto da quest’ultimo, non essendo a volte il relatore ( spesso impegnato in un settore diverso) in grado di compiutamente valutare i provvedimenti a campione del magistrato in valutazione; l’eccessivo peso attribuito alle statistiche comparate, che possono indurre il magistrato a privilegiare cause più semplici, a discapito di quelle più complesse, al solo fine di migliorare il dato statistico .
Indice della qualità del lavoro può essere solo una significativa e patologica alta percentuale di riforma dei provvedimenti adottati; di per sé la riforma del provvedimento in un grado successivo non può invece essere considerata indice della qualità del lavoro; al contrario, l’eccessiva importanza attribuita alla tenuta dei provvedimenti può indurre il magistrato a conformarsi passivamente alle decisione dei giudici di grado superiore, con evidenti pericoli di limitare la sempre auspicabile evoluzione della giurisprudenza; ciò vale anche per le valutazioni dei magistrati requirenti, la cui professionalità non può essere valutata sulla base degli esiti dibattimentali, troppo spesso fondati su variabili indipendenti dall’attività di indagine.
MARCO D’ORAZI
Il criterio di tenuta dei provvedimenti, nei gradi successivi, già è presente, come segnalazione di “anomalie”, nel rapporto fra conferme e riforme. Dunque, il criterio esiste già. Come per molti altri aspetti della gestione del governo autonomo, quello che conta è il buon senso e la onestà intellettuale in sede di redazione del parere, più che la creazione di nuove norme. Ciò sia a livello di Consiglio giudiziario sia poi al C.S.M.
Il buon senso impone dunque di verificare se gli eventuali scostamenti siano dovuti a sciatteria, oppure ad una consapevole e motivata giurisprudenza, pur non conforme alla giurisprudenza dei livelli di decisione superiori.
LUCA MINNITI
Sono decisamente contrario.
Ogni automatismo è foriero di pericoli per l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati nell’esercizio della giurisdizione che è garanzia di evoluzione e crescita culturale della giurisdizione. Le anomalie possono già esser poste all’attenzione del sistema di valutazione, ma si deve trattare di serie anomalie, non di mere divergenze di orientamento giurisprudenziale.
6. Cosa ritieni che sia la “qualità della giurisdizione” ed in quale direzione può e deve muoversi il Consiglio Superiore della magistratura per darvi concretamente attuazione? E qual è, in questa tua visione, il modello di magistrato cui dovremmo aspirare per garantire tale qualità?
MARIA TIZIANA BALDUINI
Innanzitutto mi piacerebbe poter contare su una buona qualità della legislazione, con norme chiare, osservabili, precedute da una analisi di sostenibilità qualitativa e quantitativa. Dopodiché la qualità dei provvedimenti, e non necessariamente la rapidità, è il parametro più efficace di una giurisdizione efficiente: scorrevolezza, intelligibilità, risposta a tutte le questioni rilevanti, accettazione delle parti dell’esito del giudizio. Nessun magistrato può essere contento di vedere la propria decisione riformata, anche soltanto sul piano della reputazione e dell’auto-responsabilità. Sono contraria a una spinta eccessiva verso la velocità così come inculcata in questi anni. Si tratta di un produttivismo dannoso se indifferente ad esiti e qualità che sta rivelando i suoi primi effetti. Anziché incalzare ulteriormente i tempi decisionali occorre lavorare sulla diffusione delle banche dati (che sono anche strumenti di trasparenza), su una maggiore prevedibilità della giurisprudenza, sulla circolarità delle informazioni, sulla giustizia predittiva accompagnata da nuova tecnologia e investimenti adeguati.
MARIO CIGNA
Ho molto a cuore la qualità della giurisdizione, spesso da ultimo dimenticata a vantaggio della produttività e dei numeri; la qualità della giurisdizione, già di per sé garantita dal superamento del concorso, va perseguita intensificando l’aggiornamento professionale del magistrato attraverso la Scuola Superiore della magistratura e, soprattutto, consentendo al magistrato di decidere senza fretta, con la necessaria ponderazione, nella consapevolezza che dietro ad ogni fascicolo e ad ogni numero vi è una vicenda umana, e che la decisione andrà inevitabilmente ad incidere sulla stessa.
Per garantire tale “qualità” è necessario un magistrato equilibrato che, senza alcuna presunzione e senza fretta e clamore, con il lavoro quotidiano e con la necessaria ponderazione, ricerchi sempre la giusta decisione, la giusta risposta ai casi concreti che sono sulla sua scrivania.
MARCO D’ORAZI
Le domande sono due. Quale il modello di giurisdizione e di giudice e cosa fare per darvi concretamente attuazione.
Il modello di giudice è largamente condiviso fra i magistrati ma, direi, fra tutti i cittadini: una persona equilibrata e che prenda poco sul serio sé stesso e molto sul serio il proprio lavoro; scelto fra i migliori giuristi della sua generazione con un concorso rigoroso e trasparente; laborioso e ben organizzato; aggiornato e colto, così da rimanere sulla frontiera avanzata della dottrina giuridica; ferocemente indipendente da centri di potere esterni alla giurisdizione ed interni ad essa; fedele alla ispirazione progressiva della Costituzione; moderno ed attento ai movimenti della società in cui opera, senza farsi travolgere da calchi alla moda; fisicamente e moralmente coraggioso.
Credo che su questo vi sia un generale consenso.
Volendo evidenziare una specificità di Autonomia e Indipendenza, questo modello di magistrato, ideale, può portare a due visioni della giurisdizione, entrambe positive ma non esattamente coincidenti: una - se si vuole semplificare, di tipo “francese” - in cui il magistrato è parte di una più larga classe dirigente di estrazione tecnica, ben selezionata; altra - se si vuole “inglese” - in cui i giudici hanno una loro autonoma specificità (un proprium che condividono con le professioni giuridiche, come condivisione della autorevolezza del sapere giuridico). In questo ultimo modello, è maggiore la (pur rispettosa) distinzione rispetto alla funzione politica.
Quest’ultimo è il modello cui maggiormente inclina Autonomia e Indipendenza.
Cosa può fare il C.S.M.; è la seconda domanda.
Semplicemente, fare la cosa giusta. Noi abbiamo preservato, ed è un merito inestimabile dell’autogoverno, un concorso trasparente e rigoroso, ambìto dalle giovani generazioni. Va preservato con rigore. Occorre poi che, nelle nomine successive, si superi il particolarismo, che ha contrassegnato gli ultimi quindici anni. Ogni consigliere deve sentirsi al servizio del tutto, della Repubblica; non di una associazione privata.
LUCA MINNITI
Ho articolato nelle sette schede tematiche inviate a tutti i magistrati (reperibili al link https://www.areadg.it/elezioni/suppletive-aprile-2021/ ) le proposte per orientare il CSM e l’autogoverno in questa direzione.
Non tutto può fare il CSM e soprattutto nulla può il CSM fare da solo.
In sintesi
1) il CSM deve semplificare ed alleggerire le procedure volte a disciplinare l’impegno organizzativo. Le procedure tabellari, i programmi di gestione ed organizzativi, il sistema di rendicontazione, anche quello dei Mag. Rid e Mag rif, il ruolo delle Commissioni flussi può esser rivisto nel senso di rendere le procedure più agili, più veloci, più selettive, più eventuali e rivolte ad affrontare le specifiche criticità.
2) Il Csm deve sostenere una idea di innovazione tecnologica in grado di arricchire il sapere giudiziario ( banche dati agili e facilmente accessibili ) e di evitare la diffusione di prassi semplificatorie, riduttive della singolarità della decisione del caso concreto.
3) Il Csm deve promuovere un uso dei monitoraggi volto a preservare obiettivi di qualità ed evitare la corsa verso ritmi incompatibili con una giurisdizione ponderata
4) Il Csm deve favorire una idea di direzione degli uffici basata sul coordinamento di magistrati autonomi ed indipendenti, attenta alle difficoltà dei magistrati ed ai rischi di isolamento
5) Il Csm deve saper preservare lo spazio per la formazione dei magistrati in particolare nei primi anni di lavoro
6) Il Csm deve promuovere una flessibilità organizzativa che, in particolare nelle sedi dove approdano i giovani magistrati, consenta la tutela della genitorialità. La dotazione organica flessibile su base distrettuale è un nuovo importante strumento da valorizzare.
L’obiettivo, in sintesi, dovrà esser quello di consentire ai magistrati di recuperare tempo per la cura del contenuto dell’attività giurisdizionale, tempo per conoscere, per capire, per studiare, per confrontare gli orientamenti.
Ed anche la valutazione di professionalità dovrà valorizzare queste qualità professionali.
7. Il rischio di astensione alle prossime elezioni è molto elevato. Per quale ragione è importante andare a votare e quali sono gli aspetti del programma e del profilo del candidato che l’elettore dovrebbe valutare per esprimere un voto consapevole?
MARIA TIZIANA BALDUINI
È fondamentale andare a votare perché è l’unico modo per cambiare le cose, non votare vuol dire rinunciare a influire, accantonare la propria opinione, marginalizzarla. Comprendo lo sdegno dei colleghi per le recenti vicende legate al caso Palamara, e l’insoddisfazione crescente verso l’Organo di autogoverno: solo per fare un esempio, penso ad alcune recenti decisioni che hanno valorizzato, quasi “riesumandole”, sanzioni disciplinari assai risalenti di alcuni colleghi in tal guisa mortificandone ingiustamente le legittime aspirazioni. Per questo credo che l’elettore dovrebbe prima di tutto chiedersi: questo candidato, per le idee che incarna e la progettualità politico-associativa che esprime, è in grado di interpretare le mie speranze di cambiamento?
MARIO CIGNA
È vero! I colleghi sono giustamente disaffezionati ed amareggiati; è questa la terza elezione suppletiva, che si svolge peraltro in periodo di emergenza da Covid 19, e che segue i fatti di cui all’inchiesta di Perugia; è tuttavia assai importante andare a votare, in quanto nel residuo periodo di consiliatura il CSM dovrà esaminare e decidere questioni essenziali per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, conseguenti anche ai fatti di cui sopra; tali questioni dovranno essere affrontate con la necessaria ponderazione ed in assoluta terzietà.
Il mio programma, in estrema sintesi, è quello di portare il modello della giurisdizione in CSM, cioè di continuare a fare il Giudice nel CSM; nella “giurisdizione” ho infatti sempre svolto la mia lunga attività professionale, essendo entrato in magistratura nel 1985 ed avendo svolto dapprima le funzioni di Pretore mandamentale a Cinquefrondi (R.C.) e poi per 16 anni tra il Tribunale di Brindisi e quello di Lecce; poi otto anni di Corte Appello nel distretto di Lecce ed otto anni presso la Corte di Cassazione, dapprima alla sezione tributaria e poi alla terza civile; ora sono Presidente della prima sezione civile del Tribunale di Lecce. Mi sono reso disponibile proprio perché credo nella magistratura, nel suo ruolo costituzionale e, pur non avendo svolto mai attività associativa in prima persona, ho ritenuto di rendermi disponibile proprio ora per dare il mio contributo in un momento tanto difficile. Spero e sono certo che molti colleghi vorranno recarsi al voto per contribuire con la propria scelta a restituire credibilità al governo autonomo della magistratura, quella credibilità che tanti magistrati conquistano giorno dopo giorno nel proprio lavoro, qualificato e silenzioso. La magistratura deve tornare ad ottenere la fiducia, e non il consenso, dei cittadini: spero che anche questo momento elettorale possa servire a muoversi in questa direzione.
MARCO D’ORAZI
Negli incontri che teniamo, via TEAMS, insieme agli altri candidati, io inizio sempre la mia presentazione invitando i colleghi, in primo luogo, a votare; poi, ad andare a votare informati.
Andare a votare, innanzi tutto. La Costituzione della Repubblica ci ha dato il governo autonomo (che noi non abbiamo, invero, sempre onorato). Il che significa che dobbiamo averne cura, innanzi tutto con il voto. Non corrisponde al modello di magistrato, che la Costituzione disegna, un magistrato (magari laborioso, aggiornato, onesto), che non si occupi e preoccupi del suo organo di autogoverno.
Per offrire ai magistrati la possibilità di un voto informato, noi quattro candidati (ormai “quasi amici”, per richiamare il titolo di un film) abbiamo dato la disponibilità ad incontri via TEAMS a tutti i distretti; insieme ed in amichevole contraddittorio fra noi. Una “carovana virtuale”, che ha consentito ai colleghi interessati di conoscerci e che ha arricchito noi candidati.
Per quanto mi riguarda, ho cercato di riassumere la mia posizione in tre pilastri, rinviando poi ai vari scritti l’analisi degli aspetti tecnici.
Innanzi tutto, una radicale discontinuità rispetto al passato.
In secondo luogo, un atteggiamento di umiltà e colleganza. Non si può ricostruire, con recriminazioni, meschini j’accuse, dichiarandosi o sentendosi superiori ai colleghi. L’atteggiamento, mio personale e di Autonomia e Indipendenza, è quello di aiutare anche gli altri gruppi ad assumere un atteggiamento di discontinuità, rispetto ai fallimenti del passato; nonché di offrire a tutti i magistrati uno strumento concreto per cambiare le cose.
Infine, come terzo aspetto, occorre una notevole capacità tecnica, per metter mano alla normazione secondaria, spesso insoddisfacente.
Chiunque di noi sia eletto avrà inevitabilmente dei limiti temporali (un anno) e meccanici (salire su un treno in corsa) e farà tuttavia il possibile.
Questa consiliatura deve essere il seme di un cambio di paradigma; che sbocci in un C.S.M. casa di vetro; una casa di vetro che possiamo consegnare, orgogliosi, alle future generazioni di magistrati.
LUCA MINNITI
La storia professionale dei candidati è sempre un significativo elemento di valutazione del candidato e delle sue qualità rilevanti, qualità che individuo nella sua conoscenza del lavoro giudiziario, dei diversi mestieri del magistrato, requisito indispensabile nel Csm.
Rileva poi la capacità di approfondimento e di studio di temi complessi, dove i valori in gioco non sono sempre coerenti ed in relazione ai quali è necessario ponderare interessi contrastanti.
Infine, la capacità di porsi con le proprie idee in maniera trasparente, aperta, limpida, di non sottrarsi alle difficoltà.