ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
A chi servono le riforme?
di Antonio Scalera
A chi servono le riforme?
Servono ai governanti e ai loro padroni?
Oppure servono ai governati, ai singoli, alle loro associazioni e alle formazioni sociali, come le definisce la Costituzione?
Con questi interrogativi si apre il libro “Loro dicono noi diciamo”, (Ed. Laterza, 2024, pp. 205), con il quale tre autorevoli giuristi spiegano perché le riforme, che sono al centro dell’agenda di governo (“premierato”, separazione delle carriere e autonomia differenziata), si pongono in contrasto con alcuni principi cardine della Costituzione: la partecipazione democratica; l’indipendenza della magistratura; l’uguaglianza tra i cittadini.
Gustavo Zagrebelsky, professore emerito dell’Università di Torino e già Presidente della Corte Costituzionale, osserva che la riforma sul “premierato” – prevedendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e l’attribuzione di un premio di maggioranza alla lista vincitrice – porta ad una vera e propria “diarchia costituzionale”, nella quale l’altro vertice dello Stato, il Presidente della Repubblica, rischierebbe di perdere il suo tradizionale e importantissimo ruolo di garante dell’unità nazionale.
Infatti, al di là di alcune, pur rilevanti, modifiche “di contorno” del testo costituzionale (quali la riduzione del numero dei senatori a vita, l’eliminazione della controfirma del Governo per alcuni atti del Presidente della Repubblica), il cuore della riforma sta nell’elezione diretta per cinque anni del Presidente del Consiglio, con premio di maggioranza alle liste e ai candidati collegati al vincitore.
Poiché si fa dipendere l’entrata in vigore della riforma sul “premierato” dall’approvazione della legge elettorale, Zagrebelsky mette in guardia dal rischio di avere una Costituzione “nuova” approvata, ma congelata, e di una Costituzione “vecchia”, disapprovata, ma ancora vigente.
Una concezione della legge “figlia del potere” (“Alla legge si ubbidisce non perché è giusta, ma perché è legge”), contrapposta a quella della legge “figlia della libertà” (“servi legum sumus ut liberi esse possimus”), sembra pervadere l’ordito della riforma, secondo Zagrebelsky, il quale osserva che la partecipazione dei cittadini non è conciliabile con l’investitura di qualcuno una volta per tutte per lunghi periodi. L’investitura elettorale – prosegue l’autore – serve a eleggere, cioè a scegliere, a selezionare; non serve a creare una categoria di eletti.
Armando Spataro, magistrato dal 1975 al 2018 e componente del CSM dal 1998 al 2002, spiega bene, nella parte centrale del volume, perché la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere (unitamente alla separazione del C.S.M. e all’istituzione di un’Alta Corte disciplinare) mette a rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
Una riforma che si inserisce nel solco di una “pioggia” di iniziative legislative del Governo in tema di giustizia, nessuna delle quali – evidenzia Spataro – appare in grado di risolvere i veri problemi del settore che, ormai da anni, affliggono il settore: tempi lunghi dei processi, carenze di risorse e di organico giudiziario e amministrativo, ecc.
Spataro chiarisce subito che, in base alle vigenti norme sull’ordinamento giudiziario, la separazione delle funzioni si è già realizzata, poiché il passaggio dall’una all’altra funzione può esercitato una sola volta nel termine di 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni. Successivamente, il passaggio dalle funzioni requirenti alle sole funzioni giudicanti civili o del lavoro e quello dalle giudicanti alle requirenti sono consentiti, per una volta soltanto, a determinate condizioni.
“Separazione delle funzioni” da non confondere, appunto, con la “separazione delle carriere”.
Due formule nient’affatto sovrapponibili, in quanto l’una è già disciplinata dalla legge, l’altra è, appunto, quella che si vorrebbe introdurre con la riforma.
Perché, dunque, la “separazione delle carriere”?
Perché, si dice, in tal modo si porrebbe fine alla contiguità tra giudici e P.M., contiguità che troverebbe riscontro, ad esempio, nell’elevato numero di richieste cautelari formulate dai P.M., accolte dai GIP e, poi, confermate dal Riesame.
Spataro replica: la tesi dell’“appiattimento” dei giudici sulle posizioni dei P.M. è smentita, sul piano quantitativo, dalle alte statistiche di assoluzioni e, sul piano qualitativo, dal rigetto delle ipotesi accusatorie in importanti processi nei quali alcuni uffici di Procura avevano investito molto in termini di impegno e di immagine.
E obietta: perché l’alto numero delle richieste cautelari accolte dai giudici, anziché essere visto come un segno di contiguità, non viene considerato come dimostrazione del fatto che i P.M. condividono effettivamente con i giudici la “cultura della giurisdizione”?
“Cultura della giurisdizione” che non è affatto – sottolinea Spataro - una vuota espressione né uno slogan pubblicitario.
Con essa si vuole dire che l’osmosi tra le diverse funzioni di giudice e di P.M., con la possibilità di passaggio dei magistrati dall’una all’altra, nell’ambito di un’unica carriera, dovrebbe condurre il P.M. a valutare la fondatezza e il valore degli elementi che raccoglie non in funzione dell’immediato risultato o della cosiddetta “brillante operazione”, ma in funzione della loro valenza rispetto al giudizio.
In altre parole, i canoni della valutazione della prova devono unire P.M. e giudici, dando vita ad un sistema più garantito per i cittadini.
Vengono ricordate, a questo riguardo, le parole di Marcello Maddalena, già Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale di Torino: “La Costituzione ha previsto che giudici e P.M. facciano parte di un unico ordine giudiziario. Quello che accomuna le due funzioni e le rende entrambe incompatibili con quelle della difesa è il principio di verità. Il P.M. ha come scopo la scoperta della verità (che può essere anche l’innocenza dell’imputato), e il giudice deve accertare la verità. La difesa delle parti private non è tenuta ad accertare la verità”.
I sostenitori della separazione delle carriere citano, poi, a favore della loro tesi alcuni passaggi di un intervento di Falcone del 1989.
Ma è una citazione fuorviante.
In realtà, annota Spataro, si tratta di un’interpretazione errata di frasi estrapolate da un testo ben più ampio, la cui lettura completa dimostra che Falcone teorizzava la necessità di una più accentuata specializzazione del P.M. nella direzione della polizia giudiziaria, rispetto a quanto richiesto nel regime vigente prima del codice di rito del 1988.
Né potrebbero trarsi argomenti a sostegno della separazione dall’art. 111 Cost.
La parità delle parti, di cui parla il secondo comma, non si gioca sul piano istituzionale: l’avvocato è un privato professionista vincolato dal solo mandato a difendere, che lo obbliga a ricercare l’assoluzione o, comunque, l’esito più conveniente per il proprio assistito, che lo retribuisce per questo, ed è figura diversa dal P.M., che è un’autorità giudiziaria indipendente, non riducibile al ruolo di “avvocato della polizia”.
La parità delle parti di cui parla l’art. 111, comma 2 Cost. è solo quella endo-processuale, garantita, cioè, dalle regole del processo.
Dall’analisi del panorama internazionale, condotta attraverso un approfondito esame comparato degli ordinamenti stranieri, emerge che, lì dove la carriera dei P.M. è separata da quella del giudice, il P.M. dipende, in effetti, dall’esecutivo.
Spataro passa, quindi, ad esaminare analiticamente il testo della riforma, il cui nucleo è costituito dalla modifica dell’art. 104 Cost., che sancisce, appunto, la separazione della magistratura in due distinte carriere (giudicanti e requirenti) e dall’art. 105 Cost., che istituisce l’Alta Corte disciplinare.
Alla separazione delle carriere è, poi, collegata la separazione del C.S.M., ma non quella dei Consigli giudiziari, di cui – osserva acutamente Spataro - allo stato non si prevede lo sdoppiamento.
Infine, la riforma sull’autonomia differenziata.
Delle tre è quella che ha già avuto attuazione normativa con la legge 26.6.2024, n. 86 (c.d. legge Calderoli), dichiarata, per larga parte, incostituzionale con la recentissima sentenza n. 192 del 3.12.2024.
Resta ancora sub iudice l’ammissibilità del referendum abrogativo delle norme residue, ammissibilità sulla quale è chiamata a pronunciarsi la Cassazione.
Francesco Pallante, professore ordinario di diritto costituzionale, spiega che l’art. 116 Cost. prevede, al terzo comma, la possibilità che, con una legge dello Stato, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” siano attribuite alle regioni ordinarie che ne facciano richiesta, disponendo che ciò possa avvenire in tutte e venti le materie di competenza ripartita (quelle elencate nel comma 3 dell’art. 117) e in tre materie altrimenti rientranti nell’ambito della competenza statale esclusiva (organizzazione dei giudici di pace; istruzione; ambiente e beni culturali).
È di questo che si parla quando si evoca l’autonomia regionale differenziata; del fatto, cioè, che le regioni ordinarie, non anche quelle a statuto speciale, possano ricevere, ciascuna secondo le proprie particolari richieste, nuovi poteri nelle ventitré materie ora ricordate.
Sicché, se fino ad ora la differenziazione tra le regioni riguardava non i poteri ma il loro utilizzo, ora la differenziazione potrà riguardare i poteri stessi.
Ma esattamente quali poteri?
Che cosa si debba intendere per “ulteriori e particolari forme di autonomia” non è affatto chiaro. Significa che le regioni possono ottenere soltanto alcuni profili circoscritti riconducibili ad alcune delle materie individuate dall’art. 116, comma 3 Cost.? O che possono impossessarsi integralmente di tutti i profili riconducibili a tutte e ventitré le materie in esso richiamate?
Leopoldo Elia, tra i principali costituzionalisti del suo tempo, aveva messo in allarme sui rischi legati a questa seconda interpretazione.
La sua preoccupazione era che la norma in parola consentisse di realizzare una modifica costituzionale in via di fatto, senza sottostare al rispetto delle garanzie previste dall’art. 138 Cost., così attentando alla rigidità della Carta costituzionale.
Insomma - conclude Pallante - se si vuole evitare che la disposizione risulti illegittima perché lesiva dell’unità e dell’indivisibilità dell’Italia, la sola possibilità è interpretarla in modo da ritenere che ciascuna regione possa ricevere competenze puntuali e circoscritte, motivate da peculiarità non altrimenti governabili attraverso gli strumenti di cui già oggi ordinariamente dispone.
Osservazione, questa, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare l’incostituzionalità di numerose norme della legge Calderoli, ha, di recente, affermato che “l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà. La ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali. L’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo ai criteri di efficacia ed efficienza, di equità e di responsabilità dell’autorità pubblica”.
In definitiva, dalla lettura del volume emerge chiaramente che le tre riforme al centro della scena politica attuale appaiono accomunate da un fil rouge: un massiccio intervento di modifica della seconda parte della Costituzione.
Si tratta, ora, di vedere se il percorso riformatore giungerà a compimento, pur avendo già conosciuto i primi “intoppi”. E, poi, se e quando le riforme entreranno “regime”, bisognerà verificarne la complessiva tenuta alla luce dei principi contenuti nella parte prima della Carta costituzionale, questi sì rimasti ancora immutati.
Intanto, agli autori del volume va dato il merito di aver contribuito alla riflessione su temi così importanti per la vita democratica del Paese e di aver posto ai molti “confusi che, tuttavia, non rinunciano a farsi un’idea propria e tra tutte cercano la migliore”, ai quali l’opera è espressamente rivolta, l’interrogativo se siano proprio queste le riforme che l’Italia attende oramai da troppo tempo.
Gustavo Zagrebelsky - Armando Spataro - Francesco Pallante, Loro dicono, noi diciamo. Su premierato, giustizia e regioni, Laterza, 2024.
Un giudice a Roma. Gli immigrati, il governo e la protezione dello stato di diritto
di Cataldo Intrieri
Nello scorso fine settimana l’agenzia ANSA ha battuto con il laconico titolo “La Cassazione: la valutazione dei Paesi sicuri spetta ai ministri” una opinabile sintesi del contenuto di una “ordinanza interlocutoria” della Prima sezione civile della Cassazione nella scottante materia dell’immigrazione.
Con essa in ordine ad un ricorso del governo contro uno dei tanti decreti del tribunale di Roma che disapplicava la recente legge meloniana sui trattenimenti albanesi la Suprema corte di legittimità decideva di interpellare la Corte di giustizia europea sulla compatibilità delle “grida” (per eventuali rari lettori disfunzionali, vedasi I promessi sposi di Alessandro Manzoni) governative in materia di immigrazione con le direttive europee.
Con questa decisione la Cassazione nella sostanza ratificava le ordinanze più recenti dei vituperati giudici italiani che di fronte al varo di decreti-legge del governo indicanti i paesi “sicuri” si sono rifiutati di convalidare i trattenimenti in Albania con conseguente umiliante (per il governo) rientro dei migranti in Italia interpellando a loro volta la Corte di giustizia.
Sulla base di una sintesi incompleta e di un titolo fuorviante (si vuole sperare per semplice ignoranza dello stagista addetto) si è data la stura ad una clamorosa manipolazione della realtà in funzione di propaganda filo-governativa (presumibilmente involontaria) da parte dei soliti corifei dell’attuale maggioranza, che hanno inneggiato ad una inesistente vittoria delle loro tesi.
La vicenda dice molto sia dell’attuale stato dell’informazione italiana che della cultura e delle attitudini democratiche dell’attuale compagine di governo (sedicenti moderati compresi), ed ancor di più dell’inquietante futuro che attende la difesa dello Stato di diritto nel nostro paese.
Il titolo ed il sunto dell’Ansa sono quantomeno “grossolanamente esagerati” per parafrasare la reazione di Mark Twain di fronte alla notizia falsa della sua dipartita.
Innanzitutto trattandosi nel caso di specie di un ricorso del governo italiano avverso un provvedimento di un tribunale che aveva respinto la convalida di un trattenimento in Albania avrebbe dovuto essere chiaro che ove la Cassazione avesse inteso dare ragione all’esecutivo meloniano avrebbe accolto il reclamo ed annullato la decisione dei giudici.
Ciò non è avvenuto, il rigetto della detenzione in Albania è rimasto e rende allo stato, va detto con chiarezza (soprattutto per gli stagisti dell’informazione giudiziaria) totalmente inapplicabile tutta la legge dei trasferimenti in Albania.
Occorrerà aspettare, dunque, la decisione della Corte di giustizia europea prevista per fine febbraio ma che verrà resa nota non prima di marzo?
Sicuramente, ma con una avvertenza: che ben difficilmente essa porrà fine al contrasto tra la politica e la magistratura.
Il presidente della Prima sezione civile della Cassazione, Alberto Giusti, giurista tra i più raffinati, quale relatore dell’ordinanza ha ritenuto con una inconsueta iniziativa di soffermarsi diffusamente sulla situazione attinente l’attuale disciplina dell’immigrazione, in particolare del fiore all’occhiello partorito da Meloni con la trovata dei campi di concentramento appaltati alle nazioni vassalle europee, sorta di discariche umane esternalizzate.
Ove si avesse avuto la pazienza di leggere la quarantina di complesse pagine dell’ordinanza forse (forse) si sarebbe capito che la Cassazione ha fatto propri, con qualche ulteriore sviluppo, gli stessi argomenti esposti nella nota sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia sulla base della quale i giudici italiani hanno rifiutato di applicare passivamente la trovata “albanese” della Meloni e la sua illusione di aver trovato la soluzione di una “procedura accelerata” di rimpatrio.
Come noto l’escamotage consiste nella formulazione di una lista di paesi sicuri in base alla quale procedere in automatico ai rimpatri, peraltro impedendo ai migranti, compresi i rifugiati politici, di toccare “i confini della patria” affittando il lavoro sporco ad un qualche paese di seconda fila disposto allo smaltimento dei rifiuti umani per qualche spicciolo.
Questa la sostanza della “nuova politica europea” proposta dal governo italiano ad una divisa Commissione europea senza più autorevolezza.
Ben difficilmente la Corte di giustizia potrà dire cose diverse da ciò che hanno detto i tribunali italiani ed oggi la Cassazione e che anche qui si è sottolineato sin dal primo momento, e che cioè nessun elenco, a qualsiasi livello formulato, nazionale e sovranazionale può impedire ad un giudice di ascoltare le ragioni di chi ritenga di essere perseguitato e discriminato per ragioni attinenti la sua condizione.
E sul punto non si facciano (interessate) confusioni: se la nota sentenza della Corte di giustizia di ottobre faceva riferimento alla sola ipotesi di “parti” territoriali non sicure come requisito per negare la condizione di sicurezza di un paese, la Casazione va ben oltre.
Scrivono i supremi giudici che «la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova. In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti. Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente, perché, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignità e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto». Chiaro?
Di fronte ad un migrante che invochi la protezione perché perseguitato il giudice ha il dovere di approfondire ed in tal caso la procedura “accelerata” per i tempi necessari all’approfondimento non si può applicare. Il migrante resterà nel paese di soccorso per partecipare alla procedura.
Piuttosto c’è da chiedersi come mai la Cassazione abbia ritenuto di esternare tali convinzioni in attesa della decisione finale della Corte di giustizia: non mancherà di sicuro qualche zelante interprete della volontà governativa che criticherà quella che può sembrare una precisa suggestione della giurisdizione italiana a quella europea.
È probabile che abbia pesato la sgangherata campagna di condizionamento e propaganda che la premier ha aperto con il suo goffo ed inammissibile invito ai giudici europei di appoggiare le politiche dei governi europei contro il fenomeno dell’immigrazione.
Una iniziativa gravissima che solo una stampa cloroformizzata e minacciata poteva passare sotto silenzio (poi magari diremo di una informazione che tace ai suoi lettori per 10 giorni la notizia del sequestro di una collega perché ammonita a farlo dal governo “per non disturbare il manovratore").
Di fronte ad una situazione di tale gravità è comprensibile che la magistratura italiana, anche quella non schierata politicamente, chieda la copertura delle corti europee.
Ed infatti ormai anche l’indipendenza dei giudici europei, delle corti sovranazionali sono nel mirino dei sovranisti come lascia intendere lo stesso neo-leader dei conservatori Mateusz Morawiecki che si è scagliato contro l’ingerenza della “burocrazia giudiziaria” dell’UE.
Se non si è capito questo è in ballo oggi, la stessa esistenza dei trattati e delle carte europee che contengono i principi fondamentali di uno Stato di diritto, tutelati da giudici sovranazionali che li applicano senza i limiti dei “sacri confini”.
Sarebbe opportuno che lo capisse, a tale proposito, la stessa magistratura italiana, invece di preoccuparsi della tutela dei suoi privilegi.
La difesa del diritto e della giurisdizione europea è la grande battaglia per la democrazia che deve unire la cultura giuridica italiana e dell’Unione europea, prima che sia troppo tardi.
Sul tema si vedano anche Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro, Paesi sicuri e categorie di persone “insicure”: un binomio possibile? Il Tribunale di Firenze propone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE di Cecilia Siccardi, Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri, La sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, causa C-406/22, secondo una prospettiva “interna” e di diritto dell’Unione Europea di Marcella Cometti.
Già apparso su Linkiesta il 1 gennaio 2025.
Sulla natura delle misure protettive nel CCI
Pubblichiamo un'ordinanza di rimessione ex art. 363 bis cpc alla S.C. del 3.12.24, su un tema di rilievo attuale ovvero quello della natura “cautelare” o “non cautelare delle misure protettive nel (nuovo) CCI.
A fronte di un dato normativo generico e laconico, che si affida a previsioni spesso prive di effettivo contenuto definitorio, si impone la necessità di un intervento chiarificatore della Suprema Corte, reso imprescindibile dall’estremo caos interpretativo, al fine di chiarire quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse siano ascrivibili o meno al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc. Da tale qualificazione conseguirebbe la necessità di accertare, ai fini della loro concessione, i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, seppur da vagliare secondo la peculiare declinazione che gli stessi assumono per le misure cautelari endoconcorsuali.
Si evidenzia la restrizione dell’accesso alla tutela speciale che tal ultima opzione esegetica è idonea a determinare rispetto all’ipotesi in cui il vaglio giudiziale debba limitarsi al generico profilo funzionale dell’utilità o necessità per il buon esito della procedura concorsuale e, dunque, al risanamento dell’impresa che appare la ratio immanente all’intero impianto del microsistema della Crisi e alla Direttiva Insolvency che ne costituisce il substrato normativo.
Si evidenzia, altresì, come il fatto che venga in rilievo una materia c.d. a competenza "mista", in cui sono, cioè, competenti anche gli organi con funzione legiferante dell’Unione, dovrebbe indurre a ritenere preferibile la tesi della natura non cautelare delle misure protettive, anche perché maggiormente in linea con il già evidenziato principio (comunitario) di effettività della tutela.
In ultimo, rimangono le questioni, altrettanto controverse, relative: 1. alla sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati, cosi come, in generale, dei pagamenti, dovuti ai terzi, non essendo chiaro se la stessa debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre; 2. se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta.
Ciò in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive.
A tal riguardo, l'alleggerimento probatorio in capo all'istante e la maggiore conformità al principio di effettività della tutela renderebbero preferibile la qualificazione in termini di misure protettive atipiche della richiesta di sospensione dei pagamenti.
Lo stesso principio dovrebbe indurre a ritenere praticabile il ricorso alle misure cautelari una volta che siano esauriti gli effetti di quelle protettive.
D'altronde, in tal senso depone anche la necessità di un'interpretazione comunitariamente conforme in una materia, qual è quella di specie, soggetta alla competenza concorrente dell'Unione.
Quesiti sottoposti al vaglio della S.C.:
1. Quale natura giuridica abbiano le misure protettive (tipiche e tipiche) e, in particolare, se le stesse:
a) siano ascrivibili, in alternativa, al genus delle misure cautelari atipiche ex art. 700 cpc, o siano, comunque, accomunabili alla species delle misure d’urgenza endoconcorsuali, connotate dalla c.d. strumentalità attenuta, con conseguente necessità di accertare in relazione ad esse il duplice requisito del fumus boni iuris e del periculum in mora;
b) abbiano natura non cautelare, con conseguente esenzione dal suddetto vaglio.
2. In ogni caso, quali debbano ritenersi i presupposti applicativi per la concessione delle misure protettive (tipiche e tipiche);
3. Se la sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati debba essere qualificata quale misura protettiva atipica o quale misura cautelare, con conseguente riconducibilità del provvedimento suddetto al novero delle une o delle altre e quali ne siano i presupposti applicativi;
4. Se l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta, conseguita e che sia già scaduta. Ciò, in considerazione del limite, perentorio e improrogabile, di 12 mesi cui soggiacciono le (sole) misure protettive.
Immigrazione, rimpatri e incolumità del richiedente asilo. Intervista a Rita Russo
di Paola Filippi
L’intervista a Rita Russo, consigliera della Corte di Cassazione, Prima Sezione civile, e formatrice decentrata della Scuola Superiore della Magistratura in tema di protezione internazionale e procedure di rimpatrio, è finalizzata a far conoscere alle lettrici e ai lettori della Rivista, anche non giuristi, le questioni sottese alle procedure di rimpatrio dei cittadini di Paesi extra unione.
I provvedimenti giurisdizionali di non convalida dei provvedimenti di trattenimento balzano agli onori delle cronache appena vengono depositati, ma spesso le notizie giornalistiche si concentrano più sugli effetti indiretti di questi provvedimenti e sui commenti che vengono espressi al riguardo da personalità di pubblico rilievo, a volte anche da esponenti del Governo. Con la particolarità che i mezzi di comunicazione, quali la stampa ed i social media hanno dato largo spazio a notizie sulle persone dei giudici che hanno adottato i provvedimenti, alle loro opinioni personali e persino alle loro vicende private o familiari, ma molto meno spazio ai contenuti dei provvedimenti stessi ed al sistema normativo, invero complesso, che ne sta alla base.
L’insieme normativo che regola la “questione migranti” è effettivamente complesso, intrecciandosi norme europee e norme nazionali, tuttavia alcuni passaggi fondamentali possono essere spiegati in modo semplice, in modo che tutti possano acquisire una conoscenza sufficiente della questione per formarsi una propria opinione personale sul contenuto dei provvedimenti; anche al fine di criticarli, come è diritto di ciascun cittadino di un paese democratico, ma su base oggettiva e a ragion veduta.
Una considerazione preliminare: è seriamente preoccupante che poche voci parlino della necessità di bilanciare il diritto dello Stato di controllare i flussi migratori con il diritto di chi afferma di essere esposto a rischio di persecuzioni o di trattamenti inumani e degradanti nel suo paese di origine di trovare un giudice che lo ascolti, in piena indipendenza e con il tempo necessario ad esaminare diligentemente la sua domanda. Anche per respingerla, se infondata, ma con la limpida consapevolezza di avere trattato i diritti umani con l’attenzione che meritano e di avere assicurato a tutti l’accesso ad un ricorso effettivo. Si dice, e a ragione, che queste decisioni devono essere rapide, quanto più possibile, ma rapidità non significa superficialità di giudizio; trovare la formula di un giusto processo che concili queste le esigenze di rapidità ed efficacia è anch’essa una operazione di bilanciamento che spetta indubbiamente al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, ma seguendo il solco tracciato dalle norme costituzionali ed europee.
In definitiva, tutti parlano di clandestini e di trattenimenti ma essendo una materia estremante specialistica solo gli addetti ai lavori comprendono a fondo le ragioni dei decreti emessi in questi ultimi mesi sia con riferimento ai molteplici rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia sia con riferimento alla decisione di “non convalida del trattenimento” e l’implicazione sottesa alla definizione di paesi sicuri; tutti però possono comprenderne i passaggi fondamentali.
Riteniamo che l’intervista alla consigliera della Corte di Cassazione Rita Russo per la sua conoscenza della materia e la sua particolare attitudine a spiegare e semplificare sarà estremante utile per tutti coloro che vogliono capire cosa significa “trattenimento” dello straniero, e qual è la posta in gioco nel giudizio di convalida e infine l’incidenza complessiva dei decreti di non convalida del trattenimento.
1. Se il cittadino di uno Stato, non compreso tra quelli dell’Unione, entra in Italia senza permesso qual è il procedimento da adottare ai fini del suo rimpatrio nel paese di origine?
R.R. Il cittadino di uno Stato non appartenente alla UE, se non ha titolo di soggiorno, deve essere allontanato dal territorio nazionale. I provvedimenti di allontanamento si dividono in due categorie: i respingimenti, nei confronti di chi sta tentando di entrare, e le espulsioni, nei confronti di chi è ormai entrato sul territorio nazionale, ma non ha titolo per restarvi. Le espulsioni spesso riguardano cittadini stranieri che nel passato avevano regolare permesso di soggiorno poi scaduto e non rinnovato, oppure persone che si sono dimostrate pericolose; molti sono stranieri che hanno fatto domanda di asilo, che fino a quando la loro richiesta non viene decisa, possono soggiornare regolarmente; ma se la richiesta viene definitivamente respinta sono espulsi. I provvedimenti sono adottati dal Questore del luogo (o anche dalla polizia di frontiera) e sono esecutivi. Il rimpatrio avviene con l’accompagnamento alla frontiera, ma se non può farsi immediatamente lo straniero può essere trattenuto in un apposito centro. Il trattenimento dello straniero è un provvedimento amministrativo che priva l’interessato della libertà personale e quindi deve essere assistito dalle garanzie di cui all’art. 13 della Costituzione italiana, vale a dire: essere previsto per legge, essere convalidato dal giudice competente entro 48 ore dalla sua trasmissione, e avere una durata massima prevista per legge. Dicendo “legge” si intende un atto del Parlamento e non del Governo. Il Governo può adottare atti aventi forza di legge (i decreti legge) in casi di urgenza, ma devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti decadono. Le scelte di fondo spettano sempre al Parlamento. Ci sono poi specifici accordi di rimpatrio con i singoli paesi extra UE per facilitare il rientro del cittadino nel suo paese. La cooperazione con i paesi d'origine in tutte le fasi della procedura di rimpatrio è una condizione preliminare per un rimpatrio efficace e sostenibile.
2. Cosa accade se viene formulata richiesta di protezione internazionale?
R.R. Il cittadino straniero che fa richiesta di protezione internazionale (asilo) non può essere rimpatriato se prima la sua domanda non viene esaminata e ritenuta infondata; in prima battuta la decisione spetta a un organo amministrativo che si chiama Commissione territoriale; contro questa decisione si può fare ricorso al Tribunale (sezione specializzata immigrazione) e contro la decisione del Tribunale si può proporre ricorso in Cassazione.
Di regola lo straniero ha diritto di restare sul territorio nazionale fino alla decisione definitiva, tranne nel caso delle c.d. procedure accelerate dove il diritto è limitato alla fase di esame amministrativo, e non anche se si ricorre al Tribunale e in Cassazione. Inoltre il cittadino straniero non può essere respinto o espulso se è esposto a rischio di persecuzioni (come definite dalla Convenzione di Ginevra), oppure a serio rischio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura oppure ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (come definiti dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione europea e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo). Le persecuzioni riguardano le persone che fanno parte di gruppi specifici che in determinati luoghi sono minoritari, discriminati o in posizione di debolezza economica e sociale rispetto al gruppo più forte, ad esempio comunità religiose, etniche, genere femminile o infanzia, oppositori politici, comunità LGBTQUIA+. A volte le persecuzioni riguardano anche persone che pur non essendo in senso stretto appartenenti a questi gruppi, vengono identificati come tali, ad esempio i familiari stretti dell’oppositore politico o colui che manifesta per i diritti delle persone omosessuali. Il rischio di trattamenti inumani e degradanti invece si valuta con riferimento a specifiche posizioni individuali: per esempio una persona detenuta, anche legittimamente, ma in condizioni disumane, senza cibo sufficiente o di che ripararsi dal freddo. Inoltre, non si possono respingere le persone che provengono dai paesi interessati da conflitto armato, cioè la guerra, quando il conflitto genera violenza indiscriminata e quindi espone a rischio una persona, anche un semplice civile, per il solo fatto di essere presente sul territorio interessato dal conflitto. In questo caso, ai fini del diritto alla accoglienza e all’asilo, è sufficiente accertare che la persona venga dal paese in guerra, senza necessità che questa spieghi le ragioni individuali della migrazione. Tutti gli altri invece devono spiegare le ragioni della migrazione, raccontando la loro storia individuale nei dettagli, in modo che le autorità amministrative prima e i giudici dopo possano verificare se effettivamente hanno diritto alla protezione internazionale. Ma c’è una particolarità: prima di invitare la persona a spiegare le ragioni della migrazione, lo Stato, tramite i suoi funzionari, deve informare queste persone che hanno diritto di presentare la richiesta di asilo. Ciò è previsto per legge ed è stato chiaramente affermato dalla Corte di Cassazione, anche sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
3. La procedura previste dalle leggi italiane sono analoghe a quelli di altri paesi dell’Unione? Nei paesi dell’Unione sono previsti procedimenti di convalida e procedure accelerate?
R.R. Qui occorre fare una premessa. Asilo, immigrazione e controlli delle frontiere sono di materie di competenza dalla Unione Europea (artt. 77-80 del Trattato sul funzionamento della Unione) e gli Stati membri della UE si sono vincolati ad una politica comune in queste materie. Ciò vuol dire che ci sono norme minime comuni per il trattamento di tutti i richiedenti asilo e delle loro domande e per la gestione dei flussi migratori. L’UE ha potestà legislativa in queste materie che esercita tramite le Direttive (che devono essere recepite in una legge nazionale) e i Regolamenti (direttamente efficaci); le norme UE prevalgono sulle norme nazionali. In alcuni settori specifici (ad es. il permesso di soggiorno per motivi umanitari) la stessa normativa europea riconosce spazi di discrezionalità ai legislatori nazionali, ma l’idea di fondo è quella di uniformare il trattamento dei migranti e richiedenti asilo, non solo in tema di diritti sostanziali, che peraltro sono assicurati anche da Convenzioni internazionali, ma anche in materia di procedure. In tema di procedure per il riconoscimento dell’asilo e di rimpatri vi sono specifiche norme della Unione europea che vincolano lo Stato italiano e i suoi giudici. Se un giudice dubita della compatibilità tra una norma italiana e una norma europea può rivolgersi (la Corte di Cassazione deve) alla Corte di giustizia della Unione europea, con sede a Lussemburgo, per avere una interpretazione certa del diritto europeo da applicare al caso (questione pregiudiziale). Se è invece è già certo che una norma di legge italiana è in contrasto con una norma europea, ad esempio perché la Corte UE si è già pronunciata, il giudice italiano disapplica la prima perché prevale la seconda. Il giudice italiano che non applica una norma europea è sottoposto a procedimento disciplinare. Infine, per garantire la uniformità di trattamento, si applica il principio del mutual trust (reciproca fiducia). Se il giudice di un paese europeo competente a decidere la domanda di asilo di un migrante ha accolto o negato la protezione internazionale, il giudice italiano deve riconoscere questa decisione, e viceversa.
In tema di trattenimento vi sono più Direttive: la Direttiva rimpatri (2008/115/CE) prevede casi e modi del trattenimento del cittadino di un paese terzo, non richiedente asilo, sottoposto a procedure di rimpatrio; la Direttiva procedure e la Direttiva accoglienza e rifusione (2013/32/UE e 2013/33/UE) disciplinano il trattenimento del richiedente asilo. Il cittadino straniero in attesa di rimpatrio (non richiedente asilo) può essere trattenuto se c’è rischio di fuga oppure se evita od ostacola la preparazione del rimpatrio. Il cittadino straniero richiedente asilo può essere trattenuto solo in circostanze eccezionali, ad esempio se ha presentato la domanda quando era già stato raggiunto da provvedimento di espulsione e la sua domanda appare strumentale (nondimeno sarà esaminata, anche se con la procedura accelerata) oppure se proviene da un “paese sicuro”; anche in questo caso la sua domanda sarà esaminata, sia pure con la procedura accelerata. In ogni caso, si prevede che il trattenimento amministrativo debba essere sottoposto a “un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso”. In Italia questo riesame si chiama convalida e deve avvenire entro 48 ore dalla trasmissione al giudice del provvedimento di trattenimento che a sua volta va trasmesso entro 48 ore dalla sua adozione (96 ore complessive, come dispone l’art. 13 della Costituzione). Il riesame giudiziario in tempi brevi del provvedimento di trattenimento è comunque una garanzia comune in tutti i paesi europei, anche se i dettagli dipendono dal diritto nazionale. Procedure accelerate e trattenimento sono quindi due istituti collegati.
In parole semplici: in certi casi si presume che la domanda di asilo sia infondata e quindi la si esamina con una procedura più veloce, non c’è diritto a restare in Italia dopo la decisione della Commissione territoriale anche se si è fatto ricorso al Tribunale (che può però dare una sospensiva) e lo straniero può essere trattenuto in vista del (probabile) rimpatrio. Le procedure si possono anche svolgere alla frontiera e questa è una ipotesi che interessa l’Italia che ha le frontiere accessibili da terra e da mare (i cd. sbarchi); naturalmente lo straniero è ammesso a dare la prova del contrario e cioè che nonostante provenga da un paese sicuro o ha presentato la domanda solo dopo l’espulsione ha comunque diritto all’asilo.
4. Alla luce del ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di decreti di trattenimento quanti sono i casi di non convalida?
R.R. Non conosco le statistiche generali delle “non convalide”; posso dire però che si vedono raramente in Corte di Cassazione, perché più frequentemente i ricorsi sono presentati da cittadini stranieri che si lamentano della avvenuta convalida e deducono che non è stato fatto un adeguato controllo di legalità. Per quanto riguarda le “non convalide” e per quanto a mia conoscenza, di recente vi è stato il ricorso del Ministero sulle non convalide dei trattenimenti da parte del Tribunale di Catania, per omesso versamento da parte del migrante delle garanzie finanziarie, processi ove le sezioni unite della Corte di Cassazione in data 8 febbraio 2024 hanno sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE e dove il Ministero ha poi rinunciato ai ricorsi, per cui i relativi procedimenti sono stati dichiarati estinti (decreti del 17 luglio 2024). Di recente vi sono stati i ricorsi del Ministero sulle non convalide dei trattenimenti in Albania, sulla questione dei “paesi sicuri” trattati alla udienza del 4 dicembre 2024 e rinviati a nuova data in attesa che si pronunci la Corte di Giustizia dell’UE, perché vi sono molte questioni pregiudiziali sollevate non solo da giudici italiani ma anche da un giudice tedesco; pur rinviando la Corte di Cassazione ha voluto offrire ai giudici europei alcune riflessioni sulla questione di c.d. “paesi sicuri”.
4.1. Di quali riflessioni si tratta?
R.R. Il Ministero dell’interno si è opposto alla non convalide, da parte del Tribunale di Roma, dei trattenimenti in un centro sito in Albania (ma gestito da autorità italiane, in virtù di un accordo col governo albanese) di cittadini a egiziani e del Bangladesh ritenuti provenienti da “paesi sicuri”.
Esiste infatti un elenco dei paesi sicuri, che in passato era contenuto in un decreto ministeriale, attualmente invece è contenuto in una norma di legge. Sulla base di informazioni raccolte da affidabili agenzie internazionali (ad es. UNHCR) si valuta se un certo paese si può considerare sicuro e lo si inserisce nell’elenco. Se si proviene da un paese sicuro si presume che la domanda di asilo non sia fondata, salvo prova contraria.
La questione attuale è se si può designare un paese come sicuro se ci sono delle eccezioni soggettive e cioè eccezioni individuali o per categorie di persone: cioè se si può dire che il paese è sicuro eccetto, ad esempio, per gli oppositori politici, o per certe comunità religiose. Il punto dubbio è se in questo caso l’interessato, deve necessariamente affermare di appartenere a quella categoria che fa eccezione oppure basta anche affermare che per il fatto di non tutelare una certa categoria o più categorie il paese non possa considerarsi “sicuro” in generale e cioè anche per chi non appartiene a quel gruppo o categoria.
La questione è alla attenzione della Corte di Giustizia UE, ma la Corte di Cassazione pur rinviando i processi, ha rilevato che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro potrebbe essere legittimante effettuata con eccezioni soggettive, però con due limiti: il primo è che la persona può sempre invocare gravi motivi per i quali quel paese pur sicuro in via generale non lo è nel suo caso specifico; il secondo è che le eccezioni non possono essere così estese, costanti o endemiche da divenire generalizzate, né possono essere di tale intensità, pervasività e gravità, da mettere a repentaglio la dignità umana, dal momento che gli Stati democratici devono tutelare anche le minoranze.
Inoltre, in un separato ma collegato e contemporaneo processo, la Corte di Cassazione ha affermato che l’elenco dei paesi sicuri è sempre soggetto a controllo da parte del giudice, ma con effetti limitati al caso concreto quando la designazione operata dall’autorità governativa contrasti con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Il giudice opera un controllo di legittimità dell’attività amministrativa legata al caso concreto.
Questo però vale per il passato, quando l’elenco paesi sicuri era contenuto in un decreto ministeriale e cioè un atto del Governo non avente forza di legge. Al momento attuale invece l’elenco, almeno in Italia, è contenuto in una norma di legge (decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, poi assorbito dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187 che ha convertito anche il c.d. decreto flussi). Ciò ha portato alcuni giudici italiani ad interrogare nuovamente la Corte europea chiedendo se sia compatibile con il diritto europeo che questi elenchi siano fatti con un atto avente forza di legge.
5. Esiste una definizione Unionale di Paese Sicuro?
R.R. In atto non esiste un elenco unico dei paesi sicuri, ma solo dei criteri generali comuni, dati dalle Direttive europee, in base ai quali ogni Stato forma il proprio elenco. L’Unione europea ha però approvato un insieme di norme (c.d. Patto europeo sull’asilo) che entreranno in vigore a far data dal febbraio 2026 che prevedono, tra l’altro, che l’elenco dei paesi sicuri divenga unico e redatto a livello centrale europeo. La Corte di giustizia UE ha già precisato alcuni criteri di esclusione e cioè che un paese non può definirsi sicuro se parti del suo territorio non lo sono. Per adeguarsi a questa sentenza (4 ottobre 2024) lo Stato italiano ha eliminato dall’elenco alcuni paesi, come la Nigeria, che hanno parti del territorio insicure. Bisogna però chiarire che la provenienza da un paese “non sicuro” non garantisce l’accoglimento della domanda di asilo, così come la provenienza da un paese sicuro non è ostativa all’accoglimento della domanda stessa. La valutazione delle domande di asilo avviene sempre su base individuale, ed anche questa è una regola europea. La differenza è che nel caso di provenienza da paese sicuro l’esame della domanda si svolgerà con la procedura accelerata, sulla base di presunzioni che il ricorrente può smentire, e il richiedente può essere trattenuto. Inoltre, il ricorso al Tribunale non ha effetto sospensivo automatico del rimpatrio se la domanda di asilo è stata respinta in via amministrativa. Su questo però la Corte di Cassazione a sezioni unite si è pronunciata in modo rigoroso. Se una persona proviene da pase sicuro e la sua domanda viene esaminata e respinta con la procedura accelerata, ma la Commissione territoriale non ha rispettato i termini, la impugnazione di questo provvedimento davanti al Tribunale si terrà con la procedura ordinaria e quindi si avrà il diritto a restare sul territorio (effetto sospensivo automatico del ricorso al Tribunale).
6. Cosa accade in caso di non convalida del trattenimento? Il richiedente protezione internazionale è autorizzato a rimanere in Italia?
R.R. Se il trattenimento non è convalidato il richiedente viene immediatamente liberato, ma si può disporre un nuovo trattenimento se ci sono i presupposti. Dipende dalle ragioni per cui non si è convalidato il trattenimento. Facciamo un esempio: il trattenimento non viene convalidato perché è stato fondato sulla provenienza da paese sicuro e il giudice accerta che quel paese non è sull’elenco o è stato eliminato dall’elenco (ad esempio si tratta della Nigeria, da poco eliminata) e quindi rifiuta la convalida. In questo caso non si può più disporre un nuovo trattenimento per questa stessa ragione, ma eventualmente per altre, se ve ne sono. Invece se il trattenimento non è stato convalidato per ragioni contingenti, ad esempio perché è scaduto il termine di 48 ore per la trasmissione o per la convalida, si può riproporre il trattenimento rispettando i termini di trasmissione e il giudice può convalidarlo purché rispetti anch’egli i termini. Il richiedente non è però “autorizzato” a restare in Italia solo perché il trattenimento non è convalidato: è sempre necessario che ottenga un permesso di soggiorno e ciò avviene se la sua domanda è accolta o durante il tempo necessario ad esaminarla.
7. Il procedimento di convalida è compatibile con il rinvio pregiudiziale?
R.R. Se il giudice della convalida solleva il rinvio pregiudiziale alla Corte UE deve sospendere il giudizio, procedimento che è incompatibile con i termini di convalida; ciò significa che l’interessato viene liberato, come in tutti i casi in cui non si può rispettare il termine complessivo di 96 ore.
8. Chi è il giudice competente alla convalida del trattenimento?
R.R. Prima delle recenti modifiche normative (ottobre -dicembre 2024) la competenza sulla convalida del trattenimento si divideva tra il giudice di pace -che era e resta competente per convalidare i trattenimenti degli stranieri che non richiedono asilo – e la sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale, competente a convalidare i trattenimenti di quegli stranieri che richiedono asilo. Per effetto del decreto-legge n. 145 dell’11 ottobre 2024 convertito in legge n. 187 del 9 dicembre 2024, la competenza a convalidare i trattenimenti dei richiedenti asilo è stata spostata alle Corti d'appello. Ciò significa il passaggio da un giudice specializzato, nella cui formazione la Scuola Superiore della Magistratura ha già investito molte risorse, ad un giudice non specializzato. Per i magistrati la formazione è comunque un impegno importante e sicuramente anche i giudici della Corte di appello seguiranno percorsi di formazione, che verranno predisposti per loro, ma che richiedono tempo e impiego di altre risorse. Vi è da dire inoltre che riguardo le nuove competenze delle Corte d’appello (estese anche al reclamo avverso la sospensione della efficacia esecutiva del provvedimento amministrativo di rigetto della domanda di asilo) tutti i presidenti delle Corti d'appello italiane hanno espresso preoccupazione per questi nuovi carichi di lavoro che potrebbero interferire con il raggiungimento degli obiettivi del PNRR.
9. Possono farsi previsioni per il futuro in merito alla questione dei paesi sicuri?
R.R. Non è semplice fare previsioni per il futuro perché da un lato l’Unione europea ha già approvato un nuovo Regolamento (facente parte del c.d. Patto europeo) applicabile dal 12 giugno 2026, secondo cui la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, a livello sia dell’Unione che nazionale, può essere effettuata con eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili e in base a una lista unica. Dall’altro però si deve tenere presente che i paesi europei sono vincolati non solo dalle rispettive Costituzioni nazionali, ma anche dalla c.d. Costituzione europea (Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea o Carta di Nizza) e dalle varie Convenzioni internazionali che abbiamo firmato tra cui la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la convenzione di Ginevra.
Queste “Carte” riconoscono l'esistenza di principi fondamentali ai quali non si può derogare e definiscono anche la struttura di uno Stato democratico, e ciò che all'interno di uno Stato democratico si può fare o non si può fare. A questo riguardo si può ricordare che nella recente ordinanza sui paesi sicuri la Corte di Cassazione ha voluto mettere in chiaro un concetto, così esprimendosi: “La democrazia, infatti, non si esaurisce nel procedimento elettorale. Un paese democratico, basato sulla rule of law, assicura anche, con un adeguato meccanismo di contrappesi, che i diritti fondamentali espressione della dignità della persona umana siano rispettati”.
Si ritiene utile allegare all'intervista l'ordinanza interlocutoria della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione n. 34898/2024, di rinvio della causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale disposto, nell’ambito di altro giudizio principale, nelle cause C-758/24 e C759/24, Alace e altri, dal Tribunale di Roma; la sentenza della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione n. 33398/2024, che sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale: "Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale” e la Relazione del Servizio novità del Massimario a cura di Alessandro Farolfi.
Sul tema si vedano anche Corte di giustizia: l’Egitto non è un paese sicuro, Paesi sicuri e categorie di persone “insicure”: un binomio possibile? Il Tribunale di Firenze propone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE di Cecilia Siccardi, Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri, La sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, causa C-406/22, secondo una prospettiva “interna” e di diritto dell’Unione Europea di Marcella Cometti, Un giudice a Roma. Gli immigrati, il governo e la protezione dello stato di diritto di Cataldo Intrieri.
Ancora un anno
di Paola Filippi
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento,
senza un grido levato a vincere d’improvviso un giorno.
(Salvatore Quasimodo in “Già la pioggia è con noi”)
Il 2024, l’anno del centenario di Giacomo Matteotti, si chiude, purtroppo, con altri delitti destinati a commemorazioni future.
Il 16 febbraio 2024, nella colonia penale IK-3, oltre il circolo polare artico russo, è stato ucciso Aleksej Navalny, temuto oppositore di Vladimir Putin (rieletto pochi giorni dopo come Presidente della Federazione Russa alle elezioni presidenziali del 2024). Mosca ha smentito il delitto, archiviando la sua morte come conseguenza di presunte malattie pregresse. Navalny aveva appena 47 anni (La mia paura e il mio odio di Aleksej Navalny - giustiziainsieme.it).
I bombardamenti a Gaza hanno scandito tragicamente il 2024.
«Gaza ormai è diventata un cimitero per bambini e famiglie», ha scritto Edouard Beigbeder, direttore regionale dell'Unicef, nel suo accorato, quanto inascoltato, appello affinché cessino le violenze contro i civili inermi e sia garantito l'afflusso degli aiuti umanitari nella Striscia. «Nessun bambino che fa la fila per il pane o si rifugia in una tenda dovrebbe essere calpestato a morte o ucciso da un attacco aereo», ha significativamente affermato.
«Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, per quasi 14 mesi, Gaza è stata un inferno sulla Terra.»
Secondo il ministero della Sanità palestinese, dall'inizio della guerra sono state uccise almeno 43.000 persone, mentre la macchina umanitaria è ormai al collasso a causa dei continui ostacoli posti alla consegna degli aiuti internazionali (L’inferno sulla Terra. Unicef: Gaza è un cimitero di bambini e famiglie - Stefano Leszczynski, Vatican News).
La violenza genera altra violenza, e l’odio si diffonde come un vento impetuoso. Il mondo è attraversato da rivoli di antisionismo, spesso mescolati a rigurgiti di antisemitismo. Ad Amsterdam, ad esempio, sono stati aggrediti i tifosi della squadra israeliana Maccabi, pare che cantassero: “non ci sono scuole a Gaza perché non ci sono più bambini.”
I giudici per le indagini preliminari della Corte penale internazionale dell'Aja (CPI) hanno convalidato le richieste del procuratore Karim Ahmad Khan del 20 maggio scorso, relative ai presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi il 7 ottobre 2023 nel sud di Israele e, successivamente, nella Striscia di Gaza.
Con decisione unanime, la Corte ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, per l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e per l’ex capo militare di Hamas, Mohammed Deif, che però sarebbe stato ucciso a luglio.
La guerra in Ucraina è proseguita senza tregua. Secondo il Wall Street Journal, a settembre 2024 si stimava un totale di oltre un milione di vittime, tra morti e feriti, su entrambi i fronti. Nel frattempo, il territorio ucraino è stato disseminato di mine – vietate dalla Convenzione di Ginevra – che scoraggiano la speranza di ritorno alla normalità a guerra finita.
In Afghanistan, si è consolidata la persecuzione contro le donne. Si tratta, secondo la definizione di Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Paese, di un “deterioramento senza precedenti dei diritti delle donne” si tratta di un “sistema istituzionalizzato di discriminazione e segregazione”, si legge nell’ultimo rapporto dello Special Rapporteur dell’Onu sui diritti umani in Afghanistan. Gli fanno eco le parole di Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus che, raggiunta da Alley Oop in occasione del terzo anniversario dal ritorno al potere del movimento fondamentalista islamico, ha spiegato: «Per le adulte, le ragazze e le bambine, la vita sotto i Talebani comporta una miseria e una solitudine sempre più profonda e drammatica da affrontare quotidianamente». Tutti gli aspetti della vita delle donne a ogni età sono limitati: l’istruzione, l’occupazione, l’abbigliamento, ma anche l’accesso al sistema giudiziario e le uscite da casa. L’ultimo editto ha aggiunto il divieto per le donne di cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico. Sono state cancellate dalla vita pubblica. Si chiede che l’apartheid di genere venga riconosciuto come crimine nel diritto internazionale (il tema, già trattato, continuerà ad essere approfondito; si veda Il decalogo dell'oppressione di Maria Teresa Covatta)
Intanto, in Italia, la lotta alla violenza di genere prosegue con successo: il numero dei femminicidi dal 2018 a 2024 è dimezzato (v. www.femminicidioitalia.info). Il successo non deve rilassare.
Per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne abbiamo pubblicato un contributo per ricordare Franca Rame stuprata dai fascisti per ragioni politiche (Storia di uno stupro. Il corpo e le parole di Franca Rame di Sibilla Ottoni).
Il 7 dicembre il regime di Bashar al-Assad è caduto dopo un quarto di secolo e il presidente siriano è fuggito. Mohammed al-Bashir è stato nominato premier ad interim del "governo di transizione" siriano che "avrà una durata di tre mesi", fino al prossimo marzo. La guerra civile sembra conclusa, il tiranno è scappato. Il futuro dei diritti fondamentali, soprattutto quelli delle donne, rimane però incerto. Ci auguriamo che non abbiano inizio nuove persecuzioni e che la caduta del regime consacri i diritti e le libertà di cittadine e cittadini tutti.
Biden, prima di lasciare la carica, ha concesso la grazia al figlio Hunter, in attesa di sentenza in due processi per possesso illegale di un'arma e evasione fiscale – la grazia negli Usa è come un’amnistia ad personam. «Avevo detto che non avrei interferito con le decisioni del dipartimento di Giustizia e ho mantenuto la parola – ha spiegato il presidente – ma Hunter è stato perseguito in modo iniquo per colpire me». Il tema sarà approfondito dalla rivista con un contributo diretto dalla prof.ssa Graziella Romeo che sarà pubblicato in febbraio.
In Italia la giudice Iolanda Apostolico si è, silenziosamente, dimessa dalla magistratura.
È l’effetto degli attacchi da parte di esponenti del governo e giornalisti dei quali è stata fatta bersaglio dal settembre del 2023 (Una giudice a Catania. Il caso Apostolico e le conseguenze degli attacchi politici alla magistratura di Cataldo Intrieri).
La persecuzione (Il tempo della profilazione: le ultime sul caso Apostolico di Vittorio Gaeta) era iniziata a seguito del deposito del decreto del Tribunale di Catania 29.9.2023, al quale sono seguiti decreti di analogo tenore. (Difetto di motivazione: questa la ragione della non convalida dei provvedimenti di trattenimento del Questore di Ragusa). Il Ministero degli interni aveva rinunciato al ricorso per Cassazione contro il decreto.
Dopo il dossieraggio contro la magistrata Apostalico, abbiamo visto divulgare dati sensibili relativi ad altri magistrati. (Giudici che dispiacciono. Come liberarsene di Vladimiro Zagrebelsky, L’imparzialità del magistrato e l’uomo di vetro di Federica Resta, Lettera del giudice Marco Gattuso al presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia).
Il casus belli è la definizione di paese sicuro – concetto relativo da esaminare in concreto – come ha spiegato bene Marco Gattuso attraverso il richiamo alla Germania nazista paese sicuro per i tedeschi ariani, ma insicuro per gli ebrei tedeschi (v. Il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sul DL paesi sicuri). La questione pregiudiziale in tema di paese sicuro – con riferimento a decisione assunta prima del dl n. 187/24 – è stata sciolta dalle Sezioni unite con l’affermazione secondo la quale «il giudice ordinario, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale». (Cass. Civ. n. 33398 del 19.12.2024). Deve ancora pronunciarsi la Corte di giustizia. Sulla questione immigrazione sarà pubblicata all’inizio del nuovo anno un’interessante intervista a Rita Russo.
Alto il conflitto tra magistratura e politica in tema di immigrazione, la competenza in materia è stata trasferita dal Tribunale alla Corte di appello.
In materia di immigrazione appare sempre più evidente che in gioco non sono i confini della patria e la sicurezza delle persone ma l’umanità dei popoli, la solidarietà e l’inclusività.
Le riforme della giustizia o meglio della magistratura caratterizzeranno il 2025, il tema delle riforme (Il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle “distinte carriere” dei magistrati. Eterogenesi dei fini, aporie e questioni aperte di Giovanni Canzio)
continuerà ad essere oggetto di approfondimento.
Nel 2024, anche in Italia, sono state molte le manifestazioni per la pace in Palestina.
A Pisa manifestanti delle scuole superiori sono stati caricati dalla Polizia. Una brutta pagina della nostra storia. Netta è stata la presa di posizione del Quirinale contro i metodi violenti usati dalla polizia contro i giovani manifestanti a Pisa e Firenze. Una nota dell'ufficio stampa della Presidenza della Repubblica ha reso noto che «il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell'Interno, trovandone condivisione, che l'autorevolezza delle Forze dell'Ordine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». (Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo di Licia Fierro).
È stato introdotto il reato “universale” di maternità surrogata. L’Italia, unico paese nel mondo, non solo ha sancito l’indisponibilità dell’utero, ma ora punisce la surrogazione della maternità anche fuori dal territorio nazionale (Surrogazione di maternità come “reato universale" di Gabriella Luccioli; Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di Arnaldo Morace Pinelli https://www.giustiziainsieme.it/it/minori-e-famiglia/2518-le-persistenti-ragioni-del-divieto-di-maternita-surrogata-e-il-problema-della-tutela-di-colui-che-nasce-dalla-pratica-illecita-in-attesa-della-pronuncia-delle-sezioni-unite)
Il 2024 è stato l’anno nero delle morti bianche (Controlli amministrativi e sanitari. Il contrasto agli infortuni in via preventiva di Francesco Agnino).
Il 19 giugno l’Italia si è indignata per la morte di Singh Satnam. Singh, bracciante di 38 anni, è morto dopo essere stato abbandonato agonizzante dal datore di lavoro a seguito di un incidente avvenuto in un’azienda agricola di Latina.
In Italia per i detenuti il 2024 il bilancio è negativo. Come emerge dal documento redatto a cura dell'Associazione Antigone nel 2024 «sono aumentati i detenuti e il sovraffollamento della popolazione detenuta continua a crescere. Al 16 dicembre 2024, in Italia erano 62.153 le persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.320 posti. Di questi posti, però, 4.462 in effetti non erano disponibili, per inagibilità o manutenzioni, e dunque la capienza effettiva scende a circa 47.000 posti, ed il tasso di affollamento effettivo arriva al 132,6%. Il tasso di crescita della popolazione detenuta è ormai insostenibile. Un anno fa i detenuti erano 60.166, circa 2.000 in meno di oggi». Dall’inizio del 2024 si sono tolte la vita 88 persone detenute. Il numero più alto mai registrato. È stato superato il tragico primato del 2022 con 84 suicidi. «Delle 88 persone morte suicide, due erano donne, una detenuta a Torino e una a Bologna. Molti sono i suicidi commessi da persone giovanissime. Nel 2024 se ne contano almeno ventitré di età compresa tra i 19 e i 29. Tante le persone straniere, almeno 40. Secondo il Garante Nazionale, più della metà delle persone toltosi la vita in carcere erano coinvolte in altri eventi critici. Tra queste, 21 avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio. Molte le persone con disagio psichico e con passati di tossicodipendenza». Sono numeri che raccontano enorme sofferenza e marginalità.
Il 2024 è stato anche l’anno con il maggior numero di decessi in carcere: 243 da inizio gennaio. In questo contesto ha fatto scalpore la frase del sottosegretario alla giustizia on. Delmastro «l’idea di far sapere ai cittadini come non lasciamo respirare chi sta dietro il vetro oscurato dell'auto della polizia penitenziaria è per il sottoscritto un’intima gioia». Così come il calendario della polizia penitenziaria del 2025 con foto di esercitazioni per operazioni anti sommossa e con armi, molto diverse dalle foto dei precedenti anni ove le foto riprendevano gli agenti della polizia penitenziaria portare doni ai detenuti con un messaggio di inclusività.
Nel 2024 si sono intensificati gli eventi climatici estremi – a conferma che il fenomeno climatico va affrontato con determinazione. In Italia l’alluvione in Emilia Romagna e in Spagna l’alluvione a Valencia ci restituiscono la concreta rappresentazione del rischio crescente del verificarsi di cataclismi naturali e ci hanno fatto toccare con mano l’impotenza dell’uomo davanti alla natura che si fa nemica. I soccorritori hanno fatto la differenza.
La solidarietà dei volontari che ha riempito le strade invase da detriti, e dato forma a un’onda buona fatta di braccia e di gambe con maniche e pantaloni rimboccati, corpi a lavoro determinati a cancellare l’onda di fango che aveva inghiottito persone e cose.
La solidarietà ci ha fatto riconciliare con l’uomo.
Essere inclusivi, accoglienti, solidali e generosi è possibile.
Inclusività, accettazione degli altri e solidarietà sono emozioni, atteggiamenti, moti dell’anima che generano comportamenti virtuosi che vanno coltivati contro le emarginazioni, la guerra le discriminazioni.
Se fossimo più generosi non ci sentiremmo sotto attacco per un pugno di fragili naufraghi che approdano in Italia.
Gli episodi passati in rassegna che hanno caratterizzato il 2024 sono spunto per il tema da affrontare nel 2025.
Il tema principale sarà il corpo quale imprescindibile ed essenziale oggettivazione dell’essere. Il corpo può essere osservato attraverso molteplici fili conduttori. La disponibilità del proprio corpo, in termini di capacità a disporne; vengono così in rilievo questioni di bioetica, l’aborto, la maternità surrogata, l’eugenetica, l’eutanasia. Il corpo quale oggetto di limitazioni esterne, vengono il rilievo la tratta degli esseri umani, i trattenimenti degli immigrati e le misure detentive.
Il corpo quale strumento della guerra, viene in rilievo la limitazione esterna massima e l’uso del corpo del soldato per uccidere e al tempo stesso quelli della popolazione civile che viene “eliminata”.
L’obiettivo è sempre lo stesso, quello di offrire uno spunto per discutere in senso costruttivo di limitazioni e rimedi. I temi saranno affrontati con specifici contributi e con un convegno che si terrà il 16 maggio 2025 in Roma.
Promettiamo di impegnarci per un confronto costante sui temi della giustizia e delle riforme ordinamentali, come sulle riforme costituzionali.
Le garanzie della nostra Costituzione sono così importanti che con riferimento a qualsiasi anche minimo cambiamento si potrebbe mettere a rischio lo stato di diritto.
In questo contesto una particolare riflessione richiede la decisione n. 32 del 6 dicembre 2024 della Corte costituzionale rumena, con la quale è stata rilevata d'ufficio l’inosservanza dei principi essenziali delle elezioni democratiche con riferimento alle elezioni del Presidente della Romania. La compromissione in tutte le sue fasi determinate da irregolarità e violazioni della legislazione elettorale ha distorto la natura libera ed equa del voto espresso dai cittadini e le pari opportunità dei concorrenti elettorali, minato la trasparenza e la correttezza della campagna elettorale e disatteso le norme legali sul finanziamento della stessa. Riferendosi a ciascuna delle irregolarità così enumerate, la Decisione, adottata all’unanimità, si è basata sulla declassificazione di diversi “Rapporti Informativi” di vari Servizi di Intelligence rumeni, precedentemente richiesti dal Presidente della Romania, Klaus Iohannis. La decisione della Corte Rumena, in un contesto legislativo e ambientale evidentemente diverso da quello italiano, ci ricorda l’importanza degli usberghi a protezione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali, per questo le riforme costituzionali devono essere oggetto di profonda riflessione e partecipazione popolare. Non ci stancheremo mai di ripetere che «I sistemi democratici non nascono una volta e per sempre, vanno costruiti e ricostruiti ogni giorno» (Giacomo Matteotti: il suo e il nostro tempo di Licia Fierro).
Il 2025 si apre con molte sfide, ma anche con la speranza che un dialogo costruttivo e una visione condivisa possano guidarci verso nuove conquiste. A tutti voi, lettrici e sostenitrici, lettori e sostenitori, va il nostro più sentito ringraziamento. Continuiamo insieme, per una giustizia davvero universale.
Immagine: Cueva de las manos, Argentina.
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