ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Saluto di Armando Spataro del 25 dicembre 2015 a Ferdinando Enrico Pomarici (dopo la festa del 15 dicembre 2015)
In questi giorni sono stati comprensibilmente diffusi nelle mailing list di magistrati ed in quelle “aperte” molti messaggi di saluto ed augurio a tanti validi colleghi di prossima “collocazione a riposo per raggiunti limiti di età” (dizione tecnica). O destinati a chi quella “collocazione” aveva già da poco scelto.
Personalmente, ho atteso quasi la fine del giorno di Natale per salutare Enrico Pomarici, il fratello maggiore che non ho mai avuto: spero così non solo di rafforzare gli auguri a lui diretti, ma anche – a liste in questo giorno meno affollate ed in giornate di auspicabile riposo – di meglio richiamare l’attenzione dei lettori. Maggior attenzione a lui, naturalmente, sia pure attraverso le mie parole.
Qualche anno fa ho scritto un libro sulla mia esperienza professionale (scusate l’autocitazione) in cui Pomarici è citato almeno 80 volte (senza contare le due/tre citazioni per pagina che spesso vi compaiono): ciò spiega cosa Enrico ha rappresentato per me e – senza enfasi aggiungo – per la storia della magistratura italiana. Ripercorrerò alcune dei fatti oggetto di quelle citazioni.
Il nome
Intanto, il suo primo nome è Ferdinando, il secondo – in ricordo di un suo caro zio – è Enrico: accade così che gli amici lo chiamino «Enrico», gli estranei «Ferdinando» mentre quelli che cercano di apparire suoi amici lo chiamano «Nando», un diminutivo che lui non ha mai usato.
I sequestri di persona
Ho conosciuto Enrico Pomarici appena arrivato a Milano, dopo il tirocinio, nel settembre 1976 (cioè quasi 40 anni fa): da sostituto in una grande Procura, come a molti accade, mi trovai immediatamente catapultato in un lavoro molto impegnativo, per mole e qualità. Mi capitò di venire subito assegnato al settore dei sequestri di persona, un fenomeno in quegli anni ancora molto diffuso. Ebbi subito un modello: Pomarici, che se ne occupava a tempo pieno ed era stato colui che, sin dal 1976, con una scelta molto sofferta e criticata, aveva ideato il cosiddetto «blocco dei beni»: grazie ai suoi provvedimenti giudiziari, i beni di famiglia dei rapiti venivano congelati per impedire il pagamento del riscatto e così rendere il sequestro non remunerativo. Tutto l’ufficio seguì quella sua scelta, pur tra polemiche e «scomuniche» di chi sosteneva che, con cinismo, si impediva ai familiari di attivarsi per la liberazione dei loro cari. Ma fu una linea che alla fine risultò vincente, tanto che il blocco dei beni fu poi recepito anche nella normativa sui rapimenti. E quel fenomeno criminale si esaurì.
La mia prima esperienza si consumò, dunque, all’ombra di Pomarici. Ma anche le altre.
Gli anni di piombo
Nella primavera avanzata del 1977 mi fu affidato il primo incarico importante: pubblico ministero nella fase dibattimentale del processo al cosiddetto nucleo storico delle Brigate Rosse. Imputati: Renato Curcio, Nadia Mantovani e altri. Il tragico antefatto era stato l’omicidio a Torino dell’avvocato Fulvio Croce del 28 aprile 1977: incaricato di sostenere l’accusa in dibattimento, ebbi due tutor pazienti, Emilio Alessandrini e Enrico Pomarici, da cui molto imparai in quei mesi. A cavallo del sequestro Moro, nacquero nelle Procure e negli uffici istruzione dei Tribunali più importanti i pool antiterrorismo (ne esisteva uno solo nell’ufficio istruzione di Torino). Il pool antiterrorismo della Procura di Milano registrò una rapida crescita fino alla 6 unità: Pomarici ne era il componente più anziano (già da tempo si occupava delle Brigate Rosse) insieme ad un altro grande maestro, Corrado Carnevali ora Procuratore a Monza, e ad altri quattro sostituti.
Nel 1980 il pool stava per raggiungere le sette unità. Sapete perché? Perché Guido Galli aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento in Procura solo dopo avere ricevuto dal Procuratore Gresti l’assicurazione che – sia pure senza alcuna esenzione da altri impegni – avrebbe fatto parte di quel gruppo. E sapete perché Galli fece quella richiesta? Perché voleva la certezza di poter lavorare con Pomarici: ciò che avvenne il 19 marzo del 1980 gli impedì purtroppo di realizzare quel suo desiderio.
Impossibile citare, sia pur sommariamente, tutte le indagini condotte da Pomarici nel settore del terrorismo, ma per due di esse faccio un’eccezione per una semplice ragione: furono casi che lo esposero ad incredibili attacchi da parte di esponenti del mondo politico.
La scoperta del “covo” di via Monte Nevoso
La prima vicenda che qui voglio citare è quella relativa alla scoperta della base delle BR – Colonna W. Alasia di via Monte Nevoso a Milano (1° ottobre 1978): una indagine storica che portò all’azzeramento della Colonna Walter Alasia delle BR. Pomarici arrivò in quella base un’ora dopo l’intervento dei CC., mentre ancora nella città risuonavano gli spari di via Pallanza ove, in un altro covo, erano stati arrestati altri brigatisti. Nonostante proprio i brigatisti Azzolini e Bonisoli avessero successivamente e pubblicamente smentito l’esistenza di qualsiasi mistero, Pomarici fu destinatario di accuse di ogni tipo, da quella di incapacità a quella di connivenza: una campagna segnata da ingiustificato livore di chi sosteneva l’esistenza di inconfessabili retroscena sia nella scoperta della base, sia nella asserita (e in realtà mai avvenuta) sparizione di documenti che lì sarebbero stati custoditi. Circa dodici anni dopo la scoperta del covo, un politico, all’epoca membro della segreteria del Pci, chiese che la nuova inchiesta (quella scaturita dal rinvenimento di un doppio fondo in un muro dell’appartamento) fosse tolta a Pomarici e affidata ad altri magistrati. Il procuratore della Repubblica Borrelli gli rispose con un secco comunicato e io stesso ne diffusi uno di solidarietà al collega e ai carabinieri, denunciando «gli atteggiamenti di una classe politica che, salvo poche encomiabili eccezioni, strumentalizza a fini di parte ferite ancora aperte nella coscienza della gente». Il 27 gennaio 2000, a distanza di poco più di vent’anni dalla scoperta della base, un consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino depositò una relazione che alimentava vecchi e nuovi misteri e immetteva sul “mercato” altre bufale. Io e Pomarici chiedemmo ed ottenemmo di essere sentiti dalla Commissione per smentirle e, dopo l’audizione svoltasi tra non poche tensioni, scrivemmo una lettera aperta al «Corriere della Sera» che, pubblicata il 16 marzo 2000, ne riassumeva i contenuti. Lo facemmo per rendere onore ai Carabinieri ed a chi all’epoca della scoperta li dirigeva: il gen. dalla Chiesa.
Il presidente Pellegrino, intanto, aveva inviato alla presidenza del Consiglio superiore della magistratura il verbale della seduta del 14 marzo 2000 della sua Commissione in cui si affermava che io e Pomarici avremmo mostrato «arroganza» (dichiarazioni di Bielli), così evidentemente alludendo al nostro sforzo di offrire alla politica elementi certi e non falsi misteri. Per inciso: falsi misteri e balle di ogni tipo circolano ancora. In altra futura occasione magari racconterò di alcune domande postemi nella seduta del 7 luglio di quest’anno dinanzi alla ennesima Commissione sul terrorismo e sul sequestro Moro.
L’omicidio Calabresi
La seconda indagine di Pomarici nel campo del terrorismo che qui voglio citare è quella relativa all’omicidio Calabresi: anche in quell’occasione, invettive e polemiche accompagnarono tutta l’indagine, dalle confessioni di Leonardo Marino ai molti dibattimenti celebrati, fino alla sentenza definitiva di condanna di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. Dopo la sentenza di primo grado, emessa nel 1990 da una Corte d’Assise presieduta da Manlio Minale, ricordo che giudici e pubblico ministero si ritrovarono a loro volta «sotto processo». Il vicepresidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, si dichiarò allibito per la sentenza. Marco Boato, ex leader di Lotta Continua e senatore della Repubblica, presenziando alla Casa della Cultura di Milano a un controprocesso organizzato dagli amici dei condannati, disse: I magistrati? «Mi fanno tutti un po’ schifo qui a Milano». «Ed il pm Pomarici», aggiunse «è un killer del diritto, questa è la mia sensazione a pelle» (Corriere della Sera, 6 maggio 1990). Presi posizione a favore di Enrico in mille pubbliche dichiarazioni, anche se sapevo che non ne aveva bisogno. Di certo era stata fatta giustizia: erano stati individuati e condannati gli assassini di Calabresi, cioè i responsabili del primo omicidio della storia del terrorismo italiano, checché ne dica Sofri, il quale, in un incredibile articolo pubblicato sul «Foglio» l’11 settembre del 2008, tentò di spiegare perché quell’omicidio non sarebbe stato in realtà un atto di terrorismo. Qualcuno gli diede anche ragione (Erri De Luca parlando a Marco Imarisio, Corriere della Sera12 sett. 2008).
Ed Enrico? Nulla, nessuna parola, solo silenzio e qualche inconfessato fastidio anche per le manifestazioni di solidarietà (poche) degli amici.
La fine degli anni di piombo
Gli storici anni di piombo si chiudono nel 1988 poiché quelli successivi – segnati dagli omicidi D’Antona nel ’99, Biagi nel 2002 e Petri nel 2003 – fanno parte di altra storia, una storia di idioti che combattevano nella giungla delle Isole del Pacifico convinti che oltre il mare vi fosse ancora la guerra. Su una parete del mio ufficio, vi sono alcune vecchie foto incorniciate. Una è del giugno 1988 e vi sono raffigurato insieme a Pomarici: eravamo a una conferenza stampa tenuta dai carabinieri, in via Moscova, dopo la scoperta dell’ultimo covo delle B.R. Forse quella è stata l’unica conferenza stampa cui Pomarici ha partecipato in vita sua, ma ce ne stavamo in piedi ed in disparte, come la foto dimostra, quasi garanti dinanzi ai giornalisti della attendibilità della ricostruzione di un’operazione decisamente «storica» loro offerta dalla polizia giudiziaria.
Un giornale della cosiddetta sinistra antagonista – «Autonomen» – pubblicò la stessa foto sotto forma di fumetto, accompagnata, cioè, da un colloquio immaginario tra me e Pomarici: ci rallegravamo reciprocamente perché l’operazione di via Dogali, a Milano, ci aveva ridato un certo lustro proprio mentre eravamo ormai avviati alla «pensione». Pomarici chiudeva il fumetto dicendomi: «Non ti preoccupare. Sono tornati i bei tempi; bevono tutto, ma proprio tutto...».
L’Antimafia in Lombardia
Ma la pensione per Pomarici era ancora lontana: chiusi gli anni di piombo, in capo a pochissimi anni ci ritrovammo in tanti nelle DDA o nella Direzione nazionale: Pomarici, pur continuando a coordinare il settore anti-terrorismo, diventerà - dopo la nomina di Manlio Minale a Procuratore di Milano - il coordinatore per lunghi anni delle indagini della DDA di Milano, le stesse indagini che porteranno, all’atto della loro conclusione, alla gran parte dei successi più recenti.
Sobrietà e lavoro di squadra saranno ancora una volta la ragione dei successi del gruppo di Pomarici. Illuminanti le sue approfondite relazioni ed analisi sulla presenza della mafia al Nord e sulle modalità di contrasto di quel fenomeno.
Il terrorismo internazionale ed il sequestro Abu Omar
Ci avviciniamo alla fine del racconto: Pomarici coordinò anche il settore delle indagini in tema di terrorismo internazionale, finché – nel 2003 inoltrato – assunsi io stesso quel ruolo. Numerose le condanne che i colleghi, da lui “diretti”, ottennero in quel difficile settore. Insieme a Pomarici, però, sono stato co-assegnatario delle indagini sul sequestro di Abu Omar (Milano, 17 febbraio 2003): tranquilli, non vi farò del male riproponendovelo di nuovo!
Voglio solo, ed ancora una volta, parlare di Pomarici, della sua incredulità e della sua reazione di fronte agli ostacoli frapposti alla indagine stessa dall’opposizione del segreto di Stato e dai conseguenti conflitti dinanzi alla Corte Costituzionale sollevati da ben quattro Governi in successione (Prodi, Berlusconi, Monti e Letta). Enrico è tuttora forse più incredulo e stupefatto di me per quello che ci è toccato di vivere e vedere, ma è stato forse anche più capace di elaborarlo.
Ma siamo stati entrambi capaci di sorridere in qualche passaggio della vicenda, come ad esempio per quanto avvenne il 22 maggio del 2006 nel mio ufficio, documentato attraverso le intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado: il tutto degno di una pièce teatrale se non riguardasse il Servizio segreto militare italiano dell’epoca e una gravissima violazione dei diritti umani come il sequestro di Abu Omar.
Un giornalista, all’epoca vicedirettore di «Libero», venne incaricato di intervistarci per comprendere se le nostre indagini si orientassero verso funzionari del SISMi, quali sospetti complici della CIA. Nello stesso tempo, chi gli illustrò l’incarico gli raccomandò di non farci capire la ragione della visita.
Dunque, la mia scrivania è microfonata, il giornalista arriva puntuale nel mio ufficio, e trova anche Pomarici ad aspettarlo nel mio ufficio:
«Piacere...», «Piacere mio». Gli presento Pomarici e parte la conversazione in cui il giornalista manifesta subito un interesse meramente professionale e noi fingiamo di credergli. Ma egli dimentica le raccomandazioni impartitegli e ci dice senza troppi giri di parole: «La domanda che sarà più interessante è se c’è di mezzo il Sismi o no?». A questo punto, nella trascrizione ufficiale della conversazione registrata si legge: «Risate in sottofondo». Il fatto è che né io, né Pomarici ci aspettavamo un simile incipit e scoppiamo a ridere all’unisono, senza alcun accordo. Io osservo, sorridendo: «Ah così, una cosa così...!», e Pomarici aggiunge: «Volete anche la sentenza della Cassazione?». Il giornalista si scusa per l’approccio forse troppo diretto e spiega che in realtà egli è mosso, da cattolico, da sincera stima per il vertice del SISMi.
Tralascio la sintesi dell’incontro, ma alle 18:52, il giornalista ne riferisce a chi gli ha dato istruzione:
giornalista: «Allora... loro mi hanno fatto... mi hanno fatto trovare lì anche Pomarici».
Interlocutore: «Ammazza...».
giornalista «È stata un’ora di confronto durissimo...».
Interlocutore: «Minchia...».
giornalista: «Per cui sono anche un po’...».
Interlocutore: «Stanco...».
giornalista: «No, no, no sono...... ma io ho retto il colpo ed ho replicato… Cioè è stata una specie di imboscata...io ho retto benissimo il confronto... anche perché loro cercavano di umiliarmi…la cosa impressionante è che ha voluto che ci fosse lì Pomarici, che non era previsto...».
Interlocutore: «Senti, ma per noi? a naso tuo?».
giornalista: «Ma a naso mio non c’è un cazzo sul Sismi...! Pomarici era una sfinge,... cioè è veramente una sfinge.».
E qui il giornalista aveva ragione: Pomarici è sempre stato una sfinge.
In una successiva telefonata, il giornalista comunicava al suo interlocutore di avergli inviato un rapporto sull’incontro. Ribadiva di essere molto provato dopo che noi avevamo cercato di intimidirlo. Ma alla fine – precisava il giornalista – «ho vinto io!».
Abbiamo sorriso anche – io e Pomarici – ma un po’ meno e con una certa tristezza che accompagnava il sorriso, nelle fasi successive della inchiesta quando siamo stati accusati di avere voluto cercare la verità a qualsiasi prezzo, anche a costo di violare supposti segreti di Stato. Anche contro – aggiungo io – una ragion di Stato ambigua e contraddittoria
L’11 luglio del 2006, sei giorni dopo l’incriminazione di alti esponenti del Sismi, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ci denunciava per vari reati, quali «atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra», «spionaggio politico o militare», «spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione», «introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio», «infedeltà in affari di Stato», «cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche», «falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche» e «rivelazione del contenuto di corrispondenza». Con la stessa denuncia ci attribuiva le aggravanti «di avere agito nell’esercizio e con l’abuso delle loro funzioni ed al fine di agevolare il terrorismo». La denuncia verrà archiviata dal GIP di Brescia che respingeva anche la richiesta di proroga dei termini delle indagini preliminari formulata dai PM: non dimenticherò le parole ferme, lucide e serene insieme di Pomarici quando – presa la parola nella udienza camerale dinanzi al GIP – illustrò le ragioni per cui la istanza di proroga di quei termini non era da accogliersi. Il nostro avvocato di fiducia non ritenne di dover aggiungere alcuna altra considerazione. Nel richiedere l’archiviazione del procedimento a nostro carico, i p.m. di Brescia affermavano comunque che, «stante la denegata proroga delle indagini», permanevano «alcuni concreti elementi di sospetto e di perplessità» a nostro carico. E va beh!
Ma rammento ancor più le parole che il 3 dicembre 2008 Pomarici, in relazione al segreto di Stato “in espansione”, pronunciò in dibattimento dinanzi al Giudice Monocratico Oscar Magi, commuovendo me e – credo – molti dei presenti: «Se fossi del tutto indifferente alla vita della comunità italiana – egli disse – mi verrebbe da ridere. Poiché sono tenacemente attaccato a questo paese sono a disagio». Ed ancora: «Se non avessi a cuore i diritti e gli interessi della collettività potrei comodamente adeguarmi alle scelte del presidente del Consiglio. Ma a quei diritti e interessi io ci penso». Mi tornarono alla mente le parole del gennaio 1926 di Vincenzo Chieppa, segretario dell’Associazione magistrati che annunciava la decisione di autoscioglimento dell’Associazione, contestuale al rifiuto dei suoi dirigenti di trasformarla in un sindacato fascista: «Forse con un po’ più di comprensione – come eufemisticamente suol dirsi – non ci sarebbe stato impossibile organizzarsi una piccola vita senza gravi dilemmi e senza rischi, una piccola vita soffusa di tepide aurette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà di qualche satrapia [...]. La mezzafede non è il nostro forte: la ‘vita a comodo’ è troppo semplice per spiriti semplici come i nostri».
Pomarici ricordò poi una interpellanza parlamentare di Cossiga sui gruppi terroristici che avremmo inteso favorire, affermando che, se essa tendeva a intimidirci, evidentemente le nostre storie personali non dovevano essere note all’interpellante. «Siamo in un paese serio?», chiedeva Pomarici con voce ferma in un’aula silenziosa e attenta. E chiudeva il suo intervento, impugnando e alzando un codice: «Questo testo, signor giudice, è l’unica nostra guida. E non è un caso che esso inizi con la Costituzione della nostra Repubblica».
Ed all’udienza del 24 giugno 2009, riferendosi ai nuovi ostacoli frapposti all’accertamento della verità dalla Legge di riforma del segreto di Stato del 2007, trasversalmente votata, Pomarici, prospettando una eccezione di illegittimità costituzionale, aggiunse di sentire il dovere di quella scelta “non solo e non tanto ai fini della valutazione e decisione di questo procedimento, ma per una questione ancor più vasta di carattere generale relativa all’ordinamento in senso ampio e alla corretta attribuzione a organi e poteri dello Stato delle sfere di rispettiva competenza. Sarò forse allarmista, sarò forse esagerato, sarà l’età, ma a me sembra che l’esito di questo procedimento [...] possa aprire uno scenario veramente inquietante!”. Si riferiva a quello di una democrazia che mette in discussione alcuni dei principi su cui si fonda.
L’esito definitivo della vicenda (per il sequestro, tralasciando le condanne per favoreggiamento: condanna di 26 americani, di cui 25 della CIA, e di un maresciallo dei CC. reo confesso, ma sentenza di ndp a causa del segreto di Stato nei confronti di cinque funzionari del SISMi condannati in secondo grado) sembra confermare le preoccupazioni di Pomarici.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, comunque, il 23 febbraio 2016, su ricorso di Abu Omar e della moglie, condannò all’unanimità il Governo Italiano a versare ai ricorrenti un cospicuo risarcimento per l’uso del segreto di Stato [1] formulando anche molti apprezzamenti per i magistrati italiani (le cui conclusioni giuridiche e ricostruzione dei fatti faceva proprie senza riserve ). La Corte, in particolare, rendeva «omaggio al lavoro dei magistrati nazionali che hanno fatto tutto il possibile per stabilire la verità»
L’impegno umile e fondamentale nel campo della esecuzione penale
Non posso non ricordare infine che, durante tutti gli anni di cui ho parlato e con rari e brevi periodi di interruzione o esenzione, Pomarici ha diretto l’ufficio esecuzione della Procura. Si è occupato silenziosamente, cioè, di un settore centrale e difficile, ma anche irrinunciabile, per il funzionamento della giustizia penale, un settore di cui non a caso molti colleghi – me incluso – conoscono poco e da cui preferiscono stare lontani. Ma lui – che ama ogni settore del nostro lavoro – ha svolto anche attività di formazione dei colleghi di volta in volta assegnati all’Ufficio Esecuzione penale, riuscendo persino a farli innamorare di cumuli e connessi calcoli [2].
Questo è Enrico Pomarici. Uomo e magistrato leale, che crede nel lavoro di squadra (quello vero, ben diverso da quello solo declamato), lontano dai riflettori e dalle conferenze stampa; che mai ha recitato il mantra sui “poteri forti” e sulla “solitudine” del magistrato; che ride, prima di strapparle, delle lettere anonime minacciose che riceve e che pure servono alla costruzione di ben note ed adorate icone. Pubblico Ministero dalla mente libera, che non conosce la politica dei passi felpati e che proprio questo ha pagato, nonostante tutta una vita da P.M. trascorsa nella Procura di Milano e nonostante quello che ha dato alla storia di questo Paese. Ma a lui va bene così: meglio guardarsi allo specchio e, pur cogliendo il segno degli anni che passano, non sentire la necessità di abbassare lo sguardo.
Penso che Enrico mi rimprovererà aspramente quando leggerà queste mie parole che sgorgano da tutto ciò che sento dentro. Ma anche questa volta gli dirò – mentendo – “scusa hai ragione tu, ho sbagliato io”. Cioè, esattamente quello che gli dicevo quando giocavamo a calcio insieme nella squadra della Procura di Milano o nella Nazionale magistrati: la sua autorevolezza era tale, avendo lui giocato in “Serie A” nel Napoli, che quando lanciava una palla troppo lunga per me – modesto attaccante di II categoria – sentivo il bisogno di girarmi subito e, per evitare di farlo incazzare, gridavo: “Scusa Enrico, ho sbagliato io!”, pur se quella palla non l’avrebbe raggiunta neppure Giggirriva!
16 dicembre 2015: alcune colleghe e colleghi a lui particolarmente legati hanno organizzato, per salutarlo, un brindisi nella sua cancelleria. Ciò in assoluto segreto: altrimenti lui non lo avrebbe in alcun modo autorizzato. Il nuovo Primo Presidente della Corte di Cassazione, Gianni Canzio, ne è venuto a conoscenza ed ha voluto assolutamente esserci per porgere il suo “grazie” ad Enrico, magistrato che ha sempre stimato ed ammirato.
È tutto molto bello: tra panettoni e spumante, giovani colleghe gli regalano tre foto incorniciate di quand’era splendido quarantenne o altrettanto splendido quasi cinquantenne (o poco più o poco meno): una mentre parlava in toga in aula, una mentre scendeva da un’auto e poi quella che ho citato, scattata dopo la scoperta del covo di via Dogali, a Milano nell’88.
A nome di tutti, gli porgo una piccola targa che dice soltanto: “Ad Enrico Pomarici.. grazie di tutto, grazie per sempre! Gli amici e colleghi della Procura della Repubblica di Milano”, l’ufficio dove, ripeto, ha sempre esercitato le sue funzioni!
Lui guarda tutti sorridendo e ringraziando, rispondendo con battuta propria alle battute altrui! Grato a tutti, ma con visibile desiderio di riprendere a lavorare. Commozione? Penso di sì, ma chi lo può dire? I veri duri son fatti così, anche se Raymond Chandler, parlando di Philip Marlowe (l’investigatore protagonista dei suoi gialli hard boiled) li descrive non come mastini dalla mascella quadrata, ma come romantici senza speranze. Che sanno sorridere, provare emozioni e, dunque, sanno anche piangere.
Ho personalmente tentato di dire qualche parola, ma ho preferito fermarmi. Il 16 dicembre era anche il mio compleanno e mi sembrava strano festeggiarlo salutando Enrico.
Forse oggi ci sono riuscito con questo lungo messaggio che dice solo una parte, per di più minima, di ciò che sento dentro.
A tutti Buon Natale; a tutti l’augurio di un 2016 felice. Ai giovani colleghi dico: avrete capito il modello di magistrato che spero possa per voi rappresentare la stella polare del vostro cammino professionale!
Saluto di Armando Spataro del 20 dicembre 2024 a Ferdinando Enrico POMARICI (nella Basilica di S. Matria della Passione)
È difficile “aggiornare” quanto in passato ho già scritto e detto su Enrico Pomarici, ma – come ho risposto a chi me lo ha chiesto – provo a farlo con poche parole che riguardano soprattutto la persona e non il magistrato: sono sostanzialmente quelle che ho pronunciato nella gremita Basilica di S. Maria della Passione, a Milano, il pomeriggio del 20 dicembre, quando in tanti abbiamo voluto salutarlo.
Enrico è sempre stato uomo di correttezza e coerenza uniche: leale nella interlocuzione e rispetto dell’avvocatura, anche quando la dialettica processuale – come ben può avvenire – si manifestava accesa.
È stato attento nel ruolo di direzione della polizia giudiziaria, che l’ordinamento attribuisce al PM, un ruolo mai esercitato in senso gerarchico, ma sempre determinando un arricchimento reciproco al solo fine di rafforzare la solidità delle prove in vista del giudizio finale.
È stato cortese e sempre rispettoso nei confronti del personale amministrativo della Procura e degli Uffici Giudicanti, ben consapevole di quanto quel ruolo sia fondamentale per il funzionamento della giustizia.
Ed ovviamente è stato sempre disponibile al confronto con i colleghi della Procura che a lui si rivolgevano, non solo per consigli sul piano giuridico, ma anche e soprattutto per indicazioni sulle più utili prassi organizzative ed investigative da attuare nel proprio lavoro. Io per primo, anche da pm ormai anziano, ho sempre a lui fatto riferimento per ogni questione delicata da affrontare: non potrò mai dimenticare, nell’ultimo periodo in cui siamo stati insieme in Procura a Milano, i suggerimenti che a lui chiesi e da lui ottenni per organizzare il lavoro della “Sezione Immigrazione” dell’Ufficio, che si occupava innanzitutto di domande di asilo e di problematiche connesse, come la materia dell’espulsione e dei reati nel campo dell’immigrazione illegale. Le sue indicazioni furono sempre ispirate al dovere di rispettare i diritti fondamentali – affermati innanzitutto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla nostra Costituzione – di chi lascia la propria terra per la speranza di una vita dignitosa. Enrico era in questo la reincarnazione della figura raccontata da Bertolt Brecht nella sua poesia, Il giudice democratico.
Anche in questo campo, se avesse svolto oggi il suo lavoro, sarebbe stato del tutto indifferente alle opzioni della maggioranza politica di turno, sempre impugnando la Costituzione come una bandiera.
Voglio passare ad altro…
Il 18 dicembre scorso, al mattino, sono stato svegliato da Vittorio, figlio di Enrico, che mi ha voluto subito comunicare, anche su indicazione della mamma Maria Rosaria, che il padre ci aveva lasciato da poche ore.
Oltre al dolore indescrivibile, ciò ha generato in me un senso di colpa che mi porterò sempre appresso, quello derivante dal fatto che negli ultimissimi anni lo avevo visto e gli avevo parlato poche volte. Perché queste omissioni? Continuo a chiedermelo e non basta ricordare che una volta era stato schivo e riservato anche in questo, al punto da dirmi che gli bastava sapermi e sentirmi vicino.
Ricorderò sempre il suo volto e tante altre sue parole: fu il primo a telefonarmi quando seppe che mio figlio Andrea aveva subito un delicato intervento chirurgico per una malattia che risultò poi incurabile e fu tra i primi ad aderire, nella primavera del 2018, all’Associazione Amici di Andrea che era stata costituita ed opera, in memoria di mio figlio e con oltre 200 soci, a scopo di beneficienza e per sostegno alla ricerca per la cura delle malattie gravi e ad attività culturali.
Insieme, a proposito di figli, abbiamo spesso parlato della loro scelta – anche di Annalisa, sorella di Vittorio – di intraprendere la professione di avvocato… Ne eravamo talmente orgogliosi da scambiarci una battuta: andato in pensione anche io, sarebbe stato bello aiutarli con discrezione, all’interno di un ipotetico studio legale denominato “Pomarici e Spataro, fathers & sons”. Era una battuta, credetemi: non avremmo mai voluto pesare sui nostri figli, il che sarebbe stato inevitabile anche se lo studio si fosse chiamato: “…sons & fathers”.
Quando Vittorio mi ha detto che la messa in onore di Enrico si sarebbe tenuta il 20 dicembre nella Basilica di Santa Maria della Passione, sono stato colto da un’altra emozione: nella stessa Chiesa, l’11 settembre del 2017, si era tenuta quella per mio figlio… ed in quella Chiesa l’Associazione ha contribuito a restaurare una storica cappella…Enrico ci sarebbe passato davanti mentre tutti lo avremmo salutato commossi. E così è stato.
Ho già detto che Enrico è stato il mio fratello maggiore e lui, del resto, mi chiamava spesso “fratellino”. Ho avuto altri due fratelli maggiori che pure sono stati miei maestri, due grandi magistrati uccisi dai terroristi di Prima Linea: Emilio Alessandrini (il 29.1.1979) e Guido Galli (il 19.3.1980). Ma il mio rapporto con loro è stato purtroppo ben più breve di quello con Emilio.
Vorrei che quei miei fratelli stessero tutti insieme…
Ho ricevuto decine di messaggi per telefono e lettere in posta elettronica in cui moltissimi amici (non solo colleghi), tra cui tanti che non avevano neppure conosciuto di persona Enrico ma che egualmente lo consideravano uno dei magistrati che hanno contribuito a scrivere la storia del nostro Paese, non solo mi pregavano di abbracciare Maria Rosaria, Vittorio ed Annalisa, ma mi manifestavano espressamente le loro “condoglianze”…
Come mai? La risposta è una sola: tutti coloro che lo hanno fatto sapevano che io ed Enrico eravamo fratelli! Non c’è altra spiegazione…e mi scuso con moglie e figli di Enrico se questa affermazione possa loro apparire intrusiva.
E forse lo è ancora di più una mia speranza: che Andrea possa incontrare questo suo grande zio di cui tanto ha sentito parlare!
Caro Enrico, ti abbraccio, come abbraccio tutta la tua bella famiglia…
Non perdiamoci di vista.
A te dedico le parole che lo scrittore spagnolo Javier Cercas ha scritto nel suo stupendo libro del 2002, “I soldati di Salamina”, a proposito dell’eroico protagonista, un uomo, giunto al termine dei suoi anni, limpido, coraggioso e puro, un "soldato solo che tiene alta la bandiera negata, che cammina in avanti, senza sapere dove stia andando, né con chi né perché, senza che gliene importi tanto, purché sia in avanti, avanti, avanti, sempre avanti".
[1] Periodo aggiunto, al pari di questa nota in data 21 dicembre 2024.
La condanna riguardava la violazione degli artt. 3, 5, 8, 13 della CEDU che rispettivamente prevedono: divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti; diritto alla libertà e alla sicurezza; diritto al rispetto della vita privata e familiare; diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. La sentenza contiene, da un lato, dure critiche al Governo, a due Presidenti della Repubblica (per le grazie concesse) ed alla Corte Costituzionale: vi si legge, in sostanza, che le autorità italiane sapevano della extraordinary rendition di Abu Omar organizzata dalla Cia e che ben quattro Governi hanno abusato del segreto di Stato impedendo di far luce sulle gravi violazioni dei diritti dell’uomo di cui Abu Omar è stato vittima e di punirne i responsabili; dall’altro, ma tutto è stato vanificato dal segreto di Stato concesso dalla Corte costituzionale: In tal modo, l’abuso del segreto di Stato opposto da ben 4 Governi, certo non funzionale a tenere coperti i fatti, ben noti anche grazie alla stampa, ha determinato l’impunità degli agenti del Sismi.
[2] Nota aggiunta in data 21 dicembre 2024: Pomarici, su sua richiesta, ha continuato a svolgere gratuitamente e senza oneri previdenziali questa attività di formazione anche dopo il pensionamento finché il CSM gli negò il consenso. Commentò in serata Pomarici: «Si accusano i magistrati di lavorare poco, ma se si trova uno che si rende disponibile a mettere gratuitamente la propria esperienza a beneficio dell’ufficio, e gli si risponde che non lo può fare. Prendo atto».
Una riforma che porterà il pm sotto l’esecutivo
Assemblea straordinaria della ANM, 15 dicembre 2024.
di Ernesto Carbone
Io credo che i problemi della giustizia siano tanti.
Sicuramente i tempi troppo lunghi per un processo, sicuramente le mancanze di risorse, la mancanza di magistrati, i tribunali e le condizioni in cui versano, e, perché no, diciamo la verità anche e soprattutto gli errori giudiziari.
Tali problemi non si risolvono con la separazione delle carriere, non si risolvono col doppio Csm, non si risolvono con la suprema corte e non si risolvono con l’estrazione dei membri del Csm.
Io sono convintamente contrario alla separazione delle carriere. Il perché è semplice. Il passo successivo all’attuale sistema previsto dalla riforma è il pubblico ministero che finisce sotto l’esecutivo. Sotto il controllo del potere esecutivo.
Oggi vi parlo da politico, quindi abituato a ragionare sul futuro e provare ad immaginare sempre cosa potrebbe succedere dopo.
È vero, l’attuale norma non prevede il passaggio del pubblico ministero sotto l’esecutivo, ma evidentemente è il posto naturale in cui fra un anno, due, forse anche 10 anni il pubblico ministero finirà: sotto il controllo del governo.
Pensate ad esempio agli strumenti che avete a disposizione delle nuove tecnologie. Strumenti importanti per la lotta alla criminalità, ma strumenti molto invasivi nella vita delle persone. Pensate a un telefonino, a cosa contiene, ci sono le foto dei nostri figli, ci sono le nostre conversazioni, le nostre gioie e nostri dolori. In un cellulare oggi c’è la nostra vita. Tutta la nostra vita. E se un giorno dovessi subire un sequestro sarei molto più tranquillo se il mio telefonino con la mia vita privata dentro fosse in mano a un magistrato autonomo e indipendente piuttosto che a un altro che magari risponde al potere esecutivo. Non voglio fare distinzioni tra servitori dello stato di serie A e di serie B, ma l’autonomia e indipendenza sono garanzia e tutela del cittadino.
Alcuni hanno il vizio di guardare cosa succede negli altri paesi. Beh, guardiamolo insieme. Cosa è successo in Portogallo: li è vigente la separazione delle carriere e ci sono due Csm. Tutto ciò era stato fatto per evitare errori giudiziari. Ricordo però che qualche anno fa il premier Antonio Costa, eletto con larghissima maggioranza in Portogallo, si è dimesso per un’intercettazione trascritta in modo sbagliato; questa è la prova che separare le carriere e fare il doppio Csm non serve sicuramente a eliminare gli errori giudiziari.
È inutile stare ancora a discuterne. Il passo successivo, se si dovesse realizzare questa riforma per cui separano le carriere dei magistrati, è il magistrato che finisce sotto il potere esecutivo. Non succederà subito, succederà fra qualche anno, ma succederà e io ho una figlia di 19 anni e non voglio lasciare a mia figlia un paese in cui un magistrato risponde al governo e al potere politico.
È assolutamente sbagliato, lo trovo profondamente sbagliato, ma, soprattutto, rischioso per la democrazia.
Doppio Csm. Il doppio Csm è la prova provata di quello che penso e ho appena detto. Che motivo c’è, se sono entrambi magistrati autonomi e indipendenti, di creare due Csm, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri? Ripeto quello che ho già detto: è il passo immediatamente precedente a realizzare una riforma che non è solo questa, ma risponde a un disegno diverso, quello di portare il pubblico ministero – chi indaga, chi è titolare delle indagini – sotto il controllo del potere esecutivo.
Qual è la ratio, qual è la motivazione altrimenti che spinge non solo a separare le carriere, ma a fare due Csm diversi. Evidentemente è questa.
Suprema corte. Istituire la Suprema corte significa delegittimare l’attuale sistema del Consiglio superiore della magistratura. Anche qui mi chiedo quale sia la motivazione: la necessità di creare un sistema diverso da quello dell’attuale commissione disciplinare. Qualcuno dice che i tempi delle decisioni disciplinari sono lunghi. Sì, è probabilmente vero. Però vorrei allora fare una proposta. Noi abbiamo sei membri del CSM che sono componenti alla commissione disciplinare. Costituiamo due collegi da tre membri, sempre composti da due togati e un laico. Si potrebbe smaltire l’arretrato e soprattutto accelerare i tempi del processo disciplinare nei confronti del magistrato.
Andiamo infine all’estrazione per sorteggio. Io so che qualcuno, anche qui dentro fra di voi, è affascinato da questo sistema del sorteggio. Io invece sono assolutamente contrario. Credo che, quando si parla di Csm, si parla di un organo di rilevanza costituzionale e il sorteggio sarebbe la mortificazione della politica, la delegittimazione della politica e il fallimento della politica. L’estrazione sarebbe come dire che i 10.000 magistrati non sono in grado di scegliere i 20 componenti che dovranno rappresentarli al CSM e il parlamento, che è il pilastro dello Stato e l’architrave dello Stato, si riunisce in seduta comune e non è in grado di scegliere i 10 laici che dovranno fare parte del Consiglio superiore della magistratura. Io questo non l’accetto. Non lo accetto perché ritengo che, quando si parla di Consiglio superiore della magistratura, si parla dell’organo di governo autonomo dei magistrati e i magistrati devono essere liberi di potere scegliere i propri rappresentanti.
Qualcuno sostiene che con l’estrazione per sorteggio finirebbe il potere delle correnti. Io invece credo nell’importanza delle correnti. Credo che solo con l’associazionismo e con la vita fuori dall’ufficio si acquista la consapevolezza del proprio ruolo e si esercita meglio il proprio potere. Non potere in quanto tale, ma potere dello Stato di cui voi siete detentori. E se c’è stata una degenerazione non è stata per via delle correnti. Per essere chiari, io credo che il caso Palamara non nasca dalle correnti, ma dalla debolezza delle correnti.
Mi avvio alle conclusioni e chiedo scusa per aver parlato un po’ di più, però vorrei mettere in fila quello che è successo negli ultimi mesi.
Nel mese di agosto, il premier dice che c’è in atto un complotto della magistratura per far cadere il suo governo. Io i complotti li vedo solo su Netflix, se qualcuno ne ha notizia può presentarsi dai Carabinieri e denunciare.
Nel mese di settembre c’è un ministro, nonché vice premier, che chiede il licenziamento di un magistrato per una mail. Ora io non entro nel contenuto della mail perché non è quello che devo fare, ma non deve farlo neanche il Ministro. È un principio dello stato di diritto e un principio per cui il potere esecutivo non può chiedere il licenziamento di un magistrato.
Nel mese di ottobre un sottosegretario alla giustizia definisce i magistrati degli ayatollah, offendendo la memoria di migliaia e migliaia di persone e di migliaia di giovani che quotidianamente lottano e muoiono per la libertà a Teheran.
Sempre lo stesso sottosegretario alla giustizia qualche giorno fa ci racconta che il Consiglio superiore della magistratura può certo rilasciare dei pareri, bontà sua, visto che la legge che lo prevede, ma che questi pareri devono essere positivi, perché, se i pareri sono critici, non valgono. Ha uno strano concetto di democrazia questo sottosegretario.
Poi continua dicendo che il Csm non può bocciare le riforme del governo, perché il CSM non è eletto da nessuno. Caro sottosegretario pistolero, io le ricordo che il Consiglio superiore della magistratura è un organo elettivo, i 20 togati sono eletti dai magistrati e i membri laici sono eletti dal parlamento in seduta comune con una larghissima maggioranza che lei che è anche parlamentare dovrebbe conoscere meglio di altri.
Ho voluto mettere queste cose in fila, perché non credo che questa sia una riforma buona e credo che essa risponda a un disegno. Il disegno è quello di assoggettare sempre di più la magistratura al potere esecutivo: quindi, cancellando quello che è un principio non solo dello Stato, ma anche di democrazia, che è quella della separazione dei poteri. Credo che si voglia ridurre il Consiglio superiore della magistratura a un mero ufficio del personale dei magistrati.
Vorrei concludere con una frase di Aldo Moro che ho letto dopo qualche giorno che ho avuto l’onore di essere eletto dal parlamento quale componente laico del Csm. È una frase che ogni tanto rileggo, perché spiega in poche parole cosa sia il senso dello Stato. Aldo Moro diceva, “forse il destino dell’uomo non è realizzare pienamente la giustizia ma della giustizia avere fame e avere sete”.
Grazie ancora per il cortese invito, buon lavoro a tutti voi e in bocca al lupo a tutti noi.
"Quarta mafia", parte seconda.
Recensione ad Antonio Laronga, L'ascesa della quarta mafia. Espansione e metamorfosi della criminalità organizzata foggiana, Zolfo, 2024.
di Andrea Apollonio
Per illustrare un lavoro sulla "quarta mafia" (Antonio Laronga, L'ascesa della quarta mafia. Espansione e metamorfosi della criminalità organizzata foggiana, Zolfo, 2024) è necessario partire dalla "quarta mafia": storicamente, essa non è la mafia foggiana, ma la salentina Sacra corona unita.
Correva l'anno 1994 e la Commissione Parlamentare Antimafia riconosceva che la Puglia non era (più) terra di conquista mafiosa (come era stata ritenuta lungo tutti gli anni Ottanta), bensì un’area "tradizionale" di insediamento e di infiltrazione delle mafie. E appare singolare come a questa conclusione si giungesse a contrario, alla chetichella, e con molta circospezione: nella misura in cui, cioè, la relazione del senatore Carlo Smuraglia si interessava di tutte quelle aree regionali considerate aree "non tradizionali" di insediamento mafioso (molte regioni del Nord, la Basilicata, la Sardegna ecc.), dando per scontato – facendone solo un rapido accenno – che la Puglia fosse, assieme a Calabria, Sicilia e Campania, una regione in questo senso "mafiosa". Non fu istituzionalmente indolore riconoscere che, oltre a cosa nostra, 'ndrangheta e camorra (e tutti i loro derivati), vi fosse un'altra compagine e un'altra regione infetta.
La Sacra corona unita diviene così, anche nei documenti parlamentari, in sordina e senza strepiti, la c.d. "quarta mafia". Un passaggio, del resto, che non poteva tardare ancora: la presa di posizione era ampiamente giustificata dal fatto che il primo maxi-processo alla Scu si era appena concluso (sia in primo che in secondo grado) con pesanti condanne per associazione e con l’esplicito riconoscimento del carattere mafioso della Sacra corona unita, mentre l’instabilità sociale dell’area salentina dovuta ad una criminalità che rispondeva ai parametri tipici dell'art. 416-bis dilagante andava sempre più acclarandosi.
La Sacra corona unita è stata, per così dire, la "prima" "quarta mafia": a contendersi questa posizione, dopo la progressiva rarefazione della mafia sacrista, radicatasi nel Salento, sarà appunto la mafia foggiana, che può considerarsi la diretta prosecuzione della parabola sacrista nella storia criminale della Puglia.
Ne è ennesima riprova il ben documentato lavoro ricostruttivo del procuratore aggiunto foggiano Antonio Laronga, che in una prima parte si sofferma sui traffici attuali della mafia foggiana, sul know-how di una delle più temibili realtà criminali del Paese, ed in una seconda – in un affascinante percorso a ritroso – snoda la storia e risale alle origini del male, tessendo le singole vicende (quale quella ancora semisconosciuta dell'imprenditore edile Giovanni Panunzio, assassinato dalla mafia foggiana il 6 novembre 1992) e tutti i numeri (quali quelli, del tutto sconosciuti, elaborati dall'Eurispes riguardo all' "Indice di permeabilità alla criminalità organizzata") che portano oggi, come scrive Laronga, al «tentativo delle mafie foggiane di assumere un più evoluto profilo organizzativo che sembra ricalcare l'architettura della 'ndrangheta».
Oltre al notevole valore di impegno civile del magistrato, il dato criminologico più interessante che il libro espone e spiega è appunto questa vicinanza quasi simbiotica con la mafia calabrese: si tratta di una nemesi della storia, perché le mafie foggiane sono state letteralmente forgiate dai clan di camorra negli anni Ottanta.
La Capitanata rappresentava in quegli anni un varco poco presidiato, che ha permesso un facile accesso nella Puglia felix; il primo atto tangibile di penetrazione criminale in Puglia fu l'incontro del "professore" con alcuni esponenti della malavita pugliese. Nel gennaio 1979 Raffaele Cutolo, appena fuggito dal manicomio criminale di Aversa, affiliò alla Camorra alcune decine di malavitosi, scelti tra i più "capaci" e provenienti da ogni parte della Puglia, per costituire una struttura che verrà poi denominata, dallo stesso Cutolo, "Nuova camorra pugliese".
Cutolo aveva buone ragioni: l’ampia provincia della Capitanata ha sempre stimolato la bramosia della camorra (e in particolare della nuova camorra organizzata) per le sue ricchezze nel primo settore: l'olio, il ciclo del pomodoro e quello del grano, vere eccellenze dell’ampio Tavoliere delle Puglie, negli anni Settanta e Ottanta ingrossavano i profitti delle industrie agroalimentari foggiane e campane. Su queste ultime l’organizzazione cutoliana aveva incentrato il proprio interessamento, imponendo la propria pretesa prevaricatrice e impiantando la propria "industria" del racket.
Quelle ricchezze costituiscono ancora il patrimonio del Tavoliere, tanto che Laronga ricorda come «in tutta la provincia il business dell'agroalimentare rappresenta per la criminalità organizzata un efficace strumento per la sua affermazione del territorio». Oltre quarant'anni sono passati, e non è cambiato nulla; d'altronde, nel libro i richiami alla sottovalutazione sociale di un fenomeno mafioso così sfuggente e poco etichettabile sono frequenti: e quindi bene fa l'autore a ritenerla, oggi, la "quarta mafia", perché le etichette saranno pure delle semplificazioni, ma aiutano a comprendere meglio.
Sebbene, come si è detto, la storia abbia conosciuto un'altra "quarta mafia": ma non si tratta dell'usurpazione di un titolo, quanto della prosecuzione di una storia.
Infatti, la pervicace volontà di Cutolo determinò poi, quale reazione, la nascita della Sacra corona unita di Giuseppe Rogoli. Non a caso, tra i fondatori dell’organizzazione sacrista ritroviamo proprio tre foggiani: Giosué Rizzi, Giuseppe Iannelli e Cosimo Cappellari, i quali vengono definiti i "compari della Capitanata" del Rogoli. Quei criminali, con un sottobosco di sbandati e qualche "professionisti", per contrastare l'avanzata dei camorristi nella Puglia felix tenteranno di ripercorrere ritualità, cultura e modalità di azione degli 'ndranghetisti; si trattò di un tentativo, a tratti uno scimmiottamento, perché la potenza della 'ndrangheta, tutt'ora incontrastata, non si raggiunse mai.
Ai primi anni del Duemila il fenomeno mafioso sacrista – alquanto anomalo nel panorama nazionale – poteva dirsi in esaurimento; ma più a nord, in Capitanata, nell'indifferenza generale si stava rafforzando una mafia violenta e affaristica al contempo. E bene fa Laronga, adesso, oltreché a raccontarla nei suoi mutamenti, a considerarla la "quarta mafia"; una seconda, nella speranza che anche per questa la storia possa riservare gli stessi destini della prima.
L’accertamento e la riscossione dei tributi locali alla luce delle recenti riforme: un ginepraio di norme “in cerca” di riscrittura e, allo stato, di più letture adeguatrici alle regole e principi generali dell’ordinamento.
di Paola Coppola
Sommario: 1. L’oggetto dell’indagine - 2. Le regole, nel tempo, per liquidare, accertare e riscuotere la TARSU/TARES/TARI in caso di denuncia regolare, infedele o omessa - 3. Segue: le diverse regole per accertare e riscuotere l’ICI e, di poi, l’IMU - 4. L’esegesi delle norme applicabili dal 1.1.2007 ad oggi a fini TARI ed IMU (e precedenti tributi): le abrogazioni espresse e quelle implicite - 5. Le questioni interpretative aperte sia prima, che dopo la l. n.160/2019: quattro vulnus che chiedono risposta - 6. L’accertamento di tipo sostanziale e quello di ri-liquidazione o di controllo formale dei tributi locali: le regole vigenti “non scritte” - 7. L’inapplicabilità della riscossione frazionata ante e post decisum per gli avvisi di accertamento dei tributi locali: una scelta, dopo la l. n. 160/2019, incoerente ed inattuale (il quinto vulnus).
1. L’oggetto dell’indagine.
Affrontare oggi la questione dell’accertamento e della riscossione dei tributi locali richiede un notevole impegno dovendo l’interprete confrontarsi con il succedersi nel tempo di norme di non facile lettura, di una serie nutrita di abrogazioni e di successiva reviviscenza delle norme abrogate, ed un’ondivaga interpretazione delle stesse in sede di legittimità condizionata, malauguratamente, dall’assenza di interventi di sistema, coordinati e coerenti a livello legislativo.
Lo scenario si complica alla luce del fatto che con la l. n. 160/2019 è stata prevista l’emanazione dell’accertamento esecutivo per i tributi locali per gli avvisi emessi dal 1° gennaio 2020 e, quindi, con la formazione di un atto conclusivo, ed adozione di un procedimento analogo a quello che riguarda, ormai da tempo, il comparto delle IIDD e dell’IVA regolato dall’art. 29 del d.l. n. 78/2010; attività da coordinarsi con le norme che, più di recente, sono state emanate in attuazione della legge delega n. 111/2023 e che hanno effetti riflessi sull’agire degli enti locali sia con riguardo ai principi generali, consacrati nella l. n. 212/2000 revisionata ad opera del d.lgs. n. 219/2023, che con riguardo al sistema generale della riscossione dei tributi erariali, anch’esso riformato dal d.lgs. n. 110/2024 con l’ulteriore estensione dell’accertamento esecutivo di cui all’art. 29, d.l. n. 78/2010 alle altre “entrate riscuotibili mediante ruolo, ivi comprese le somme dovute a seguito di una serie di atti e avvisi emessi dall'Agenzia delle entrate” (ex art. 14, cit. d.lgs. n. 110/2024). Nulla ad oggi è stato attuato rispetto al principio specifico della legge delega indicato all’art. 14 della cit. l. n. 111/2023 della “revisione del sistema della riscossione delle entrate degli enti locali anche attraverso forme di cooperazione tra lo Stato e gli enti locali”.
Scopo di questo lavoro è quello di offrire una lettura ragionata delle norme ad oggi ancora vigenti, anche perché, come si vedrà, non abrogate in via espressa, per verificare quali sono i procedimenti che attualmente l’Ente è tenuto ad adottare, secondo il modello conforme al paradigma legale e analogo in altri comparti impositivi, per accertare e (congiuntamente) riscuotere i tributi o maggiori tributi in caso di denunce infedeli o omesse, oppure (solo) per riscuotere i tributi non versati o versati parzialmente su denunce regolari, con particolare riferimento ai casi in cui l’Ente riliquida o effettua un controllo del dichiarato formale (in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato) avvalendosi, quindi, dei soli dati ed elementi in suo possesso o reperiti in anagrafe, e rimasti invariati (non regolato, compiutamente, ex lege).
Deve farsi una ulteriore precisazione. Nel presente lavoro si affronteranno le varie questioni con riferimento alla TARSU, regolata dal d.lgs. n. 507/93 diventata, in seguito TARES (per il 2013) e poi TARI dal 2014, ex l. n. 147/2013 che già e solo per effetto della revisione del comparto operata dalla l. n. 296/2006 vede talune norme sulla riscossione coattiva (art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93), pur se vigenti, “implicitamente abrogate” per quanto, di recente, ha stabilito la Suprema Corte.
Di seguito, le questioni verranno accennate per l’ICI regolata dal d.lgs. n. 504/92 diventata IMU a decorrere dal 2012 ad opera del d.l. n. 201/2011, convertito dalla l. n. 214/2011, e sostituita dalla disciplina contenuta nella l. n. 147/2013 (per l’IMU) dove, al contrario, per l’espressa abrogazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 504/93, i termini di decadenza per accertare e riscuotere i casi di dichiarazioni infedeli, incomplete o omesse ed i mancati/parziali versamenti restano quelli previsti dall’art. 1, commi 161 e 163, l. n. 296/2006, anche se con diversi dies a quo.
Nel prosieguo dello scritto si verificheranno le regole applicabili agli accertamenti “esecutivi” ad opera della cit. l. n. 160/2019 in coordinamento con le regole vigenti sui termini di decadenza tenendo conto, al contempo, degli impatti dovuti alla generalizzazione dell’obbligo del contraddittorio “informato ed effettivo” di cui all’art. 6-bis, l. n. 212/2000 sugli atti diversi da quelli “automatizzati o sostanzialmente automatizzati e di pronta liquidazione” emessi dagli enti locali.
Ultimo aspetto che sarà affrontato, anch’esso complesso ed involuto, concerne le implicazioni che vengono a determinarsi sulla riscossione dei tributi locali una volta notificati gli avvisi di accertamento e, di seguito, impugnati, per l’assenza di regole sulla riscossione frazionata ante decisum e, per l’effetto, per la sostenuta inapplicabilità dell’art. 68, d.lgs. n. 546/92 e, quindi delle regole della riscossione frazionata in caso di processo sia prima, che dopo l’emanazione della l. n. 160/2019, e questa volta, per scelta esplicita del legislatore da ritenersi, tuttavia, incoerente ed inattuale sotto più profili.
2. Le regole, nel tempo, per liquidare, accertare e riscuotere la TARSU/TARES/TARI in caso di denuncia regolare, infedele o omessa.
2.1 È inevitabile tracciare, in prima battuta, il lungo excursus normativo che, via via, ha disciplinato la fase della liquidazione (d’ufficio) e, di poi, in ragione del sistema dell’autoliquidazione (dal 2014), le fasi dell’accertamento e della riscossione della TARSU/TARES, fino alla sua abrogazione e sostituzione con la TARI a partire dal 1.1.2014 ex l. n. 147/2013, per verificare quali norme sono da considerarsi vigenti dopo la l. n. 296/2006 di primo riordino del sistema, al netto di alcune implicite abrogazioni, già rilevate in sede di legittimità e quali sono quelle applicabili, invece, anche dopo la seconda riforma avvenuta con la l. n. 160/2019 per gli atti emessi dal 1.1.2020.
Per cominciare, occorre partire dall’art. 70 del d.lgs. n. 507/1993 integrato dalla l. n. 311/2004 (a decorrere dal 2005) che, ancora oggi, pone in capo al contribuente l’obbligo di denuncia a fini TARI delle superfici tassabili (denuncia originaria, cd. ultrattiva) e quella per eventuali variazioni (denuncia di variazione, anch’essa, una volta presentata, ultrattiva).
L’art. 71, d.lgs. n. 507/93 ha regolato, fino alla sua abrogazione ad opera dell’art. 1, comma 172, l. n. 296/2006 (dall’1.1.2007), al comma 1 i casi di accertamento in rettifica della denuncia (originaria o di variazione) infedele o incompleta, oppure di accertamento d’ufficio per il (solo) caso di omessa denuncia con differenti termini di decadenza, in specie, rispettivamente, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo, a quello di presentazione della denuncia stessa, ovvero entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata; al comma 2, l’obbligo di motivazione, anche per relationem degli accertamenti emanati.
L’art. 72, d.lgs. n. 507/93 ha regolato, invece, i casi di riscossione ordinaria sul liquidato d’ufficio su denunce regolari e ruoli preesistenti (fino all’autoliquidazione della TARI dal 2014) e di seguito, sulle denunce presentate, ed i casi di riscossione coattiva (dopo la notifica dell’avviso di accertamento) e, per ciò che qui rileva, non è stato abrogato dalla l. n. 296/2006, né successivamente.
In specie, al cit. art. 72 resta, quindi, indicato:
- al comma 1 che: “L’importo del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, liquidato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, delle denunce presentate e degli accertamenti notificati nei termini di cui all’art. 71, comma 1, è iscritto a cura del funzionario responsabile di cui all'articolo 74 in ruoli principali ovvero, con scadenze successive, nei ruoli suppletivi, da “formare e consegnare” al concessionario della riscossione, a pena di decadenza, entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo e, in caso di liquidazione in base a denuncia tardiva o ad accertamento, entro l'anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la predetta denuncia ovvero l'avviso di accertamento è notificato. La formazione e l’apposizione del visto dei ruoli principali e suppletivi relativi agli anni 1995, 1996 e 1997 sono eseguite entro il 31 dicembre 1999”;
- al comma 2 che: “Nei ruoli suppletivi sono, di regola, iscritti gli importi o i maggiori importi derivanti dagli accertamenti, nonché quelli delle partite comunque non iscritte nei ruoli principali”.
Da notare che ai sensi del comma 5 del cit. art. 72, quanto alla procedura di riscossione (all’epoca, quindi, sia ordinaria che coattiva) e, quindi, anche per la successiva esecuzione forzata: “Si applicano, in quanto compatibili, le altre disposizioni contenute nel d.p.r. n. 602 e nel d.p.r. 28 gennaio 1988, n. 43”.
2.2 Ciò chiarito, è solo con la l. n. 296/2006, e quindi, a partire dagli atti emessi dal 1.1.2007, che il legislatore ha uniformato i termini per accertare i tributi locali nei casi di controllo di denunce regolari o di rettifica di quelle infedeli ed ha previsto l’adozione, come mezzo, dell’avviso di accertamento per riscuotere, quindi, gli omessi o parziali versamenti da denunce regolari, oltre che da denunce infedeli, incomplete o omesse ed ha unificato il termine di decadenza per la riscossione coattiva, dopo la notifica degli accertamenti, una volta che gli stessi fossero diventati definitivi.
In specie, con l’art. 1 della cit. l. n. 296/2006 è stato previsto:
- al comma 161 che: “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli “o” dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni “o” degli omessi versamenti notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni”.
- al comma 163 che: “Nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo”.
Al comma 162 dell’art. 1 della cit. l. n. 296/2006 (in sostituzione dell’art. 71, comma 2, abrogato) è stato indicato l’obbligo di motivazione, anche per relationem degli avvisi di accertamento emanati[1].
2.3 Quanto alla serie di riforme e modifiche del sistema di riscossione dei tributi locali, valga indicare tra quelle di maggiore interesse in questo scritto, che dopo la prima riforma della riscossione (d.p.r. n. 43/1988) che aveva previsto la generalizzazione dell’applicazione del sistema di riscossione a mezzo ruolo e l’abrogazione di tutte le norme di rinvio che richiamavano il risalente r.d n. 639/1910 e, quindi, anche dell’ingiunzione, come mezzo per riscuotere “le tasse e pene pecuniarie” (art. 31), si sono avvicendate una serie di disposizioni dal 1997 al 2011 che hanno fatto rivivere il mezzo e, ad oggi, lasciano agli enti locali la facoltà di avvalersi, se agiscono in proprio, ovvero attraverso i soggetti abilitati di cui all’art. 52, c. 5, d.lgs. n. 446/1997, dell’ingiunzione cd. “rafforzata” (ex art. 7, comma 2, lett. gg-quater, d.l. n. 70/2011) “secondo la procedura del ruolo prevista dal titolo II del d.p.r. n. 602/1973”, oppure di affidarsi all’agente della riscossione nazionale di cui all’art. 3 del d.l. n. 203/2005[2] (Equitalia S.p.A., e, di poi, a partire dal 1° luglio 2017, Agenzia Entrate Riscossione ex d.l. n. 193/2016, convertito in l. 225/2026)[3], a mezzo del ruolo, secondo la procedura di cui al d.p.r. n. 602/1973. Ciò che conta evidenziare, ai fini delle considerazioni che verranno riprese nel prosieguo è che, dopo lungo tempo, e le alterne vicende che hanno riguardato la natura (amministrativa o giudiziale) dell’ingiunzione fiscale non v’è dubbio sul fatto che, una volta formata l’ingiunzione, essa costituisca titolo esecutivo, come il ruolo, ed esplichi, al pari della cartella, anche la funzione di precetto, motivo per il quale è definita “rafforzata”.
2.4 Dall’esegesi di siffatte norme deve allora concludersi che:
a) per gli atti emessi dal 1993 al 31.12.2006 (e, quindi, prima della l. n. 296/2006), l’ente locale per “accertare” la TARSU ha potuto agire, ai sensi dell’art. 71, d.lgs. n. 507/93 con due tipologie di accertamento: uno in rettifica per i casi di dichiarazione incomplete o infedeli per recuperare i (conseguenti) parziali versamenti a mezzo ruoli da “formare e consegnare” al concessionario “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo alla presentazione della denuncia”; l’altro, d’ufficio, per il caso di dichiarazione omessa per riscuotere gli omessi versamenti nel maggior termine del (entro il) “ 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata”.
Per la riscossione ordinaria, l’ente locale, invece, operando la liquidazione d’ufficio della TARSU (modificatasi in autoliquidazione solo nel 2014), ha potuto procedere alla riscossione ordinaria a mezzo ruolo principale (fino al 1999) e poi con ruoli ordinari (o straordinari, per il caso del fondato pericolo) attraverso i ruoli già formati dell’anno precedente a fronte di regolari denunce presentate (cd. liste di carico) “da formare e consegnare” al concessionario e notificare al contribuente (con la cartella o ingiunzione) “entro l’anno successivo a quello per il quale era dovuto il tributo”.
Nel caso di accertamento (in rettifica o d’ufficio) su denunce tardive, incomplete/infedeli o omesse e parziale o mancato pagamento, l’ente ha potuto procedere, invece, alla riscossione coattiva della TARSU a mezzo ruolo suppletivo (sino al 1999) e poi con ruolo ordinario (o straordinario, in caso di fondato pericolo) da formare e consegnare al concessionario (con la cartella, o ingiunzione), ma nei più brevi termini di cui al comma 1 dell’art. 72 (non abrogato) ovvero, “entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la predetta denuncia, ovvero l’avviso di accertamento è notificato”.
b) per gli atti emessi dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 (e, quindi, prima della l. n. 160/2019) l’ente locale, e tenuto conto che nelle more è entrato in vigore il sistema dell’autoliquidazione della TARI (dal 2014), ha potuto procedere con le medesime due tipologie di accertamento a fini TARSU, TARES (per il 2013) e TARI: uno in rettifica (per dichiarazioni incomplete o infedeli), l’altro d’ufficio per le dichiarazioni omesse, ed anche - visto l’uso della disgiuntiva “o” nell’art. 1, comma 161, della l. n. 296/2006 - per riscuotere gli omessi/parziali versamenti da denunce regolari e, quindi, rilevabili anche dai dati ed elementi invariati in suo possesso, con l’ “avviso di accertamento” da notificare “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”. Lo stesso termine di decadenza quinquennale è stato disposto per irrogare le sanzioni.
Ove il contribuente, una volta ricevuto l’avviso di accertamento, in rettifica o d’ufficio - debitamente motivato, anche per relationem - non avesse pagato il dovuto, l’ente ha potuto formare il titolo esecutivo e, quindi, il ruolo ordinario (o straordinario) da consegnare al concessionario - oppure, in alternativa - nel caso di riscossione diretta, o affidata ai concessionari abilitati iscritti all’albo di cui all’art. 52, comma 5, lett. b), d.lgs. n. 446/97, l’ingiunzione fiscale ex r.d. del 1910 “rafforzata” (dal 2011) equivalente, come si diceva, ai fini dell’esecuzione, alla cartella di pagamento, da notificare, ai sensi dell’art. 1, comma 163: “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento (in rettifica o d’ufficio) è divenuto definitivo”[4].
2.5 Ed arriviamo, ai tempi più recenti, quando il legislatore, con la l. n. 160/2019, ha concentrato la funzione di riscossione negli avvisi di accertamento emessi a partire dal 1° gennaio 2020 “da province, città metropolitane, comuni, comunità montane, unioni di comuni e consorzi tra gli enti locali” (si noti, non dalle regioni), oltre che dai soggetti affidatari di cui all’art. 52, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. n. 446/1997 e all’art. 1, comma 691, della l. n. 147/2013 con l’assegnazione agli stessi della natura di “accertamenti esecutivi” analoga a quella degli accertamenti in materia di IIDD ed IVA ex art. 29, d.l. n. 78/2010.
L’art. 1, comma 792, lett. a) della cit. l. n. 160/2019 prevede, in sintesi, che gli avvisi di accertamento e i relativi provvedimenti di applicazione delle sanzioni contengano anche “l’intimazione ad adempiere” entro il termine di presentazione del ricorso nel caso di entrate tributarie, oppure entro i 60 giorni dalla notifica nel caso di entrate patrimoniali, e dispone che gli avvisi così emanati “devono” recare espressamente l’indicazione che gli stessi “costituiscono titolo esecutivo idoneo ad attivare le procedure esecutive e cautelari, nonché l’indicazione del soggetto che, decorsi sessanta giorni dal termine ultimo per il pagamento, procederà alla riscossione delle somme richieste, anche ai fini dell’esecuzione forzata”.
La cit. lett. a) del comma 792 prevede, altresì, che vadano emessi avvisi di accertamento “rideterminativi” (cd secondari) nei casi in cui, dopo l’emanazione dell’avviso esecutivo originario (cd. primario), vadano ricalcolati gli importi dovuti in base: (i) agli esiti dell’accertamento con adesione, ex d.lgs. n. 218/97, se adottato dall’ente, oppure (ii) alle regole “dell’art. 19 del d.lgs. n. 472/97” e, quindi, dell’esecuzione delle sanzioni, nonché (iii) “in caso di definitività dell’atto impugnato” e, quindi - si noti, senza fare rinvio - “all’art. 68, d.lgs. n. 546/92” sulle regole della riscossione frazionata in pendenza di processo, come invece espressamente previsto dall’art. 29, d.l. n. 78/2010 per le IIDD ed IVA a mezzo del rinvio ivi contenuto al cit. art. 68, d.lgs. n. 546/92 (su cui, infra, par. 7).
Il successivo comma 792, alla lett. b) indica poi che “decorso il predetto termine utile per il pagamento, l’avviso acquista efficacia esecutiva”, senza la preventiva notifica di un ulteriore titolo esecutivo e, quindi, né del ruolo (e cartella) né dell’ingiunzione di pagamento. Decorso l’ulteriore termine di trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento (mobile), la riscossione delle somme richieste “è affidata in carico” al soggetto legittimato alla riscossione forzata (ADER, oppure l’ente stesso o i concessionari abilitati) che, rispettivamente potranno agire, se si tratta di ADER, ai sensi della successiva lett. e) del comma 792 “con i poteri, le facoltà e le modalità previsti dalle disposizioni che disciplinano l'attività di riscossione coattiva”, mentre, se chi agisce è l’ente, o i concessionari abilitati, ai sensi della lett. f), comma 792, “secondo le regole del titolo II del d.p.r. n. 602/73”[5].
L’esecuzione forzata è, tuttavia, sospesa di diritto (ex lett. b), comma 792 cit.), come accade per l’omologo avviso esecutivo di cui all’art. 29, d.l. n. 78/2010 (IIDD ed IVA) “per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico degli atti al soggetto legittimato alla riscossione forzata; il periodo di sospensione è, tuttavia, ridotto a centoventi giorni ove la riscossione delle somme richieste sia effettuata dal medesimo soggetto che ha notificato l’avviso di accertamento”[6]. Per il recupero di importi fino a 10 mila euro, l’art. 1, comma 795, della cit. l. n. 160/2019 stabilisce che dopo che l’avviso è divenuto esecutivo, prima di attivare una procedura esecutiva e cautelare, gli enti impositori (o i concessionari della funzione di accertamento) devono inviare al contribuente, “un sollecito di pagamento” con cui si avvisa il debitore che il termine indicato nell’atto è scaduto e che, se non si provvede al pagamento entro i trenta giorni successivi, saranno attivate le procedure cautelari ed esecutive[7]. Le regioni, escluse dai soggetti interessati dalla riforma del 2019, dovranno continuare invece ad agire per la riscossione dei tributi di propria competenza, avvalendosi dell’ingiunzione (rafforzata), se agiscono in proprio, o a mezzo dei concessionari abilitati, ovvero del ruolo, se si affidano ad ADER.
2.6 In virtù della emanazione della l. n. 160/2019, e quindi:
c) per gli atti emessi dal 1.1.2020, anche se riferiti ad annualità precedenti , e tenuto conto della vigenza di norme precedenti (non abrogate), l’ente locale è tenuto a notificare a fini TARSU/TARES/TARI, l’avviso di accertamento esecutivo “ai sensi del comma 792, lett. a), l. n. 160/2019” nel rispetto del termine di decadenza indicato all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006, ovvero “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione o effettuare il versamento delle imposte”. In caso di mancata impugnazione dell’atto, e del mancato pagamento da parte del contribuente entro il termine di 60 giorni dalla notifica dello stesso, non seguirà più, come si diceva, l’emissione della cartella di pagamento o dell’ingiunzione fiscale, e potrà darsi avvio all’esecuzione forzata che, a partire dai 30 giorni successivi (in totale 90 dalla notifica) vede l’affidamento in carico del dovuto all’ente medesimo, o ai concessionari abilitati o all’Agenzia entrate Riscossione.
Dopo la l. n. 160/2019 si è venuto a determinare, quindi “il superamento implicito” dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 e l’applicazione del solo termine di prescrizione del credito dell’ente locale che, in materia è quinquennale ex art. 2948, comma 1, n. 4 c.c., visto che l’avviso di accertamento emanato ai sensi del cit. art. 1, comma 792, è idoneo a diventare esecutivo e per di più, per l’intero carico del tributo ed interessi accertati (fermo il diritto all’affidamento in carico delle sanzioni dopo la sentenza di I grado, se l’atto è impugnato ex art. 19, d.lgs. n. 472/97), per la mancanza di regole ad hoc che prevedano la riscossione parziale ante decisum nei singoli comprati impositivi dei tributi locali.
Il contribuente potrà richiedere, al più, la sospensione amministrativa all’ente locale ex art. 39, d.p.r. n. 602/1973 o se impugna l’avviso di accertamento, la sospensione giudiziale (ex art. 47, d.lgs. n. 546/92), ricorrendone i presupposti ma, nelle more o in mancanza dei presupposti per ricorrere alla tutela cautelare amministrativa o giudiziale, le somme richieste con l’accertamento esecutivo, non pagate entro il termine per la proposizione del ricorso, potranno essere riscosse coattivamente per l’intero (di tributo ed interessi) dopo l’affidamento del carico al concessionario o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, dopo i 30 gg. successivi allo scadere del termine del pagamento, oppure anche prima se l’affidamento avviene a titolo straordinario (per fondato pericolo della riscossione)[8].
La “presa in carico del debito” che va comunicata al contribuente con lettera raccomandata o con posta elettronica, sostanzialmente “sostituisce” il ruolo, nel senso che con l’“affidamento del carico” si raggiunge il medesimo risultato di far pervenire al concessionario le indicazioni necessarie alla riscossione attraverso un flusso di trasmissione dei dati che, per di più, è giornaliero (e non più periodico).
Si ritornerà nel prosieguo sul titolo (provvisorio, definitivo o straordinario) dell’affidamento in carico e sulle implicazioni che derivano dal predetto affidamento sul processo, allorquando l’atto da emettere a conclusione del procedimento effettivamente attivato dall’ente, venga impugnato (infra, par. 7).
3. Segue: le diverse regole per accertare e riscuotere l’ICI, e di poi l’IMU.
3.1 E veniamo alla questione dei termini di decadenza per l’accertamento e la riscossione dell’ICI, e di poi dell’IMU che è diversa da quella affrontata per la TARSU/TARES e TARI in ragione del fatto che, diversamente da quanto è accaduto con il cit. art. 72, d.lgs. n. 50/793, il legislatore ha abrogato l’art. 11 del d.lgs. n. 504/1992 con l’art. 1, comma 173, lett. d), della l. n. 296/2006 a decorrere, quindi dagli atti emessi dal 1° gennaio 2007.
Fino al 2006, il cit. art. 11 del d.lgs. n. 504/92 ha regolato per l’ICI, come avveniva per la TARSU con l’art. 72, d.lgs. n. 507/93, i casi di “controllo di tipo formale” delle dichiarazioni e denunce presentate (ai sensi dell’art. 10), per verificare i versamenti eseguiti “sulla base dei dati ed elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni e dalle denunce stesse, o dalle informazioni fornite dal sistema informativo dell’anagrafe” in ordine all’ammontare delle rendite risultanti in catasto e dei redditi dominicali; oppure a correggere gli errori materiali e di calcolo e liquidava l’imposta. In tali casi il Comune ha dovuto emettere “un avviso di liquidazione” con l’indicazione dei criteri adottati, dell’imposta o maggiore imposta dovuta e delle sanzioni ed interessi dovuti da notificare al contribuente “entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta”[9].
Al comma 2 del cit. art. 11 è stato disciplinato, invece, il caso della “rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di infedeltà, incompletezza od inesattezza” e dell’accertamento d'ufficio nel caso di omessa presentazione”. In questi casi, il Comune ha dovuto emettere “un avviso di accertamento”, motivato, con la determinazione dell’imposta o maggiore imposta dovuta e delle relative sanzioni ed interessi da notificare “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta”. Nel caso di omessa presentazione, l’avviso di accertamento si sarebbe dovuto notificare “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero dovuto essere presentate ovvero a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell’imposta”.Dagli atti emessi dal 1.1.200, con la l. n. 296/2006 anche per l’IMU (dal 2012), il legislatore ha poi fissato l’unico termine quinquennale di decadenza per notificare l’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 1, comma 161 e, dopo la notifica dell’avviso, l’unico termine triennale per riscuotere in via coattiva il dovuto (ai sensi dell’art 1, comma 163).
Dopo la l. n. 160/2019, l’avviso di accertamento è esecutivo (dal 1.1.2020) e va notificato, quindi, analogamente ai casi TARI, entro il termine di cui al cit. art. 1, comma 161 e, quindi, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello del versamento, o della presentazione della dichiarazione.
3.2 Ciò chiarito, è sorto il problema di stabilire a fini ICI (ed IMU) il dies a quo del primo dei 5 anni di cui all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006 ai fini del computo del termine di decadenza per la notifica dell’avviso di accertamento; questione in ordine al quale la Suprema Corte ha fornito, nel tempo, interpretazioni non sempre univoche. Con il più recente indirizzo (ex multis, ordinanza, 11 giugno 2024 n. 16230)[10], per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo a fini ICI, e poi IMU si è stabilito che vanno individuati due diversi “dies a quo” dai quali iniziare il computo del termine quinquennale e, pertanto, occorre distinguere:
a) il caso in cui il contribuente presenti una dichiarazione ed ometta il versamento, in cui deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo si sarebbe dovuto pagare (di norma con le due rate di acconto e saldo ex art. 9, comma 3, del d.lgs. n. 23/2011);
b) il caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, in cui deve farsi riferimento, invece, “al termine entro il quale la dichiarazione si sarebbe dovuta presentare (di norma entro il 30 giugno, o altro, se prorogato) o dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta”[11].
Per la riscossione coattiva, invece, dopo la notifica dell’ “avviso di accertamento”- e fino alla l. n. 160/2019 - nessun dubbio è sorto sul termine di decadenza per tutti i procedimenti attivati (e, quindi, per denunce infedeli, omesse ed anche e/o per gli omesi o parziali versamenti da controllo di tipo formale del dichiarato); termine che, per gli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019 a fini ICI, e di poi IMU, è quello stabilito dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, ovvero “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento (in rettifica o d’ufficio) è divenuto definitivo” (vista l’abrogazione esplicita dell’art. 11, d.lgs. n. 504/92 ad opera della l. n. 296/2006).
Dopo la l. n. 160/2019, una volta che l’avviso di accertamento è diventato “esecutivo”, si applica, come si è visto per la TARI ed altri tributi locali, il solo termine di prescrizione del credito è quinquennale, sia per il tributo, che per gli sanzioni ed interessi, ex art. 2948, comma 1, n. 4 c.c. (salvo il caso del giudicato, in cui termine di prescrizione e decennale), in virtù del supra indicato “superamento implicito” dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006.
4. L’esegesi delle norme applicabili dal 1.1.2007 ad oggi a fini TARI ed IMU (e precedenti tributi): le abrogazioni espresse e quelle implicite.
4.1 Tirando le fila di questo excursus si arriva a concludere che, dopo la riforma operata dalla l. n. 296/2006 e fino alla l. n. 160/2019 e, quindi, per gli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019 per TARI (TARES/TARSU) ed IMU/ICI (ed altri tributi locali), si applica il termine di decadenza (quinquennale) dell’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006 per la notifica dell’avviso nei procedimenti di accertamento “in rettifica” per le dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti”, nonchè per i procedimenti “d’ufficio” nel caso di dichiarazioni omesse (come era stato sino ad allora) ed anche per gli “omessi o parziali versamenti” - visto l’uso della disgiuntiva “o” nel cit. comma 161 - compresi, quindi, quelli derivanti da un procedimento di mera “ri-liquidazione e/o controllo formale” di denunce regolari/tardive fondato, cioè, su dati ed elementi già in possesso dell’ente o in anagrafe, rimasti invariati. Per tutti gli avvisi emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019, si applica, del pari, il termine di decadenza per la riscossione coattiva stabilito dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 da attivare, quindi, (entro il) “31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è diventato definitivo”, volendosi riferire, evidentemente, al caso dell’avvenuta previa notifica degli “avvisi di accertamento” (in rettifica o d’ufficio) e della loro mancata impugnazione e/o loro definitività in giudizio.
Dopo la l. n. 160/2019, e quindi, per gli avvisi emessi dal 1.1.2020 “ai sensi dell’art. 1, comma 792, l. n. 16072019” per TARI (TARES/TARSU) ed IMU/ICI (ed altri tributi locali), leggendo le norme vigenti, si potrebbe concludere che in tutti i casi in cui è effettuato il controllo delle denunce presentate o dei versamenti in anagrafe, il termine di decadenza dei “procedimenti” attivati - sia di natura sostanziale, che di tipo liquidatorio/formale - debba corrispondere, ai fini dell’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, a quello quinquennale stabilito dall’art. 1, comma 161 e che, una volta notificato l’unico termine da rispettare è solo quello di prescrizione quinquennale (vista l’abrogazione implicita del cit. art. 1, comma 163, l. n. 296/2006). Ma, a ben vedere, così non è, né può esserlo, in ragione di una serie di riflessioni che portano a verificare che si applicano termini di decadenza diversi, sia ai fini della “notifica” che della relativa “riscossione” dei crediti per tributi locali a seconda dei procedimenti attivati che mutano a seconda del tributo di riferimento e, soprattutto, dalla modalità di controllo operato dall’ente impositore.
Il tutto perché le norme della cit. l. n. 160/2019 vanno verificate in coordinamento con le regole di interesse - abrogate e non - della. l. n. 296/2006 e, quindi, per la TARI, con la perdurante “co-vigenza” dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 e dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 e, per l’IMU, con la vigenza dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 (vista, nelle more, l’abrogazione dell’art. 11, d.lgs. n. 504/92) e, per di più, ora, con le regole indicate quali principi generali immanenti nello Statuto dei diritti del contribuente, revisionato ad opera del d.lgs. n. 219/2023 che si applicano, indipendentemente dalla loro adozione nei regolamenti degli enti locali, ex art. 1, commi 3-bis e 3-ter, l. n. 212/2000[12].
5. Le questioni interpretative aperte sia prima, che dopo la l. n.160/2019: quattro vulnus che chiedono risposta.
5.1 Dalla lettura delle norme vigenti sorgono, infatti, una serie di questioni di dubbia soluzione che aprono vulnus di tutela e che allo stato, ed in mancanza/attesa di una loro “riscrittura”, non possono che richiedere la prospettazione di interpretazioni adeguatrici, talune già stabilite in sede di legittimità.
A. Il primo vulnus riguarda la TARI (e TARSU/TARES ratione temporis) contestata dopo la l. n. 296/2006 prima dell’emanazione della l. n. 160/2019, con atti formati, quindi, dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019, per la diversità di durata del termine di decadenza posto a carico dei Comuni per la riscossione coattiva a mezzo ruolo, cartella o ingiunzione, in caso di accertamento in rettifica o d’ufficio (di tipo sostanziale) in virtù della perdurante “co-vigenza” dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 e dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006.
B. Il secondo vulnus riguarda la TARI (e TARSU/TARES ratione temporis) contestata dal 1.1.2007 al 31.12.2019, e riguarda il termine di decadenza per riscuotere l’omesso o parziale pagamento del dovuto su denuncia regolare (o tardiva), quando l’ente ha effettuato un controllo (a tavolino) di tipo liquidatorio o cartolare dei documenti e dati in suo possesso e/o in anagrafe rimasti invariati; credito tributario che - fino alla emanazione della l. n. 160/2019 - il Comune ha potuto/dovuto riscuotere, pacificamente, “a mezzo ruolo e successiva cartella, o ingiunzione “rafforzata”, a seconda del sistema di riscossione prescelto, senza obbligo di notifica di un previo “avviso di accertamento”.
Controllo che, in questa sede, ed anche in vista delle prossime riflessioni che involgono i principi dello Statuto applicabili agli atti degli enti locali dal 18 gennaio 2024 (entrata in vigore delle nuove regole), deve intendersi quello che si sostanzia nella “(ri)liquidazione/controllo formale” del dichiarato “in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato”, ovvero quando l’ente si avvale di prove certe documentali (e non presunzioni), vista la sua similitudine a quello analogo effettuabile nell’ambito della liquidazione e controllo della dichiarazione ai fini delle IIDD (ex artt. 36-bis, e 36-ter d.p.r. n. 600/73) o IVA (art. 54-bis, d.p.r. n. 633/72).
C. Il terzo vulnus, collegato al secondo, riguarda invece l’ICI e l’IMU contestata, sempre con atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019, e si riferisce al termine di decadenza per la riscossione coattiva sia per gli accertamenti in senso sostanziale che per i casi di controllo “di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato”, non distinti e regolati compiutamente dalla legge, con l’aggravarsi del fatto che l’art. 11, d.lgs. n. 504/92 è stato esplicitamente abrogato dall’art. 1, comma 173, l. n. 296/2006 per cui l’ente ha avuto a disposizione, come unico atto per procedere, “l’avviso di accertamento” e non ha potuto agire, quindi, direttamente con un titolo esecutivo (ruolo, cartella o ingiunzione), nonostante che il controllo eseguito è stato di tipo liquidatorio o formale.
D. Il quarto vulnus riguarda, questa volta, sia la TARI che l’IMU, che gli altri tributi locali, dopo l’entrata in vigore della l. n. 160/2019 e quindi, per gli atti emessi dal 1.1.2020 che, sebbene possa ritenersi risolto dall’applicabilità del termine di decadenza (quinquennale) di cui al cit. art. 1, comma 161, l. 296/2006 per la notifica dell’atto conclusivo del procedimento emesso “ai sensi e per gli effetti dell’ “art. 1, comma 792, l. n. 160/2019”, in virtù dell’idoneità dell’avviso di accertamento a diventare “esecutivo”, impone di verificare, invece, come l’ente ha agito nel procedimento di controllo, e quindi, di quali mezzi istruttori e prove si è avvalso, per stabilire, di conseguenza, quali devono ritenersi gli atti tipici (mezzi) che l’ente è tenuto ad utilizzare - secondo il modello legale e la sequenza procedimentale appropriata - per “accertare” e/o per “riscuotere” il dovuto a seconda della modalità di riscossione prescelta (diretta o a mezzo concessionari) e, per l’effetto, entro quale termine di decadenza ‘ente deve poi agire ai fini della riscossione coattiva. Ciò perchè, anche dopo la l. n. 160/2019, nell’effettuare il controllo dei versamenti dovuti, l’ente locale si è potuto limitare a ri-liquidare/controllare solo in via formale il dichiarato “in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato” su denuncia regolare o tardiva, nel qual caso le norme applicabili sui rapporti ancora pendenti vedono, a fini TARI la perdurante “co-vigenza” (dal 2007 ad oggi) sia dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 che dell’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, mentre, per l’IMU e per gli altri tributi locali, la vigenza (dal 2007 ad oggi) del (solo) art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 [13].
5.2 La risposta a questi interrogativi, già complessi nella formulazione, non è semplice e va formulata avvalendosi dell’interpretazione adeguatrice (la prima) che, in epoca recente, ha fornito la Suprema Corte di Cassazione affrontando e risolvendo il primo vulnus supra indicato, ovvero indicando le regole applicabili ai casi TARI (o TARES/TARSU) ancora pendenti per gli atti emessi dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 e prospettando, per gli altri vulnus segnalati, ulteriori interpretazioni adeguatrici alle regole imposte, ora a sistema, dai principi generali dell’ordinamento.
A. Il primo vulnus: il termine di decadenza a fini TARI della riscossione coattiva nel caso di accertamenti di tipo sostanziale per gli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019.
1. Come si diceva, all’epoca in cui è mancata l’autoliquidazione della TARSU (dal 1993 fino alla riforma di cui alla l. n. 296/2006, e quindi fino agli atti emessi dal 1.1.2017) l’ente ha potuto procedere, pacificamente, ad un controllo “di tipo formale” del dichiarato, ex comma 1 dell’art. 71 d.lgs. n. 507/93, per “liquidare” il tributo e di poi per riscuotere il dovuto ex art. 72, comma 1, attraverso i ruoli principali, poi, ordinari formati (dal 1999) dell’anno precedente, il tributo o maggiore tributo non versato o versato parzialmente “entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo”. Termine annuale analogo, a quell’epoca, entro cui l’ente, decidendo di avvalersi del sistema di riscossione tramite ruolo, ha potuto agire per “accertare” il maggior dovuto con i ruoli suppletivi (dal 1993 fino al 1999) e poi con ruolo ordinario (o straordinario) o, di poi, con l’ingiunzione rafforzata (dal 2011) se gli omessi o parziali versamenti fossero emersi “da denuncia tardiva” o da “accertamento (di tipo sostanziale)” da riscuotere, infatti “entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la predetta denuncia ovvero l’avviso di accertamento è notificato”.
Una volta emanata la l. n. 296/2006, per gli atti emessi dal l.1.2007 (e fino al 31.12.2019), il termine da rispettare, dopo la notifica di “un avviso di accertamento” (in rettifica o d’ufficio) per la riscossione coattiva della TARSU/TARES e poi TARI - che l’ente ha potuto attivare con il ruolo ordinario (o straordinario, in caso di fondato pericolo) e successiva cartella se si è affidato ad Equitalia S.p.A. e poi ad ADER, oppure con l’ingiunzione rafforzata in caso di riscossone diretta o concessionari abilitati - è invece quello triennale ex art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, ovvero (entro il) “31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento (per denunce infedeli, incomplete o omesse) è divenuto definitivo”.
Già e solo per questa diversità di durata del termine di decadenza, annuale o triennale ratione temporis per la riscossione coattiva della TARSU/TARES/TARI (ex art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 ed art. 1, comma 163, l. n. 296/2006), si sono alternate, nel tempo, una serie di interpretazioni di legittimità che il più delle volte hanno dato pregio e rilevanza in passato, nel caso di affidamento del ruolo al concessionario nazionale (Equitalia S.p.A. e poi ADER) al termine annuale di cui all’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93, e non a quello triennale di cui all’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 applicabile nel caso dell’ingiunzione rafforzata (ex multis, sent. n. 1503/2016; ord. n. 14043 del 23 maggio 2019, sent. n. 27805 del 31 ottobre 2018)[14].
2. L’orientamento è cambiato (dal 2019), quando la Suprema Corte, come si legge, ad es., nella sentenza n. 17491 del 25.06.2024 ha stabilito che: “Deve ritenersi che l’art. 72, comma 1, sia stato in parte implicitamente abrogato all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 163, in applicazione del principio, di cui all’art. 15 disposizioni sulla legge in generale, secondo cui le leggi sono abrogate da leggi posteriori allorquando la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Invero, disciplinando il comma 161 dell’art. 1 espressamente i termini per la notifica dell'avviso di accertamento ed il successivo comma 163 il termine da osservare per la notifica della cartella di pagamento (da avvenire entro tre anni dalla definitività dell'avviso di accertamento), deve ritenersi venuta meno, per incompatibilità, la previsione normativa (contenuta nel primo comma dell'art. 72) che prescriveva, ai fini della iscrizione a ruolo, il rispetto del termine di un anno dalla notifica dell’avviso di accertamento”.
Ed ancora, nella cit. sentenza n. 17491/2024 la Suprema Corte ha indicato, per quello che qui maggiormente rileva: “Resta, invece, tuttora disciplinata dall’art. 72 (comma 1) la fattispecie che si realizza allorquando, in presenza di una denuncia del contribuente, l'iscrizione a ruolo non deve essere preceduta dalla notifica dell'avviso di accertamento (qualora, infatti, la denuncia sia stata presentata, sia pure tardivamente, e l'ente ritenga di non contestarla, il primo comma dell'art. 72 del medesimo D.lgs. consente al Comune di “procedere direttamente alla liquidazione della TARSU, sulla base degli elementi dichiarati dallo stesso contribuente originariamente, ed alla conseguente iscrizione a ruolo, attraverso la meccanica applicazione dei ruoli dell'anno precedente e dei dati in esso contenuti, procedendo alla notificazione di una cartella esattoriale, senza previa emissione di alcun avviso di accertamento; sicché, salvo il caso di omessa denuncia o incompleta dichiarazione da parte del contribuente, non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento”. (cfr. anche Cass. n. 22248 del 2015 e n. 19120 del 2016).
La Suprema Corte, ha ulteriormente precisato al riguardo: “Si tratta di una facoltà del tutto eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, concessa al Comune, quando la riscossione si fonda su dati ed elementi già acquisiti e rimasti invariati (v. Cass., Sez. 5, n. 14043 del 23/05/2019). In definitiva, deve pervenirsi alla conclusione che, quando, in assenza di una denuncia, va notificato il previo avviso di accertamento (l’ente impositore può procedere all'emissione di un avviso di accertamento quando il contribuente non abbia presentato la denunzia prescritta dal precedente art. 70, oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta; v. Cass. n. 19255 del 2003, Cass. n. 19181 del 2004 e Cass. n. 20646 del 2007), devono seguirsi le modalità ed i termini indicati dall'art. 1, comma 163 (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 14043 del 2019), anziché quelli prescritti dall'art. 72, comma 1”.
3. Alla luce di questi principi, deve allora concludersi che per gli atti emessi o formati a fini TARI, TARSU o TARES dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 (ancora pendenti), si rende necessario, “gioco-forza”, indagare sull’effettiva natura del procedimento di controllo seguito dall’ente locale e, soprattutto, verificare in base a quali mezzi istruttori l’ente, o il concessionario assegnatario della funzione, ha agito, e verificare:
a) se l’ente, in seno al procedimento di rettifica di denuncia infedele, incompleta o d’ufficio, nei casi di dichiarazione omessa, si è avvalso dei dati ed elementi in suo possesso ed anche di quelli acquisiti, al di fuori del dichiarato. Il che, di norma, riguarda i casi di rettifica delle superfici dichiarate, o del disconoscimento di agevolazioni o esenzioni o di incertezza sulle superfici e quindi tariffe applicabili in cui vengono prodotti rifiuti speciali, assimilati, ecc.
In questo caso in cui l’ente ha potuto fondare la maggiore pretesa esprimendo, quindi, giudizi/valutazioni su elementi di prova certa o presunzioni che lo hanno portato a riscontrare casi di diversità oggettiva o soggettiva del dichiarato, non v’è alcun dubbio sul fatto che, a conclusione del procedimento, l’ente ha dovuto/potuto emettere “un avviso di accertamento” da motivare, anche per relationem, ex art. 1, comma 162, l. n. 296/2006 che ha dovuto notificare al contribuente nel termine di cui all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006, ovvero entro il “31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.
Dopo la notifica dell’accertamento, il termine di decadenza ai fini della riscossione coattiva del dovuto, pur vigendo l’art. 72 del d.lgs. n. 507/93 (non espressamente abrogato dalla l. n. 296/2006) deve ritenersi invece, solo quello indicato dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 per l’“implicita abrogazione” di parte del comma 1 dell’art 72, d.lgs. n. 507/93 stabilita in sede di legittimità (a fronte del primo vulnus) con la conseguenza che l’ente ha dovuto notificare (o meglio avrebbe dovuto, visto il contrasto interpretativo) il titolo esecutivo (la cartella contenente il ruolo, oppure l’ingiunzione rafforzata) “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo”;
b) se l’ente, in seno al procedimento di controllo dei parziali o omessi versamenti ha operato, invece, una mera ri-liquidazione o controllo formale del dichiarato, in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato. Il che di norma avviene nei casi del mancato pagamento, integrale o parziale, del dichiarato e/o di maggior debito per l’applicazione di una tariffa o categoria tariffaria diversa rispetto a quella applicata dal contribuente su superfici (rimaste invariate).
In questo caso - che non è stato espressamente regolato dalla legge - devono “ricercarsi” nelle norme vigenti ratione temporis, “il mezzo”, e quindi l’atto tipico da formare secondo il paradigma legale a conclusione del procedimento attivato e, per l’effetto, “termine di decadenza” sia per (i) la notifica di siffatto atto, che per (ii) la riscossione coattiva del carico di cui all’atto notificato (o meglio, che si sarebbe dovuto notificare). La ricerca di questi mezzi, modalità e termini è piuttosto complessa e richiede ulteriori considerazioni.
B. I casi non regolati ex lege a fini TARI del controllo di tipo formale automatizzato e/o sostanzialmente automatizzato per gli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019 (il secondo vulnus).
1. La prima ricerca riguarda, come si diceva, il mezzo tipico, nella sequenza procedimentale conforme al modello legale, analogo rispetto ad altri tributi e comparti, ovvero l’atto che si sarebbe dovuto formare dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 a fini TARI/TARES/TARSU (ancora pendenti) quando l’ente, in seno al procedimento (d’ufficio), ha agito (a tavolino) sulla base dei soli dati ed elementi in suo possesso o in anagrafe, rimasti invariati (sulle cd. liste di carico). Caso che corrisponde a quello in cui l’ente si è limitato a ri-liquidare la denuncia e/o verificato i parziali o omessi versamenti attraverso un controllo formale dei documenti in suo possesso o in anagrafe, ovvero a quello in cui l’ente nell’effettuare il controllo, ha acquisito prove certe (e non presuntive) della fondatezza della pretesa ed ha quindi, potuto formalizzare il suo credito “in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato”.
Ebbene, per rispondere alla domanda, se si tiene conto degli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, si conclude che l’ente ha dovuto agire (o meglio avrebbe dovuto) direttamente con un titolo esecutivo - ovvero con il ruolo e cartella, oppure con l’ingiunzione rafforzata - e non ha dovuto (non avrebbe dovuto/potuto) formare e notificare un “avviso di accertamento” giacché, come si legge negli ultimi precedenti della Suprema Corte, supra riportati (in ultimo, sentenza n. 17491 del 2024): “l’ente impositore può procedere all'emissione di un avviso di accertamento quando il contribuente non abbia presentato la denunzia prescritta dal precedente art. 70, oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta”.
La seconda domanda è quella di verificare entro quale termine l’ente ha dovuto (avrebbe dovuto) agire per riscuotere, dopo aver formato direttamene il titolo esecutivo, gli omessi, parziali versamenti riferiti agli atti che ha dovuto formare dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 nei predetti casi di riliquidazione/controllo (di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato); risposta che, allo stato, non è di facile soluzione per il fatto che le norme applicabili ratione temporis, ai fini TARI (TARSU/TARES) su rapporti pendenti, vedono (ancora), ai fini della riscossione coattiva, come si diceva, la “co-vigenza” dell’art. 72, d.lgs. n. 507/1993 e dell’art 1, comma 163, l. n. 296/2006, ambigue nella loro formulazione e soprattutto non coordinate.
2. A bene vedere, la risposta alle domande supra indicate (la seconda interpretazione adeguatrice) può ricavarsi dall’incipit del ragionamento più recente della Suprema Corte (sentenza n. 17491/2024) ovvero quando la Corte ha stabilito che: “Deve ritenersi che l’art. 72, comma 1, sia stato in parte implicitamente abrogato” che lascia, inevitabilmente, aperta la strada per prospettare la seconda interpretazione “adeguatrice” per individuare gli atti riferibili alla TARI (TARES/TARSU ancora pendenti) da formare dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019, a seconda del modello legale di controllo operato e, quindi, i correlati termini di decadenza da rispettare.
Seguendo questo ragionamento deve concludersi che debba/possa intendersi:
(i) ancora vigente, la parte dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 che si riferisce (proprio) al caso in cui “l’importo del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, viene liquidato sulla base dei ruoli dell'anno precedente e delle denunce presentate” che coincide oggi con il caso in cui l’ente, su denunce (regolari o tardive) presentate, ha “ri-liquidato (dal 2014) e/o controllato in senso formale” il dichiarato ed in cui ha potuto/dovuto agire direttamente con un titolo esecutivo (ruolo, cartella o ingiunzione) per riscuotere il tributo, sanzioni ed interessi, avendo utilizzato solo dati ed elementi in suo possesso o in anagrafe rimasti invariati; il tutto, analogamente e, quindi, conformemente al modello legale di controllo di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato regolato in materia di IIDD o IVA ex artt. 36-bis e 36-ter, d.p.r. n. 600/73 o 54-bis, d.p.r. n. 633/72;
(ii) non più vigente la parte dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 “implicitamente abrogato” dall’interpretazione adeguatrice stabilita in sede di legittimità quando l’ente, invece, nel corso del procedimento di accertamento di tipo sostanziale, non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato ha rettificato le dichiarazioni infedeli o omesse avvalendosi di elementi di prova (specifica), certa o presuntiva (semplice ex art. 2727 c.c.), in cui ha dovuto/potuto emettere “un avviso di accertamento”, motivato come atto tipico (mezzo) per rilevare, e comunicare adeguatamente, i casi di “diversità (e non invarianza) oggettiva o soggettiva del dichiarato (o omesso)”.
Una volta operata siffatta distinzione, il correlato termine di decadenza che l’ente ha dovuto (avrebbe dovuto) rispettare, per riscuotere i parziali/omessi versamenti TARI (TARES/TARSU) cambia, allora, a seconda dei modelli di controllo supra indicati e non può che restare stabilito, per logica conseguenza:
(i) se il controllo è stato di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato, in quello stabilito dall’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 nella parte ancora vigente (non implicitamente abrogata) ovvero “entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo”; oppure, se l’ente ha deciso di agire in via diretta, o con concessionari abilitati, con l’ingiunzione rafforzata (dal 2011) che ha dovuto formare e notificare, quindi, “entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è stata prodotta la predetta denuncia” (anche tardiva); e ciò perché mancando nello schema legale del metodo di controllo operato (analogamente ai casi di cui agli artt. 36-bis, o ter del d.p.r. n. 600/73) l’obbligo di notifica di un previo “avviso di accertamento”, “non possono applicarsi” né il comma 161, né il comma 163, dell’art.1, l. n. 296/2006;
(ii) se il controllo è stato, invece di tipo sostanziale (non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato) ovvero quando l’ente ha potuto contestare, in base agli elementi di prova acquisti le condizioni di tassabilità originariamente dichiarate o omesse dal contribuente, ha dovuto emettere - secondo il modello legale, analogamente ad altri tributi e comparti - “un avviso di accertamento” da notificare nel termine quinquennale di cui all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006, ed un volta notificato, ha dovuto agire, per la riscossione coattiva, con il ruolo/cartella o ingiunzione rafforzata, nel (solo) termine di decadenza applicabile che resta quello indicato dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 in ragione dell’implicita abrogazione dell’altra parte del comma 1 dell’art. 72, d.lgs. n. 507/93 stabilita in sede di legittimità e, quindi (entro il) termine del “31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento (in rettifica o d’ufficio per dichiarazioni omesse) è diventato definitivo”.
3. Si ha conferma di siffatte conclusioni anche grazie ad altri precedenti, sempre recenti, di legittimità. Nella sentenza n. 20037 del 22.07.2024 (nonché n. 11481 dell’8.04.2022 e n. 13106 del 30.06.2020) si legge, infatti: “L’art. 72 del D.lgs. n. 507 del 1993 ha attribuito ai Comuni in materia di TARSU (fino al 2010) la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione ed iscrizione al ruolo sulla base dei ruoli (importi) degli anni precedenti, purché sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione; in questi casi, non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento; nello stesso senso già Sez. 5, Sentenza n. 19120 del 28/09/2016, Rv. 641102 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 22248 del 30/10/2015, Rv. 637060 - 01). Ne segue che ove non vengono contestate le condizioni di tassabilità indicate nella denuncia originaria, integrativa o di variazione del contribuente a fini TARSU il Comune ha potuto e può iscrivere a ruolo gli importi del tributo dovuto, senza un previo avviso di accertamento. Quando invece la maggiore somma TARSU deriva dalla rettifica delle condizioni di tassabilità denunciate dal contribuente “deve ritenersi nulla la cartella di pagamento emessa senza un previo avviso di accertamento” ferma restando, in ogni ipotesi di accertamento e riscossione, la necessità di rispettare i termini di decadenza previsti dalla legge, non modificabili in via regolamentare (Sez. 5 - , Ordinanza n. 8165 del 26/03/2024; nello stesso senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 22248 del 30/10/2015, e Sez. 5, Sentenza n. 3657 del 24/02/2015)”.
4. A questo punto, volendo individuare i principi ricavabili dall’indicata sentenza - espressa con riferimento alla TIA 1 ratione temporis per gli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019, ma applicabile anche alla TARI “non essendovi incompatibilità di alcun genere con la TIA1 o TARSU/TARES” (come indicato nella cit. sentenza n. 20037/2024) - si trova conferma del fatto che:
(i) ove l’ente, sulla base degli elementi di prova acquisiti ha deciso di “modificare le condizioni di tassabilità” indicate dal contribuente (nella denuncia originaria o integrativa), ha potuto/dovuto emettere “avviso di accertamento” motivato e, soprattutto, ha dovuto rispettare come “in ogni caso di accertamento e riscossione” i termini di decadenza previsti dalla legge “non modificabili in via regolamentare”. In questi casi, quindi, deve ritenersi nulla la cartella di pagamento (o ingiunzione) emessa, senza un previo avviso di accertamento, posto che la maggiore somma TARSU (TARES/TARI/TIA1) è derivata da un procedimento di accertamento operato in modo non automatizzato o sostanzialmente automatizzato;
(ii) ove l’ente ha fondato il recupero del tributo/maggiore tributo, senza contestare le condizioni di tassabilità indicate nella denuncia originaria, integrativa o di variazione del contribuente, ha dovuto agire, invece, direttamente con un “titolo esecutivo” (ruolo e successiva cartella di pagamento o ingiunzione rafforzata a seconda che ha agito con ADER, o in proprio o concessionari abilitati) e non emettere un previo avviso di accertamento. In questi casi, quindi, deve ritenersi legittima (e non nulla), la cartella (o ingiunzione rafforzata) - non preceduta da alcun avviso di accertamento - posto che la pretesa è derivata da un controllo di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato; e ciò ferma la motivazione del recupero da indicare nella cartella (o ingiunzione), trattandosi del primo ed unico atto della procedura operata[15].
5. Se questi sono i principi applicabili, in ragione dell’interpretazione fornita, anche in sede di legittimità, ne segue che nemmeno in via regolamentare – come invece sovente può essere accaduto nella pratica – i comuni hanno potuto “estendere” i casi di accertamento (in senso sostanziale) a fini TARI (TARES/TARSU) a quelli di pronta liquidazione o mera ri-liquidazione del dichiarato o controllo formale (di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato) in presenza di denuncia regolare, laddove il controllo è avvenuto in base alle cd. liste di carico (dati rimasti invariati); né l’ente ha potuto violare il termine di decadenza per riscuotere il dovuto che, in questi casi - per gli atti da formare e notificare a fini TARI (TARSU/TARES) dal 1.12007 al 31.12.2019 ancora pendenti - resta stabilito in quello indicato “nella parte del comma 1 dell’art. 72, d.lgs. n. 503/97 non implicitamente abrogata”, ovvero “entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo e/o entro l'anno successivo a quello nel corso del quale è stata prodotta la predetta denuncia” (anche tardiva). Solo per gli “avvisi di accertamento” emessi a conclusione di un procedimento di accertamento “non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato”, emessi dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 a fini TARI (TARES/TARSU ancora pendenti) condizionati, quindi, ai casi di “modifica delle condizioni di tassabilità” denunciate dal contribuente, il termine di decadenza per la notifica dell’atto tipico, ovvero l’avviso di accertamento, è da ritenersi quello quinquennale di cui all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006 ed il termine di decadenza per la notifica del successivo titolo esecutivo ai fini della a riscossione coattiva deve ritenersi, sempre, quello triennale di cui all’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 (per l’implicita abrogazione del cit. art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/93 stabilita dalla Suprema Corte)[16].
C. Le medesime lacune a fini ICI/IMU ma con diversa regolazione (il terzo vulnus).
1. A questo punto occorre mutuare queste regole ed applicarle ai casi dell’ICI/IMU ancora pendenti, con riferimento agli atti emessi dal 1.1.2007 al 31.12.2019 per i quali non si pone il problema della “co-vigenza” di norme sulla riscossione coattiva antecedenti alla l. n. 296/2006, essendo stato abrogato, in via esplicita, l’art. 11, d.lgs. n. 504/92 dal comma 173 della cit. l. n. 296/2006.
Per l’ICI/IMU, l’unico termine che gli enti locali hanno avuto a disposizione per notificare gli “avvisi di accertamento”, sia nel caso di denunce infedeli, che omesse, oltre che per gli omessi e parziali versamenti è quello quinquennale indicato dall’art. 1, comma 161 (con il doppio dies a quo) mentre, ai fini della riscossione coattiva, il termine di decadenza da rispettare è rimasto solo quello triennale indicato dall’art. 1, comma 163, una volta diventato definitivo l’avviso di accertamento notificato.
Resta il fatto che, applicando i principi supra indicati con riferimento alla TARI, l’ente locale ha potuto agire, anche a fini ICI/IMU, sia per accertare in rettifica le denunce infedeli o omesse e rilevare il tributo o maggior tributo dovuto sulla base di dati anche esterni al dichiarato che, del pari, per riscuotere solo i parziali o omessi versamenti emersi da dati in suo possesso o in anagrafe, rimasti invariati e, quindi, attraverso un controllo di tipo “automatizzato o sostanzialmente automatizzato”.
Tuttavia, in questo secondo caso, l’ente si è trovato nell’impossibilità di emettere direttamente un titolo esecutivo (ruolo e cartella o ingiunzione), vista l’abrogazione esplicita dell’art. 11 del d.lgs. n. 504/92, per cui non ha potuto che emettere un “avviso di accertamento” sia quando “il contribuente non ha presentato la denunzia … oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta” che quando il debito IMU è emerso, come conferma la Suprema Corte, su “dati ed elementi già acquisiti, in possesso dell’ente e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione” (come riportato, ad es., nella sentenza n. 16467 del 20.05.2022).
Per l’effetto - e fermo il fatto che l’ente avrebbe dovuto sempre “motivare” adeguatamente l’atto emesso a conclusione del procedimento, chiarendo i presupposti giuridici di fatto e, soprattutto, i mezzi istruttori utilizzati a fondamento della pretesa - una volta notificato l’avviso di “accertamento”, l’ente ha dovuto notificare, di seguito, il titolo esecutivo e, quindi, formare il ruolo (ai fini della successiva cartella) o l’ingiunzione rafforzata, entro l’unico termine applicabile, a legislazione invariata che, viste le norme, nonostante la lacuna, non può che coincidere, per entrambi i metodi di controllo (la terza interpretazione adeguatrice), con quello stabilito all’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006 ovvero “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è diventato definitivo”.
Il che rende evidente la distonia e diversità di mezzi e termini da adottare e rispettare nell’ambito dei tributi locali, che cambiano a seconda della natura del tributo e/o della modalità di controllo che, come è evidente, si deve alla non coordinata e logica regolazione normativa, più che ad una scelta.
2. Certo è che a fronte delle lacune ed il susseguirsi delle varie interpretazioni non univoche di legittimità, il legislatore sarebbe dovuto intervenire, da tempo e, soprattutto, avrebbe dovuto distinguere e regolare, anche nel comparto dei tributi locali, i casi di controllo di tipo liquidatorio/formale (di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato) rispetto ai casi di accertamento di tipo sostanziale su denunce infedeli, incomplete o omesse (il quarto vulnus).
Conclusione che, tuttavia, ora “si impone” e trova piena conferma - in assenza, e quindi, in attesa di “regole scritte” - dalle ulteriori implicazioni che discendono dai principi generali stabiliti nello Statuto del contribuente l. n. 212/2000, revisionato ad opera del d.lgs. n. 219/2023 che sono imperativi sull’agire degli enti locali (vigenti dal 18 gennaio 2024), oltre che in quelle che dipendono dalla natura esecutiva degli “avvisi di accertamento” emessi dal 1° gennaio 2020 dagli enti locali (tranne le regioni) che, come si illustrerà, tali dovranno/potranno intendersi, ma solo se conformi al modello legale (tipico) di controllo che li prevede.
6. L’accertamento di tipo sostanziale e quello di mera riliquidazione o di controllo formale dei tributi locali: le regole vigenti “non scritte”.
6.1 L’avvento degli accertamenti cd. “impoesattivi” nell’ambito dei tributi locali ad opera della cit. l. n.160/2019[17], ha sicuramente avuto il pregio di concentrare nell’avviso emanato a conclusione della procedura di accertamento la forza precettiva della fase coattiva di riscossione come era accaduto, da tempo, per le IIDD ed IVA ad opera dell’art. 29, del d.l. n. 78/2010.
Dall’attuazione della riforma scaturisce, tuttavia, un atto complesso che aggiunge alla struttura dell’atto tipico per “accertare” il dovuto nei casi di accertamento di tipo sostanziale costituito dall’ “avviso di accertamento”, tutti i requisiti che fino alla novella del 2019 si trovavano nella cartella, nel caso di riscossione affidata, dopo la formazione del ruolo, ad ADER, ovvero nell’ingiunzione rafforzata, ove l’ente dovesse decidere di procedere alla riscossione in proprio (anche in house), o mediante concessionari abilitati.
La l. n. 160/2019 riguarda tutti gli atti emanati dagli enti locali dal 1° gennaio 2020 e tutti i tributi; data a partire dalla quale non possono essere notificati, gli “avvisi di accertamento” privi dei nuovi requisiti visto che la lettera a) del comma 792 dell’art. 1, l. n. 160/2019, nel precisare che gli enti locali “devono” indicare i predetti requisiti nell’atto emanato, impone un obbligo e non una semplice facoltà.
La fase applicativa degli atti emessi in vigenza della novella è anch’essa molto articolata dovendo gli enti locali (ad esclusione delle regioni) rispettare una serie di regole e tempi per affidare il carico all’ADER, oppure per provvedere in proprio o attraverso le società pubbliche o società iscritte all’albo alla riscossione del dovuto. In caso di affidamento del carico all’agente della riscossione il comma 785 dell’art. 1, della l. n. 160/2019 prevede che “si applicano esclusivamente le disposizioni di cui al comma 792” per cui l’ente locale dovrà indicare, in primis - riportandolo nell’avviso al destinatario - chi sarà il soggetto competente, in caso di mancato pagamento, alla (eventuale e successiva) fase dell’esecuzione forzata.
6.2 La prima riflessione da farsi dopo l’entrata in vigore della novella è sull’obbligo di motivazione dei recuperi, posto che il comma 162 dell’art. 1, l. n. 296/2006 (nonché l’art. 6, l. n. 212/2000 sull’obbligo di informazione), va coordinato con la lettera a) del comma 792 dell’art. 1, della cit. l. n. 160/2019 che descrive il contenuto obbligatorio dell’atto che va emesso a far data dal 1.1.2020 e fissa il nuovo termine per il pagamento del dovuto utilizzando, come si anticipava in premessa, una formula mobile; la scadenza del pagamento non è più entro sessanta giorni dalla notifica, bensì entro il termine per proporre ricorso contro l’atto che può variare, quindi, in relazione alla presenza di istituti giuridici che sospendono il termine processuale, o per la sospensione feriale.
A norma del comma 162, art. 1, l. n. 296/2006 e l’art. 7, l. n. 212/2000 e art. 3, l. n. 241/1990, gli avvisi di accertamento esecutivi emessi dal 1.1.2020, andavano, quindi, motivati “in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati” e se motivati per relationem, “con l’allegazione o riproduzione del contenuto essenziale dell’atto presupposto”.
Dopo le modifiche operate all’art. 7, l. n. 212/2000 (in vigore dal 18 gennaio 2024) dal d.lgs. n. 219/2023, l’ente locale è tenuto ad enunciare, puntualmente, nella motivazione degli avvisi, a pena di annullabilità, sia i “presupposti e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione” che “i mezzi di prova”. Quando la motivazione è per relationem ad un atto presupposto “che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso va allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale” e la motivazione, per esplicita previsione del comma 1 dell’art. 7, cit. deve indicare “espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell'atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati”[18].
6.3 Agli aspetti sopra visti deve aggiungersi che l’avviso emesso deve contenere la formula “esecutiva” di cui alla lettera b) del cit. comma 792, ovvero che: “decorso il termine utile per la proposizione del ricorso, ovvero decorsi sessanta giorni dalla notifica dell'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento e dell'ingiunzione fiscale”, e decorso (l’ulteriore) termine di “trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste è affidata in carico al soggetto legittimato alla riscossione forzata. L’esecuzione è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico degli atti di cui alla lettera a) al soggetto legittimato alla riscossione forzata; il periodo di sospensione è ridotto a centoventi giorni ove la riscossione delle somme richieste sia effettuata dal medesimo soggetto che ha notificato l’avviso di accertamento”.
Se l’esecuzione forzata non viene intrapresa entro l’anno, ove la pretesa è d’importo superiore a 10 mila euro, il comma 792, lett. h), rinviando all’art. 50 comma 2, del d.p.r. n. 602/73, impone la notifica di un “avviso di intimazione” del pagamento entro cinque giorni, ai fini dell’esecuzione (con l’eventuale fermo, ipoteca, pignoramento, ecc.), avente natura analoga all’ avviso di mora[19]. Per gli importi fino a 10 mila euro, invece, una volta notificato l’avviso esecutivo, l’ente locale, prima di attivare una procedura esecutiva e cautelare, deve notificare un “sollecito di pagamento” entro i trenta giorni successivi (ex art. 1, comma 795, l. n. 160/2019) da ritenersi, quindi, condizione per la legittimità dei successivi atti dell’esecuzione.
Una volta formato l’atto, ai sensi del cit. “art. 1, comma 792, l. n. 160/2019”, il contenuto obbligatorio degli avvisi, per quanto indicato al comma 792, lett. a), va riprodotto “anche nei successivi atti da notificare al contribuente in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento e ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, ai sensi del regolamento, se adottato dall’ente, relativo all'accertamento con adesione, di cui al D.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, e dell'articolo 19 del D.lgs. n. 472 del 1997, nonchè in caso di definitività dell’atto impugnato”.
6.4 Il contenuto essenziale degli avvisi esecutivi dal 1.1.2020 vede, di conseguenza, l’obbligo per l’ente impositore di indicare, nell’avviso di accertamento emesso ai sensi del cit. art. 1, comma 792, l. n. 160/2019, oltre che in quelli rideterminativi da emettere nei casi indicati dalla legge:
Una volta formato l’avvio di accertamento, questo andrà notificato nel termine di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006, ovvero “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento si sarebbero dovuti effettuare”. Per effetto della novella, venutosi a determinare, come visto, il superamento (implicito) del termine di decadenza triennale per la riscossione coattiva ex comma 163 dell’art. 1, l. n. 296/2006, sia per la TARI che per l’IMU (ed altri tributi), il credito formalizzato nell’avviso emanato andrà riscosso nel termine di prescrizione (quinquennale) ex art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. per tributi locali e sanzioni ed interessi ( salvo il caso del giudicato)[20]; e ciò fermo l’obbligo dell’ente di notificare, come si diceva, per gli importi superiori a 10 mila euro, un avviso di intimazione di pagamento entro 5 gg. ex art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602/73 ai sensi del cit. art. 1, comma 792, lett. h) “decorso un anno dalla notifica degli atti indicati alla lettera a)” (sia di quelli primari, quindi, che dei secondari rideterminativi).
6.5 A questo punto “emerge” l’’altra lacuna legata al dubbio che porta a chiedersi come dovrà agire l’ente locale, dopo la l. n. 160/2019, quando nel corso di controllo della denuncia regolare (o tardiva) del contribuente agisce - come ha potuto fare in precedenza - non per rettificare/modificare le condizioni di tassabilità dichiarate (o omesse) dal contribuente, ma solo per riscuotere i parziali o omessi versamenti sulla base dei dati ed elementi in suo possesso o in anagrafe “rimasti invariati”(il quarto vulnus).
Si delinea, in definitiva, lo stesso interrogativo che è sorto per agli atti emessi prima dell’entrata in vigore della novella sugli atti da formare/emanare e, quindi, sui mezzi da utilizzare e i collegati tempi da rispettare nella sequenza procedimentale da ritenersi “conforme al modello legale di controllo di tipo liquidatorio/formale” dei tributi locali che, non avendo trovato risposta nemmeno nella l. n. 160/2019 non può che risolversi, a legislazione invariata, se non prospettando, anche qui, altra interpretazione adeguatrice che, questa volta, deve tener conto dell’entrata in vigore, nelle more, di altre regole, immanenti, ed ora a sistema, indicate nella l. n. 212/2000 dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 219/2023 (dal 18.1.2024); norme che, come si vedrà, impongono agli enti locali di operare, a monte, un netto distinguo tra i casi di accertamento dei tributi locali in rettifica, o d’ufficio di tipo sostanziale, rispetto ai casi di riliquidazione o controllo di tipo formale in cui, in definitiva, il controllo viene operato “in modo automatizzato o sostanzialmente automatizzato”.
La conferma che questo distinguo si “impone” ed, anzi, che non ci sarebbe “tempo da perdere” per regolare compiutamente il controllo di tipo riliquidatorio/formale nel comparto dei tributi locali - analogamente al medesimo modello di controllo applicabile alle IIDD ed IVA - sta, infatti, nelle regole stabilite ora all’art. 6-bis, l. n. 212/2000 sull’obbligo del previo contraddittorio informato ed effettivo che, come noto, è stato generalizzato e vige, a pena di annullabilità, per tutti gli atti impositivi ad esclusione (proprio) degli atti “automatizzati o sostanzialmente automatizzati” ovvero quelli che, prima della loro emanazione, non richiedono, a pena di annullabilità, l’invio del cd. schema d’atto indicato al comma 3 del cit. art. 6-bis; norma che, pacificamente, riguarda tutti gli enti locali (ex art. 1, commi 3 e 3-bis, l. n. 212/2000).
6.6 Come noto, la regolamentazione degli atti automatizzati o sostanzialmente automatizzati è stata fornita con riguardo ai soli atti dell’amministrazione finanziaria con il d.m. del 24 aprile 2024 (pubblicato il 30 aprile 2024). Tuttavia, il preambolo del cit. d.m. del 24.4.2024 richiama i commi 3-bis e 3-ter dell’art. 1 della l. n. 212/2000 e precisa che le nuove disposizioni dello Statuto, valgono “come principi generali per gli enti locali, tenuti ad adeguare “i rispettivi ordinamenti nel rispetto delle relative autonomie”; con l’ulteriore precisazione che gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dallo Statuto, ma possono prevedere livelli ulteriori (e, quindi, maggiori) di tutela.
Sulla base di questi principi e regole, gli atti “automatizzati, sostanzialmente automatizzati, e di pronta liquidazione” esclusi dall’obbligo del contraddittorio preventivo in materia di tributi locali sono stati individuati prontamente dall’IFEL (fondazione dell’ANCI) che ha fornito anche un modello di modifica dei regolamenti comunali per conformarli al nuovo Statuto, come revisionato dal d.lgs. n. 219/2023.
Nella proposta (del 21.02.2024), l’IFEL indica al comma 2, del cit. art. 6-bis che: “Non sussiste il diritto al contraddittorio ai sensi del presente articolo con riguardo gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione” e che, tali “si intendono” (comma 3, art. 6-bis):
a) gli atti di accertamento per omesso, insufficiente o tardivo versamento dei tributi comunali, e relative sanzioni, allorquando la determinazione del tributo dipende dalla dichiarazione presentata dal contribuente o da dati nella disponibilità dell’amministrazione comunale, quali, a titolo esemplificativo, i dati catastali, le informazioni relative alla soggettività passiva, le informazioni reperibili dall’anagrafe tributaria – Punto Fisco;
b) gli atti di accertamento per omesso, insufficiente o tardivo versamento dei tributi comunali conseguenti ad avvisi bonari di pagamento già comunicati, anche per posta ordinaria, al contribuente;
c) il rigetto, anche parziale delle richieste di rateazione[21];
d) i provvedimenti di decadenza dal beneficio della rateazione adottati ai sensi dell’articolo 1, comma 800, legge 27 dicembre 2019, n. 160;
e) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
f) gli atti di cui all’articolo 50, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, nonché ogni atto relativo alle procedure di riscossione coattiva conseguenti ad atti già notificati al contribuente;
g) il rigetto delle istanze di cui ai successivi articoli 15 e 16;
h) ogni altro atto, ancorché non previsto nei punti precedenti, la cui determinazione del tributo derivi da dati nella disponibilità dell’amministrazione comunale e comunque risulti in modo certo e preciso e non via presuntiva[22].
Ai fini del comma 2 dell’art. 6-bis si considerano “atti di controllo formale”, esclusi dall’obbligo del contraddittorio (comma 4, art. 6-bis) “ogni atto emesso dall’amministrazione comunale che scaturisca dal controllo formale dei dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti.” Per gli atti di cui ai commi 2, 3 e 4, “rimane ferma la possibilità per l’amministrazione comunale di attivare un contraddittorio facoltativo, fermo restando che in questo caso la mancata attivazione non determina l’annullabilità dell’atto, e non si producono gli effetti di cui al successivo comma 9”[23]. Non sussiste, infine, il diritto al contraddittorio (comma 6, art. 6-bis) “per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione che dovranno essere espressamente motivati nell’atto impositivo”.
6.7 Ed allora, le risposte al quarto vulnus supra prospettato, dovuto all’incompiuta regolazione del metodo di controllo di tipo liquidatorio/formale nel comparto dei tributi locali anche dopo la l. n. 160/2019, vanno cercate e proposte tenendo conto della distinzione che va operata, a monte, tra i controlli “di tipo automatizzato e/o sostanzialmente automatizzato” del dichiarato rispetto a quelli di tipo non automatizzati o sostanzialmente automatizzati, ai fini della partecipazione del contribuente e che, a questo punto, vanno ad impattare nelle successive fasi dell’ “accertamento” e della “riscossione” dei tributi locali ed in modo diverso, a seconda del modello legale di controllo operato e, quindi, per l’effetto, incidono sulla sequenza procedimentale che va rispettata ai fini della attività di riscossione coattiva/esecuzione dei crediti vantati dall’ente locale.
A tali fini vanno allora distinti, con riguardo agli atti emessi dal 1.1.2020, i casi in cui (la quarta interpretazione adeguatrice):
a) l’ente è tenuto a formare un “avviso di accertamento” quale atto idoneo a diventare “esecutivo”, purché debitamente motivato, quale mezzo del procedimento di controllo (generale) di tipo sostanziale (in modo non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato) che coincide con il caso in cui - previo schema d’atto - l’ente ha acquisito elementi di prova certa o presentiva (semplice ex art. 2727 c.c.) che lo hanno portato a “modificare le condizioni di tassabilità” indicate dal contribuente (nella denuncia originaria o integrativa)” ed in cui, come “in ogni caso di accertamento e riscossione”, è tenuto a rispettare latto tipico (l’avviso di accertamento) ed i termini di decadenza previsti dalla legge “non modificabili in via regolamentare”;
b) l’ente non è tenuto a formare un “avviso di accertamento” idoneo a diventare “esecutivo”, perché intende solo riscuotere l’omesso/parziale versamento in presenza di denuncia regolare (tardiva), ed in cui ha utilizzato unicamente dati ed elementi già acquisiti e rimasti invariati che coincide con il caso in cui dovrà agire - senza invio dello schema d’atto ai fini del contraddittorio, a pena di annullabilità - e/o riservandosi la facoltà di inviare un avviso bonario (come avviene nei casi del 36-bis o 36-ter, d.p.r. n. 600/73) ed in cui dovrebbe formare, analogamente ai casi già regolati dai cit. artt. 36-bis, 36-ter d.p.r. n. 600/73, direttamente un titolo esecutivo e, quindi, il ruolo (ai fini della successiva cartella) o l’ingiunzione rafforzata e rispettare, per l’effetto, specifici e diversi termini rispetto ai casi di accertamento di tipo sostanziale, sia per notificare il titolo esecutivo al contribuente che riscuotere, come accade, per ciò che concerne le IIDD, con i termini indicati ai cit. artt. 36-bis, o 36-ter, d.p.r. n. 600/73 e all’art. 25 del d.p.r. n. 602/73.
6.8 Il fatto è che, ad oggi, manca questa “regolazione” ex lege per cui l’ente, se agisce correttamente dopo aver operato un controllo di tipo liquidatorio/formale, e forma direttamente un titolo esecutivo(ruolo e/o ingiunzione), come dovrebbe, trova un primo “ostacolo” nell’individuazione dei termini da rispettare che cambiano, per di più, a seconda del tributo da riscuotere posto che, per la TARI - in virtù della perdurante “co-vigenza” dell’art. 72, del d.lgs. n. 507/93 e dell’art. 1, comma 163, l. 296/2006 (non abrogati) - il termine deve ritenersi coincidere con quello indicato nella parte dell’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/73 non implicitamente abrogata dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, ovvero “entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo”.
Se si tratta, invece, di controllo di tipo liquidatorio o formale operato a fini IMU, non vigendo più l’art. 11 del d.lgs. n. 504/92, l’ente non potrà che aver formato, o formare “un avviso di liquidazione” che tale deve restare, pur se viene denominato, come accade sovente (oggi, come in passato) un “avviso di accertamento” per cui l’ente, sia per l’IMU che per altri tributi locali, non potrà che aver notificato, o notificare, a legislazione invariata, l’atto che ha formato nel termine (unico) vigente che è quello indicato dall’art. 1, comma 161, l. n. 296/2006, ovvero “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento è stato o avrebbe dovuto essere effettuato”.
Termine quinquennale che coincide, tuttavia, con quello che l’ente è tenuto a rispettare anche quando deve notificare l’ “avviso di accertamento” con i requisiti di cui all’art. 1, comma 792, l. n. 160/2019 nei procedimenti di tipo sostanziale operati in modo non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato.
Tuttavia, solo l’avviso emanato a conclusione del procedimento di accertamento di tipo sostanziale (non automatizzato, né sostanzialmente automatizzato) potrà assumere la qualifica di atto “esecutivo” che legittima direttamente l’esecuzione forzata ai sensi e per gli effetti del cit. art. 1, comma 792, l. n. 160/2019, posto che, come si diceva, e per quanto ha stabilito la giurisprudenza di legittimità, in alcun caso l’ente può derogare “in via regolamentare” al modello legale tipico e alla sequenza procedimentale collegata alla effettiva natura del controllo operato, con la conseguenza che l’atto emesso a conclusione di un controllo di tipo liquidatorio/formale, ovvero l’avviso di liquidazione/pagamento, ove pure dovesse essere denominato avviso di “accertamento”, non potrà ritenersi “esecutivo” e, quindi, l’ente non dovrà formarlo secondo i requisiti e le condizioni di cui all’art. 1, comma 792, lett. a), b) e ss., l. n. 160/2019, ma alla “vecchia maniera” per intenderci, ovvero secondo le regole stabilite dalla previgente l. n. 296/2006.
6.9 Ma, a questo punto, si pone l’ulteriore questione - a fronte del medesimo vulnus legato alla incompiuta regolazione del metodo di controllo di tipo liquidatorio/formale nel comparto dei tributi locali, anche dopo la l. n. 160/2019 – ovvero di verificare quali devono essere i termini di decadenza che l’ente deve rispettare per riscuotere, in caso di mancato pagamento, le somme riportate nel ruolo/ingiunzione, oppure nell’ “avviso di liquazione/accertamento” (non esecutivo) che fosse stato formato dall’ente impositore nei predetti casi di controllo di tipo liquidatorio/formale dei tributi locali.
Ebbene, anche qui, non può che procedersi con un’ulteriore interpretazione adeguatrice (la quinta), l’unica possibile rispetto alle norme vigenti, e concludere che, a legislazione invariata, se l’ente non ha formato (come avrebbe dovuto) un ruolo o ingiunzione sin dall’individuazione del credito emerso in base a prove certe in fase di controllo di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato, ma ha formato un “avviso di liquidazione” (pur se ha denominato di accertamento) e lo ha notificato entro il termine quinquennale di cui all’art. 1, comma 161, l. n, 296/2006, dovrà agire, in sequenza, formando un titolo esecutivo e, quindi, il ruolo - se si è affidato ad ADER per la notifica della successiva cartella - o l’ingiunzione (rafforzata) - se ha deciso di agire in proprio o con i concessionari abilitati.
In tali casi, i termini per procedere per la riscossione coattiva cambiano, nuovamente, a seconda del tributo da riscuotere e non possono che restare, ad oggi, quelli stabiliti:
a) per la TARI, nella parte dell’art. art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/73 “non implicitamente abrogata dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006”, ovvero “entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo”;
b) per l’IMU (ed altri tributi locali), nel termine unico applicabile, che resta quello indicato dal comma 163, l. n. 296/2006, che l’ente ha dovuto (per forza) rispettare dopo aver potuto formare solo “un avviso di liquidazione/accertamento (non esecutivo)” - vista l’abrogazione dell’art. 11, d.lgs. 507/92 - in luogo dell’atto tipico, ruolo/ingiunzione, che avrebbe dovuto formare a monte - e, quindi (entro il)“31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’avviso è diventato definitivo”[24].
6.10 Corollario di questo groviglio di regole è che l’ente sarà tenuto sicuramente ad osservare, e con maggior rigore, l’obbligo di motivazione di ogni “avviso” emesso a partire dal 1.1.2020 in cui dovrà specificare - oggi, più che in passato - “i presupposti giuridici ed i mezzi di prova” a fondamento della pretesa, e, quindi, per tornare al tema che ci occupa, per far comprendere al destinatario dell’atto se si è trattato di un riscontro degli omessi/parziali versamenti da controllo “di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato” operato sulla base dei dati ed elementi in suo possesso o anagrafe (rimasti invariati) e/o se, invece, la rettifica è stato frutto di giudizi e valutazioni che hanno portato l’ente a rilevare, con prove certe e presuntive (semplici ex art. 2727 c.c.), casi di diversità (e non invarianza) oggettiva o soggettiva del dichiarato (o per effetto dell’omessa denuncia); unici casi, questi ultimi in cui, l’avviso di “accertamento” dovrà essere emanato “ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 792, l. 16072019”. Motivazione senza la quale l’atto sarà annullabile, ex se, in virtù di quanto indica l’art. 7, l. n. 212/200, così come sarà annullabile, ex se, ove in ragione della sua effettiva natura, l’avviso, al di là del nomen assegnato, andava o meno preceduto dallo schema d’atto (ex art. 6-bis, l. n. 212/2000).
Se l’atto notificato è denominato, come spesso accade, “avviso di accertamento”, ma non corrisponde al mezzo tipico del modello legale di controllo di tipo sostanziale, certo è non potrà ritenersi “esecutivo”, e non legittimerà, quindi, direttamente l’esecuzione forzata, decorsi i 30 gg. successivi all’affidamento in carico (nei successivi 60 gg. dalla scadenza del termine di pagamento) per cui l’ente non potrà attivare le successive procedure cautelari (fermi, ipoteche, pignoramenti) e sarà tenuto a rispettare, come doveva fare prima della l. n. 160/2019, i tempi ed i mezzi della sequenza procedimentale tipica della “separata” fase della riscossione coattiva, rispetto a quella dell’accertamento (e non della “concentrazione” di questa fase nell’accertamento prevista dalla novella del 2019).
6.11 In alternativa, ovvero ove non si volesse dar pregio alla distinzione che va operata e regolata nell’ambito delle procedure di controllo/accertamento in rettifica o d’ufficio delle denunce dei contribuenti ai fini dell’accertamento e riscossione dei tributi locali, come potrebbe avvenire anche in sede processuale, ove non venisse colta la rilevanza della effettiva natura dell’atto impugnato (dai difensori e Giudici), si arriverebbe al paradosso - quale inevitabile conseguenza dell’attuale incoerente e lacunosa regolazione della materia - che “tutti” gli avvisi di “accertamento” emessi dal 1.1.2020 dovrebbero contenere, a pena di annullabilità, i requisiti di cui al comma 792, lett. a) e b) della l. n. 160/2019 e che, quindi, indipendentemente dalla loro natura, sarebbero idonei a diventare “esecutivi” una volta notificati decorsi i 90 giorni dalla scadenza del pagamento da cui, “gioco-forza”, dovrebbe concludersi che “tutti” gli atti emessi andrebbero subordinati, a pena di annullabilità, al previo schema d’atto ai sensi dell’art. 6-bis, l. n. 212/2000, nonostante la legge ed i principi generali “dicano e vogliano altro”.
6.12 In conclusione, l’incompiuta regolazione dei procedimenti di controllo dei tributi locali, stratificata nel tempo dal susseguirsi di norme incerte, e non coordinate, e al contempo, l’imperatività delle regole dello Statuto sugli enti locali, a prescindere dall’adozione dei propri regolamenti, ha già creato, e continuerà a generare, gravi difficoltà agli enti locali che, dal 1° gennaio 2020, si stanno confrontando con regole a sistema che possono averli indotti, e continuare ad indurli, ad applicare le regole riferibili agli avvisi di accertamento da emanare “ex art. 1, comma 792, l. n. 160/2019” come mezzo, anche quando il procedimento operato si risolve in una mera riliquidazione o controllo tipo formale (di tipo automatizzato o sostanzialmente), su dati ed elementi rimasti invariati, quali, a titolo esemplificativo, i dati catastali, le informazioni relative alla soggettività passiva, le informazioni reperibili dall’anagrafe tributaria; oppure dati nella disponibilità dell’ente da cui la pretesa “risulti in modo certo e preciso e non via presuntiva”, analogamente ai casi di accertamento parziale ai fini delle IIDD o IVA (art. 41-bis, d.p.r. n. 600/73 e 54, comma 5, d.p.r. n. 633/2)[25].
Il che, visti i diversi e più stringenti modi e termini che andrebbero rispettati ex lege che, come si è detto, vanno a mutare a seconda del tributo da riscuotere rispetto a quelli che dovrebbero trarsi dalla lettura delle regole a sistema di cui alla l. n. 160/2019, e viste le rilevanti conseguenze che si producono sul procedimento e riscossione, al di là del “nomen” assegnato all’ “avviso” emesso dal 1° gennaio 2020, potrà travolgere la legittimità degli atti emanati e da emanare secondo la sequenza procedimentale conforme al modello legale di controllo e, certamente, e si verranno ad alimentare casi di sicuro contenzioso sulle corrette modalità e/o mezzi da utilizzare ai fini dell’accertamento, riscossione ed esecuzione forzata.
Senza dire poi che il ritardo del legislatore a provvedere alla “revisione del sistema della riscossione delle entrate degli enti locali anche attraverso forme di cooperazione tra lo Stato e gli enti locali” ex art. 14, l. delega n. 111/2023 sta determinando ulteriori e più stringenti obblighi e doveri in capo agli enti impositori che, nell’agire, hanno dovuto e/o dovranno essere in grado di adeguare la loro struttura e funzionamento, dotandosi di specifiche competenze, mezzi, risorse umane e finanziarie per organizzare correttamente le funzioni loro assegnate. Il tutto in controtendenza rispetto alle dotazioni esistenti, di norma, non adeguate nei piccoli comuni, e certamente in contrasto con il fine che si era proposto il legislatore con la l. n. 160/2019, ovvero di accelerare la funzione di riscossione, concentrandola nell’accertamento.
7. L’inapplicabilità della riscossione frazionata ante e post decisum per agli avvisi di accertamento dei tributi locali: una scelta, dopo la l. n. 160/2019, incoerente ed inattuale (il quinto vulnus).
7.1 E veniamo all’ultima dirimente questione connessa agli avvisi di accertamento dei tributi locali legata alla perdurante “esclusione” degli stessi dalla riscossione frazionata sia ante, che post decisum che addirittura trova “conferma” nella scelta operata con la l. n. 160/2019, che stride, quindi, ancor di più per l’irragionevolezza della decisione e per gli effetti che vengono a determinarsi nell’ordinamento che renderebbero gli avvisi di accertamento degli enti locali un unicum, nonostante l’analoga natura dell’atto e del procedimento degli avvisi esecutivi emanati ai fini delle IIDD ed IVA ex art. 29, d.l. n. 78/2010 ed oggi, anche di quelli che saranno emessi, a decorrere dall’8.4.2024, per le “altre entrate e tributi riscuotibili a mezzo ruolo” amministrati dall’Agenzia delle Entrate, ex comb. disp. del cit. art. 29, comma 1, lett. h) ed art. 14 del d.lgs. n. 110/2024.
Per affrontare, in sintesi, la questione occorre partire dal fatto che l’ambito di operatività del ruolo è stato inevitabilmente ristretto dall’introduzione degli accertamenti esecutivi di cui all’art. 29, comma 1, d.l. n. 78/2010 (e per le entrate previdenziali con gli avvisi di addebito ex art. 30 d.l. n. 78/2010), ma non è stato, tuttavia, del tutto eliminato dall’ordinamento tanto che, come noto, residua, ad es., in materia di IIDD ed IVA per i casi di ri-liquidazione e controllo formale ex artt. 36-bis e 36-ter d.p.r. n. 600/1973, 54-bis d.p.r. n. 633/1972.
L’iscrizione a ruolo si intende a titolo definitivo o a titolo provvisorio, a seconda del tipo di atto da cui promana. Più esattamente, l’iscrizione a titolo definitivo consegue alla dichiarazione del contribuente (a seguito di liquidazione e controllo formale della stessa) o all’atto di accertamento o sanzionatorio che sia diventato definitivo, perché non impugnato o confermato con sentenza passata in giudicato, e si connota per un’acquisizione della somma pretesa in via tendenzialmente stabile (visto che il ruolo può pur sempre essere annullato), secondo la disciplina ordinaria. L’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio consegue, invece, ad un atto impositivo o sanzionatorio non definitivo e che si connota per un’intrinseca precarietà, con susseguenti conguagli/rimborsi a seconda della sorte dell’atto impositivo sottostante, ed ha una disciplina peculiare, circa i presupposti e i limiti di esercitabilità del potere di riscossione per i principali tributi e per le sanzioni, che avviene in parte o per intero per contemperare, in linea di principio, le istanze di tutela del contribuente, con l’interesse pubblico alla sollecita acquisizione delle pretese fiscali[26].
L’iscrizione è, infine, a titolo straordinario, nel caso di fondato pericolo per la riscossione, subordinatamente alla indicazione delle motivazioni che la riscossione possa rivelarsi infruttuosa ed inutilmente dispendiosa per l’Amministrazione[27]. Trattasi di una misura cautelare, di tipo eccezionale del credito erariale che esternalizza, come noto, l’interesse fiscale al recupero del tributo quando vi sono fondate ragioni di rischio della mancata attuazione di detto interesse.
7.2 Per le imposte sui redditi e l’IVA, in forza del rinvio esplicito contenuto all’art. 29, comma 1, lett. a) d.l. n. 78/2010, agli avvisi di accertamento esecutivi emessi dal 1.10.2011[28], si applicano espressamente le disposizioni sull’iscrizione provvisoria ante decisum (di 1/3) previste “all’art. 15 d.p.r. n. 602/1973” (IIDD) applicabile all’IVA in forza dell’art. 23 d.lgs. n. 46/1999; le imposte suppletive (registro e successioni e donazioni) sono, invece, provvisoriamente riscuotibili dopo la sentenza di secondo grado (art. 40, comma 2, d.lgs. n. 346/1990, art. 56, comma 1, d.p.r. n. 131/1986); per le sanzioni non si procede alla riscossione (cfr. art. 19, d.lgs. n. 472/1997) se non dopo la sentenza di primo grado; gli interessi seguono le sorti dei tributi cui accedono. Una volta impugnati, la riscossione di siffatti carichi seguirà le regole sulla riscossione frazionata in pendenza di processo dell’art. 68, d.lgs. n. 546/92 e l’Agenzia, come noto, è tenuta ad emettere, sulla base del deciso, avvisi rideterminativi (secondari), come è espressamente indicato al cit. art. 29, lett. a), d.l. n. 78/2010.
Per gli accertamenti sui tributi locali manca invece una disciplina ad hoc nei vari comparti che disponga una riscossione frazionata ante decisum ed anzi, persistono norme che, nonostante il trascorrere del tempo, determinano il dovere per l’ente dell’iscrizione a ruolo dei vari tributi (TARI, ICI/IMU) in via provvisoria per l’intero ammontare[29].
La Suprema Corte di Cassazione, nel tempo e in più occasioni, ha giustificato questa discrasia del sistema, sostenendo che l’iscrizione a titolo provvisorio in misura integrale dei tributi locali dovesse ritenersi doverosa “non residuando all’amministrazione alcuna discrezionalità in ordine all’an”. [30]
Tuttavia, siffatta interpretazione che, come si è osservato in dottrina, andrebbe al più riferita agli atti che si vengono a formare nell’ambito dell’esecuzione forzata civile dove occorre l’intervento di un giudice per formare il titolo esecutivo e fermo il fatto che, comunque, l’esecuzione avviene tenendo conto delle vicende processuali intermedie[31], appare certamente incoerente se applicata nell’ambito dell’esecuzione forzata tributaria, dove l’atto originario e quelli successivi che seguono la sorte dell’atto principale, vengono formati sempre dall’ente locale che, per i più svariati motivi, può incorrere in errore già nella determinazione dell’an, oltre che del quantum. Siffatta interpretazione, in ogni caso, si mostra e inadeguata alle attuali esigenze di tutela che devono assistere i contribuenti ed oggi più che mai, a fronte della così articolata ed incompiuta regolazione del comparto illustrata in questo scritto.
7.3 Resta il fatto che la mancanza di una disciplina sulla riscossione frazionata prima della definitività dell’accertamento (ante decisum) è stata ritenuta, di norma, causa ostativa al riconoscimento del diritto del ricorrente alla riscossione frazionata dei carichi indicati nell’accertamento, ove impugnato, in pendenza di giudizio, ex art. 68, d.lgs. n. 546/92. Il che, se così fosse, sarebbe tuttavia foriero di seri dubbi di costituzionalità, non potendosi davvero comprendere la ragione per cui gli avvisi di accertamento dei tributi locali dovrebbero ritenersi dotati di una sorta di vis presuntiva di legittimità nel loro originario importo, e restare “insensibili” alle vicende del processo e, quindi, all’esecutorietà delle sentenze tributarie, ottenute via via nei vari gradi di merito, e ciò fermo il caso straordinario del fondato pericolo per la riscossione che, come noto, legittima la riscossione integrale ed anticipata del dovuto pur se l’atto viene impugnato.
Questo ulteriore vulnus di tutela (il quinto), si noti, resta ed anzi “si amplifica”, dopo la l. n. 160/2019 e, quindi, per gli atti notificati a far data dal 1° gennaio 2020.
Ed infatti, se si esamina la lett. a) del comma 792 si rileva che la norma, pur mutuando lo stesso procedimento previsto dall’art. 29, d.l. n. 78/2010, indica che il contenuto degli avvisi esecutivi è riprodotto anche nei successivi atti da notificare al contribuente in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti ma, tuttavia, “limita” siffatti casi a quelli in cui la rideterminazione debba avvenire “in base agli avvisi di accertamento e ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, ai sensi del regolamento, se adottato dall’ente, relativo all'accertamento con adesione, di cui al D.lgs 19 giugno 1997, n. 218, e dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 472 del 1997, nonché in caso di definitività dell’atto impugnato”.
Il che significa che, per scelta esplicita del legislatore della l. n. 160/2019, non vanno emanati gli avvisi rideterminativi in base delle regole di cui all’art. 68, d.lgs. n. 546/92, ovvero alle regole della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, al netto delle sanzioni che andranno affidate in carico, dopo la sentenza di primo grado, giusto il rinvio contenuto nel cit. comma 792, lett. a), l. n. 160/2019 all’art. 19, d.lgs. n. 472/97, con la conseguenza che, decorso il termine (mobile) utile per la proposizione del ricorso, gli atti emessi acquistano efficacia di titolo esecutivo e dopo i 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, potrà essere avviata l’esecuzione forzata “a prescindere” dalle vicende del processo: l’ente impositore potrà quindi, provvedervi in proprio, oppure vi provvederà il concessionario locale, o quello nazionale, nei termini di prescrizione quinquennale dei carichi indicati nell’avviso di accertamento originario (primario ed ultimo).
Il che collide con il principio pacifico dell’efficacia esecutiva delle sentenze tributarie che, una volta impugnato l’atto, nelle more, possono aver annullato in tutto o in parte i carichi controversi e che, quindi, possono aver rideterminato (in parte qua) il carico originario in evidente contrasto con la ratio e funzione dell’iscrizione (o affidamento in carico) a titolo straordinario che, in quanto misura eccezionale, deve rimanere distinta dal caso dell’iscrizione o dell’affidamento in carico di tipo ordinario, a titolo provvisorio o definitivo. Ecco, allora - e per di più, “per scelta esplicita” del legislatore del 2019 - che viene a determinarsi questo grave ulteriore vulnus di tutela per il contribuente, ed altra evidente disparità di trattamento con il caso omologo degli accertamenti esecutivi dei tributi erariali[32].
7.4 Non è certo questa la sede per affrontare in modo approfondito la vicenda, ma lo è certamente per segnalare che andrebbe sollevata, allora, la questione di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 68, comma 1, d.lgs. n. 546/92, dell’art. 19 del d.lgs. n.46/99 modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 326/1999 e dell’art. 23 del d.lgs. 46/1999 - nonché per gli atti messi dal 1.1.2020, “del comma 792, lett. a, l. n. 160/2019 nella parte in cui non rinvia all’art. 68, comma 1, d.lgs. n. 546/92” - per il trattamento diseguale e per le differenti possibilità di tutela amministrativa (iscrizione provvisoria di 1/3 ex articolo 15 d.p.r. n. 602/73 ed integrale ex art. 15-bis, d.p.r. n. 602/73) e giudiziale (riscossione frazionata in pendenza di giudizio ex art. 68, comma 1, d.lgs. n. 546/92) tra tributi erariali (imposte dirette e IVA) e tributi locali[33].
Applicare ai tributi locali la riscossione integrale (a mezzo ruolo o affidamento in carico), sin dal decorso del termine di impugnazione parifica, invero, irragionevolmente e ingiustificatamente, la situazione del contribuente che riceve l’atto di accertamento o cartella per “fondato pericolo della riscossione” che è situazione eccezionale e speciale che richiede l’adozione del ruolo (motivato) “straordinario” (ex articolo 15-bis d.p.r. n. 602/73) - o affidamento in carico integrale, prima della scadenza dei termini di cui alle lett. b) e c) ex art. 1, comma 792, lett. d), l. n. 160/2019 - e differenzia due situazioni uguali nella fase ante decisum - un debito per tributi erariali e un debito di tributi locali di pari ammontare - negando ai secondi la riscossione provvisoria in via parziale, in assenza di una ragionevole giustificazione del diverso trattamento ad essi riservato sul piano della riscossione.
Escludere, inoltre la tutela della riscossione frazionata in pendenza di giudizio ai tributi locali e concederla, invece, solo ai tributi erariali discrimina, del pari, irragionevolmente, situazioni uguali nella fase post decisum, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Ed infatti, gli artt. 68, comma 1, del d.lgs. n. 546/92 e 19 e 23 del d.lgs. n. 46/1999 - ed “art. 1, comma 792, lett a) e lett. d), l. n. 160/2019” - trattano ugualmente situazioni differenti (ruolo/affidamento ordinario per i tributi locali, e ruolo/affidamento straordinario per i casi di fondato pericolo della riscossione) e trattano diversamente due ipotesi uguali (debito per tributo locale e debito per tributi erariale).
Ancor più irragionevole appare la (eventuale) salvaguardia che si prospetta come soluzione del ricorrente (o appellante) della “sospensione giudiziale” nelle more concessa dalla Corte tributaria non già e solo per i rigidi presupposti per richiederla (artt. 47, 52 o 62-bis del d.lgs. n. 546/92) ma, soprattutto, per i tempi della fissazione delle udienze che non sono standardizzati e variano a seconda del luogo delle Corti tributarie e che, pur se veloci, non lo sarebbero mai tanto da evitare il pregiudizio incombente sul contribuente/istante decorsi (soli) 60 giorni dalla scadenza del termine per impugnare l’accertamento, o dalla scadenza del termine di impugnazione delle sentenze.
7.5 In alternativa, dovrebbe prospettarsi, ancora una volta, un’altra lettura adeguatrice delle norme esistenti (la sesta) per arrivare (almeno) all’interpretazione costituzionalmente orientata di quelle vigenti ratione temporis per concludere che:
a) per gli atti emessi dal 1.1.2007 fino al 31.12.2019 la vigenza (esplicita) dell’articolo 1, comma 163, l. n. 296/2006 vada letta, ratione temporis, con gli artt. 17, 19 e 23 del d.lgs. n. 46/1999, artt. 15 e 15-bis del d.p.r. n. 602/73 e 68 d.lgs. n. 546/92, per collegare inevitabilmente l’avvio della riscossione (integrale) dei tributi locali “alla definitività dell’accertamento” (per mancata impugnazione o nei limiti del deciso giudizialmente in via definitiva); termine che, specularmente, porta ad individuare il dies a quo della decorrenza del termine di decadenza dell’ente impositore per mettere in riscossione il dovuto, una volta notificato l’accertamento, a mezzo ruolo (e cartella) o ingiunzione “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è diventato definitivo” (ex art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, da intendersi vigente fino al 31.12.2019);
b) per gli atti emessi dal 1.1.2020, invece, l’art. 1, comma 792, lett. a) e l’implicito superamento del termine di cui art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, vadano letti con gli artt. 17, 19 e 23 del d.lgs. n. 46/1999, artt. 15, 15-bis del d.p.r. n. 602/73, art. 68 d.lgs. n. 546/92 e l’art. 1, comma 792, lett. h), l. n. 160/2019 per collegare, identicamente, l’avvio della riscossione integrale dei tributi locali “come dies a quo” - pur dopo che l’atto “esecutivo” è stato emesso ed affidato in carico per la riscossione (forzata) all’ente o al concessionario nazionale o a quello abilitato - “alla definitività dell’accertamento” per mancata impugnazione, o “nei limiti del deciso in via definitiva (in toto o parte) nel processo” se l’atto è stato impugnato, fermo l’affidamento in carico delle sanzioni solo dopo il primo grado ex art. 19, d.lgs. n. 472/97.
Se così non fosse, il contribuente, una volta ricevuto l’atto esecutivo dal 1° gennaio 2020 - nonostante l’unitarietà del mezzo e del metodo di procedimento stabilito per i tributi erariali e locali e la doverosa uniformità di regole ad essi applicabili - dovrebbe pagare e subire l’esecuzione, per intero, del tributo locale in origine accertato - non potendo godere dell’iscrizione frazionata, nè ante decisum, né in caso di giudizio, post decisum - decorso (solo) il termine di sospensione legale di 120 giorni (se l’Ente riscuote in proprio) o di 180 giorni (se l’ente riscuote a mezzo concessionario), pur sempre in mancanza di una norma espressa, o ragionevole principio che possa giustificare una riscossione integrale dei tributi locali nei casi diversi (per ratio e funzione) da quelli di motivato fondato pericolo per la riscossione; e ciò, peraltro, in aperta violazione/contraddizione con quanto espressamente prescrive, l’art. 1, comma 792, lett. d), che regola e, quindi, distingue i casi “di fondato pericolo della riscossione” per i tributi locali, in via speculare all’art. 29, comma 1, lett. c), del d.l. n. 78/2010 (per i tributi erariali)[34].
7.6 Per completezza, resta il problema connesso al caso in cui l’attività dell’ente locale dovesse portare ad emanare dopo la l. n. 160/2019 un’ “avviso di liquidazione” e/o un “avviso di accertamento (non esecutivo)” dal 1.1.2020 nei casi di riliquidazione o controllo meramente formale (di tipo automatizzato o sostanzialmente automatizzato); avviso che quanto a natura ed effetti, per quanto si è illustrato in precedenza, è a ritenersi diverso da quello da emanare “ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 792, lett. a), l. n. 160/2019” che riguarda i soli casi di accertamento di tipo sostanziale (non automatizzato né stanzialmente automatizzato).
Ebbene, se occorre cercare l’atto da emettersi a conclusione del controllo di tipo liquidatorio/formale, analogamente a quello che accade ai sensi e per gli effetti degli artt. 36-bis o 36-ter d.p.r.. n. 600/73 e 54-bis, d.p.r. n. 633/72, secondo un’interpretazione adeguatrice alle norme esistenti, come supra si è riferito, deve concludersi che “rivive” il sistema di riscossione ordinario per cui l’ente non sarà tenuto ad emettere un “avviso di accertamento” per affidare in carico la somma, ma procedere, per quanto supra illustrato, direttamente all’iscrizione a ruolo - se si affida ad ADER - o con l’ingiunzione rafforzata a conclusione del controllo, oppure potrà emanare e notificare un atto (avviso) che potrà denominare “di liquidazione” o di “accertamento” ma che non può ritenersi idoneo ad essere esecutivo “ex art. 1, comma 792, l. n. 160/2019”.
A questo punto, se l’atto formato o emesso (ruolo e cartella, o ingiunzione, oppure avviso di liquidazione, pur se denominato avviso di accertamento) non è impugnato, sorgerà il diritto alla riscossione integrale (questa volta a titolo definitivo) ma sempre dalla data in cui l’atto è diventato definitivo (per mancata impugnazione) ex art. 1, comma 163, l. n. 296/2006.Se l’atto emesso a conclusione del procedimento invece, è impugnato, il termine per procedere alla riscossione coattiva dovrebbe decorrere, come dies a quo, sempre dalla definitività dell’atto notificato (cartella, ingiunzione o avviso di liquidazione/accertamento) che si è venuta nelle more a determinare (in toto o parte) in giudizio. In tutti i casi, resteranno fermi, i presupposti che legittimano l’eventuale riscossione integrale del carico formato in caso di fondato pericolo, purchè debitamente motivato.
Ne segue che, anche nei casi di controlli di tipo formale, non si vede perché non dovrebbe ritenersi applicabile, sempre e comunque, post decisum, l’art. 68 d.lgs. n. 546/92 che non a caso, ex lege, va applicato “anche in deroga alle singole leggi d’imposta”, a prescindere, quindi, dalla natura e/o titolo dell’iscrizione e/o dall’affidamento del dovuto (provvisorio o definitivo) con obbligo, quindi, di tener conto dell’efficacia esecutiva delle sentenze nelle more depositate, per le ragioni supra indicate, come, da tempo, è sostenuto in dottrina e come stabilito, anche se per altri comparti e per altri tributi, anche dalla giurisprudenza di legittimità[35].
Si segnala, al riguardo, che un utile sostegno alle conclusioni supra indicate può rinvenirsi nella recente sentenza n. 6058 del 28 febbraio 2023 in cui la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto che può, pacificamente, estendersi ai tributi locali, ovvero che: “La riscossione frazionata dei tributi in pendenza del processo, prevista dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, presuppone che sia intervenuta una sentenza non definitiva ed è possibile anche se non consentita dalle singole leggi di imposta, in quanto la norma, per la collocazione all’interno del capo VI) ed il tenore della rubrica, disciplina in modo esaustivo l’esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie, con la conseguenza che il divieto di riscossione frazionata, previsto dalla normativa di settore, opera soltanto fino al momento della pronuncia” (Cass. n. 7831 del 2010).
7.7 La conclusione che si può trarre dalle articolate riflessioni di questo scritto, inevitabili per una lettura ragionata delle norme, che mi portano comunque a ringraziare chi ha avuto la pazienza di seguirla, è che i tanti dubbi ed incerte applicazioni avrebbero richiesto, da tempo, una revisione generale e lineare del sistema di accertamento e di riscossione dei tributi locali e che questa necessità è stata avvertita dal legislatore della recente legge delega (n. 111/2023) che accanto ai principi direttivi generali di “incrementare l’efficienza dei sistemi della riscossione, nazionale e locali, e semplificarli, orientandone l’attività secondo i princìpi di efficacia, economicità e imparzialità e verso obiettivi di risultato, e potenziare l’attività di riscossione coattiva dell’agente della riscossione”, ha indicato “l’obiettivo specifico (art. 14) della “revisione del sistema della riscossione delle entrate degli enti locali anche attraverso forme di cooperazione tra lo Stato e gli enti locali” [36].
Il risultato, ad oggi, è che nulla è stato attuato di queste previsioni, e che occorre procedere, quindi, al più presto, ad una riscrittura lineare delle norme vigenti la cui interpretazione non può essere lasciata “a più soluzioni”, come si registra, invece, allo stato; incertezze, che non fanno che arrecare gravi danni e generare correlate responsabilità in capo a tutti coloro che agiscono in questo comparto e, quindi, in definitiva, sui contribuenti, sugli enti locali, sui difensori e, ovviamente sui Giudici, chiamati a valutare - in questo complesso e così ambiguo scenario - gli obblighi ed i diritti controversi.
[1] Ai sensi del comma 162, gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio “devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Gli avvisi devono contenere, altresì, l’indicazione dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato, del responsabile del procedimento, dell’organo o dell’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela, delle modalità, del termine e dell’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, nonché il termine di sessanta giorni entro cui effettuare il relativo pagamento. Gli avvisi sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo”.
[2] Tra le tante norme che si sono succedute nel tempo, valga indicare che con il d.lgs. n. 446/1997 (art. 52, comma 6) il legislatore ha riconosciuto alle province e ai comuni la facoltà di disciplinare con proprio regolamento la riscossione di tutte le loro entrate (tributarie e non), potendosi avvalere del ruolo, ai sensi del d.p.r. n. 602/1973 qualora la riscossione avvenisse a mezzo agente della riscossione, oppure dell’ingiunzione fiscale, ai sensi del r.d. n. 639/1910, qualora la riscossione avvenisse direttamente, ovvero qualora affidata ai soggetti di cui all’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 446/1997, od altri soggetti concessionari iscritti all’albo e, quindi, qualificati. Con il successivo d.lgs. n. 46/1999, il legislatore ha mantenuto (art. 17) l’obbligatorietà della riscossione a mezzo ruolo per tutte le entrate tributarie dello Stato ed ha previsto la facoltà per regioni, province, comuni e altri enti locali di scegliere tra la procedura a mezzo ruolo e quella a mezzo ingiunzione fiscale di cui al r.d. n. 639/1910. In specie, l’art. 3 d.lgs. n. 46/1999 ha riscritto l’art. 11 d.p.r. n. 602/73 prevedendo la soppressione della distinzione tra ruoli principali e suppletivi e l’introduzione della distinzione tra i soli ruoli ordinari (sia per le denunce regolari che per denunce incomplete/infedeli e omesse) e ruoli straordinari nel caso di fondato pericolo per la riscossione. Con il d.l. n. 209/2002 (comma 2-sexies dell’art. 4, convertito in l. n. 265/2002) il legislatore ha nuovamente concesso agli enti locali la possibilità di emettere l’ingiunzione per la riscossione ordinaria, ma, quanto alla riscossione coattiva, li ha obbligati ad avvalersi della procedura (del ruolo) di cui al titolo II del d.p.r. n. 602/1973. Nel 2007 il legislatore dapprima ha abrogato l’art. 52, comma 6, del d.lgs. n. 446/1997 con l’art. 1, comma 224, lett. b), l. n. 244/2007 (sopprimendo, pertanto, il ricorso all’ingiunzione) e poi ha nuovamente stabilito, con l’art. 36, comma 2, d.l. n. 248/2007 che la riscossione per gli enti locali potesse avvenire: a mezzo ingiunzione, quale titolo esecutivo, ma secondo la procedura del ruolo prevista dal titolo II del d.p.r. n. 602/1973, se svolta in proprio dall’ente locale, ovvero affidata ai soggetti abilitati di cui all’art. 52, c. 5, d.lgs. n. 446/1997, oppure a mezzo ruolo secondo la procedura di cui al d.p.r. n. 602/1973, nel caso di affidamento all’agente della riscossione nazionale. Con il d.l. n. 70/2011 convertito in l. n. 106/2011 il legislatore ha soppresso l’attività di riscossione in capo ad Equitalia S.p.A. e la riscossione coattiva dei tributi locali ha potuto proseguire esclusivamente a mezzo ingiunzione secondo la procedura prevista dal titolo II del d.p.r. n. 602/1973. Con la legge di conversione del cit. d.l. n. 70/2011 (l. n. 106/2011), all’art. 7, comma 2, è stata inserita la lett. gg-quater, per “rafforzare” l’ingiunzione fiscale, equiparandola alla cartella di pagamento e, quindi, come questa, una volta notificata, per dare il via a tutte le procedure di espropriazione previste dal titolo II del d.p.r. n. 602/1973 gestite da Equitalia S.p.A. e, di poi, da ADER.
[3] La Corte di Cassazione ha confermato (ordinanza n. 22710 del 28 settembre 2017) che l’articolo 36 comma 2 del d.l. n. 248/2007 “non è mai stato abrogato, in quanto i meccanismi del rinvio normativo ne hanno impedito la scomparsa; alla cit. norma ha fatto seguito l’entrata in vigore dell’art. 7, DL 70/2011 lettere dalla gg- ter alla gg- sexies, avvenuta il 1° Luglio 2017”. Se poi circoscriviamo l’indagine alle norme sulla riscossione a mezzo ingiunzione dei comuni, attualmente ne troviamo diverse che si sovrappongono, ma nessuna di queste esclude l’altra: così in specie, il d.l. n. 209/2002 art. 4; d.l. n. 249/2007, art. 36 comma 2; d.l. n. 70/2011 art. 7, comma 2, lettera gg-quater.
[4] Come noto, si deve alla Corte costituzionale la rilevanza, ai fini decadenziali, della notifica al destinatario rispetto ai termini riferibili alle fasi interne della riscossione (quali la formazione o consegna dei ruoli al concessionario) e, tra queste, quelle indicate all’art. 72, d.lgs. n. 507/93 o all’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, giacché, secondo la nota sentenza n. 280/2005 della C.C. “è totalmente inefficace il termine decadenziale privo di un dies a quo” che non può essere indeterminato, poiché ciò esporrebbe il contribuente ad una situazione di assoggettamento indeterminato – e quindi illegittimo – all’attività di riscossione”.
[5] Ai sensi della lett. l) del cit. comma 792 “ai fini della procedura di riscossione contemplata dal presente comma, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo, alla cartella di pagamento e all'ingiunzione di cui al RD 639/1910 si intendono effettuati agli atti indicati nella lettera a)”.
[6] Ai sensi della lett. c) del cit. comma 792 “la sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione. Il soggetto legittimato alla riscossione forzata informa con raccomandata semplice o posta elettronica il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione”. Ai sensi della successiva lett. d) del comma 792 “in presenza di fondato pericolo, debitamente motivato e portato a conoscenza del contribuente, per il positivo esito della riscossione, decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui alla lettera a), la riscossione delle somme in essi indicate, nel loro ammontare integrale comprensivo di interessi e sanzioni, può essere affidata in carico ai soggetti legittimati alla riscossione forzata anche prima del termine previsto dalle lettere a) e b). Nell'ipotesi di cui alla presente lettera, e ove il soggetto legittimato alla riscossione forzata, successivamente all'affidamento in carico degli atti di cui alla lettera a), venga a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione, non opera la sospensione di cui alla lettera c) e non deve essere inviata l'informativa di cui alla medesima lettera c)”.
[7] Come chiarito, di recente, dal Dipartimento delle Finanze del MEF (in risposta ad alcuni quesiti a Telefisco 2022), il sollecito di pagamento deve essere emesso dai soggetti che emettono l’avviso di accertamento, prima che il carico sia affidato al soggetto che effettua l’esecuzione forzata. Il MEF arriva a questa indicazione osservando che il comma 785 dell’art. 1, l. n. 160/2019, in forza del quale “in caso di affidamento, da parte degli enti, dell’attività di riscossione delle proprie entrate all’agente della riscossione, si applicano esclusivamente le disposizioni di cui al comma 792” non richiama anche il comma 795 per cui siffatto comma non sarebbe applicabile all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Si evidenzia che tale approdo sarebbe confermato dalla analisi del comma 795 alla luce di quanto disposto dalla lettera b) del comma 792 ovvero che l’atto di accertamento esecutivo emesso dagli enti e dai soggetti affidatari di cui all’art. 52, comma 5, lett. b), d.lgs. n. 446/1997 acquista efficacia di titolo esecutivo, decorso il termine utile per la proposizione del ricorso, ovvero decorsi 60 giorni dalla notifica dell’atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali, e che “decorso il termine di trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste è affidata in carico al soggetto legittimato alla riscossione forzata”. Secondo il MEF, il sollecito di pagamento va allora emesso allora prima che il carico sia affidato al soggetto che effettua l’esecuzione forzata e quindi, dall’ente impositore o concessionari abilitati, deve ritenersi, ma non da ADER. Il Dipartimento ha indicato nella risposta altresì che il sollecito di pagamento ex art. 1, comma 795 debba essere inviato anche per gli importi fino a 1.000 euro (in quanto contenuti nel limite di 10.000) per i quali era già previsto l’invio di un sollecito di pagamento ex art. 1, comma 544, l. n. 228/2012, ma con modalità tracciabili e, quindi, non per posta ordinaria ed deroga, quindi, al cit. art. 1, comma 544, l. n. 228/2012 che per il recupero di importi fino a 1.000 euro indica che il termine di centoventi giorni di sospensione legale è ridotto a sessanta.
[8] Il debitore potrà richiedere la rateizzazione del pagamento a fronte di una temporanea carenza di liquidità o difficoltà finanziaria ex art. 19, d.p.r. n. 602/73 modificato, di recente, dal comma 3, art. 13 del d.lgs., n. 110/2024. In tal caso le misure cautelari o esecutive non potranno azionarsi fin quando la richiesta non venga respinta, o il contribuente non decada dal beneficio concesso, secondo diverse regole da applicarsi per debiti fino, oppure oltre i 120 mila euro, per i mancati pagamenti delle rate accordate.
[9] Se la dichiarazione è relativa ai fabbricati indicati nel comma 4 dell’art. 5, il Comune trasmette copia della dichiarazione all’ufficio tecnico erariale competente il quale, entro un anno, provvede alla attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al Comune; entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, l’ente provvede, sulla base della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli interessi nella misura indicata nel comma 5 dell’art. 14, ovvero dispone il rimborso delle somme versate in eccedenza, maggiorate degli interessi computati nella predetta misura; se la rendita attribuita supera di oltre il 30% quella dichiarata, la maggiore imposta dovuta è maggiorata del 20%.
[10] Cfr., anche Cass., 8 marzo 2019, n. 6842; Cass. 15 gennaio 2020, n. 554; Cass. 13 gennaio 2021, n. 352; Cass. 24 marzo 2021, nn. 8197 e 8199; Cass. 16 giugno 2021, nn. 17036 e 17037, Cass. 20 maggio 2022, n. 16467; Cass. 23 maggio 2024, n. 14519.
[11] Come noto, una volta presentata, la dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta. Fanno eccezione i casi di dichiarazione IMU per gli enti non commerciali, per i quali è stato introdotto l’obbligo annuale dall’art. 1, comma 770, l. n. 160/2019. Da segnalare che, solo per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012 (quando è stata introdotta l’IMU, in sostituzione dell’ICI), la dichiarazione andava presentata entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione del modello di dichiarazione (art. 13, comma 12-ter, d.l. n. 201/2011, come modificato dal d.l. n. 35/2013, art. 10), per cui il primo dei 5 anni è risultato coincidente in entrambi i casi (cfr. Cass. 11 giugno 2024 n. 16230).
[12] Ai sensi del cit. art. 1, comma 3-bis, l. n. 212/2000, dopo la revisione operata con il d.lgs. n. 219/2023, “le amministrazioni statali osservano le disposizioni della presente legge concernenti la garanzia del contradditorio e dell'accesso alla documentazione amministrativa tributaria, la tutela dell'affidamento, il divieto del bis in idem, il principio di proporzionalità e l'autotutela. Le medesime disposizioni valgono come principi per le regioni e per gli enti locali che provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti nel rispetto delle relative autonomie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni della presente legge, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione”. Ai sensi del successivo comma 3-ter, “Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dalle disposizioni di cui al comma 3-bis, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela”.
[13] M. D’Alonzo, “La “conclusione del controllo” fiscale come “accertamento”: dell’adempimento o dell’inadempimento dell’obbligo tributario”, in Dir. prat. trib., n. 6/2023, p. 2120 e ss.
[14] Nella sentenza n. 1503 del 27 gennaio 2016, la Suprema Corte ha indicato il seguente principio: “… in tema di riscossione coattiva della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani …, il termine di decadenza è quello fissato dalla legge finanziaria di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 163 e 171 applicabile dal 1/1/2007 a tutti i rapporti pendenti, per cui in caso di riscossione coattiva di tributi locali il termine di decadenza è quello del 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo. Tuttavia, nel caso specifico non si applica la suddetta norma, la quale ha disciplinato e modificato solo l’ipotesi della riscossione coattiva di tributi locali, e ciò in quanto il Comune … decidendo di avvalersi del sistema di riscossione tramite ruolo deve sottostare al più breve termine annuale di cui al D.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72 secondo cui la formazione e la notifica del ruolo debbono aver luogo entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo. Parte ricorrente erroneamente afferma l’implicita abrogazione del D.lgs. n. 507 del 1993, art. 72 per effetto della legislazione sopravvenuta che riguarda invece una ipotesi di riscossione diversa dal ruolo. Il Comune …, quindi, avendo scelto il sistema di riscossione tramite ruolo deve anche applicare il termine annuale di decadenza espressamente previsto per tale modalità di riscossione, e non può dunque invocare il diverso e più lungo termine di decadenza triennale previsto dalla Legge Finanziaria n. 269 del 2006 per la riscossione coattiva di tributi locali a mezzo di titolo esecutivo”.
[15] Come affermato, di norma, nel caso omologo di cartella emessa a seguito di controllo operato ex artt. 36-bis e 36-ter d.p.r. n. 600/73. Si rinvia, in specie, a Cass. sent. n. 5981 del 06.03.2024 secondo cui: “Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all'iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento all' art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, se non “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (cfr. Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344 ; Cass., 9 gennaio 2019, n. 376 ; Cass., 17 febbraio 2015, n. 3154 ; Cass., 3 gennaio 2014, n. 42; Cass., 23 luglio 2010, n. 17396). Più in particolare, secondo la Corte “è stato precisato, che nel primo caso, di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal terzo comma dell'art. 36 bis d.P.R. n. 600/73, “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un'imposta o una maggiore imposta”, il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. …”. La Suprema Corte prosegue ed afferma che “Dunque, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l'ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 , l'obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. Cass., 20 settembre 2017, n. 21804)”. Cfr. sul punto anche Cass. sent. n. 26508 del 30.09.2021; Cass., ord. n. 8934 del 17.04.2014; Cass. sent. n. 26330 del 16.12.2009.
[16] Secondo la giurisprudenza (Ord. Sez. 5 n. 21810 del 2022) per quanto più specificatamente attiene ai tributi locali, con i commi 161 e 163 dell’art. 1, l. n. 296/2006 il legislatore ha provveduto a dettare per i suddetti tributi un termine unitario di decadenza, sia per l’esercizio dell’attività di accertamento, sia per la notifica del primo atto di riscossione avendoli, poi, la Corte, a partire dalla sentenza n. 4283 del 2010 ricondotti nell’alveo delle prestazioni periodiche collegate ad una causa debendi continuativa, per le quali opera il termine breve quinquennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2948, n. 4, c.c. Una volta intervenuta la notifica della cartella di pagamento o dell’ingiunzione fiscale (dopo la notifica dell’avviso di accertamento), secondo quanto prescritto dall’art. 1, comma 163, l. n. 296/2006, “non vi è ulteriore previsione di termini decadenziali. Opera, dunque, il termine di prescrizione, rilevandosi che quanto ai tributi locali non vi è nessuna previsione normativa sulla sua durata assumendo all’uopo rilievo la richiamata pronuncia di questa Corte e l'univoco orientamento giurisprudenziale che ne è seguito (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 13683 del 2020 Rv. 658525 - 01) secondo cui per quanto riguarda la prescrizione del credito relativo ai tributi locali, l'articolo di riferimento è l'art. 2948 c.c. secondo cui essi devono essere riscossi nel termine breve di cinque anni dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell'ultimo atto interruttivo tempestivamente notificato al contribuente. L'applicazione di tale disciplina si fonda sulla natura periodica di tali tributi„ trovando essa un limite nel caso in cui il credito erariale non sia stata accertato con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo (ex plurimis Cass. n. 9076 del 2017)”.
[17] Così definiti da C. GLENDI, Notifica degli atti “impoesattivi” e tutela cautelare ad essi collegata, in La concentrazione della riscossione nell’accertamento, a cura di C. GLENDI – V. UCKMAR, Padova, 2011, p. 3 ss. Per le prime riflessioni e dottrina dell’epoca, si consenta di rinviare a P. COPPOLA, La concentrazione della riscossione nell'accertamento: una riforma dagli incerti profili di ragionevolezza e coerenza interna, in Rass. trib., 6/2011, p. 1421-1443, nonché, La riscossione coattiva degli enti locali: il punto della situazione nei casi di accertamenti definitivi, in Inn. e dir., n. 3/2016, pag. 1-19. Sulla natura di titolo esecutivo dell’accertamento impoesattivo, tra i tanti contributi, si rinvia a: A. CARINCI, La concentrazione della riscossione nell’accertamento in V. UCKMAR - C. GLENDI, op. cit., pag. 45 e ss.; M. MICCINESI, L’esecutività dell’accertamento: rilevanza sistematica ed impatto sul sistema, in V. UCKMAR - C. GLENDI, op. cit., pag. 65 e ss. Di contrario avviso, S. LA ROSA, Riparto delle competenze e “concentrazione” degli atti, in V. UCKMAR - C. GLENDI, op cit. pag. 73 e ss.; così anche M. BRUZZONE, Per gli atti impoesattivi l’intimazione di pagamento ha valenza di titolo esecutivo, in Corr. trib. 2014, pag. 1029, nonché F. TUNDO, L’avviso di accertamento come titolo esecutivo e precetto, in Corr. trib. n. 33/2011, pag. 2672 e ss.; M.A. ICOLARI, La nuova organizzazione della riscossione dei tributi nell’ordinamento giuridico nazionale, in La riscossione dei tributi, Milano, Giuffrè Editore, 2011, pag. 3 e ss.; S. CANNIZZARO, “Concentrazione” della riscossione nell’accertamento: le ricadute sul sistema, in AA.VV., La riscossione dei tributi, Quaderni della rivista di diritto tributario, Milano 2011, pag. 65 ss.; C. ATTARDI, Accertamento esecutivo e superamento del ruolo: profili sistematici, in Il fisco, 2010, pag. 6323 e ss.
[18] Di estremo interesse per gli enti locali sono anche i successivi commi 1-bis del cit. art. 7 per il quale “I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell'atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l'adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze”; 1-ter ai sensi del quale “Gli atti della riscossione che costituiscono il primo atto con il quale è comunicata una pretesa per tributi, interessi, sanzioni o accessori, indicano, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criterio di determinazione, l'imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione per la relativa quantificazione”; nonché 1-quater ai sensi del quale “Le disposizioni del comma 1-ter si applicano altresì agli atti della riscossione emessi nei confronti dei coobbligati solidali, paritetici e dipendenti, fermo l’obbligo di autonoma notificazione della cartella di pagamento nei loro confronti”.
[19] Tale avviso perde efficacia trascorso un anno dalla data della sua notifica, a differenza del precetto nell’esecuzione forzata ordinaria (che si rende inefficace nel termine di novanta giorni ex art. 481 c.p.c.).
[20] La giurisprudenza di legittimità sui tributi locali è concorde nel ritenere applicabile il termine unico di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., sia per il tributo, che per le sanzioni ed interessi, salvo il termine decennale ex art. 2953 c.c. nel caso in cui l’esecuzione si fondi su sentenza passata in giudicato. Non c’è orientamento univoco, invece, sui tributi erariali dopo l’accertamento esecutivo, nel senso che non si dubita sul termine applicabile per l’avvio dell’esecuzione forzata da ritenersi decennale, mentre per gli interessi e sanzioni il termine di prescrizione si ritiene, di norma, quinquennale (ex pluribus, Cass. sent. n. 13781/2023 e sent. n. 2095/2023, pur se non mancano precedenti di segno contrario ad es., Cass. ord. n. 10547/2019).
[21] Il caso si presenta quando viene concessa una durata della rateazione inferiore a quella richiesta dal contribuente.
[22] Ad esempio, per le omesse dichiarazioni TARI relative alle utenze domestiche e non domestiche laddove la determinazione della base imponibile è prontamente ottenibile dall’incrocio con i dati catastali.
[23] All’art. 9 - Nullità degli atti dell’amministrazione comunale, come riferito nella cit. proposta di modifica del Regolamento va indicato, (comma 1) “Ai sensi dell’articolo 7-ter, legge 27 luglio 2000, n. 212, gli atti dell’amministrazione comunale sono nulli se viziati per difetto assoluto di attribuzione, adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219”; (comma 2) “I vizi di nullità di cui al presente articolo possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito”.
[24] Deve aggiungersi che, sebbene in linea di principio possa giustificarsi un termine più breve di decadenza quando il controllo è operato su dati ed elementi in possesso dell’ente impositore rimasti invariati per l’automatismo che ha generato la decisione, i termini di decadenza che risulterebbero applicabili alla TARI (annuale, ex art. 72, comma 1, nella parte non abrogata) e quelli che risulterebbero applicabili all’IMU ed altri tributi locali (triennale, ex art. 1, comma 163, l. n. 269/2006), non si mostrano coerenti con i termini stabiliti nelle analoghe procedure di controllo di tipo automatizzato delle entrate erariali (ex artt. 36-bis e 36-ter d.p.r. n. 600/73 e dall’art. 25 del d.p.r. n. 602/73 ai fini della successiva riscossione coattiva) e, comunque, rischiano di paralizzare l’attività degli enti non adeguatamente strutturati ed alimentare il rischio di generare un elevato contenzioso.
[25] Anche l’accertamento “parziale” ai fini delle IIDD ed IVA di cui agli artt. 41 bis, d.p.r. n. 600/73 e 54, comma 5, d.p.r. n. 633/73, escluso dal contraddittorio generalizzato di cui all’art. 6-bis, l. n. 212/2000, andrebbe infatti attentamente valutata, dagli Uffici nel formarlo, e dai Giudici del merito ai fini della sua legittimità, senza “sorvolare” sull’eccezione formulata in sede di impugnazione (dell’atto o sentenze) come spesso invece accade, posto che, come tante volte è stato stabilito in sede di legittimità, l’accertamento può essere parziale (e non globale ed unitario) - e può quindi giustificare, in linea di principio, un diverso trattamento ai fini del rispetto dell’obbligo del previo contraddittorio ed oggi, quindi, il mancato invio, a pena di annullabilità, dello schema d’atto (ex comma 3 dell’art. 6-bis, l. 212/2000) - solo quando dall’istruttoria emerge - direttamente, e senza necessità di ulteriori valutazioni - l’esistenza di un determinato “componente attivo o passivo di reddito” (e/o una rettifica dell’IVA) in capo al soggetto sottoposto a controllo. L’essenza di un accertamento parziale sta, infatti, nella sostanziale coincidenza tra il contenuto dell’atto di accertamento ed il contenuto degli elementi emersi da una segnalazione (di altri uffici) sulla quale il parziale si fonda, che devono possedere, per di più, un grado di compiutezza tale da determinare, come afferma la Suprema Corte, un “automatismo argomentativo” (cfr. Cass. sent. nn. 2633/2016; 27323/2014; 18065/2010 e, più di recente, ord. n. 12854/2022 e n. 771/2022).
[26] In sintesi, in pendenza del ricorso di primo grado: per le imposte sui redditi e per l’IVA si procede all’iscrizione a ruolo di un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati (cfr. art. 15 d.p.r. n. 602/1973, applicabile all’IVA in forza dell’art. 23 d.lgs. n. 46/1999); per le imposte indirette sui trasferimenti si procede all’iscrizione a ruolo di un terzo delle imposte complementari (cfr. art. 40, comma 2, d.lgs. n. 346/1990, ma anche art. 56 d.p.r. n. 131/1986, che però si riferisce alle imposte complementari conseguenti ad accertamenti di maggior valore), mentre le imposte principali sono iscritte a ruolo per l’intero sia pure a titolo provvisorio; per le sanzioni, non si procede alla riscossione (cfr. art. 19 d.lgs. n. 472/1997) se non dopo la sentenza di primo grado. Dopo la sentenza di primo grado, la riscossione provvisoria è disciplinata, in via unitaria (cfr. art. 68 d.lgs. n. 546/1992, come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. ff, d.lgs. n. 156/2015, applicabile anche alle sanzioni in forza dell’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997), nella misura: dei due terzi dopo la sentenza della Corte tributaria di I grado che respinge il ricorso; dell’ammontare risultante dalla sentenza della Corte tributaria di I grado, e comunque non oltre i due terzi, se quest’ultima è di accoglimento parziale del ricorso; del residuo ammontare determinato nella sentenza della Corte tributaria di II grado; dell’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio.
[27] È pacifico che il fondato pericolo debba essere motivato con l’indicazione delle ragioni del rischio della mancata riscossione ed anche in modo succinto se viene emessa direttamente la cartella di pagamento ai sensi dell’art. 15-bis, d.p.r. n. 600/73. Nella recente ord. n. 6207 dell’1.03.2023, la Suprema Corte ha ribadito che in assenza dell’indicazione dei presupposti per la formazione del ruolo straordinario, il contribuente sarebbe impossibilitato a contestarne la legittimità, dovendo impugnare sostanzialmente “al buio” la cartella di pagamento e attendere che l’Amministrazione chiarisca e giustifichi, solo in sede contenziosa, l’esercizio del proprio potere (in termini, anche Cass. sent. n. 22306/2021).
[28] Ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. g), infatti: “ai fini della procedura di riscossione contemplata dal presente comma, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla e cartella di pagamento si intendono effettuati agli atti indicati nella lettera a) (avvisi esecutivi) ed i riferimenti alle somme iscritte a ruolo si intendono effettuati alle somme affidate agli agenti della riscossione secondo le disposizioni del presente comma”.
[29] Secondo la Corte di Cassazione, sent. n. 33581 del 2019, ad esempio, in tema di TARSU: “il D.lgs. n. 507 del 1993 art. 72, non include tra le disposizioni richiamate del D.P.R. n. 602 del 1973, quella contenuta nell'art. 15, relativa alla misura delle iscrizioni a ruolo in caso di accertamenti non definitivi, da cui l'immediata iscrizione integrale a ruolo (v. sul punto Cass. n. 753 del 19/01/2010; v. anche Cass. n. 440 del 11/01/2018 Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/01/2017) 11/01/2018, n. 440 quanto alla collegata possibilità di rateizzazione del debito in cartella). Analogo principio vale in materia di ICI e, in genere, per i tributi locali, per i quali, parimenti, non trova applicazione il citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, riferito alle sole imposte dirette (v. sul punto Cass. n. 2199 del 16/02/2012, Cass. n. 19015 del 24/09/2015 e, da ultimo, Cass. n. 30170 del 15/12/2017 in motivazione)”.
[30] Cass., 30.12.2009, n. 28091; Cass., 21.3.2008, n. 7785; Cass. 01.10.2014, n. 20669 e più di recente Cass., 10.03.2020 n. 6701; Cass., 28.12.2023, n. 36278; Cass., 07.08.2024, n. 22293.
[31] Si rinvia, in specie, a C. GLENDI, Prolegomeni (in frazionati approcci) allo studio storico sistematico dell’esecuzione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., 2023, n. 6, pag. 2065 e ss.
[32] Di recente la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18835 depositata il 10 luglio 2024, riferendosi al caso degli avvisi rideterminativi nel caso di un accertamento ex art. 29, d.l. n. 78/2010 ha riconosciuto il diritto all’impugnazione dell’avviso di intimazione di pagamento formato sul carico originario di cui all’avviso impugnato. In questa ordinanza la Suprema Corte ha affermato, da un lato, che “la novità, rispetto al sistema previgente, della natura cd. impo-esattiva (come felicemente osservato in dottrina) dell’atto emesso ex art. 20 d.l. n. 78 del 2010, su cui è imperniata la costruzione del motivo, non obnubila affatto la perdurante rilevanza dei riverberi che, sull’efficacia esecutiva di detto atto, seguita a produrre l’instaurazione del giudizio di impugnazione in relazione agli esiti dei vari gradi, come confermano le tuttora vigenti previsioni dell’art. 64 D.lgs. n. 546 del 1992, in punto di esecuzione frazionata”. Dall’altro, ha indicato che sebbene “l’atto impo-esattivo è di per se stesso dotato di efficacia esecutiva, dal momento che, trascorsi trenta giorni dal termine per il pagamento, si avvia automaticamente la fase dell’esecuzione, senza necessità della previa notifica della cartella di pagamento, la cui funzione è dunque attratta all’avviso stesso. Nondimeno, alla luce di quanto ricordato, il momento di raccordo tra siffatta efficacia esecutiva per così dire ‘originaria’ ed il suo eventuale ‘ridimensionamento’ in funzione dell’instaurazione e della progressione del giudizio di impugnazione è rappresentato proprio dall’intimazione di pagamento. La funzione di questa, dunque, nel nuovo corso degli atti impo-esattivi, consiste nel tenere aggiornata la ‘misura’ dell’efficacia esecutiva dell’atto in ragione della pendenza del giudizio di impugnazione, onde adeguare l’efficacia esecutiva all’effettiva eseguibilità in via frazionata ai sensi dell’art. 68 D.lgs. n. 546 del 1992”.
[33] Sulla vicenda si consenta di rinviare a P. COPPOLA, Riscossione, per i tributi locali c’è una questione di costituzionalità, in Il Sole 24 ore, del 30 giugno 2022.
[34] Nello stesso senso, si è espressa, del resto, in passato, parte della giurisprudenza di legittimità (ordinanza n. 581 del 12/01/2017) che ha indicato la definitività dell’accertamento quale conditio sine qua non (quale atto presupposto) per la legittimità dell’iscrizione a ruolo effettuata dall’ente impositore a cui è strettamente subordinata la certezza, liquidità ed esigibilità del credito per cui si procede. Strettamente correlato alla definitività dell’avviso di accertamento è, quindi, la configurabilità del dies a quo da cui fare decorrere il termine decadenziale (triennale) entro il quale l’agente della riscossione ha potuto attivarsi per il recupero del credito (ante l. n. 160/2019) ed oggi, quello quinquennale di prescrizione dopo la l. n. 160/2019.
[35] Per la dottrina, si rinvia, in specie, a F. PISTOLESI, La natura “sostitutiva” della sentenza tributaria rispetto all’atto impugnato, in Corr. trib., 2015, pag. 19, per il quale, alla luce dei dati di diritto positivo rilevanti, “la sentenza è titolo che legittima la riscossione e ne determina la concreta entità. Essa, allorchè affronta il merito del rapporto dedotto in lite, si sostituisce al provvedimento contestato, stabilendo l’an ed il quantum debeatur”; nonché P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2013, pag. 50 e ss.; di contrario avviso, A. GIOVANNINI, La sentenza sostituisce l’atto impositivo?, in Corr. trib., 2015, 3, pag. 203, per il quale “il titolo giuridico per la riscossione frazionata non è la sentenza, ma è l’atto amministrativo, seppure conformato alle prescrizioni giudiziali, avvalendosi proprio delle disposizioni di cui all’art. 29, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 122/2010, che “affidano al cd. atto di rideterminazione dell’Agenzia delle entrate la liquidazione della pretesa amministrativa per come risultante dalla sentenza della Commissione tributaria nelle ipotesi previste dall’art. 68 del D.lgs. n. 546/1992”. Nello stesso senso M. CIRULLI, Rimedi contro l’esecuzione esattoriale ingiusta, in Riv. trim. dir. trib., 2017, 1, pag. 27 e ss., nonché C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, e, in specie, pag. 226 e ss. sull’inconfigurabilità della valenza sostitutiva delle sentenze tributarie rispetto agli atti impugnati. Si noti che in materia di tributi doganali, dove del pari non si applica la riscossione provvisoria ante decisum, la ratio della “anticipazione” integrale del pagamento è correlata ad un’esigenza operativa dello Stato per il fatto che la semplice emissione di un atto impositivo, a prescindere dalla sua impugnazione e dalle vicende processuali, determina l’onere di versare le relative imposte alla Unione europea (sentenza n. 8513 del 27.3.2019). Rischio che, tuttavia, non ricorre nel caso dei tributi locali. Ciò nonostante, la Corte di Cassazione ha riconosciuto, per i tributi doganali, l’applicabilità della riscossione frazionata post decisum, (ordinanza n. 7346 del 17 marzo 2020), stabilendo il seguente principio di diritto “in tema di riscossione di dazi e diritti doganali, qualora il giudice di primo grado abbia accolto, in tutto o in parte, il ricorso avverso l’avviso di rettifica, escludendo o riducendo l’ammontare dovuto, le eventuali maggiori somme pretese non sono esigibili, sicché l’Amministrazione doganale è tenuta ad adottare gli eventuali atti di sgravio e a limitare l’avvio o la prosecuzione dell’attività di riscossione al minor importo accertato in giudizio; va invece escluso, in caso di già avvenuta esazione, il diritto del contribuente al rimborso delle maggiori somme e allo svincolo delle garanzie prestate, che sorge solo quando la sentenza sia passata in giudicato e, quindi, l’obbligazione doganale si sia, in parte qua, estinta”. Nella cit. pronuncia è stata richiamata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’11 gennaio 2001, relativa al procedimento C-226/99, nell’ambito della quale era stato affermato che l’art. 244 del Cdc “non limita il potere di cui dispongono le autorità giudiziarie adite con un ricorso ai sensi dell’articolo 243 del medesimo codice di disporre una siffatta sospensione per conformarsi al loro obbligo di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario”. In base al principio di cooperazione contenuto nell’art. 5 dell’allora Trattato Ce, spetta, quindi, “ai giudici nazionali garantire la tutela giuridica spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto (sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue del 19 giugno 1990, causa C-213/89)”. La mancata possibilità di richiedere, a seguito di una sentenza non passata in giudicato, lo svincolo della garanzia già in essere o la restituzione delle somme versate dal contribuente all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, prima della pronuncia di primo grado, deriva, invece dalle disposizioni contenute nell’art. 199 del vecchio Cdc, secondo cui “la garanzia non può essere svincolata finché l’obbligazione doganale per la quale è stata costituita non si è estinta o non può sorgere”. In base alle disposizioni attualmente in vigore, per i tributi che costituiscono risorse proprie dell’UE è il comma 3-bis dell’art.68 - con effetto dal 1.1.2007 - a rinviare, ai fini della disciplina del pagamento delle somme dovute in pendenza di processo, alle disposizioni unionali in materia.
[36] Si rinvia sul punto ad A. GUIDARA, La riforma della riscossione: luci ed ombre di una delega frettolosa, in E. MANZON - G. MELIS (a cura di), Il diritto tributario nella stagione delle riforme. Dalla legge 130/2022 alla legge 111/2023, Pisa, 2024, pag. 205 ss.
Immagine: Common Juniper (Juniperus communis), Burnham Beeches National Nature Reserve, Burnham, Buckinghamshire via Wikimedia Commons.
L’irruzione dell’intelligenza artificiale nella giustizia è inevitabile, dobbiamo conoscerla, utilizzarla e governarla per non subirla.
di Claudio Castelli
L’intelligenza artificiale (IA) non è solo una tecnologia, ma rappresenta un approccio nuovo e dirompente alla gestione delle organizzazioni, ed è in grado di trasformarle profondamente.
Succederà anche per l’organizzazione giudiziaria. Sul come, dipende (anche) da noi.
Bisogna innanzitutto comprendere cosa sia questa tecnologia e quindi capire come trasformare gli obiettivi in azioni concrete e realizzabili.
Il nostro primo compito è comprendere le diverse implicazioni dell’intelligenza artificiale: tecnica, etica ed applicativa.
La natura tecnica: comprendere come funziona questa tecnologia rivoluzionaria.
La natura filosofica ed etica: individuare i rischi legati all'uso di questa tecnologia.
La natura applicativa: capire come l'IA potrebbe essere e già viene usata nell'amministrazione della giustizia, sia in maniera ufficiale che ufficiosa.
Occorre avere chiari i rischi che l’IA comporta, con la consapevolezza che la giustizia ricade nell’alto rischio, ma non per gli aspetti organizzativi.
Occorre avere sempre presenti i nuovi problemi etici che dobbiamo affrontare e prevenire per le applicazioni di IA.
Ma prima di tutto dobbiamo capire le enormi potenzialità e l’autentica rivoluzione lavorativa e organizzativa che l’IA può comportare con l’idea di utilizzarla e governarla.
Abbiamo a che fare con sistemi che non si limitano più a basarsi su sistemi esperti che fondandosi su regole seguono programmi specifici o sistemi di apprendimento automatico o che apprendono dai dati di addestramento e inferiscono regole per prevedere risultati specifici, ma con sistemi che combinano questi vantaggi, aggiungendo la capacità di rispondere al contesto e fornire spiegazioni sul processo decisionale.
Sistemi che "apprendono" man mano che analizzano i dati, distinguendosi dall'apprendimento umano, e che hanno bisogno di moltissimi dati, dati che devono essere affidabili e di qualità.
Stiamo ora assistendo ad un fortissimo salto di qualità con un’evoluzione rapidissima.
Già oggi nel mondo a livello giudiziario l’I.A. viene ampiamente utilizzata, anche se manca un’adeguata informazione e consapevolezza. È stata condotta, sia pure su di un campione molto limitato una ricerca da parte dell’UNESCO denominata “Global Judge’s Iniziative” da cui risulta che il 44 % di chi ha risposto usa chatbox, ma solo il 9 % ha ricevuto formazione o linee guida istituzionali. E l’Europa è in indubbio ritardo.
Il nostro Governo con il Disegno di legge n.1156 ha provato a confrontarsi con l’avvento della IA e quanto alla giustizia con l’art.14 ha scelto un’ottica conservativa a mio avviso perdente.
Disegno di legge n.1146 “Disposizioni e delega al Governo in materia di intelligenza artificiale”.
Art.14 (Uso dell'intelligenza artificiale nell'attività giudiziaria)
1. I sistemi di intelligenza artificiale sono utilizzati esclusivamente per l'organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario, nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale. Il Ministero della giustizia disciplina l'impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari ordinari. Per le altre giurisdizioni l'impiego è disciplinato in conformità ai rispettivi ordinamenti.
2. È sempre riservata al magistrato la decisione sulla interpretazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sulla adozione di ogni provvedimento.
Il disegno di legge governativo in tema di regolamentazione dell’intelligenza artificiale sulla giustizia limita il suo utilizzo “esclusivamente per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario, nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale”, riservando sempre “al magistrato la decisione sulla interpretazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sulla adozione di ogni provvedimenti.”
Normativa ancora ambigua ed insufficiente: le dizioni utilizzate sono quanto mai generiche e (fortunatamente) non risolutive. Inoltre tra quanto consentito e quanto vietato vi è un’amplissima zona grigia che non viene regolamentata, ad esempio per individuare le cause mediabili, per sistematizzare tipologie e punti cruciali dei procedimenti, per riassumere e scrivere il fatto. Non solo, ma non si interviene sull’ampio campo che può davvero rappresentare un rischio per la professione di avvocato, ma ancor più per l’informazione ed i diritti dei cittadini, delle consulenze legali online nelle quali occorrerebbe vietare quelle selvagge ed imporre una certificazione e completezza dei dati sulle quali si basano.
Le possibilità di applicazione dell’IA per gli uffici giudiziari oggi investono tre campi.
Amministrativo-gestionale che interessa la gestione dei Palazzi di giustizia, la digitalizzazione degli edifici e della loro manutenzione, il controllo di gestione, il recupero crediti e le spese di giustizia.
Analitico-gestionale dell’attività giudiziaria: strumenti di lettura della litigiosità, del tipo di contenzioso, dei valori economici, delle scelte di organizzazione del processo, delle norme citate, dei trend decisionali, delle correlazioni tra materie diverse, indici di mediabilità, pesatura dei procedimenti, monitoraggio, conoscenza e predittività degli orientamenti, rapporto tra realtà territoriale e giustizia.
Processuale, che invece investe direttamente la giurisdizione con la gestione del processo telematico, il supporto del lavoro del magistrato, dell’avvocato e di qualsiasi operatore giuridico, le banche dati anche locali e l’estrazione automatica dei precedenti.
Sono da curare tre pilastri:
La qualità dei dati (vero e proprio carburante dell’AI).
L’addestramento della macchina e la formazione non solo di chi costruisce i sistemi, ma in primo luogo di chi formula gli obiettivi e di chi utilizza i sistemi.
Il controllo (data set control).
Abbiamo enormi potenzialità che vanno governate. La nostra direzione deve essere di sfruttare queste enormi potenzialità, di regolare il fenomeno e di mettere sempre l’essere umano al centro. Avendo ben presente che l’intelligenza artificiale generativa è già tra noi.
Già oggi ci sono programmi integrati su banche dati (non a caso forniti da privati) che sintetizzano il testo, analizzano le conclusioni del giudice, estraggono i riferimenti normativi principali e individuano la rilevanza giuridica delle decisioni.
E il Ministero, con scarsa condivisione, sta lavorando per la creazione di un data lake, da interrogare poi con i moderni strumenti di AI, previa anonimizzazione o pseudo anonimizzazione dei dati, col fine di estrarre conoscenza dal patrimonio informativo del Ministero della Giustizia sotto forma di dati, documenti e processi al fine di supportare l’Amministrazione nelle scelte strategiche.
Inoltre grazie alla collaborazione con l’Università nell’ambito del PON Governance sono emerse molte possibilità di applicazioni concrete dell’AI che potrebbero dimostrarsi utilissime, automatizzando attività a basso valore aggiunto, realizzando un controllo di gestione degli uffici ad ampio spettro e consentendo una costante visione e monitoraggio di ruoli, pendenze e tempi, con la creazione di cruscotti quali quantititativi.
Occorre formarsi, comprendere, essere in grado di dare indicazioni su di cosa abbiamo bisogno e come possa essere governato. A chi ha dubbi e coltiva ottiche conservative va sempre ricordato da un lato che i processi tecnologici sono inarrestabili e che la scelta è sempre tra subirli o governarli e dall’altro che la capacità di adattamento e collaborazione attiva già dimostrata da tutti gli operatori della giustizia con il PCT è stata enorme e sorprendente, sempre che l’innovazione sia comprensibile, condivisa, chiara negli obiettivi e porti ad un lavoro più comodo e di qualità.
Abbiamo bisogno di una AI in house per l’uso giudiziario, alimentata con dati affidabili, e utilizzata da soggetti consapevoli e addestrati.
Oggi manca un’iniziativa in positivo, in parallelo alle pur indispensabili regolamentazioni, per sottolineare e far emergere le grandi potenzialità delle varie intelligenze artificiali, per valorizzare le possibili applicazioni per le professioni giuridiche e supportare il lavoro degli operatori, per realizzare una loro formazione a tappeto. Occorrerebbe un laboratorio nazionale sull’utilizzo dell’IA generativa nella giustizia chiamando i migliori cervelli dall’università, dalla magistratura, dall’avvocatura, dalla dirigenza e dal personale giudiziario. Senza questo saremo sempre ad arrancare dietro i progressi tecnologici che o vengono governati o, al di là dei divieti formali, prevarranno.
Il problema che oggi abbiamo, e che temo sarà quello determinante per il futuro, è la debolezza ed inadeguatezza della Governance della digitalizzazione della giustizia.
Debolezza tanto più preoccupante dato che l’art. 14 del DDL prima citato affida al Ministero della Giustizia “(del)la disciplina dell’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari.”
Monopolio ministeriale oggi non più giustificato a livello costituzionale, inefficace a livello tecnico ed incapace di rapportarsi proficuamente con i diversi operatori.
Il monopolio dell’informatica giudiziaria era inevitabile fino a quando l’informatica era un semplice supporto, ma non è più giustificabile da quando la digitalizzazione è diventata sempre più formante e cardine della giurisdizione, componente essenziale della stessa gestione di tutti gli aspetti dei Palazzi di giustizia. Oggi la prospettiva è molto più intrinseca alla giurisdizione e richiede quindi apporti e interlocuzioni con altri soggetti. Il C.S.M. in primis, chiamato dalla Costituzione a tutelare la giurisdizione, ma anche l’avvocatura chiamata dall’art. 24 della Costituzione alla tutela dei diritti. Interlocuzione e collaborazione che è dovuta a livello costituzionale, ma che si rende necessaria anche a livello funzionale.
Oggi vi sono problemi di metodo, di gestione, ma anche di impostazione complessiva.
Di metodo perché manca la trasparenza sulle progettualità e soffre una lontananza dagli uffici giudiziari e dall’avvocatura, con una forte autoreferenzialità ministeriale e senza una previa analisi di organizzazione sulle esigenze dei diversi soggetti che vi operano.
Di gestione perché mancano tecnici informatici ed il Ministero non riesce neppure ad assumerne, dato che le retribuzioni offerte sono del tutto fuori mercato. È un problema non solo del Ministero della Giustizia, dato che veniamo da un lungo percorso di indebolimento e di de-professionalizzazione della Pubblica Amministrazione, ma che per il Ministero della Giustizia, dato il suo ruolo strategico, è particolarmente grave. La prospettiva già in corso è di una crescente privatizzazione senza controlli.
Di impostazione in quanto il Ministero nel settore non ha più un’indispensabile unitarietà, con una gestione frazionata in due Dipartimenti e in due Direzioni Generali, con difficoltà di dialogo e di comunità di intenti. Con conseguente irrazionalità, frammentazione di competenze, sprechi e difficoltà di sinergia.
La creazione di un laboratorio per le applicazioni di intelligenza artificiale nella giustizia può essere l’occasione per fare un salto di qualità superando e coinvolgendo le due Direzioni ministeriali, costruendo una nuova governance efficiente e partecipata, con la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali interessati.
La prospettiva che da tempo sostengo è la creazione di un’Agenzia, sempre controllata al 100 % dal Ministero della Giustizia, ma con un Consiglio di Amministrazione nominato di concerto dal Ministero e dal C.S.M. e sentito il C.N.F. che possa garantire agilità e stipendi adeguati e concorrenziali con dipendenti capaci e fidelizzati. Risposta che secondo me si impone da un lato per garantire una condivisione delle scelte in quello che ormai è diventato il terreno determinante per la giurisdizione e dall’altro di avere tecnici di alto livello che lavorano per il servizio.
Può darsi ci possano essere risposte diverse. Quanto credo sia chiaro è che l’attuale gestione, come dimostra la triste storia di APP, è totalmente inadeguata e richiede una profonda scossa.
Questo contributo costituisce l'introduzione di Claudio Castelli al Convegno "Intelligenza Artificiale e riserva di umanità" organizzato da Area DG a Torino il 15 novembre 2024. Molti dei contenuti sono ripresi da sollecitazioni di Claudia Morelli e Antonella Ciriello che l'Autore ringrazia.
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