ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Premessa. Le ragioni della convocazione dell’Assemblea aperta
Introduzione all’Assemblea Generale dell’ANM del 30 aprile 2022 del presidente Giuseppe Santalucia
Cari colleghi,
ringrazio tutti della partecipazione, che è nutrita: è un'aula di mille e cento posti, quindi, gli spazi vuoti non sono segnale di scarsa partecipazione; era pressoché impossibile riempirli tutti.
Abbiamo convocato un'assemblea in tempi ristretti perché questo ci ha imposto il calendario dei lavori parlamentari per l’esame della riforma dell’ordinamento giudiziario, che oggi è oggetto della nostra valutazione.
Ringrazio tutti voi e ringrazio anche gli esponenti politici che abbiamo invitato - sono presenti la senatrice Rossomando, l'onorevole Sarti, l'onorevole Vitiello, ma altri hanno assicurato la loro presenza - e i rappresentanti dell'Avvocatura: è presente il Presidente delle Camere civili, il rappresentante dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, e so che interverrà anche il presidente delle Camere Penali.
Ovviamente li ringraziamo fortemente perché è un segno, un'attestazione della loro disponibilità all'ascolto; quando riterranno, se riterranno, di prendere la parola, la presidenza dell’Assemblea darà loro la parola e ascolteremo anche quanto riterranno di volerci dire.
Un ringraziamento anche alla signora ministra della Giustizia e ai Sottosegretari.
Anche loro sono stati invitati; la Ministra - ne dò attestazione perché mi ha autorizzato a farlo - non è intervenuta, al pari peraltro dei sottosegretari alla Giustizia, non per disattenzione o disinteresse ai temi che saranno dibattuti, alle voci della magistratura associata, ma per rispetto: è questa un'Assemblea che prevede alla fine anche una votazione su possibili eventuali ulteriori iniziative che diano concreto segno dell'agitazione della magistratura.
Il Comitato Direttivo Centrale ha affidato all'Assemblea di oggi il compito di eventualmente individuare ulteriori forme di agitazione e di protesta, oltre quelli che già deliberati. L’Assemblea dovrà pronunciarsi sulla proposta di indizione dello sciopero, e la signora Ministra ha detto che è forte la sua disponibilità all'ascolto, la sua attenzione. Ne è concreta attestazione il fatto che interverrà alla nostra Assemblea il Capo di Gabinetto, in modo da poter ascoltare direttamente le ragioni del dibattito e le ragioni della nostra preoccupazione.
L’odierna Assemblea si è aperta all’esterno ed è questo un segno della responsabilità della magistratura.
Il senso di responsabilità della magistratura associata.
Noi siamo fortemente responsabili; lo siamo dall'inizio di questo Comitato direttivo centrale che è nato in sostanza nel pieno, nel cuore della pandemia e dell’impegno del Governo e del Parlamento per l’individuazione dei programmi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Siamo pienamente consapevoli – e responsabili, quindi – dell’importanza delle riforme della giustizia.
Lo siamo ancora di più in un momento della Storia come quello che stiamo vivendo, funestato da un evento di portata epocale, a cui le generazioni a cui anch'io appartengo non erano abituate: la guerra sul suolo europeo.
Ragione per la quale siamo lontanissimi dal coltivare divisioni.
Noi vogliamo condividere, con un dialogo costruttivo, le nostre preoccupazioni, che è tutt'altro dal coltivare le divisioni.
È il modo con cui noi intendiamo la responsabilità nei confronti del servizio che rendiamo, e quindi dell'utenza che quel servizio riceve.
Se le riforme della giustizia sono parte essenziale del Piano nazionale di ripresa e resilienza - perché questo ci viene ripetuto e di questo noi abbiamo consapevolezza, e di qui anche i tempi stringenti dei lavori parlamentari – ebbene io credo che in un piano di ripresa centralità debba essere necessariamente riconosciuta all’obiettivo del miglioramento dell'efficienza della macchina giudiziaria, del recupero di qualità, non solo di quantità.
Dobbiamo mettere al centro - e noi questo stiamo cercando di fare, e cercando di farlo dialogando con le forze politiche - il cittadino, il soggetto portatore di una domanda di giustizia.
La persona che si reca nei palazzi di giustizia non deve avere paura di entrarvi, come qualcuno ha detto, ma deve avere fiducia che quel palazzo di giustizia saprà rispondere al suo bisogno di giustizia.
Fissato l'obiettivo, esso diventa criterio di valutazione dei contenuti del lavoro di riforma che sta conducendo il Parlamento sull'ordinamento giudiziario.
Noi abbiamo avuto vari incontri con la Ministra; l’abbiamo incontrata tre, quattro volte, forse anche di più; siamo stati sentiti in audizione informale alla Camera dei deputati, lo abbiamo fatto sempre con spirito costruttivo, non abbiamo mai chiuso alle riforme.
La volontà di una buona riforma.
Noi vogliamo una buona riforma.
Abbiamo attraversato un periodo di crisi di credibilità; ci viene ricordato anche dal Presidente della Repubblica; sappiamo che non ne usciremo se non anche dimostrando di poter rendere un servizio migliore.
Quindi è fuori da ogni logica pensare che i magistrati non vogliano le riforme, sarebbe suicida per la magistratura opporsi alle riforme.
Ovviamente, noi vogliamo una buona riforma; ed è quello che abbiamo cercato di rappresentare nelle varie interlocuzioni.
Siamo stati ascoltati in parte in modo insufficiente, perché fino al dodici marzo scorso, che è stata l'ultima riunione del Comitato Direttivo Centrale, il Comitato ha individuato nei contenuti del corposo emendamento governativo alla riforma del precedente ministro, dell'onorevole Bonafede, vari punti critici; e ciò ha fatto con un documento votato, se non erro, all'unanimità.
Abbiamo anche dato atto, perché non siamo chiusi al confronto e non abbiamo una volontà di scontro con la Politica, che su alcuni aspetti siamo stati ascoltati, seppure non a sufficienza.
L’Associazione a gennaio ha indetto un referendum consultivo tra i soci sui sistemi elettorali: sapete che la gran parte, la schiacciante maggioranza di coloro che si sono accostati al voto si è espressa per il proporzionale. Abbiamo registrato che dopo quel referendum la Ministra ha proposto un correttivo al suo emendamento introducendo una quota di proporzionale per il riparto dei seggi in un sistema elettorale di tipo maggioritario.
Nelle interlocuzioni che hanno preceduto l’approvazione dell'emendamento in Consiglio dei ministri avevamo fortemente criticato, e ci tornerò, il sistema delle pagelle: siamo stati in parte ascoltati perché il voto nei momenti delle valutazioni di professionalità è rimasto, ma si è ristretto al profilo della capacità organizzativa, e potrei continuare.
Quindi, noi abbiamo fiducia nella discussione, e pensiamo di avere buone ragioni: che, badate, non sono le ragioni di una casta, di un pezzo di un'élite del Paese che in un momento drammatico di crisi economica e di guerra intende conservare privilegi odiosi.
Questo è un luogo comune che ci schiaccia in un angolo da cui vogliamo uscire.
E stiamo cercando di farlo perseverando, in una costante propensione al dialogo, nel confronto.
Tutte le iniziative che hanno manifestato il disagio di questi giorni vanno in questa direzione, ivi compresa la criticata iniziativa del Comitato direttivo centrale di acquistare le pagine di due quotidiani per rappresentare all'opinione pubblica le ragioni del nostro disagio.
Noi non crediamo che l'opinione pubblica debba essere messa da canto in un dibattito che riguardi solo i tecnici, né che l'opinione pubblica non possa o non sappia capire.
Sono questioni elementari, che è bene che capisca la società, che capiscano i cittadini.
Noi non vogliamo solo ascolti riservati nelle stanze del potere del potere politico. Certo il Parlamento è il luogo della sovranità: e con le forze politiche ci confrontiamo, siamo onorati che il Parlamento ci voglia ascoltare, è espressione della maturità della nostra democrazia.
Il Parlamento lavora in assoluta autonomia, senza alcuna pressione: non saranno certamente le discussioni dei magistrati ad esprimere pressione.
E fa ottima cosa se si predispone all'ascolto, perché è il miglior strumento per legiferare bene.
Di ciò che avviene nelle aule del Parlamento, di ciò che avviene negli incontri tra gli esponenti politici e i rappresentanti di una categoria professionale come la magistratura deve essere consapevole anche il comune cittadino, colui che infine delle riforme di un pezzo fondamentale delle nostre Istituzioni democratiche, la Giustizia, patisce le conseguenze.
La centralità del servizio giustizia.
Ora, mettiamo da canto la Magistratura. In questo momento io non parlo per difendere, e non lo abbiamo mai fatto sul tema delle riforme, interessi nostri, di tipo sindacale.
Ci anima oggi la ragione costitutiva dell'associazionismo giudiziario, che ha ormai più di un secolo di storia: la volontà di contribuire al dibattito pubblico sull'ordinamento giudiziario e sulle riforme della giustizia.
Siamo coloro che sperimentano sul campo, insieme all'avvocatura - ed è una delle ragioni per le quali vogliamo dialogare con tutti i rappresentanti dell'avvocatura- la bontà e la capacità di tenuta delle riforme in tema di giustizia.
Siamo quelli che pagano di più in termini di immagine le inefficienze del servizio giudiziario, perché chi non riesce ad ottenere risposta in termini brevi individua immediatamente nel magistrato colui che quella risposta non ha saputo dare; per questo chiediamo alla politica una buona riforma e chiediamo alla politica le risorse necessarie perché la giustizia possa camminare su gambe salde.
Dopo il dodici marzo scorso, quando – come prima ho detto – abbiamo individuato alcuni punti critici - che però non hanno indotto il Comitato direttivo centrale a elevare i toni del disagio per i contenuti del disegno di legge in corso di approvazione (c'erano delle criticità, speravamo che potesse ancora trovarsi spazio) – siamo stati ricevuti dalla ministra alla luce dei subemendamenti che ancora il ventuno marzo non erano stati oggetto di discussione; e lì, in un confronto ancora una volta sereno, costruttivo, dialogante, con la Ministra, abbiamo spiegato che quelle criticità, individuate già nell'emendamento governativo, non trovavano soluzione nei subemendamenti, e che tutti i subemendamenti invece approfondivano ed acuivano quegli aspetti di criticità.
Ed è questa la ragione per cui dal quel momento in poi, da quando nei lavori parlamentari ha preso corpo l’accentuazione dei profili critici dell’emendamento governativo – che, approvato dal consiglio dei ministri, aveva portato, almeno me, a pensare che traducesse la linea programmatica delle forze di maggioranza che si riconoscono nel governo – e abbiamo assistito all'esasperazione dei dei profili di criticità – si è convocato d'urgenza un Comitato direttivo centrale, e quindi poi un'Assemblea generale, per dare modo ai magistrati tutti di confrontarsi con il testo licenziato dalla Camera e ragionare sui modi con cui non strutturare una protesta, una miope chiusura corporativa alla discussione, ma inventare forme di comunicazione all’esterno delle nostre fondate preoccupazioni.
Mi voglio ora soffermare su alcuni aspetti problematici - non su tutti perché la legge è corposa e il dibattito che seguirà ne potrà prendere in esame ancora molti -, che dimostrano che questa riforma non servirà a migliorare il servizio né ad abbreviare anche solo di un giorno i tempi della giustizia.
Questa riforma sarà inutile, io temo anche dannosa, perché su alcuni punti è farraginosa, crea ulteriori adempimenti che saranno attuati con un eccesso di burocratizzazione delle attività degli organi di autogoverno locale e della dirigenza giudiziaria.
Non miglioreranno quello che il Parlamento ritiene essere importante e che noi riteniamo al pari essere importante: il miglioramento del servizio e anche la valutazione della resa del servizio.
Non è questa la strada.
Cercherò, in poche battute, di dimostrarlo senza rubare più di tanto al dibattito e alla relazione del segretario che mi succederà.
Tre i temi: separazione delle funzioni, valutazione di professionalità, uso della leva disciplinare.
Separazione delle funzioni/delle carriere.
Oggi sono consentiti quattro passaggi all’interno di una intera carriera tra funzioni del pubblico ministero e del giudice.
La commissione Luciani, se non erro, e l'emendamento governativo portavano questi passaggi a due. La Camera ha ritenuto di individuarne uno solo.
La volontà è di separare i magistrati del pubblico ministero dai magistrati della giudicante. Un unico passaggio nella carriera.
A questa soluzione fanno seguito difficoltà enormi per chi fa il pubblico ministero ad accedere ai posti di legittimità, perché se non ho compreso male chi fa il pubblico ministero e vuole andare in Corte di Cassazione dovrà essere assegnato al settore civile della Corte Suprema. Scarsissima attenzione, dunque, all'esigenza di professionalità dei magistrati di legittimità e dell’elevata specializzazione delle funzioni della Corte Suprema di Cassazione, a cui si è di regola assegnati soltanto dopo avere acquisito sul campo una professionalità specifica di settore, civile o penale.
Ora, pensare che, data l’elevata complessità dell'ordinamento, un magistrato del pubblico ministero, e quindi con specializzazione esclusivamente nel settore penale, se destinato alla Corte di Cassazione, debba essere assegnato alle sezioni civili, per occuparsi di contratti, di famiglia, di fallimento, di societario, è un modo neanche tanto mascherato di scoraggiarlo, di disincentivarlo alla domanda per le funzioni di legittimità.
Si tagliano i magistrati del pubblico ministero fuori dall'accesso alla legittimità: se vanno alla Procura Generale dovranno occuparsi soltanto degli affari civili.
Non c'è alcuna attenzione alla importanza della giurisprudenza di legittimità, che è iperspecializzata.
Ma è questo lo spirito della Costituzione?
Ora la separazione funzionale sin dagli anni Novanta noi l'abbiamo intesa come esigenza di specializzazione; più l'ordinamento aumenta di complessità, più le tecniche d'indagine, le tecniche di argomentazione richiedono professionalità affinate, più la separazione funzionale risponde a un bisogno di capacità professionali specifiche che si coltivano negli anni.
E per questo, una cosa è l'esigenza di professionalità, altra è la separatezza dei magistrati del pubblico ministero dal giudice, che inevitabilmente diventa una separatezza di modi di intendere il processo e la giurisdizione.
La nostra Costituzione, con una intuizione e un'opzione felicissima, ha invece voluto che i magistrati, pur nella diversità delle funzioni, fossero un unico ordine.
Io non comprendo, l'ho detto molte volte agli amici avvocati, qual è la ragione per la quale pensano che un pubblico ministero schiacciato a vita a fare l'accusatore possa essere migliore di chi, come pubblico ministero, ha potuto sperimentare il punto di vista della giudicante!
La separazione dei ruoli in un processo accusatorio è netta; un'altra cosa è la separazione delle culture, del modo di vedere il processo, di intendere il processo.
A meno che - ed è questo il timore di fondo che ci muove, ma ancora una volta, guardate, non come funzionari dello Stato che guardano ai loro personali interessi, perché non veniamo toccati in quello che è come dire l'area delle prerogative che ogni pubblico funzionario di grado elevato come il magistrato ha, ma per quella prospettiva di interesse generale che ci sta guidando in questo momento, e vi prego ancora una volta, ribadisco fino alla nausea questo concetto, di crederci – non si voglia mortificare la cultura della giurisdizione, facendola venire meno con lo schiacciamento del pubblico ministero ad un unico passaggio.
La nostra idea è che sia una tappa di un percorso legislativo, che necessariamente ne avrà altre, di approfondimento di questo isolamento dalla giurisdizione.
Un pubblico ministero isolato. Che inevitabilmente poi sarà più vicino alle forze di polizia, che sono gli organi con cui l'esecutivo esprime il suo intervento negli indirizzi di politica criminale.
Non pensate che porterà inevitabilmente, tra qualche anno, non sono in grado di dire con precisione tra quanto, la necessità di interrogarsi se è possibile mantenere un potere del Pubblico ministero così lontano dalla giurisdizione, e così politicamente irresponsabile, con le stesse garanzie di autonomia e di indipendenza della giurisdizione?
Questa è la nostra preoccupazione.
Perché in questa legge noi notiamo una progressione secondo una linea di continuità con la legge precedente - che non fu scritta dai padri costituenti, con tutto il rispetto per il lavoro del legislatore, ma fu la legge degli anni Duemila, ancora quella una legge sofferta in un momento di contrasto forte tra politica e magistratura che noi non vorremmo si interrompesse.
Noi non siamo eredi della stagione dello scontro politica-giustizia dell’era di Mani Pulite; noi vogliamo uscire da questo cono d’ombra, noi non vogliamo portare il fardello di uno scontro con la politica, ma vogliamo anche non leggere nelle leggi di riforma i segnali di un tentativo di rivalersi sulla giurisdizione.
I magistrati hanno sbagliato, sbagliano e continueranno a sbagliare, ma a cuore deve essere l'Istituzione giudiziaria, che è altro dai singoli magistrati.
Si puniscano i magistrati che sbagliano ma si preservi l'importanza della giurisdizione così come consacrata in Costituzione.
E quindi noi cogliamo in questa separazione che va progressivamente accentuandosi i pericoli di una svolta costituzionale che in questo momento non c'è, ma c'è l'aggiramento del principio costituzionale.
Perché una Costituzione che disegna un unico ordine, estendendo le garanzie di indipendenza e autonomia della magistratura giudicante alla requirente, faccio fatica a riconoscerla, al di là dei tecnicismi con cui possiamo dire che è compatibile con la Costituzione anche una separazione delle carriere.
Noi cerchiamo di individuare lo spirito profondo del messaggio costituzionale, e io credo che, rispetto a quello spirito, perseguire una separazione funzionale con questa accentuazione non sia conforme a Costituzione.
Sarà forse compatibile con la Costituzione secondo uno scrutinio tecnico che potranno fare i giudici costituzionali, ma non risponde allo spirito di quella Costituzione che badate, e lo ricordiamo, lo sappiamo tutti, è figlia di una stagione tristissima del nostro Paese.
E le stagioni tristissime, lo stiamo sperimentando oggi, sono velocissime nel ritornare. Noi fino a gennaio non immaginavamo una guerra sul suolo europeo; a febbraio siamo ripiombati in un clima da anni ‘quaranta del secolo scorso.
Le tragedie si ripresentano a volte con estrema rapidità.
La saldezza dei principi costituzionali è la nostra unica àncora per impedire che si ripropongano meccanismi che hanno dato prova cattivissima di sé: un'azione penale che venga in qualche modo attratta nell'orbita della politica.
Perché la politica è scontro per il potere, ed è un legittimo scontro per il potere tra
partiti, tra fazioni, tra rappresentanze di interessi.
Questa è la politica nell’accezione a cui tutta la magistratura è estranea, ivi compresa la magistratura inquirente e l'azione penale.
Segnali di pericolo che io leggo anche in un passaggio normativo difficilmente spiegabile, che è quello del potere di consultazione del ministro sui programmi di organizzazione degli uffici di procura.
Noi abbiamo detto alla Ministra, e abbiamo detto alla Commissione referente della Camera, che è una buona cosa onerare i Capi degli uffici inquirenti del programma organizzativo delle Procure, per dare trasparenza, attraverso il procedimento di formazione del piano organizzativo, tra l’altro alle scelte di assegnazione e di revoca degli affari.
È un momento di trasparenza che va a beneficio della giurisdizione tutta, perché una un'azione penale trasparente è un'azione penale che può essere più credibile, più leggibile all'esterno.
Lo abbiamo apprezzato.
Ma oggi non capiamo perché a un certo punto, in Commissione e poi in Aula, sia stato introdotto - e solo per le tabelle di organizzazione degli uffici inquirenti, non anche per i giudicanti - il potere di consultazione del ministro. Allora se l'obiettivo è (saluto il capo di gabinetto Dottor Piccirillo) se l'obiettivo è “Il ministro è responsabile delle risorse e deve poter dire la sua quando le risorse sono allocate”, lo si faccia anche per gli uffici giudicanti.
Non si invochi l'articolo 11 della legge istitutiva del Consiglio dicendo, “beh, il potere di consultazione c'era già”.
Il “c'era già” è pericoloso quando ci sono queste progressioni normative che possono anche essere simboliche in questo momento, ma che potranno avere un'attuazione veramente pericolosa, nel momento in cui nelle tabelle di organizzazione della procura verranno inseriti, per la prima volta espressamente e chiaramente riconosciuti, i criteri di priorità dell'azione penale.
Abbiamo criticato la scelta di affidare i criteri di priorità al legislatore, ed è una critica che, come dire, si spiega col fatto che una legge, non si sa se periodica o una tantum, dovrà individuare per un territorio nazionale esteso ed eterogeneo i criteri di priorità valevoli per tutti.
Non abbiamo compreso come si possa coniugare predeterminazione generalizzata e attenzione alle specificità territoriali.
I criteri di priorità, infatti, saranno comunque individuati dal Procuratore; ed è giusto che sia così, perché il Procuratore, in riferimento al territorio di incidenza, potrà fare le più opportune scelte di distribuzione delle risorse di cui dispone, nel modo più funzionale ai bisogni di repressione.
Ma cosa c'entra il potere di consultazione del ministro?
Non lo comprendiamo, da qui il timore per questa progressione del lavoro parlamentare che acuisce aspetti critici (saluto anche la senatrice Bongiorno) di una normazione di ordinamento giudiziario che potrebbe invece essere ricondotta in binari rassicuranti.
Sulle valutazioni di professionalità.
Noi non siamo contrari alla valutazione dei magistrati. Siamo assolutamente favorevoli ad essere valutati.
Questo deve essere chiarissimo.
Noi siamo periodicamente valutati almeno dagli anni duemila; quattro quadrienni, sette volte in una carriera. Io non ho cognizioni per comparare le altre professioni; non so quante altre professioni intellettuali hanno la stessa scansione temporale di valutazioni periodiche.
Noi le abbiamo.
Si devono migliorare? Certo che si devono migliorare.
Bisogna arricchire il fascicolo di fatti, di fatti specifici più che di giudizi. Abbiamo sperimentato negli anni che i giudizi non servono se non sono accompagnati dai fatti.
Bene.
Il Parlamento ha introdotto vari pareri consultivi: nei casi di conferma nell’incarico direttivo, il parere del magistrato titolare dell'ufficio giudicante in ordine all’attività del dirigente dell’ufficio del pubblico ministero e viceversa, il parere anche dei dirigenti amministrativi, il parere dei magistrati dell’ufficio … tutto bene.
Si è però pensato - e non ci soddisfa il “c'era già nella legge del duemilacinque - duemilasei” – di agganciare le valutazioni periodiche di professionalità anche all'esito degli affari nei successivi gradi di giudizio.
Badate, oggi la norma c’è, ma la norma oggi è strutturata in un modo tutt'affatto diverso. Ha riguardo alla capacità professionale del magistrato sotto gli aspetti del possesso delle tecniche argomentative e delle capacità di indagine: in questo ambito possono essere presi inconsiderazione anche gli esiti degli affari nei gradi successivi di giudizio. Se la Corte d'appello mi dice che ho argomentato in modo del tutto sommario, bene, se ne può tener conto, non ci troviamo nulla di strano.
Ora però avete sganciato - mi rivolgo ai politici, scusatemi, in questo modo diretto ma è il bisogno di un confronto - avete sganciato dai profili di professionalità legati alle tecniche argomentative il riferimento all’esito dell’affare nei gradi successivi.
Il riferimento è allora ai contenuti delle decisioni?
Secondo quanto è scritto nel disegno di legge, al di là della grave anomalia – tutta poi da concretizzare e che il Consiglio giudiziario dovrà andare a ricercare, non come oggi ove il dato anomalo non è oggetto di una ricerca ma rileva in quanto capace di imporsi, appunto per la sua anomalia, all’attenzione del Consiglio giudiziario – in ogni caso dovranno essere acquisiti, a campione, gli esiti degli affari nei successivi gradi di giudizio mettendo dentro a questo fascicolo anche ogni altro documento utile alla valutazione.
State arricchendo il fascicolo già pesante di una tale quantità di roba che non lo leggerà nessuno!
Non state migliorando il sistema delle valutazioni di professionalità, lo state inceppando!
In più, con spunti assolutamente pericolosi, perché l'esito degli affari creerà, in un magistrato, il timore di poter essere valutato non per il possesso della tecnica dell'argomentazione giuridica, ma per non avere “indovinato” la decisione giusta perché fatta propria nei successivi gradi.
Ma noi non decidiamo secondo premesse necessitanti, questo lo sapete, è la logica del probabile che domina i processi. Noi argomentiamo nei processi, non operiamo sillogismi scientifici.
Guardiamo al settore penale.
Ogni processo è necessariamente un processo indiziario, non ci sono certezze!
E noi dobbiamo avere il coraggio di muoverci anche quando il verosimile non ci assiste, perché il verosimile non è la verità.
Noi dobbiamo avere coraggio nelle decisioni, e voi spegnete il coraggio!
Di fronte a un imputato che ha apparentemente tutto contro, il magistrato non deve affidarsi al verosimile, ma deve saper indirizzarsi, se necessario, all’opposto della direzione in cui si incammina l'opinione pubblica e il sentimento collettivo, deve sapere sperimentare il coraggio dell'accertamento che si fa nel processo, non curandosi del suo fascicolo personale, ma dell'unico fascicolo che sta sul suo tavolo, che è il fascicolo del processo!
Guardate che, così facendo, voi state solleticando il sentimento impiegatizio dei magistrati, e io temo che questo possa trovare risposta!
Noi vogliamo ribadire la vocazione altamente professionale della magistratura italiana, che sta scritta in Costituzione.
Noi vogliamo resistere al tentativo di un ingabbiamento nelle paure e nei desideri dell'impiegato.
Senza nulla togliere e senza nessun dileggio nei confronti dell'impiegato, ma noi siamo funzionari dello Stato a fortissima vocazione professionale. Non lo siamo per scelta, lo siamo per statuto costituzionale.
State attenti, lo dico alla politica, perché un magistrato attento a sé stesso, attento al suo profilo di carriera, impaurito, forse anche mi direte ingiustamente, ma le paure non sono sempre giustificate eppure esistono e fanno danno, non sarà un miglior giudice, quel miglior giudice a cui tutti noi dobbiamo tendere.
Quindi, noi non siamo contrari ad essere valutati, e dico all'onorevole Costa, perché è uno dei suoi temi ricorrenti, che si meraviglia che ci sono altissime percentuali di valutazioni positive: perfezionatele, inserite tutti i fatti specifici che occorrono.
L'avvocatura ha già, i consigli dell'ordine hanno già uno strumento formidabile nel loro
possesso, che è quello delle segnalazioni dei fatti specifici – e i fatti specifici segnalati ai Consigli giudiziari non possono essere messi sotto il tappeto da nessuno.
Non so quanti consigli giudiziari hanno sperimentato questo enorme potere di segnalare i fatti specifici; e non so perché gli avvocati si siano incaponiti a pretendere di esprimere il voto, il giudizio (poi solo gli avvocati, perché i professori universitari li avete tagliati fuori dal voto sulle valutazioni di professionalità, se non ho letto male la legge, quindi solo l'avvocatura sarà chiamata al voto sulle valutazioni di professionalità e non anche i professori universitari, questa è una lettura che non riesco a comprendere fino in fondo: perché una sola parte della componente laica?).
Le valutazioni di professionalità o sono intese nel loro autentico senso o sono distorte.
Noi abbiamo una carriera, ahimè accentuata dalla legge Castelli Mastella; l'abbiamo.
Le promozioni stanno in Costituzione: vogliamo andare in Cassazione, vogliamo andare a ricoprire un incarico direttivo: lì c'è una valutazione comparativa e lì si deve stabilire chi è il migliore, il più bravo, nelle valutazioni per il conferimento dei posti che segnano una promozione.
Ma le valutazioni periodiche hanno tutto un altro significato.
Hanno il significato di verificare costantemente e periodicamente se quel magistrato, che nel momento dell'accesso ha dimostrato di avere capacità tecnico-professionale, le capacità dell’equilibrio, della diligenza, della laboriosità, è in grado di mantenere quello standard di adeguatezza.
Io ho fatto già l’esempio in altre occasioni: ma vi rendete conto se tra la categoria dei medici avessimo valutazioni quadriennali che falcidiassero il trenta per cento, il venticinque per cento, il quaranta per cento dei medici?
Saremmo tutti sgomenti di fronte a una classe medica, interrogandoci di come sia possibile che il medico che ci ha curato il giorno prima, che ha curato il nostro parente, nostro figlio, il giorno dopo sia messo da canto da una commissione di valutazione perché professionalmente inadeguato! Vi aspettavate questo tipo di risposta dalle valutazioni periodiche?
Le valutazioni periodiche devono intercettare la lacuna patologica, e le patologie, grazie a Dio, in un corpo professionale che è ancora un corpo professionale culturalmente e tecnicamente attrezzato è giusto che siano ridotte a dati irrisori!
Dopodiché, aumentiamo la capacità di intercettare la lacuna patologica, ma non pretendiamo che le valutazioni periodiche di professionalità diventino una corsa ad ostacoli dove ad ogni giro devono cadere molte teste, perché se fosse così sarebbe un guaio per il Paese.
La moltiplicazione dell’intervento disciplinare.
C’è una enfatizzazione della risposta disciplinare.
Una moltiplicazione di fattispecie disciplinari (avremo tempo per studiare e approfondire, lo faranno gli organi deputati), con l’effetto probabile di sovrapposizione tra fattispecie che già ci sono o, forse, con pericolosi tentativi di affidare al momento disciplinare un sindacato sulla discrezionalità giudiziale che non gli appartiene, e ciò per principi già inseriti nella legge che voi state andando a rimodellare.
È scritto nella legge Castelli-Mastella che valutazione delle prove e attività di interpretazione sono fuori dal sindacato disciplinare.
Benissimo.
Allora, quando si aggiunge (si sovrappone? non so) la fattispecie disciplinare per il pubblico ministero che induce ad un provvedimento cautelare per non aver prodotto gli elementi rilevanti, è un rinvio a ciò che dice il giudice di quel procedimento, che individua lui, e solo lui, qual è l’elemento rilevante, l’elemento favorevole alla difesa, o è il tentativo di una sovrapposizione in sede disciplinare a valutazioni che spettano solo al sindacato della giurisdizione?
Non lo sappiamo, ma ci impauriamo di fronte a questo tentativo del disciplinare di andare oltre lo spazio del consentito, perché è ancora scritto, nella legge che state emendando e modificando, che quello non è lo spazio del disciplinare.
Sulle conferenze stampa.
Ci avete detto, o ci hanno detto: la nuova fattispecie disciplinare è un'estensione fisiologica: nel momento in cui si arricchisce il catalogo dei doveri del magistrato, quando parla con la stampa, si arricchisce il catalogo disciplinare.
Non ci convince e ci preoccupa.
Se il procuratore della Repubblica è chiamato ad individuare lui, e solo lui, con valutazione ampiamente discrezione, se c'è o meno l'interesse pubblico per indire una conferenza stampa, apprezzamento che dipende da fattori non ponderabili, non valutabili in via generale e astratta (dipende dal territorio, dal tipo di notizia, dal tipo di tessuto sociale in cui quel fatto criminoso o apparentemente tale si è verificato): chi fa poi il sindacato sulle valutazioni dell'interesse pubblico? Il titolare dell'azione disciplinare?
Ma non vi sembra che in questo modo si sta gerarchizzando, si sta dando un'impronta autoritaria a funzioni vitali della discrezionalità giudiziaria?
Parlare con la stampa non è un diritto: è un dovere!
La stampa deve potersi muovere liberamente ed essere effettivo momento di controllo del potere pubblico che si esprime anche con l'indagine e l'azione penale.
Noi vogliamo una stampa indipendente e vogliamo una Magistratura indipendente, una Magistratura che non sia soggetta alla paura della repressione disciplinare, utilizzata in modo scomposto.
Aumentate poi le fattispecie disciplinari: oggi si punisce chi viola le disposizioni relative ai servizi giudiziari.
Lo capiamo: se io abuso dell'autovettura di servizio, dei telefoni dell’ufficio, della carta in dotazione al mio ufficio, devo essere punito.
Ma date rilievo disciplinare anche alla violazione delle direttive.
Di chi, e su cosa?
E allora, quando noi parliamo di magistrati intimoriti, lo facciamo cognita causa: intimoriti dalle preoccupazioni di carriera, intimoriti dalle direttive di un capo che può riempire di contenuti prescrittivi spazi che non gli appartengono.
Noi vorremmo un disciplinare tassativo: non lo è.
Sono queste le ragioni della nostra preoccupazione.
Non chiediamo di essere liberati dalla paura perché staremo singolarmente meglio.
Un impiegato sa trovare l'accomodamento anche con le leggi che accentuano modelli organizzativi desueti, perché gerarchia e uso del disciplinare sono proprio ciò che tutte le organizzazioni complesse stanno abbandonando, e ciò che oggi anacronisticamente si ripropone, proprio per l’ordine giudiziario, in un momento in cui la ripresa non può fare a meno del coinvolgimento partecipativo di tutte le energie, e soprattutto della magistratura.
Se il servizio deve essere migliore e più rapido, dovete coinvolgere i magistrati, non guardarli come i primi sospettati delle inefficienze. E non impaurirli con il disciplinare: questo è il modo di rinverdire i guasti di un'organizzazione vecchia e improduttiva.
Il disciplinare, e chiudo qui, stando alla Corte costituzionale (sentenza degli anni ‘80 del secolo scorso, che sembrano molto lontani), non è l'espressione del predominio dell'apparato amministrativo sul pubblico impiegato - perché noi siamo soggetti alla legge, non ai capi - ma il modo con cui si orienta il comportamento dei magistrati verso un modello di magistrato più conforme a Costituzione e più capace di rendere una giustizia migliore.
Il disciplinare è una leva di promozione, non di autoritaria repressione.
Mi sono limitato ad esaminare solo due delle fattispecie disciplinari di nuova introduzione e che in me destano forte preoccupazione.
Traspare una logica vecchia, antica, quella di irregimentare nella gerarchia i magistrati.
In questa direzione non si rende un buon servizio al Paese.
Vi ringrazio.
CEDU e cultura giuridica italiana. Il primo libro virtuale di Giustizia insieme*
*in copertina G.Iofrida, L'Europa dei diritti
Giustizia Insieme, a partire dal novembre del 2019, ha inteso promuovere un progetto volto a favorire una cultura quanto più possibile condivisa fra gli operatori del diritto attorno al ceppo dei valori umani di una società divenuta estremamente complessa per fattori di varia natura, con un occhio particolarmente attento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In questa prospettiva, restringendo il campo di osservazione al binomio “giustizia-diritti” si è così pensato di dedicare un ciclo di approfondimenti sui temi che ruotano attorno alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Una scelta, questa, che affondava e affonda in ragioni di vario ordine.
Per un verso, si va diffondendo sempre di più l’idea che l’immagine del giurista cresciuto a “pane e Costituzione” oggi abbia subito una lenta metamorfosi per nulla rivolta a sminuire il ruolo centrale della Costituzione quanto ai diritti, ma semmai a mostrare quanto sia proprio la Costituzione e la lettura che di essa viene fornita ad aprire la porta ai diritti di matrice convenzionale. Sono note a molti, del resto, le reazioni - spesso di segno opposto - prodotte da numerose sentenze della Corte di Strasburgo che hanno contribuito a ridisegnare materie e diritti in modo incisivo, facendo spesso da “apripista” ad interventi non meno incisivi della Corte costituzionale. Insomma, il notevole impatto della CEDU nei sistemi nazionali non è ormai solo un fenomeno studiato dalla dottrina specialistica, ma costituisce un tema con il quale i giuristi devono “fare i conti”.
Il progetto “CEDU e cultura giuridica italiana” ha inteso dunque indagare sul modo con il quale viene avvertita l’incidenza della CEDU nel mondo dei giuristi nostrani, sulla necessità o meno di modificare l’ordinario strumentario del giurista e su quanto la Convenzione sia, in prospettiva, in grado di ulteriormente cambiare l'orizzonte, l’assetto e la consistenza dei diritti dell’individuo. Tutto questo scandagliando non i singoli casi, ma muovendo dall'osservazione delle ricadute prodotte dalla CEDU in diversi settori dell'ordinamento giuridico, in modo che alla fine di questo “viaggio” sia possibile avere un quadro sufficientemente completo della situazione.
La Rivista, quanto alle modalità di approfondimento, anche in questa occasione ha inteso sfruttare la ormai sperimentata formula delle “interviste a più voci”, che consente al lettore l’esame di punti di vista provenienti da professionalità operanti in diverse realtà territoriali e culturali.
Il numero imponente di giuristi - accademici e storici del diritto, avvocati, giuristi e giudici della Corte edu - che ha aderito a questa iniziativa, alimentata dalle interviste ospitate con cadenza periodica sulle pagine della Rivista, in gran parte pubblicate durante l’emergenza pandemica, in uno alla qualità dei contributi, a volte rimasti ignoti al grande pubblico proprio a causa delle criticità di vario genere che hanno freneticamente accompagnato l’anno 2020, suggeriscono alla redazione di dare unità a quelle pubblicazioni attraverso la creazione di un vero e proprio libro virtuale, il primo libro virtuale di Giustizia insieme che, attraverso il rinvio ai link delle singole interviste di seguito riportati, possa offrire al lettore, partendo da questo editoriale, un agevole collegamento agli approfondimenti ritenuti di interesse. Con una precisazione, iniziale e doverosa, volta a chiarire che l'ordine dei contributi prescelto si è basato unicamente sulle date di pubblicazione dei contributi che si sono susseguiti sulla Rivista.
Questa nuova iniziativa viene oggi virtualmente inaugurata e presentata dal giudice italiano presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, Raffaele Sabato nella sua Prefazione.
L’itinerario tracciato sul tema CEDU e cultura giuridica italiana si apre, dunque, dando voce all’Avvocatura, chiedendo in particolare ad esponenti del ceto forense di valutare non soltanto l’impatto potenziale della normativa convenzionale sulla materia di propria competenza, ma anche di “misurare” il grado di conoscenza della Cedu nel sistema giudiziario italiano complessivamente considerato.
Nella prima intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 1) La parola agli Avvocati penalisti sul ruolo della CEDU – si sono confrontati Federico Cappelletti, Stefano Giordano e Marina Silvia Mori, avvocati penalisti rispettivamente del foro di Venezia, Palermo e Milano, ragionando sulle questioni più scottanti in ambito penale, cercando di dare conto di come gli avvocati vedono applicata la CEDU nelle aule giudiziarie dai giudici, di quanta competenza e professionalità i giudici mostrino, ai loro occhi, nel destreggiarsi con essa e con i rapporti fra tale fonte, la Costituzione e le altre Carte dei diritti.
Nella seconda intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 2) La parola agli Avvocati civilisti sul ruolo della CEDU – animata dagli avvocati David Cerri, Maria Giovanna Ruo e Paola Regina, che svolgono la professione forense prevalentemente a Pisa, Roma e Milano, si è indagato sul rilievo che la CEDU ha nei rapporti civilistici, alla conoscenza che ne hanno gli operatori ed alle prospettive che essa offre rispetto alla tutela dei diritti.
La terza intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 3) Carta costituzionale e CEDU. Tutto risolto? – ha inteso scandagliare il ruolo della CEDU nelle corti nazionali di merito, di legittimità e della Corte costituzionale, nella prospettiva di compiere un’opera di “sistemazione di posto” della Convenzione edu all’interno del sistema normativo interno del suo rango e della dimensione che essa assume rispetto alla Costituzione. Da qui la necessità di “sentire”, ascoltare e riflettere sulle riflessioni dei tecnici che per funzione, studiano la Costituzione. Adele Anzon, ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università di Roma2, Luisa Cassetti, ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università di Perugia e Andrea Guazzarotti, associato di diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara.
La quarta intervista - CEDU e cultura giuridica. 4) La Corte edu vista dai suoi giudici - ha affrontato l’argomento CEDU visto dalla prospettiva di chi vi ha lavorato, mettendo insieme le riflessioni di due personalità di spicco del mondo giudiziario italiano accomunate dall’avere trascorso un lasso di tempo significativo presso un’Istituzione giudiziaria – la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo – diversa e “altra” rispetto a quella nazionale.
Le domande rivolte a Vladimiro Zagrebelsky e Guido Raimondi hanno cercato di orientare le risposte sul cosa significa essere giudice nazionale in un’istituzione giudiziaria sovranazionale, quale apporto viene offerto e richiesto dai giudici che compongono la Corte edu, quanto essi si distaccano dall’ordinamento di provenienza e quanto diverso sia il modo di “essere giudici” e di “fare giustizia” di quella Corte rispetto alle Corti nazionali. Senza ovviamente tralasciare i temi più caldi, rappresentati dal ruolo della Corte edu nell’affermazione e protezione dei diritti umani e delle sfide che si porranno nel prossimo futuro.
Senza nemmeno tralasciare le sfide, attuali ed imminenti, poste al lavoro della Corte edu, nonché del giudice nazionale in relazione al Protocollo n. 16 annesso alla CEDU.
La quinta intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 5) La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e i civilisti - riapre le porte dell’Accademia, ospitando le riflessioni di due tra i più autorevoli studiosi del diritto civile: Nicolò Lipari, professore emerito di diritto civile presso l’Università di Roma e Emanuela Navarretta, ordinaria di diritto privato presso l’Università di Pisa, oggi giudice costituzionale. Rispondendo alle domande sull’incidenza della normativa Cedu nell’ambito dei rapporti interprivati e sul ragionamento giuridico che l’interprete deve condurre nell’applicare la legge nelle controversie di natura civile, gli interlocutori hanno evidenziato il ruolo di primo piano svolto dalla Cedu anche in questo settore, spesso sottovaluto e poco conosciuto.
Con la sesta intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 6) La CEDU e l’Accademia europeista-internazionalista - la parola è passata agli studiosi del diritto europeo ed internazionale, ed in particolare a Marina Castellaneta, ordinaria di diritto internazionale presso l’Università di Bari, Angela Di Stasi, ordinaria di diritto dell’Unione europea presso l’Università di Salerno ed Antonello Tancredi, ordinario di diritto dell’Unione europea presso l’Università di Palermo.
Anche in questo caso le domande sottoposte hanno riguardato il futuro dei rapporti tra giudice nazionale e la Corte di Strasburgo, il raffronto fra il grado di autonomia e indipendenza della giurisdizione italiana e quello proprio dei giudici della Corte Edu e ancora le sfide che attendono da una parte la Corte edu, con riguardo soprattutto allo strumento dei ricorsi diretti, e dall’altra il giudice nazionale, in previsione dell’entrata in vigore del Protocollo n. 16.
Nel riservare la successiva intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 7) La CEDU e i processualcivilisti - a tre importanti rappresentanti della dottrina processual-civilistica italiana: Paolo Biavati, Giorgio Costantino ed Elena D’Alessandro, cattedratici a Bologna, Roma e Torino, la stella polare è stata individuata nella riforma dell’art.111 Cost. in tema di giusto processo, conferma plastica di quanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo avrebbe potuto incidere sul sistema processuale interno all’indomani della novella introdotta in Costituzione sulle ali dell’art.6 CEDU. La viva voce dei tre studiosi del processo civile è dunque sembrata necessaria per fare il punto sul già fatto e sulle prospettive che la piena attuazione della CEDU e della giurisprudenza della Corte europea possono rappresentare per studiosi e, soprattutto, operatori pratici del diritto.
Qual è l’influenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul diritto e sul processo tributario? Questo è stato l’interrogativo di fondo che ha animato l’ottava intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 8) CEDU e diritto tributario – attraverso le domande poste ad Alberto Marcheselli, Valeria Mastroiacovo e Giuseppe Melis, ordinari di diritto tributario rispettivamente a Genova Foggia e Roma(Luiss). Si è scelta, in particolare, la prospettiva tesa a favorire il raccordo fra scienza giuridica e giurisprudenza in un campo delicato ed esposto, oggi più che mai, a venti di varia natura e direzione, nei quali tornano a misurarsi l’interessi nazionali di fondamentale portata con non meno meritevoli esigenze di protezione dei diritti del contribuente.
La nona intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 9) La CEDU e il diritto amministrativo – ha guardato ai rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, interpellando gli studiosi del diritto amministrativo. Le domande hanno spaziato in questo caso dai nodi problematici in tema di processo amministrativo e Cedu che la Corte europea è chiamata a sciogliere nel prossimo futuro, all’ipotizzabilità di dubbi di conformità alla CEDU del sistema ridisegnato dalla sentenza della Corte costituzionale n.6/2018 in tema di eccesso di potere giurisdizionale, fino in ultimo all’assetto normativo previsto in materia di provvedimenti ablatori a seguito degli interventi della Consulta (sentt.n.348 e 349 del 2007, 71/2015) e del legislatore ordinario (art.42 bis T.U. espr.) rispetto ai parametri convenzionali.
Ad animare il dibattito sono stati Roberto Caranta, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Torino, Francesco Goisis, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università Statale di Milano e Giuseppe Tropea, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Reggio Calabria.
La decima intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 10) Cedu e processualpenalisti – ha proseguito il dialogo sulla Cedu con l’Accademia, coinvolgendo questa volta i processual-penalisti. Alle domande sulle sfide che attendono la Corte Edu in particolar modo in ordine ai temi relativi alle garanzie dell’imputato nel processo penale – quale il divieto di bis in idem –, ai rapporti fra le garanzie offerte dalla Carta UE dei diritti fondamentali e quelle derivanti dalla CEDU e ai principi guida sul piano dell’esecuzione delle sentenze della Corte edu in materia penale hanno risposto due autorevoli accademici, Roberto E. Kostoris, ordinario di procedura penale presso l’Università di Padova e Stefano Ruggeri, ordinario di giustizia penale italiana, europea e comparata presso l’Università di Messina.
L’undicesima intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 11) CEDU e Diritto del Lavoro – ha stimolato le riflessioni dei giuslavoristi ed in particolare di Edoardo Ales, ordinario di diritto del lavoro presso l’Università di Napoli Parthenope e Stefano Giubboni, ordinario di diritto del lavoro presso l’Università di Perugia.
Le domande formulate hanno interessato il livello di impatto della giurisprudenza convenzionale sul diritto del lavoro, sulla scorta della giurisprudenza nazionale e sovranazionale degli ultimi anni; le problematiche derivanti dalla tutela concorrente offerta nella materia lavorista dalla Carta dei diritti fondamentali, dalla Carta sociale europea e dalla Corte EDU; infine, le possibili modalità di composizione, all’interno del singolo processo, della diversità delle tutele apprestate ai diritti sociali a livello costituzionale e convenzionale.
La dodicesima intervista - CEDU e cultura giuridica italiana. 12) Carta dei diritti fondamentali UE e CEDU - si è focalizzata principalmente sul tema dei rapporti tra la Convenzione europea e la Carta UE dei diritti fondamentali, grazie al prezioso contributo di Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea presso l’Università di Roma La Sapienza.
Le domande hanno riguardato nell’ordine: il metodo da adottare nell’individuazione dei diritti immediatamente precettivi e viceversa dei principi all’interno della Carta UE al fine della diversa efficacia degli stessi nei rapporti verticali ed orizzontali; l’incidenza, in termini di diversità di tutela fra i diritti contemplati nella Carta UE e nella CEDU, dell’orientamento della Corte Costituzionale inaugurato con la sentenza n. 269/2017; il ruolo dei giudici comuni nazionali rispetto all’interpretazione dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti in armonia con le tradizioni costituzionali, secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale; e infine la sufficienza o meno dei sistemi di raccordo fra Carta UE e CEDU introdotti all’interno della Carta.
Il ciclo di interviste si è chiuso con il coinvolgimento di tre insigni penalisti di diversa “estrazione”: Francesco Viganò, giudice costituzionale, già ordinario di diritto penale presso l’Università Statale di Milano e in seguito presso l’Università Bocconi, Raffaello Magi, consigliere presso la Corte Suprema di Cassazione e Vittorio Manes, avvocato e ordinario di diritto penale presso l’Università Alma Mater di Bologna.
In quest’ultima occasione di confronto - Cedu e cultura giuridica italiana. 13) Conversando con i penalisti su CEDU e dintorni - le domande si sono concentrate sul tema dei rapporti tra diritto penale, Cedu e Carta dei diritti fondamentali; sul peso assunto dal giudice nazionale e, di converso, dall’avvocato nell’attuazione dei diritti fondamentali nella materia penale sulla spinta delle Carte dei diritti fondamentali e infine sul ruolo giocato dalla Carta UE dei diritti fondamentali nella materia penale rispetto alla Costituzione e alla Cedu.
L’impressione complessiva che emerge scorrendo le tredici interviste è quella di un forte entusiasmo e voglia di dialogare dei protagonisti con la giurisdizione, a riprova della considerazione elevata che, malgrado tutto, il mondo della giustizia gode nei settori pulsanti della società, con i quali la magistratura non può non cooperare attivamente in posizione equiordinata.
Una considerazione che dovrà però essere ripagata con altrettanta passione ed entusiasmo dalla magistratura per mantenere alto il livello di confronto e di reciproca crescita, all'insegna di quel principio di "leale cooperazione" che è la cifra unificante di questo libro.
La speranza, che giustamente il giudice Sabato ha espresso e che facciamo nostra è, dunque, che l'impegno profuso dai giuristi coinvolti in questo progetto sia foriero di ulteriori frutti fecondi ed effettivi, animati dallo stesso spirito lindo e capaci di coinvolgere, nelle dimensioni plurali proprie di ciascun ordine e funzione, fasce sempre più ampie di operatori del diritto e non solo le c.d. élite degli esperti del settore, essendo ben altra e ben più importante la posta in gioco.
Una posta che vuole andare a braccetto con la cultura per sconfiggere l'incultura e che guarda ai diritti delle persone senza volerli deificare ma, semmai, conoscere ed applicare considerando anche la prospettiva di solidarietà e "doverosità" che essi contemplano e che li rende espressivi dei valori universali appartenenti alla società del nostro tempo, oggi più che mai messa a dura prova da una guerra che sembra assumere sempre di più il volto di un conflitto globale nel quale i valori devono essere il faro che si intravede alla fine del tunnel, ininterrottamente acceso, continuamente alimentato, salvaguardato fino alla fine.
Un grande grazie a chi ha reso possibile questo cammino, ancora lungo per tutti.
Ricordo di Franco Bile
di Giovanni Amoroso
Franco Bile è un pezzo di storia della Corte costituzionale.
Il 29 ottobre 1999 è stato eletto giudice costituzionale dai magistrati della Corte di Cassazione e della Procura Generale e ha prestato giuramento l'8 novembre 1999. L'11 luglio 2006 è stato eletto Presidente della Corte costituzionale e ha terminato il suo mandato l'8 novembre 2008.
Ha redatto, come giudice, 243 provvedimenti, tra sentenze e ordinanze; come Presidente ne ha sottoscritti 983.
Già solo questi dati dicono quanto abbia significato per la Corte costituzionale l’opera di Franco Bile, di cui posso dirmi testimone diretto avendo avuto il privilegio di collaborare come suo assistente di studio.
È stato maestro di diritto e di sapienza giuridica con la modestia e la mitezza che riflettevano il suo animo gentile.
Provenendo dalla Corte di cassazione, dove per molti anni aveva esercitato le funzioni di legittimità fino ad essere Primo Presidente Aggiunto, Franco Bile aveva una competenza ed esperienza giuridica a tutto campo, che si ritrova poi nell’ampiezza delle materie trattate come giudice costituzionale.
Le sue sentenze hanno spaziato nei settori più vari.
Si affollano i ricordi delle tante questioni. Il filo della memoria si snoda negli anni in una sequenza di immagini e pensieri, che emergono da un passato ancora recente.
Vale ora fare anche soltanto menzione di alcune tra le principali sentenze non già come rassegna, ma come tessere luminose di un’immagine complessiva per ricomporre il ricordo di ciò che è stato Franco Bile nella Corte costituzionale.
La materia che gli era più congeniale, anche per la sua pregressa esperienza alle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, era quella della giurisdizione civile e amministrativa e del loro riparto. Si trovò ben presto ad affrontare un tema che poi diventerà un Leitmotiv negli anni successivi e che muterà profondamente l’assetto della giurisdizione rispetto al disegno del Costituente. Con una delle sue prime pronunce (sentenza n. 292 del 2000) è stata dichiarata l’illegittimità dell’istituzione di una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi non limitata ai diritti patrimoniali conseguenziali e l’attribuzione della cognizione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi nelle concessioni di pubblici servizi.
Il diritto alla tutela giurisdizionale è ricorrente in altre pronunce. La concezione bifasica della notificazione in materia civile ha assicurato una garanzia, ormai acquisita, alla parte che procede alla notificazione. Con una pronuncia interpretativa è stata riconosciuta l’estensione di questa regola per cui le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte del destinatario della notificazione debbono coordinarsi con l'interesse del notificante a non vedersi addebitato l'esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità. Quindi la notifica si perfeziona, per il notificante, con il compimento delle sole formalità che non sfuggono alla sua disponibilità e non già alla data dell’attestazione che di esse fa l'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione (sentenza n. 28 del 2004).
La tutela giurisdizionale non può essere condizionata dall’adempimento dell’obbligo fiscale che corre su un binario distinto. La sentenza n. 522 del 2002 ha dichiarato l’illegittimità della norma secondo cui i cancellieri non potevano rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati se non dopo che gli stessi fossero stati registrati. Pertanto è sempre dovuto il rilascio dell'originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per procedere all'esecuzione forzata.
Il canone del “giudice terzo e imparziale”, introdotto in termini espressi dal novellato art. 111 della Costituzione, è al fondo delle pronunce di incostituzionalità che hanno avuto ad oggetto le regole di competenza nelle cause in cui sono parti anche magistrati (sentenze n. 444 del 2002 e n. 147 del 2004).
Plurime sono poi le sentenze in materia di tutela del lavoro pubblico e privato.
È stata dichiarata costituzionalmente illegittima la norma, ingiustamente penalizzante per il pubblico impiego, che escludeva il diritto agli interessi e alla rivalutazione monetaria per i crediti retributivi conseguenti agli inquadramenti definitivi operati per il personale del comparto ministeri (sentenza n. 136 del 2001).
È stata ribadita la regola del concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni nel dichiarare l’illegittimità di una legge regionale che riservava la copertura del cento per cento dei posti messi a concorso al personale interno (sentenza n. 373 del 2002). Anche il passaggio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ad una fascia funzionale superiore, comportando l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate, è soggetto alla regola del pubblico concorso, che non è rispettata dalla riserva di tutti i posti disponibili di una data qualifica ai dipendenti già in servizio.
Parimenti illegittima è stata ritenuta altra legge regionale che conteneva un meccanismo di spoil system quanto alla dirigenza sanitaria e amministrativa delle aziende ospedaliere (sentenza n. 233 del 2006). L'azzeramento automatico dell'intera dirigenza in carica pregiudica il buon andamento della pubblica amministrazione.
La tutela del lavoro ispira altre pronunce in tema di contratto per prestazioni di lavoro temporaneo (sentenza n. 58 del 2006), in materia di infortuni e malattie professionali (sentenza n. 171 del 2002) e con riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali (sentenza n. 223 del 2001).
Un’importante pronuncia ha riguardato il matrimonio concordatario, dichiarato nullo dalla giurisdizione ecclesiastica, e l'applicabilità del regime patrimoniale dettato dall'ordinamento italiano per il matrimonio putativo e non di quello previsto per i casi di scioglimento del matrimonio civile e di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio concordatario (sentenza n. 329 del 2001). Le due fattispecie della nullità del matrimonio e del divorzio presentano elementi di diversità non meramente formali, ma sostanziali.
Con riferimento alle agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa la sentenza n. 416 del 2000 ha dichiarato l’illegittimità della norma che escludeva il rimborso delle somme dovute al contribuente in ragione dell’efficacia retroattiva del beneficio. La logica del fait accompli non vale a giustificare un trattamento deteriore e discriminatorio per il contribuente che abbia tenuto il comportamento fiscale più corretto, provvedendo al pagamento dell'imposta nel maggiore importo accertato senza tener conto dell'agevolazione fiscale, poi riconosciuta.
Non mancano pronunce in materia penale, come quella che ha dichiarato l’illegittimità della norma che - nel prevedere, in ogni caso di inammissibilità del ricorso per cassazione, la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso – non escludeva l’ipotesi in cui quest’ultima non versasse in colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (sentenza n. 186 del 2000). La censura della rigidità dei meccanismi processuali che limitano il diritto di difesa è una costante della giurisprudenza costituzionale.
Numerose sono anche le pronunce in materia di diritto regionale, che costituisce tuttora ampia parte del contenzioso costituzionale.
La tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è al fondo di pronunce dichiarative dell’illegittimità di leggi regionali in materia di rifiuti speciali (sentenza n. 505 del 2002) e di stoccaggio di materiali nucleari (sentenza n. 247 del 2001).
Si è riconosciuta la competenza del legislatore regionale nel dettare disposizioni in materia di spese condominiali in caso di assegnazione in locazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (sentenza n. 352 del 2001). È questa una rara pronuncia in cui la Corte ha riconosciuto uno spazio al legislatore regionale anche per aspetti che concernono l’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale.
Tra le pronunce che hanno avuto ad oggetto conflitti tra poteri dello Stato possono ricordarsi quelle che hanno riguardato l’immunità parlamentare per le opinioni espresse (sentenza n. 247 del 2004) e l’assoggettabilità a perquisizione di un locale nella disponibilità di un parlamentare e l’inviolabilità del suo domicilio (sentenza n. 58 del 2004). Con quest’ultima pronuncia, che ha presentato la singolarità di aver riguardato un conflitto sollevato dalla Camera dei deputati nei confronti di una Procura della Repubblica per fatti avvenuti oltre sei anni prima, la Corte ha sì affermato l’inesistenza di un termine di decadenza per proporre il conflitto, ma ha anche effettuato la valutazione del perdurante interesse al ricorso nonostante il lungo tempo trascorso.
Nel ricordare infine la Presidenza di Franco Bile negli anni 2006-2008 non può non farsi menzione delle fondamentali sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 che hanno modificato profondamente il giudizio costituzionale e l’ordinamento giuridico quanto alla conformità della normativa nazionale al diritto europeo e ai trattati internazionali. Esse hanno costituito e rappresentano tuttora un costante riferimento nella giurisprudenza successiva.
Franco Bile ha dato moltissimo alle istituzioni.
La sua scomparsa ci lascia la tristezza del rimpianto, ma il conforto di un esempio di integrità assoluta, di rigore morale, di costante impegno civile.
Uomo del mio tempo
di Salvatore Quasimodo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
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