Recensione di Luigi Salvato a “Le inammissibilità nel giudizio civile di legittimità” di Pasquale Gianniti e Claudio Sabatino
Sono trascorsi quasi quattro decenni da quando, nel 1986, il Primo Presidente, Antonio Brancaccio, intitolando il suo discorso d’insediamento alla «necessità urgente di restaurare la Corte di cassazione», riavviò il dibattito, già sviluppatosi negli anni ’50 (in particolare, con le riflessioni di Andrioli, Carnelutti e Torrente), sulla “questione Cassazione”. L’invito fu prontamente raccolto; l’anno successivo alcuni autorevoli magistrati e docenti universitari, muovendo dalla premessa che la «Corte di cassazione è in crisi profonda. Essa non assolve più la sua funzione istituzionale di garanzia oggettiva volta ad assicurare l’esatta e uniforme interpretazione della legge», approfondirono in alcuni saggi le cause ed i possibili rimedi della crisi[1]. Con rara efficacia in questi scritti fu evidenziata la «specificità» dei problemi rispetto a quelli che tradizionalmente avevano afflitto la Corte, cogliendo «le dimensioni del travaglio» essenzialmente nel progressivo aumento del numero dei ricorsi.
La Corte di Cassazione, a sua volta, riunita in assemblea generale, ha ulteriormente approfondito le ragioni della crisi[2], proponendo rimedi e segnalando l’esigenza di valutare «nuovi criteri e modalità di proposizione e decisione dei ricorsi»[3].
Parimenti alta è rimasta l’attenzione della dottrina (attestata dal numero degli scritti e delle monografie dedicate alla “questione Cassazione”[4]) e del legislatore. Quest’ultimo, a partire dal 2001, soprattutto a far data dalla metà del primo decennio di questo secolo, ha infatti realizzato una serie di riforme che, sia pure con ripensamenti, talora forse troppo repentini (il riferimento è al “quesito di diritto”, introdotto con l’art. 366-bis c.p.c. nel 2006 ed abrogato dopo soli tre anni[5]) ed interventi non sempre coordinati, hanno significativamente modificato la disciplina del processo civile di legittimità, nel tentativo appunto di porre rimedio alla crisi.
La complessità delle ragioni della stessa e la difficoltà di individuare congrui rimedi hanno a loro volta radice nella parimente risalente, preliminare, questione della funzione della Corte di cassazione, sintetizzabile nel dilemma della finalità del ricorso per cassazione: se costituisca essenzialmente uno strumento di garanzia individuale delle parti, ovvero costituisca un’occasione per assicurare la difesa dello ius constitutionis e del principio di eguaglianza. Questione complicata dall’inverarsi della pos-modernità, «caratterizzata dalla elasticità e fattualità in cui primeggia la figura dell’interprete e rileva peculiarmente il piano dei fatti. Siffatti caratteri sembrano [infatti] confortare la tesi di chi (Michele Taruffo) ipotizza che quello delle Corti supreme sia un “mito” ed auspica che venga privilegiata un'opzione orizzontale e sia preso atto del fatto che le stesse sono investite della facoltà di mettere fine, ma solo provvisoriamente, ad una discussione che è, tuttavia, ineluttabilmente “corale”, in quanto è condotta da tutti i giudici e la definizione di determinati aspetti prescrittivi complessi del sistema normativo è necessariamente magmatica»[6].
Il dilemma di fondo in ordine alla funzione della Corte di cassazione - in particolare, alla centralità e rilevanza di quella nomofilattica - sembrerebbe non compiutamente sciolto dalla Corte costituzionale. Alcune pronunce hanno, infatti, enfatizzato l’attenzione al ricorso per cassazione quale strumento di garanzia individuale delle parti[7] e potrebbero minare il convincimento che l’art. 111, settimo comma, Cost. risponda alla funzione nomofilattica, o almeno risponda solo ed in modo preponderante a tale funzione, prefigurando in tal modo ostacoli alla riforma della norma costituzionale, più volte auspicata, in vista di una limitazione del diritto di accesso al giudizio di legittimità e, comunque, ad un’interpretazione più rigorosa della disciplina di tale accesso (evidentemente rilevante ai fini della conformazione delle inammissibilità). In contrario, come in passato ho cercato di dimostrare[8], depongono invece altre pronunce, relative sia al profilo ordinamentale[9], sia alla pregnanza della funzione nomofilattica[10], espressamente riservata alla Corte di cassazione da una norma precostituzionale (l’art. 65 ord. giud.) e che, tuttavia, ha una sicura rilevanza costituzionale, tra l’altro in quanto costituisce presidio del principio di eguaglianza, leso da interpretazioni discordanti, in difetto di un organo che a queste ponga rimedio, soprattutto a seguito del moltiplicarsi delle fonti e della costruzione del c.d. ordinamento multilivello.
Nel nuovo complesso sistema delle fonti e dell’articolazione dell’ordinamento in una dimensione non più soltanto statuale, il superamento della crisi e il “rafforzamento” della funzione nomofilattica sono stati affidati anche (e proprio), come evidenziato nelle lezioni di Giovanni Amoroso e Mario Rosario Morelli[11], alla previa verifica di ammissibilità del ricorso. Una tale verifica risulta nondimeno assai complicata, perché ne restano incerti i confini, in considerazione dell’accennata, complicata, questione della finalità del ricorso, ma anche della giurisprudenza sovranazionale. Quest’ultima ha, infatti, «assegnato al diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, implicito nell’art. 6 § 1 della Convenzione (Golder c. Regno Unito, n. 4451/70, 21 febbraio 1975), una posizione sempre più centrale nell’architettura complessiva della Convenzione», occupandosi «in varie occasioni del diritto di accesso al giudice, in particolare relativamente alle Corti supreme, o di ultima istanza». Da ultimo, con la sentenza Succi (avente ad oggetto il principio di autosufficienza del ricorso) che – ha sottolineato Guido Raimondi - «induce comunque alla riflessione, soprattutto a proposito della esigenza di assoluta chiarezza e prevedibilità delle ragioni poste dalla Corte di legittimità alla base delle sue decisioni di inammissibilità»[12]. Su queste ultime si sono appuntate, in larga misura, non poche critiche, involgenti il significato ed il contenuto del c.d. «formalismo giuridico […] uno dei problemi che possono riscontrarsi nell’accesso al giudice di legittimità, non certamente l’unico», evidenziando altresì gli errori commessi nel realizzare le riforme preordinate al recupero della funzione nomofilattica ed indicando che «la cura che serve alla Corte è il ritorno al giudizio: senza impicci, senza soverchie complicazioni. E che sia il legislatore, con norme chiare, a risolvere i problemi di accesso, togliendo alla Corte l’imbarazzo di dover essere il regolatore di sé stessa»[13].
L’obiettivo di rendere più celere, efficiente e prevedibile, lo svolgimento dell’attività processuale, anche del giudizio di legittimità, ha costituito precisa finalità delle riforme proposte dalla Commissione Luiso[14], da perseguire attraverso: «l’introduzione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte: una previsione, questa, che per il giudizio di cassazione merita di essere introdotta con una disposizione ad hoc, in considerazione non solo della centralità del ruolo della Corte di cassazione nell’ordinamento, al vertice del sistema delle impugnazioni, ma anche per le caratteristiche peculiari rivestite dalla traduzione di quel principio nel giudizio di legittimità»; «la perimetrazione del principio di autosufficienza del ricorso»; la «unificazione dei riti camerali»; la «introduzione di un procedimento accelerato, rispetto alla ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati», affidato ad un «giudice della Corte», cui spetta formulare «una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata» che, se accettata dagli avvocati delle parti, conduce ad una pronuncia di estinzione del giudizio.
Gli obiettivi indicati dalla Commissione Luiso sono stati in gran parte recepiti dalla legge-delega 26 novembre 2021, n. 206, e, quindi, dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che ad essa ha dato attuazione (in particolare, con l’art. 3, commi 27-29[15]). Per quanto interessa in questa sede, è sufficiente osservare che la modalità di definizione accelerata dei ricorsi (inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati), affidata alla «proposta» di «un giudice della Corte»[16], prefigura l’introduzione di una sorta di monocraticità del giudizio di cassazione, che ancora più esige l’identificazione di precisi «criteri in base ai quali misurare il coefficiente normativo di uno o più precedenti tale da costituire giurisprudenza e orientamento propriamente detti»[17]. In ogni caso, detta “proposta” dovrebbe esaurirsi in una sorta di ‘certificazione’ delle ragioni ‘di rigetto’ (in particolare, dell’inammissibilità) pianamente desumibili dalla giurisprudenza della Corte, che non deve (non dovrebbe) concorrere a formare.
Se si considera che le voci di dentro della Corte sono sostanzialmente concordi nel sottolineare «l’importanza che il fenomeno dei ricorsi inammissibili assume nella gestione dei flussi in Cassazione»[18], resta ferma anzitutto l’esigenza di una precisa, rigorosa, identificazione dei casi di inammissibilità. Inoltre, l’imprescindibilità - anche negli anni che stiamo vivendo, della pos-modernità, in cui la regola è enunciata dal giudice all’esito di un bilanciamento di valori che si dispiega in termini più ampi di quanto accadeva in passato (che contribuisce all’incertezza nella sua preventiva individuazione) – di mantenere fermo il «rispetto delle norme processuali». Ritengo, infatti, meritevole di attenzione (e condivisione) l’appello con cui, sul finire del primo decennio di questo secolo, quattro autorevoli processualisti hanno richiamato l’attenzione sull’indefettibilità del fondamento positivo della necessaria predeterminazione delle regole processuali. Se è, infatti, certo che non può essere messo in discussione il potere del giudice di interpretare le disposizioni conformemente ai valori costituzionali, tutte le disposizioni, anche quelle processuali, è altrettanto certo che queste ultime devono tuttavia costituire oggetto, più di quelle di natura sostanziale, di un’esegesi stringente, peculiarmente attenta e rispettosa della (e vincolata alla) lettera della legge (la cui vincolatività, peraltro, è stata di recente riscoperta[19]). Infatti, «se le regole che fissano e limitano, anche in modo meticoloso, i poteri del giudice vengono liberamente interpretate dai giudici stessi, allora la funzione di garanzia che il codice ha si perde», costituendo la «pre-conoscenza delle modalità processuali […] un valore fondamentale dello Stato di diritto»[20].
A questo scopo, come ho altrove osservato[21], è indispensabile il concorso di riflessioni svolgentisi su diversi piani: quello squisitamente dottrinario, della ricostruzione dommatica degli istituti; quello esclusivamente ricognitivo delle pronunce giurisprudenziali e delle opinioni dei dottori; quello dedicato all’analisi ed alla ricostruzione degli orientamenti in funzione eminentemente applicativa delle disposizioni. Quest’ultima tipologia, cui è riconducibile la monografia di Pasquale Gianniti e Claudio Sabatino, conserva pregnante importanza anche al tempo della smisurata implementazione delle banche dati e della facilità del reperimento dei precedenti, perché questo resta insufficiente a permettere di orientarsi nella ricerca delle soluzioni corrette. Gli Autori, grazie alla loro specifica professionalità ed al concorso di esperienze, prospettive ed approcci diversi (Pasquale Gianniti è consigliere della Corte di cassazione, Claudio Sabatino è avvocato), hanno svolto, come sottolinea la prefazione del Prof. Paolo Biavati, «una lucida panoramica degli orientamenti della Cassazione, che certo può contribuire ad una pacata e costruttiva riflessione». Il volume muove, infatti, dall’illustrazione degli snodi fondamentali dell’evoluzione storica della Corte, del significato della funzione nomofilattica e delle fasi salienti del giudizio di legittimità, per approfondire le molteplici fattispecie di inammissibilità (numerose e complesse), attentamente ripartite e valutate. Al lettore è, quindi, offerta una chiara ed esauriente ricognizione dei problemi posti dalla categoria dell’inammissibilità (sui quali sarebbe qui un fuor d’opera attardarsi) che, grazie anche ad un indice particolarmente dettagliato, consente agli studiosi ed ai pratici di orientarsi correttamente (ed agevolmente) nell’affrontare un tema di essenziale importanza, che la recentissima riforma ha arricchito di nuove questioni.
[1] Raccolti sotto il significativo titolo Per la Corte di cassazione, Foro it., 1987, V, 1 ss.
[2] Tra l’altro, nel 1999 conclusasi con l’elaborazione di un documento contenente una serie di proposte operative.
[3] In particolare, all’esito dell’assemblea generale del 2015.
[4] Letteratura talmente vasta da rendere arduo offrire complete indicazioni, comunque esorbitante la finalità di queste brevi considerazioni.
[5] Meccanismo processuale ritenuto compatibile con la CEDU dalla Corte di Strasburgo (sentenza Trevisanato c. Italia, n. 32610/07, 15 settembre 2016), stante la legittimità dello scopo perseguito dalla limitazione prevista dall’articolo 366-bis c.p.c., in quanto volta a sanzionare ricorsi pretestuosi o, comunque, mal formulati, allo scopo di permettere alla Corte di cassazione di svolgere in maniera più efficiente la sua funzione di giudice di legittimità e della nomofilachia.
[6] Mi sia consentito fare riferimento alle considerazioni svolte in La nomofilachia nella dialettica tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, www.forumquaderni costituzionali.it, 9 novembre 2018.
[7] Senza pretesa di completezza, ancora richiamando lo scritto della nota che precede, vanno ricordate: la sentenza n. 29 del 1972 (secondo cui, in virtù della garanzia assicurata al cittadino dall'art. 111 Cost., «nessuna norma che, in contrario, restringa tale diritto, escludendolo in casi determinati, anche se a tutela di altre esigenze, può ritenersi conforme al dettato costituzionale»); la sentenza n. 26 del 1999 (nella parte in cui ha rimarcato che «l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti è essa stessa il contenuto di un diritto» fondamentale, di cui costituisce nucleo incomprimibile l’impugnabilità con ricorso per cassazione), la sentenza n. 395 del 2000 (prefigurando «il diritto a fruire del controllo di legittimità riservato alla Corte Suprema, cioè il diritto al processo in cassazione»); la sentenza n. 207 del 2009 (la quale ha ribadito che il giudizio di cassazione costituisce «rimedio costituzionalmente imposto»).
[8] In La nomofilachia nella dialettica tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, cit.
[9] Intendo riferirmi alle pronunce secondo cui è proprio la funzione nomofilattica ed il rilievo costituzionale della Corte di cassazione a spiegare e giustificare la relazione che esiste fra la posizione della stessa e lo status dei magistrati che vi svolgono la propria opera (in particolare, cfr. le sentenze n. 86, n. 87 e n. 156 del 1982).
[10] In particolare, le numerose pronunce (per le quali, L.Salvato, Profili del «diritto vivente» nella giurisprudenza costituzionale, Quaderno del Servizio studi della Corte costituzionale, 2015), che hanno elaborato la teorica del «diritto vivente», ascrivendone la formazione esclusivamente alla Corte di cassazione, in quanto concorre a dare preciso contenuto alla funzione nomofilattica, rileva sul versante interno alla giurisdizione ordinaria, dato che, fermo il principio della soggezione del giudice soltanto alla legge, art. 101 Cost., segna il confine della libertà interpretativa del giudice comune, almeno con riguardo ai presupposti della questione di costituzionalità; la sentenza n. 98 del 2008 (avente ad oggetto la norma che ha reso appellabile la sentenza che decide l'opposizione avverso il provvedimento che irroga una sanzione amministrativa); la sentenza n. 119 del 2015 (la quale ha riconosciuto la legittimazione delle S.U. a sollevare questione di legittimità costituzionale quando ritengano il ricorso inammissibile, ma reputino di enunciare il principio di diritto ex art. 363 c.p.c., legittimazione affermata valorizzando appunto la funzione nomofilattica, sottolineando che la stessa «costituisce […] espressione di una giurisdizione che è (anche) di diritto oggettivo»).
[11] In La Cassazione civile - Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, a cura di M.Acierno, P.Curzio e A.Giusti, Bari 2020.
[12] G.Raimondi, Corte di Strasburgo e formalismo in Cassazione, in questa Rivista, 8 novembre 2021.
[13] Così, ex plurimis, B.Capponi, Il formalismo in Cassazione, in questa Rivista, 31 ottobre 2021.
[14] Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi, presieduta dal Prof. F.P.Luiso. La Relazione, depositata il 24 maggio 2021, è consultabile in www.gnewsonline.it.
[15] Modifiche che non è possibile, ma neanche necessario, qui indicare e, a fortiori, esaminare.
[16] Proposta che, in considerazione degli effetti, per così dire, premiali derivanti dall’acquiescenza alla stessa, finisce con il costituire, sostanzialmente, una decisione.
[17] F. Auletta, Per una definizione di «giurisprudenza della Corte»: coefficiente normativo marginale della decisione e metodi quantitativi di misura, in D. Dalfino (a cura di), Problemi attuali di diritto processuale civile, Milano, 2021, 233, ove una approfondita disamina dei criteri di misurazione, anche i fini dell’art. 360-bis c.p.c.
[18] M.Vessichelli, Categoria della inammissibilità. Nel giudizio di cassazione, in www.cortedicassazione.it, con riguardo ai processi penali, ma con considerazione ordinariamente reiterata per quelli civili.
[19] Per tutte, nella giurisprudenza costituzionale, sentenze n. 93 del 2022, n. 102 del 2021 e n. 221 del 2019; nella giurisprudenza di legittimità, S.U., 9 settembre 2021, n. 24413.
[20] R.Caponi, D.Dalfino, A.Proto Pisani, G.Scarselli, In difesa delle norme processuali Nota a Cass.,
sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309, Amato c. Min. economia e fin. e Cass., sez. trib., 18 febbraio 2010, n. 3830, Soc. Prafond c. Agenzia entrate), Foro it., 2010, I, 1794.
[21] L.Salvato, Prefazione, in Il contenzioso sui diritti reali, a cura di A.Penta e F.Troncone, Milano 2021.