Il difetto (a mio parere) della nuova magistratura tributaria
di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. Sulla nuova magistratura tributaria a seguito della legge 31 agosto 2022 n. 130. - 2. La necessità di riassumere i precedenti storici della magistratura tributaria in Italia, dalla legge 14 luglio 1864 n. 1830 alla riforma del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545. – 3. Breve esposizione delle caratteristiche della magistratura tributaria dovute al suo percorso storico. - 4. Consequenziali dubbi di legittimità costituzionale delle odierne novità, artt. 24, 108 e 111 Cost. - 5. Le ulteriori problematiche costituzionali poste dal ruolo e dalle iniziative del Ministero dell’economia e delle finanze. - 6. Sintesi.
1. Sulla nuova magistratura tributaria a seguito della legge 31 agosto 2022 n. 130
La recente riforma di cui alla legge 31 agosto 2022 n. 130 rivoluziona completamente la magistratura tributaria.
In primo luogo cambia il nome: la giustizia tributaria di primo grado non si chiamerà più “Commissione tributaria provinciale” bensì “Corte di giustizia tributaria di primo grado”; parimenti la giustizia tributaria di appello non si chiamerà più “Commissione Tributaria regionale” bensì “Corte di giustizia Tributaria di secondo grado”.
Il cambio della denominazione è coerente con la scelta di assegnare la giurisdizione tributaria non più a dei giudici onorari bensì a dei giudici professionali.
Ed infatti, a seguito di questa riforma, la giurisdizione tributaria sarà esercitata da magistrati che andranno a formare un ruolo unico nazionale, composto da 448 unità presso le Corti di giustizia tributaria di primo grado, e 128 unità presso le Corti di giustizia tributaria di secondo grado.
Per divenire magistrato tributario sarà necessario partecipare e superare un concorso per esami, bandito in relazione ai posti vacanti.
Il concorso consiste in una prova scritta ed una prova orale, effettuate con le procedure di cui all’art. 8 del r.d. 15 ottobre 1925 n. 1860, ovvero con le regole comuni ai concorsi per l’accesso alla magistratura ordinaria.
Il concorso si svolgerà con cadenza di norma annuale ed è bandito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa deliberazione conforme del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, che determina il numero dei posti a concorso.
Per accedere al concorso si deve possedere una laurea magistrale in giurisprudenza, oppure una laurea in scienze dell’economia o in scienze economico aziendali.
La commissione esaminatrice è nominata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Una volta vinto il concorso, il nuovo magistrato tributario svolge un tirocinio formativo di almeno sei mesi presso le Corti di giustizia tributaria; al termine del tirocinio riceve una valutazione, e se la valutazione è negativa deve ripetere l’esperienza per nuovi sei mesi; viceversa, se il tirocinio ha esito positivo, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze il nuovo magistrato tributario è inquadrato nei ruoli ed è poi soggetto alla formazione continua e all’aggiornamento professionale attraverso la frequenza di corsi di carattere teorico-pratico, secondo un regolamento fissato dallo stesso Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Ai magistrati tributari si applicheranno poi le disposizioni in materia di trattamento economico previsto per i magistrati ordinari, e gli stipendi sono determinati esclusivamente in base all’anzianità di servizio, nonché si applicheranno le norme generali in tema di ordinamento giudiziario, ovvero si applicheranno, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel titolo I, capo II di cui al r.d. 30 gennaio 1941 n. 12.
2. La necessità di riassumere i precedenti storici della magistratura tributaria in Italia, dalla legge 14 luglio 1864 n. 1830 alla riforma del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545
Ora, il carattere di questa nuova magistratura è fortemente innovativa con riguardo alla vecchia magistratura tributaria, e per aver contezza di ciò credo sia necessario, seppur brevemente, ricordare le caratteristiche dei giudici tributari per come affermatesi dall’unità di Italia fino ad oggi.
Mi consentirete, pertanto, di aprire questa parentesi, che ritengo essenziale al fine di poter esprimere un giudizio sulle scelte operate dalla legge 31 agosto 2022 n. 130.
2.1. Possiamo prendere le mosse dalla legge del 14 luglio 1864 n. 1830, che per prima ha regolato il contenzioso tributario del nuovissimo Regno d’Italia.
Orbene, dalla semplice lettura degli artt. 21, 23, 25 e 30 di quella legge, si rilevano facilmente le caratteristiche della magistratura e del contenzioso tributario dell’epoca; il quale, mi sia consentito sottolineare, ricalcava perfettamente lo spirito liberale di quel periodo storico.
In particolare, credo siano da evidenziare i seguenti dati:
a) il contenzioso tributario era gestito, sia in primo grado che in appello, da commissioni.
b) Queste commissioni erano composte da cittadini, i quali non dovevano possedere particolari requisiti per svolgere tale ruolo, ed in particolare i membri delle commissioni non avevano ne’ la necessità di essere dipendenti della pubblica amministrazione, ne’ tanto meno quella di appartenere all’ordine giudiziario.
c) Lo Stato, soprattutto, non svolgeva alcun ruolo nella nomina di dette commissioni: esse infatti erano nominate o dal consiglio comunale oppure dalla rappresentanza consorziale di più comuni, ovvero da organi rappresentativi locali; il che faceva sì che i soggetti ai quali era affidato il contenzioso tributario fossero, puramente e semplicemente, espressione della stessa comunità.
A quella legge, poi, seguiva la nota legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E abolitiva del contenzioso amministrativo, il regio decreto 28 giugno 1866 n. 3023, e infine l’art. 12 della successiva legge 28 maggio 1867 n. 3719, senza che questa ulteriore produzione normativa modificasse l’impostazione e la natura della magistratura tributaria per come tracciata dalla precedente legge 14 luglio 1864 n. 1830[1].
2.2. Il fascismo interverrà su questo assetto con il regio decreto legge 7 agosto 1936 n. 1639, in due diversi modi:
a) da una parte manterrà inalterato il sistema già consolidato delle commissioni tributarie, distrettuale e provinciali, e poi della commissione centrale, prevedendo che il contribuente, come in passato, potesse far valere dinanzi ad esse i suoi diritti, e poi, e se del caso, rivolgersi all’autorità giudiziaria; e sempre come in passato la nuova legge manterrà la composizione delle commissioni tra i cittadini del territorio, e quindi facendo uso di amministratori/giudici da considerare onorari, e/o non professionali (art. 22 r.d. 1639/1936).
b) Dall’altra parte, però, il regio decreto del ’36, peraltro in conformità con i principi del regime fascista, provvederà ad avocare al governo il potere di nomina dei membri di dette commissioni, ripartendolo tra l’Intendente di finanza e il Ministro, potere di nomina che nel sistema ottocentesco, e come abbiamo detto, era invece affidato ad organismi del territorio.
2.3. Si arrivava, così, ai lavori dell’Assemblea costituente.
Ovviamente, l’Assemblea costituente non poteva occuparsi di questioni specifiche attinenti all’organizzazione della giustizia tributaria; tuttavia erano connessi alla regolamentazione della magistratura tributaria i temi dei giudici speciali e dell’unità della giurisdizione, nonché dell’indipendenza della magistratura.
In Assemblea le questioni furono trattate in Commissione dei 75, dal 17 dicembre 1946, e nel plenum, dal 6 novembre 1947[2].
Emersero posizioni divergenti, che portarono ad una soluzione di compromesso.
La sintesi fu data da Giovanni Leone in Assemblea il 6 novembre 1947, il quale ricordò che sul tema dell’unità della giurisdizione v’erano stati tre orientamenti, due radicali ed uno di compromesso, e che la sottocommissione aveva fatto proprio questo terzo orientamento intermedio.
E aggiunse: “io penso che questa tesi intermedia debba prevalere. Io, come studioso, come teorico, come modesto cultore di diritto, studiando astrattamente il fenomeno, potrei, dovrei arrivare ad una concezione dell’unità della giurisdizione. Ma le esigenze della vita moderna, le necessità susseguenti, l’urgenza di alcuni particolari settori della vita attuale, hanno fatto delineare la necessità che in taluni particolari aspetti della giustizia non penale il giudice debba venire congegnato in modo da essere adattato a queste particolari esigenze, che sono tecniche o sociali, nelle quali occorre la partecipazione dell’elemento estraneo, non come svalutazione di una capacità del magistrato a quest’opera di particolare valutazione di certe esigenze, ma come necessità di una maggiore aderenza della giustizia a certi particolari profili sociali o anche tecnici”.
Ne usciva, così, un compromesso, che è quello delineato dagli artt. 102, 103 e 108 della nostra Costituzione.
Sostanzialmente, la scelta dei nostri costituenti fu quella di salvare le giurisdizioni tributarie quali giurisdizioni speciali, le quali, tuttavia, in forza della VI disposizione transitoria della Costituzione, entro cinque anni andavano adeguate ai nuovi valori, soprattutto in punto di terzietà e indipendenza dei giudici.
2.4. La riforma volta ad attribuire natura giurisdizionale alle Commissioni, e parimenti ad assegnare alle stesse quelle caratteristiche di indipendenza e terzietà necessarie alla luce dei nuovi artt. 24, 108 e 111 Cost., fu data però solo dal d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, quindi ben oltre i cinque anni.
In base all’art. 2 di detto decreto i componenti delle commissioni di primo grado erano scelti dal Presidente del Tribunale, per metà all’interno di in un elenco composto dai consigli comunali dei comuni compresi nella circoscrizione, e per l’altra metà in seno ad una lista formata dall’amministrazione finanziaria; tuttavia, per questa seconda lista, il Presidente del Tribunale poteva chiedere elenchi anche alle Camere di commercio e ai Consigli degli ordini professionali degli avvocati, degli ingegneri, dei dottori commercialisti e dei ragionieri.
In base poi al successivo art. 3 i componenti delle commissioni di secondo grado erano scelti con criteri analoghi, con la sola differenza che l’indicazione della lista dei primi membri non spettava più ai consigli comunali bensì a quelli della provincia, e le nomine non erano fatte dal Presidente del Tribunale bensì dal Presidente della Corte di Appello.
L’art. 4 prevedeva infine che potessero essere nominati giudici tributari tanto delle commissioni di primo quanto di secondo grado, ogni cittadino “che non abbia superato, al momento della nomina, il72esimo anno di età” e che possedesse “almeno un diploma di istruzione secondaria di secondo grado di qualsiasi tipo”.
Il compenso era misurato per ogni ricorso deciso, stabilito con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze; compensi mensili erano previsti solo per i Presidenti di Commissione e di sezione e per i componenti della Commissione tributaria centrale.
A ben vedere, così, la riforma del 1972 non appariva poi molto diversa da quella del 1864, in quanto la giustizia tributaria continuava ad essere amministrata da giudici speciali ed onorari al tempo stesso, scelti tra cittadini che avrebbero svolto tale attività in modo non professionale, e individuati e nominati da poteri non riconducibili al governo, quali erano infatti i presidenti di Tribunale, per le commissioni tributarie di primo grado, e i presidenti di Corte di Appello, per le commissioni tributarie di secondo grado.
Non è mancato, così, chi abbia detto che la riforma del 1972 non rompeva con il passato, e solo parzialmente poteva considerarsi una novità in punto di magistratura tributaria.
2.5. Si arrivava, infine, alla riforma del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545.
Detta riforma, pur riorganizzando la competenza territoriale delle commissioni tributarie, non poneva altre particolari novità: a) non la composizione delle commissioni, che ai sensi dell’art. 4, vedeva sempre come giudici, oltre ai magistrati e ai pubblici funzionari, i ragionieri, i periti commerciali, i revisori dei conti, coloro che avessero conseguito l’abilitazione all’insegnamento in materie giuridiche, e ogni laureato in giurisprudenza, nonché, in base al successivo art. 5, i notai e gli avvocati con riferimento alle commissioni tributarie regionali. b) Non le incompatibilità, che in base all’art. 8 non subivano particolari modificazioni, rimanendo esclusi i dipendenti dell’amministrazione finanziaria in servizio e gli appartenenti al corpo della Guardia di finanza. c) Non la qualifica, visto che la nomina a componente la commissione tributaria, in base all’art. 11: “non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego”. d) Non, infine, il trattamento economico, poiché i componenti le commissioni tributarie venivano retribuiti, ai sensi dell’art. 13, oltre che con un compenso mensile con “un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbano tener conto delle funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia”.
Cambiava sì il potere di nomina delle commissioni, ma non in modo significativo: ed infatti, se detto potere di nomina, in base alla riforma del 1972, spettava agli organi giurisdizionali, ovvero al presidente del Tribunale e al presidente della Corte di appello, con la riforma del 1992 detto potere veniva attribuito al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, che doveva però procedere nel rispetto di criteri obiettivi, con dei punteggi espressamente previsti in una apposita tabella allegata alla legge stessa da attribuire ad ogni aspirante.
3. Breve esposizione delle caratteristiche della magistratura tributaria dovute al suo percorso storico
Su queste basi possiamo evidenziare le caratteristiche, prime ed essenziali, che la magistratura tributaria ha avuto dal tempo dell’unità d’Italia ad oggi.
a) Una prima caratteristica è quella di esser sempre stata con continuità, fin dal 1864, una magistratura speciale.
Giudici speciali erano infatti i componenti delle commissioni comunali e consorziali del 1864, nonché parimenti giudici speciali erano i componenti delle commissioni distrettuali e provinciali del 1936, delle commissioni tributarie rivisitate a seguito dell’entrata in vigore della nuova costituzione italiana del 1972, e infine delle commissioni provinciali e regionali di cui alla più recente riforma del 1992.
Queste commissioni, succedutesi nel tempo, riforma dopo riforma, e resistite ad ogni mutamento che la storia del nostro paese ha avuto, dal passaggio dalla monarchia alla repubblica, dalla dittatura fascista alla democrazia costituzionale, hanno sempre avuto nel loro seno membri riconducibili alla figura del giudice speciale, ovvero del giudice (e/o amministratore/giudice) non riconducibile all’ordinamento giudiziario ordinario.
b) Parimenti, una ulteriore caratteristica della magistratura tributaria è sempre stata quella di aver avuto al suo interno giudici onorari.
Dunque, non solo giudici non riconducibili all’ordinamento giudiziario ordinario, bensì anche giudici (o amministratori/giudici) non professionali, ovvero la cui professionalità era altra, e la funzione di giudice tributario veniva svolta come un di più, qualcosa che andava a sommarsi al lavoro principale, e che, proprio per questo, si qualificava quale funzione onoraria.
Giudici onorari erano infatti i componenti della commissioni tributarie del 1864 e del 1936, composte tutte da semplici cittadini non necessariamente dipendenti della pubblica amministrazione, e nei primi tempi nemmeno muniti di particolari titoli di studio.
Egualmente, nel periodo successivo alla costituzione repubblicana, membri delle commissioni tributarie continuavano a potere essere tutti i cittadini aventi “almeno un diploma di istruzione secondaria di secondo grado di qualsiasi tipo” (art. 4, d.p.r. 636/1972); e cosa del tutto analoga si trovava anche nella riforma del 1992, in base alla quale i componenti delle commissioni tributarie potevano essere, oltre ai magistrati e ai pubblici funzionari, che comunque addizionavano questo ruolo al loro lavoro professionale e abituale, i ragionieri, i periti commerciali, i revisori dei conti, gli insegnanti di materie giuridiche, e comunque ogni laureato in giurisprudenza, nonché i notai e gli avvocati.
c) La terza caratteristica, consequenziale al ruolo onorifico svolto dalla magistratura tributaria, è stata quella di esser stata normalmente retribuita in modo non stipendiale, direi in modo secondario e/o addizionale, con un pagamento che, se la parola non suonasse offensiva, potremmo considerare a cottimo, ovvero a singolo provvedimento reso.
È un sistema di pagamento che si sviluppa, invariato, dal 1864 fino ad oggi, tanto che, anche dopo la costituzione repubblicana, il compenso dei giudici tributari veniva determinato per ogni ricorso deciso, stabilito con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, mentre compensi mensili erano previsti solo per i Presidenti di Commissione e di sezione e per i componenti della Commissione tributaria centrale.
d) Infine, l’ultima caratteristica della magistratura tributaria, e direi la principale, è stata quella di essere espressione della comunità, ovvero quella di essere una magistratura scelta e nominata da enti e/o organismi non riconducibili al potere governativo.
Si ricorda, ancora, che le commissioni comunali e consorziali del 1864 erano nominate dai consigli comunali e dalle rappresentanze consorziali; e lo stesso deve dirsi per le commissioni tributarie della nostra repubblica, la cui nomina, ancora, non veniva rimessa nelle mani dell’esecutivo.
Né portava deroga a questa tradizione la riforma del 1992, che attribuiva al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria la nomina dei giudici tributari in base a dei punteggi oggettivi fissati dalla legge.
L’unica eccezione alla regola della non riconducibilità della magistratura tributaria al potere esecutivo la si trovava solo nella riforma del 1936, che attribuiva al Governo, e non più ai consigli comunali e consorziali, il potere di nomina dei membri delle commissioni tributarie.
Tuttavia, par evidente, che questa eccezione serve solo per confermare la regola, in quanto nient’altro fu se non l’espressione del fascismo e della sua ideologia accentratrice ed egemonica.
4. Consequenziali dubbi di legittimità costituzionale delle odierne novità, artt. 24, 108 e 111 Cost.
Orbene, se torniamo ora alla legge 31 agosto 2022 n. 130, noi possiamo vedere come queste caratteristiche della nostra magistratura tributaria siano state quasi tutte frantumate.
Se il magistrato tributario si era caratterizzato per essere un giudice speciale, onorario e di prossimità al tempo stesso, la nuova legge supera questi criteri, e in una certa misura apre ad una nuova era.
La riforma, infatti, professionalizza il giudice tributario, formando un ruolo unico nazionale al quale si può accedere solo superando un concorso per esami, bandito in relazione ai posti vacanti.
Ed inoltre, ponendo i nuovi giudici tributari alle dipendenze dello Stato, la riforma supera l’idea di una magistratura libera e di prossimità, e aderisce invece alla concezione di un magistrato tributario quale pubblico impiegato/funzionario, reclutato da una commissione nominata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, con un trattamento economico assimilato a quello dei magistrati ordinari in base all’anzianità di servizio, e parimenti stipendiato dallo stesso Ministero.
Diciamo, quindi, in estrema sintesi, che questa riforma fa perdere al magistrato tributario almeno due delle sue storiche caratteristiche, ovvero quelle di essere un giudice onorario e di prossimità, e mantiene invece una terza caratteristica, che è quella di essere un giudice speciale.
4.1. Dunque: è costituzionalmente legittimo che la magistratura tributaria non sia più ne’ una magistratura onoraria ne’ una magistratura (che ho definito, per semplificare il concetto) di prossimità?[3]
In proposito, va subito sottolineato che la lite tributaria è una lite particolarissima, che vede contrapposti non solo il cittadino con lo Stato, come può in verità avvenire in ogni contenzioso amministrativo, bensì il cittadino con lo Stato in relazione ad una somma di denaro da pagare a titolo di imposta, somma che il cittadino deve (o non deve) allo Stato e che il giudice tributario accerta e dichiara.
Si tratta, evidentemente, di una questione assai particolare, che fa sì che l’oggetto della lite tributaria sia sempre significativamente più delicato di ogni altro oggetto di ogni altra possibile lite.
E allora dobbiamo esser chiari, poiché la questione, se si vuole, è semplicissima: se un cittadino, un professionista, un imprenditore, contesta una imposta, che si rende così oggetto di contenzioso, non è la stessa cosa se dall’altra parte del tavolo trova un giudice onorario e di prossimità, come era la regola fino ad oggi, o trova al contrario un funzionario dello Stato, come sarà la regola da domani.
Abbiamo visto che le commissioni tributarie, di primo e secondo grado, e fin dal tempo dell’unità d’Italia, erano costituite, quanto meno in buona parte, da semplici cittadini/contribuenti; abbiamo visto che i componenti delle commissioni tributarie venivano nominati, fatta la sola eccezione dovuta al ventennio fascista, da organismi della stessa comunità; e abbiamo infine visto che, in massima parte, la retribuzione dei giudici tributari era data sulla base dei provvedimenti pronunciati, e fuori da schemi da retribuzione da pubblico impiego.
La giurisdizione tributaria, direi, ha sempre avuto queste caratteristiche proprio per le caratteristiche che ha l’oggetto della lite tributaria: nella misura in cui si tratta di un contenzioso tra il cittadino e lo Stato in un terreno sensibile quale quello delle imposte, l’esercizio della funzione giudicante su simile materia, se lasciata senza alcun correttivo allo stesso Stato tramite suoi funzionari, può apparire non equilibrata, o comunque può sembrare non in linea con l’esigenza di terzietà di chi deve giudicare.
4.2. Queste esigenze di equilibrio, peraltro, sono quelle che nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente furono precisate da Giovanni Leone, il quale, nel giustificare il nuovo art. 102 Cost., sottolineava appunto (riportiamo ancora il passo) la “necessità che in taluni particolari aspetti della giustizia non penale il giudice debba venire congegnato in modo da essere adattato a queste particolari esigenze, che sono tecniche o sociali, nelle quali occorre la partecipazione dell’elemento estraneo, non come svalutazione di una capacità del magistrato a quest’opera di particolare valutazione di certe esigenze, ma come necessità di una maggiore aderenza della giustizia a certi particolari profili sociali o anche tecnici”.
Dunque, la giustizia tributaria, parte integrante della giurisdizione speciale, per esigenze particolari che potremmo definire sociali, necessita della partecipazione dell’elemento estraneo, per porre in atto una maggiore aderenza della giustizia.
E se, ancora, il giudice debba venire congegnato in modo da essere adattato a queste particolari esigenze, il congegno adottato fin dal 1864 nella strutturazione del magistrato tributario era stato proprio quello, stante l’oggetto della lite, di far decidere questo tipo di contenzioso ad un giudice onorario e di prossimità.
La presente riforma sconfessa invece queste esigenze, eliminando completamente la partecipazione dell’elemento estraneo dalla giustizia tributaria, e assegnando esclusivamente a pubblici funzionari dello Stato le liti sulle imposte che i cittadini devono allo stesso Stato.
Si tratta di un’enorme mutamento, e credo che, sotto questo profilo, poco muti se il funzionario dipenda dal Ministero dell’economia e delle Finanze, da quello della Giustizia oppure dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: in tutti questi casi è comunque venuta meno quello che rappresentava la storia della giustizia tributaria, ovvero è venuta meno l’idea che questa debba essere amministrata con la partecipazione dei cittadini, oggi invece completamente estromessi.
Evidentemente, si è pensato che fosse preferibile affidare la gestione del contenzioso tributario a rappresentanti dello Stato piuttosto che della comunità; ma è, un po’, come se in un giudizio arbitrale tutti gli arbitri venissero nominati da una sola parte, e non da entrambe le parti.
Si tratta, proprio in questi termini, di una novità che può considerarsi incostituzionale, poiché, oltre a rompere in modo tranchante con il passato, rischia altresì di sottrarre ai giudici tributari quei requisiti di equidistanza dalle parti necessarie ai sensi degli artt. 24, 108 e 111 Cost.
Nè tutto questo può essere giustificato, come si legge nella relazione alla riforma, con l’esigenza di “razionalizzazione del sistema della giustizia tributaria attraverso la professionalizzazione del giudice di merito, con la previsione della figura del magistrato tributario professionale”, poiché la professionalizzazione del giudice non necessariamente comportava la sua intera riqualificazione nei termini scelti dalla riforma.
5. Le ulteriori problematiche costituzionali poste dal ruolo e dalle iniziative del Ministero dell’economia e delle finanze
Una conferma di quanto qui si sta sostenendo deriva altresì dall’art. 1, l. 130/2022 nella parte in cui ha inserito un nuovo comma 2 bis all’art. 24 l. 545/1992.
Tale norma istituisce per la prima volta un Ufficio ispettivo presso il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria.
L’art. 24, 2° comma l. 545/1992 statuisce che “Il Consiglio di presidenza vigila sull’attività giurisdizionale delle corti di giustizia di primo e secondo grado e può disporre ispezioni del personale giudicante”; ed ora il nuovo comma 2 bis dell’art. 24 l. 545/1992 espressamente prevede: “al fine di garantire l’esercizio efficiente delle attribuzioni di cui al comma 2, presso il Consiglio di presidenza è istituito, con carattere di autonomia e indipendenza, l’Ufficio ispettivo, a cui sono assegnati sei magistrati o giudici tributari, tra o quali è nominato un direttore. L’ufficio ispettivo può svolgere, col supporto della direzione della giustizia tributaria del dipartimento delle finanze, attività presso le Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, finalizzate alle verifiche di rispettiva competenza”.
Dunque, il nuovo giudice tributario non sono si avvicina, come mai precedentemente, allo Stato, ma addirittura questo nuovo giudice è sottoposto, o può essere sottoposto, ad un più stretto controllo da parte di questo nuovo Ufficio ispettivo, che lavora addirittura di concerto con il Dipartimento delle finanze, ovvero con chi, nel processo, è parte del contenzioso.
Se poi si aggiunge che sempre l’art. 1, l. 130/2022, nei punti 10 e 11, e al fine di “incrementare il livello di efficienza degli uffici e delle strutture centrali e territoriali della giustizia tributaria”, prevede la creazione di due nuovi uffici dirigenziali presso il Ministero della economia e delle Finanze (MEF), nonché diciotto posizioni dirigenziali da destinare alla direzione di uno o più uffici di segreteria, ed inoltre sempre il MEF ha facoltà di assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in aggiunta alle vigenti facoltà di assunzione: “per l’anno 2022, 20 unità di personale dirigenziale e 50 unità di personale non dirigenziale…..per l’anno 2023, 75 unità di personale non dirigenziale”, personale in gran parte da destinare “ad uno o più uffici di segreteria di Corti di giustizia tributaria”, va da sé che la nuova giurisdizione tributaria si configura come una struttura burocratizzata e fortemente ancorata al potere esecutivo.
5.1. Il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) ha poi un ruolo non secondario nel concorso per l’accesso alla magistratura tributaria.
Il concorso, infatti, “è bandito con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.”; il MEF, inoltre nomina il c.d. “comitato di vigilanza” se le prove concorsuali scritte si debbano svolgere, oltre che a Roma, anche in sedi distaccate; il MEF ha poi uno specifico “capitolo di spesa della missione giustizia tributaria”; soprattutto “La commissione di concorso è nominata, entro il quindicesimo giorno antecedente l’inizio della prova scritta, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze”; ancora, questione che non è da considerare di secondo piano, “Le attività di segreteria della commissione e delle sottocommissioni sono esercitate da personale amministrativo dell’area funzioni in servizio presso il Ministero dell’economia e delle finanze…e sono coordinate dal titolare del competente ufficio del dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze”; e infine: “Alla prima e alle successive nomine dei magistrati tributari……si provvede con decreto del ministro dell’economia e delle finanze”.
È vero che molte di queste funzioni il MEF le svolge “previa deliberazione conforme del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria”; tuttavia resta parimenti corretto affermare che il MEF ha comunque per legge un ruolo di primo piano nella gestione dei concorsi per accedere alla magistratura tributaria.
Ciò, se si vuole, a conferma dei dubbi di costituzionalità sollevati.
5.2. Inoltre, in questo contesto non può tacersi quanto si legge circa l’idea di realizzare un nuovo programma c.d. Prodigit.
Si tratterebbe di un software, pronto per la fine del 2023, in grado di determinare l’esito delle liti tributarie.
Ovviamente, al momento niente di certo vi è, e tutto è riconducibile solo ad un progetto da realizzare; tuttavia in base alle informazioni che corrono il progetto sarebbe portato avanti proprio dal MEF, e ciò al fine di consentire ad ogni contribuente di conoscere, sulla base dei precedenti (e certo in questo contesto il nuovo Ufficio del massimario nazionale presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria di cui all’art. 24 bis al d. lgs. 545/1992 svolgerebbe evidentemente un ruolo non secondario), il probabile esisto di ogni determinato tipo di causa tributaria, in considerazione anche della circostanza che lo stessa banca dati di giurisprudenza “è gestita dal Ministero dell’economia e delle finanze” (art. 24 bis,4° comma, d. lgs. 545/1992).
Nel sistema di software potrebbero essere inseriti altri giudici tributari, oltre a giovani studiosi selezionati tramite appositi bandi, e il tutto potrebbe rappresentare il primo algoritmo di intelligenza artificiale della giustizia predittiva in ambito fiscale.
Orbene, è quanto meno singolare, anche in questo caso, che l’iniziativa sia del MEF, ovvero dello stesso Ministero dal quale dipende l’Agenzia delle entrate, ovvero ancora una delle parti del contenzioso tributario.
Sostanzialmente, con questo programma il cittadino chiede alla controparte, ovvero all’Agenzia delle entrate, se una sua pretesa tributaria è fondata o infondata.
E paradossale chiedere ad una delle parti in causa quale possa essere l’esito di una causa da promuovere contro quella stessa parte; in ogni caso questo sistema tiene in conto il solo freddo calcolo dei precedenti per come tagliati e revisionati da questo nuovo Ufficio del massimario, e non lascia alcuno spazio alla capacità e libertà dei professionisti coinvolti nella lite, ne’ alla sensibilità della persona umana nel giudicare un fatto storico; e ciò è tanto più grave quanto ormai le decisioni giudiziarie non contengono più, se non per insufficienti e sommari capi, la ricostruzione dei fatti storici, cosicché si rischia (anche) di applicare dei precedenti a vicende che presentano invece caratteristiche diverse.
Si tratta di aspetti che non possono lasciarci indifferenti e che, di nuovo, vanno a sommarsi ai dubbi di costituzionalità sopra evidenziati.
6. Sintesi
Orbene, in estrema sintesi, se la giustizia tributaria sarà resa da magistrati che dipendono dal Ministero dell’economia e delle finanze, con esclusione totale dalla partecipazione alle Corti tributarie dei cittadini/contribuenti; se sarà lo stesso Ministero dell’economia e delle finanze ad organizzare i concorsi pubblici per l’accesso a tale magistratura; se le cancellerie di questi giudici nient’altro saranno se non le segreterie del Ministero dell’economia e delle finanze; se sarà il Ministero dell’economia e delle finanze a tenere la banca dati dei precedenti giurisprudenziali e sempre il Ministero dell’economia e delle finanze si coordinerà con la Corte di Cassazione perché questa possa accedere a tale banca dati; se sarà un software del Ministero dell’economia e delle finanze a valutare la fondatezza o meno di un ricorso tributario: e se, infine, i magistrati che lavoreranno nelle Corti tributarie saranno soggetti al controllo di un Ufficio ispettivo, che di nuovo sarà collegato al Dipartimento delle finanze, ovvero di nuovo al Ministero dell’economia e delle finanze, allora ai cittadini/contribuenti sarà data una tutela giurisdizionale tributaria che non possiamo esitare a definire minore, e non certo adeguata all’alto carico fiscale cui questi sono tenuti.
Se si pensa che l’art. 30 dalla legge del 14 luglio 1864 n. 1830 disponeva espressamente che: “In nessun caso l'imposta assegnata ad un contribuente potrò essere superiore ad un decimo del reddito netto del capitale o di qualunque altro reddito proveniente da ricchezza mobile che si è voluto imporre”, e quella legge, nei modi sopra indicati, assegnava il controllo giurisdizionale delle imposte ad una magistratura onoraria e di prossimità, beh, possiamo senz’altro dire che di strada, da allora, ne è stata fatta tanta.
[1] In particolare l’art. 6 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E non faceva venir meno la competenza delle commissioni tributarie di cui alla l. 14 luglio 1864 n. 1830 ma solo aggiungeva a quelle decisioni un ulteriore controllo giurisdizionale dinanzi al Tribunale in primo grado, e dinanzi alla Corte di Appello in secondo grado; il regio decreto 28 giugno 1866 n. 3023 istituiva un ulteriore controllo sulle liti tributarie dinanzi ad una Commissione centrale, che veniva regolata con l’art. 13; e infine l’art. 12 della legge 28 maggio 1867 n. 3719 semplicemente confermava la competenza dell’autorità giudiziaria a seguito delle decisioni tributarie di tipo c.d. amministrativo.
Da precisare, altresì, che la creazione della Commissione centrale, interamente nominata dal Ministro dell’economia e delle finanze, non contraddiceva egualmente quella immagine che io ho dato di una giustizia tributaria ispirata ad un modello liberale, poiché essa non aveva la possibilità, a differenza delle Commissioni provinciali, di indagare a tutto campo sull’ammontare dei redditi e delle imposte, bensì aveva il più ridotto compito di “l'applicazione della legge”; ed in ogni caso “il giudizio delle Commissioni provinciali quanto alla estimazione delle somme dei redditi imponibili, non e' soggetto a ricorso, e quelle somme diventano definitive”.
Si trattava, in sostanza, di un controllo non diverso da quello che oggi svolge, in una certa misura, la Corte di cassazione, ovvero di un controllo che, oltre ad essere escluso per la estimazione delle somme dei redditi imponibili, era comunque limitato a possibili violazione di legge, e non poteva vertere sulle decisioni di merito che le commissioni provinciali avessero reso.
[2] V. la Costituzione della Repubblica, nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1976, VIII, 1894.
[3] La riforma è comunque da considerare rispettosa dell’art. 102 Cost.
Precisamente, l’art. 102 Cost. vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali ma non impedisce la riorganizzazione di una giurisdizione che già si presenti come speciale; e poiché la giurisdizione tributaria era già esercitata da giudici speciali fin dai tempi più remoti, e comunque già dal tempo di promulgazione della nostra carta costituzionale, attribuire ad un nuovo giudice speciale le decisioni tributarie, che tuttavia erano già esercitate da giudici speciali, non comporta violazione dell’art. 102 Cost., secondo anche quella che è l’opinione sul punto della Corte costituzionale.
La violazione dell’art. 102 Cost., infatti, si ha solo ove una giurisdizione ordinaria venga per la prima volta attribuita a giudici speciale, non quando una giurisdizione già speciale venga semplicemente riformata.