ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
di Roberta Palmisano
Sommario: 1.Premessa. - 2.Principi sovranazionali e normativa degli altri Paesi europei. - 3.La normativa italiana. - 4.Considerazioni.
1. Premessa.
La possibilità di mantenere il contatto con il mondo esterno è fondamentale per i detenuti perché questi contatti sono di vitale importanza per contrastare gli effetti dannosi del carcere. Il mantenimento di buone relazioni familiari contribuisce a ridurre il tasso di recidiva e il sostegno delle famiglie e dell’ambiente di provenienza aiuta il reinserimento nella comunità. Il mantenimento di contatti regolari con il genitore in carcere è fondamentale per lo sviluppo dei bambini, per le loro opportunità di vita e per arginare la possibilità che essi crescendo, vengano a loro volta in contatto con l’area penale.
Nel periodo che stiamo vivendo, in cui la gestione di pericoli di cui non conosciamo l’evoluzione ci preoccupa, ovviamente più forte e incontenibile si fa l’esigenza del detenuto di ricevere informazioni e aggiornamenti quotidiani dal proprio nucleo familiare e anche di condividere con esso paure e preoccupazioni.
2. Principi sovranazionali e normativa degli altri Paesi europei.
La Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, adottate dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006, al punto 24 prescrive: “I detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile – per lettera, telefono, o altri mezzi di comunicazione - con la famiglia, con terze persone e con i rappresentanti di organismi esterni, e a ricevere visite da dette persone” e al punto 4: “Le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”.
Il 21 dicembre 2010, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” (a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Tailandia nella loro elaborazione), riconoscono il ruolo centrale di entrambi i genitori nella vita del bambino. Esse contengono previsioni specifiche che riguardano i contatti con la famiglia. In vari Paesi europei quali ad esempio Francia, Svezia, Croazia, l’Austria, la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia, il Belgio, la Svizzera e il Portogallo, la possibilità di incontrare i familiari in spazi adeguati e senza il controllo visivo e auditivo è una realtà consolidata da anni.
In Spagna si è autorizzati a fare 5 telefonate alla settimana, senza limiti di tempo ad un massimo di 10 numeri telefonici preventivamente autorizzati. Si telefona da 2 cabine telefoniche e presso ogni sezione ci sono due cabine; l’uso di una scheda telefonica e la digitazione del numero di identificazione (NIS) dà il via libera verso i numeri di telefono autorizzati. Il Regolamento penitenziario albanese prevede otto telefonate e quattro colloqui al mese: uno dei colloqui è prolungato fino a cinque ore, per i detenuti sposati e con figli, e le visite prolungate possono essere svolte in ambienti riservati.
Inghilterra, Galles e Scozia è stabilito un piano di assistenza finanziaria per consentire alle famiglie a basso reddito di visitare i loro parenti in carcere. Sono rimborsate le spese di viaggio, pasti e pernottamento per i coniugi, partner, ascendenti, discendenti, parenti collaterali e adottivi, le persone con le quali il detenuto viveva in un rapporto consolidato immediatamente prima della detenzione e comunque le persone che hanno in via esclusiva effettuato visite al detenuto per un periodo di quattro settimane. Sono finanziate due visite ogni 28 giorni con un massimo di 26 visite in un anno.
In Scozia, per ovviare alle difficoltà di relazioni familiari dei detenuti reclusi lontano dal loro luogo di origine è stato istituito un servizio di video-chiamata che consente visite-virtuali della durata di un’ora in aggiunta al numero di colloqui di cui il detenuto ha già usufruito.
3. La normativa italiana.
Gli artt. 29 e 31 della Costituzione tutelano i rapporti parentali e le relazioni affettive e salvaguardano i rapporti familiari e i doveri del genitore.
In coerenza con i principi costituzionali il mantenimento delle relazioni familiari è elemento fondamentale del trattamento rieducativo. L’art. 15 della legge 354/75 prevede che il trattamento del condannato e dell’internato è svolto agevolando opportuni rapporti con la famiglia. Ai rapporti con la famiglia è dedicato l’art. 28 dell’ordinamento penitenziario secondo cui “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”. L’art. 14 quater comma 4 prescrive che le restrizioni del regime di sorveglianza particolare non possano riguardare i colloqui con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
L’art. 18 della legge 26 luglio 1975 n. 354 disciplina i colloqui con i congiunti ed esprime un “principio generale amplissimo”. La norma prevede che i colloqui si svolgano in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia e rimanda al dpr 230/2000 (Regolamento d’esecuzione) per la disciplina delle modalità e delle cautele.
Gli articoli 37 e 39 del Regolamento prevedono limitazioni numeriche rispettivamente per i colloqui visivi (sei colloqui al mese della durata massima di un’ora, quattro al mese per i detenuti in regime di 4-bis) e per i colloqui telefonici (conversazioni telefoniche della durata di dieci minuti una volta a settimana - e due al mese per i detenuti in regime di 4-bis con ascolto e registrazione). Sono disciplinati casi particolari e situazioni eccezionali per cui questi limiti possono essere superati. L’art. 37 comma 11 prevede che qualora risulti che i familiari non mantengono rapporti con il detenuto o l’internato, la direzione ne fa segnalazione al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi.
L’art. 61 del Regolamento “Rapporti con la famiglia e progressione del trattamento” alla lett b) espressamente prevede la possibilità di trascorrere parte della giornata insieme ai familiari in appositi locali o all’aperto e di consumare un pasto in compagnia.
Nella maggior parte dei casi tutelare l’affettività significa tutelare i rapporti genitori detenuti-figli. La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto ufficialmente il principio della bigenitorialità inteso come diritto del minore a mantenere rapporti con entrambi i genitori e il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Nel caso di detenzione di uno dei due genitori quindi i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.
Per tutelare i bambini e gli adolescenti che vivono la condizione di avere padre, madre o entrambi i genitori in carcere, il 21 marzo 2014 è stato sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità
Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione Bambinisenzasbarre la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia).
La Carta impegna il sistema penitenziario all'accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull'attuazione dei suoi principi. Tra i punti fondamentali è sancito che di fronte all'arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare costituisce un diritto del bambino, al quale va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e un dovere/diritto del genitore di mantenere la responsabilità e continuità del proprio stato. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto anche nella sua reintegrazione sociale e nella prevenzione della recidiva. L’impegno per l’Amministrazione penitenziaria è quello di creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i necessari contatti familiari e grande rilevanza è data alla formazione del personale che sappia accogliere i bambini e i loro familiari.
Quanto alle norme amministrative va menzionata la circolare con cui è stata introdotta per i detenuti di media sicurezza la possibilità di chiamare telefoni mobili (nota Dap n. 0177644 del 2010). L’applicazione della circolare, limitata ai casi in cui il detenuto non abbia da almeno 15 giorni alcun tipo di colloquio con i congiunti e dichiari di non poterli contattare se non tramite cellulare, è comunque farraginosa e molto spesso è complesso l’accertamento relativo all’intestazione di utenze mobili straniere. Soltanto in alcuni istituti-pilota ha trovato poi applicazione la possibilità di utilizzare schede telefoniche per effettuare le chiamate “senza ricorrere ad apposite richieste e lunghe attese” (nota Dap n. 0258759 del 2015) e quella di utilizzare collegamenti audiovisivi, via Skype o mediante “la piattaforma Microsoft Lync” per “permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali” (nota Dap n. 366755 del 2015).
4. Considerazioni.
Allontanarsi dai propri affetti determina profondi cambiamenti nella persona, nell’identità, quasi sempre negativi. Valorizzare i legami personali ha grande importanza nel percorso di recupero: gli affetti e le responsabilità che ogni rapporto affettivo comporta contribuiscono in modo fondamentale a impiegare il tempo della pena per costruire un individuo responsabilmente pronto a reinserirsi nella società al suo termine.
L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può subire restrizioni unicamente in vista delle esigenze di sicurezza e in assenza di tali esigenze le limitazioni acquisiscono un valore afflittivo suppletivo rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27 terzo comma della Costituzione.
Il principio da applicare non può che essere quello per cui il sacrificio imposto al singolo non deve eccedere quello minimo necessario per le esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria.
Il numero limitato di telefonate attualmente consentito ha alimentato il “mercato illecito” di telefoni cellulari all’interno degli istituti. Molte delle fattispecie disciplinari e degli episodi di corruttela che hanno luogo in carcere hanno ad oggetto l’introduzione illecita di apparecchi cellulari e il più delle volte i telefoni sono acquisiti illegalmente dai detenuti al solo scopo di poter contattare i propri cari.
I detenuti che provengono dalla libertà, come ognuno di noi, sono abituati a vivere con il telefono cellulare in mano e a sentire i propri familiari più volte al giorno. Non vi è alcun dubbio che negli ultimi anni le comunicazioni ed in particolare le comunicazioni telefoniche sono aumentate esponenzialmente e questo ha cambiato radicalmente le abitudini di vita.
A fronte di questi sostanziali cambiamenti di vita, le abitudini di vita intramuraria non possono rimanere così distanti.
Ho sempre ritenuto che non vi siano ragioni per impedire in carcere, perlomeno ai detenuti definitivi per i quali ragioni di sicurezza non lo vietano, l’uso del proprio telefono cellulare opportunamente “bloccato” e abilitato a comporre esclusivamente i numeri autorizzati per un numero di chiamate limitate (che però il detenuto ha il diritto di effettuare nei tempi ritenuti pi opportuni) per evitare che le disponibilità eccessive di alcuni possano far scattare meccanismi di prevaricazione.
Il commento alla Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee evidenzia che: "Le autorità carcerarie dovrebbero essere attente al fatto che la tecnologia moderna offre nuovi modi di comunicare per via elettronica. E poiché questi modi sono in continuo sviluppo, emergono anche nuove tecniche per controllarli così che è possibile utilizzarli in modo che essi non pregiudichino le esigenze di sicurezza”.
Se in tempi ordinari soprattutto per i detenuti stranieri, la cui famiglia vive nel Paese di origine, la limitazione dei colloqui telefonici è difficilmente sopportabile, in questo periodo, in cui il contesto di emergenza sanitaria in cui viviamo genera in noi un’ansia generalizzata e in cui siamo sovraesposti alle informazioni, è inumano pensare che un detenuto debba contenere le proprie preoccupazioni e i momenti di sconforto (magari anche notturni) senza condividerli con i propri familiari.
Più volte il legislatore ha affrontato il problema della riforma dell’ordinamento penitenziario relativamente alla possibilità per il soggetto detenuto di coltivare, anche a distanza, i propri affetti ma le immagini e le notizie delle proteste e delle ingiustificate violenze che in queste ore hanno messo a ferro e fuoco alcuni istituti penitenziari italiani, ci fanno capire che questo è il tempo limite per introdurre al più presto tutte le misure necessarie, anche meramente organizzative.
Ancora qualche nota di commento al decreto legge n. 11 del 2020 alla luce della circolare applicativa del Procuratore della Repubblica di Napoli.
di Giuseppe Santalucia
Sommario: 1. L’emergenza sanitaria e le indagini preliminari. - 2. Le ragioni dell’apparente disinteresse del legislatore del decreto. - 3. La necessità dell’individuazione di regole. - 4. La sospensione dei termini processuali come misura generale e autonoma. - 5. Spunti di conferma dal dato letterale delle disposizioni di legge. - 6. La sospensione dei termini opera anche nelle indagini preliminari. - 7. La opportuna circolare del Procuratore della Repubblica di Napoli. - 8. Breve notazione conclusiva.
1. L’emergenza sanitaria e le indagini preliminari. Il decreto legge n. 11 del 2020, su cui la nostra Rivista ha già offerto dei contributi di prima lettura (https://www.giustiziainsieme.it/it/news/117-main/diritto-dell-emergenza-covid-19/905-la-giustizia-penale-di-fronte-all-emergenza-da-epidemia-da-covid-19-brevi-note-sul-d-l-n-11-del-2020-di-giuseppe-santalucia-2), non si è soffermato, nella regolazione dell’emergenza, sulle attività degli Uffici inquirenti.
L’attenzione è stata riposta essenzialmente sugli impegni di udienza, con una previsione generale circa la sospensione automatica dei termini relativi al compimento di attività in tutti i procedimenti per i quali vale la regola del rinvio officioso, e obbligatorio, delle udienze, e ciò anzitutto per il periodo intercorrente dal 9 al 22 marzo 2020.
Peraltro, anche nella regolazione del periodo immediatamente successivo, con inizio dal 23 marzo e cessazione al 31 magio 2020, il decreto legge ha concentrato lo sforzo regolativo sulle attività di udienza, non provvedendo a dare indicazioni operative per gli impegni investigativi del pubblico ministero.
2. Le ragioni dell’apparente disinteresse del legislatore del decreto. In linea generale, la scelta del legislatore del decreto può essere condivisa. Quel che va preso in considerazione, ai fini del differimento soprattutto obbligatorio e quindi relativo al primo periodo dell’emergenza, sono le attività processuali partecipate, che coinvolgono una pluralità di persone e quindi espongono per necessità a potenziali rischi di contagio. Con l’ulteriore importante precisazione che le attività di udienza, anche in caso di udienze cd. non partecipate, coinvolgono una pluralità di persone, oltre che i componenti del collegio anche il personale di cancelleria.
Sulla scelta dei tempi nel compimento degli atti di investigazione la discrezionalità è infatti molto ampia e quindi il pubblico ministero può determinarsi nel modo più opportuno – anche tenendo conto delle esigenze di prevenzione di rischi di contagio – nella gran parte dei casi e senza necessità di previsioni di legge.
3. La necessità dell’individuazione di regole. Ciò detto, però, non può trascurarsi che è di un qualche interesse poter stabilire, con sufficiente certezza, se un atto di indagine per il quale i difensori hanno diritto all’avviso possa essere compiuto nel periodo per il quale sono state previste le misure preventive del rinvio officioso delle udienze e della sospensione dei termini “per il compimento di qualsiasi atto …” (così, testualmente, il decreto legge).
4. La sospensione dei termini processuali come misura generale e autonoma. Ad un esame appena più approfondito del decreto legge una soluzione può essere prospettata.
Se si interpreta il decreto legge nel senso che la misura della sospensione dei termini è strettamente connessa al fatto che un’udienza in quei procedimenti sia stata fissata per il periodo dal 9 al 22 marzo 2020, e che quindi detta misura opera solo nei procedimenti in cui vi è stata necessità di disporre il rinvio dell’udienza, la questione della regolazione dei termini degli atti delle indagini preliminari perde in massima parte di interesse.
Le indagini preliminari, se si fa eccezione dei casi di incidente probatorio e dell’incidente cautelare – ma che non giovano ad una migliore interpretazione della normativa d’urgenza –, non vedono al loro interno lo svolgimento di udienze, sicché, non potendo essere comprese nell’ambito dei procedimenti in cui si rende necessario un provvedimento di rinvio (delle udienze), sarebbero fuori dall’applicazione della ulteriore misure della sospensione dei termini.
Se, invece, si leggono le disposizioni d’urgenza nel senso che la sospensione dei termini è misura che riguarda tutti i procedimenti ricadenti nell’ambito entro cui opera la previsione sul rinvio delle udienze, a prescindere dal fatto che in essi sia stata disposta udienza nel periodo individuato dal decreto legge, allora la misura della sospensione dei termini assume autonomia da quella, pur sempre concorrente, del rinvio officioso delle udienze e diviene suscettibile di applicazione anche nella fase procedimentale.
5. Spunti di conferma dal dato letterale delle disposizioni di legge. In questa ultima direzione sembra indirizzare la lettera della legge.
L’articolo 1 del decreto d’urgenza, nella sua articolazione in commi, utilizza espressioni differenti per indicare ora i procedimenti nei quali opera la sospensione dei termini “per il compimento di qualsiasi atto…”, ora i procedimenti nei quali si applicano le disposizioni in punto di sospensione della prescrizione, dei termini di custodia cautelare, di proposizione della richiesta di riesame, ecc. ecc., di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 2.
Per tali ultimi il riferimento è “ai procedimenti nei quali le udienze sono rinviate a norma del comma 1”, formula ben diversa da quella, valevole per la sospensione dei termini tout court, “dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate”
6. La sospensione dei termini opera anche nelle indagini preliminari. Se così è, la misura della sospensione dei termini ha portata generale, prescinde dall’eventualità che un’udienza sia stata rinviata, essendo sufficiente stabilire che il procedimento sia tra quelli in cui il rinvio dell’udienza dovrebbe essere comunque disposto, e trova applicazione anche nella fase procedimentale, quella delle indagini, facendo obbligo all’interprete di adattare le disposizioni del decreto legge, espressamente orientate sulla fase processuale.
Questa soluzione ho già indicato con il primo commento al decreto legge, scrivendo che la sospensione dei termini opera nei procedimenti interessati dal rinvio, ossia ricadenti nell’area tracciata per l’operatività della misura del rinvio officioso delle udienze.
I procedimenti indicati al comma 1, a cui fa riferimento il decreto legge, sono i “procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari”, con l’eccezione di alcuni, specificamente enumerati dal successivo articolo 2, al comma 2, lettera g).
Rispetto a tali procedimenti operano le due misure del rinvio officioso delle udienze, ovviamente se fissate nel periodo dal 9 al 22 marzo 2020, e della sospensione dei “termini per il compimento di qualsiasi atto…”, e ciò fanno in modo autonomo, nel senso che l’ultima non dipende dal fatto che un’udienza fosse stata già fissata in quel periodo e che quindi è stata rinviata.
7. La opportuna circolare del Procuratore della Repubblica di Napoli. Sulla base di questa interpretazione il Procuratore della Repubblica di Napoli ha provveduto a enucleare dalla disciplina del decreto legge le regole valevoli per le indagini preliminari, emanando la circolare interpretativa che ora si pubblica e che si segnala per l’esegesi attenta e puntuale del testo normativo, non sempre di facile lettura, che ha consentito utili e opportuni accorgimenti operativi.
Ha così stabilito, tra l’altro, che in tutti i procedimenti, fatta eccezione di quelli in cui la misura del rinvio delle udienze non potrebbe operare, sono sospesi i termini di legge per la durata delle indagini preliminari, anche nei procedimenti di criminalità organizzata.
In tutti questi procedimenti, che sostanzialmente sono la gran parte, gli atti cd. garantiti possono essere compiuti sempre che il pubblico ministero ne ravvisi l’indifferibilità con provvedimento adeguatamente motivato, in analogia a quanto il decreto legge prescrive per l’assunzione della prova urgente in incidente probatorio.
8. Breve notazione conclusiva. Le prescrizioni di circolare sono – è appena il caso di evidenziare – oltre che pienamente conformi al dettato normativo, anche le più rispondenti alle finalità emergenziali per le quali il provvedimento di urgenza è stato emanato.
L’impatto del d.l. n. 11/2020 sull’attività processuale delle Commissioni tributarie.
di Enrico Manzon
sommario: 1. Premesse. - 2. I procedimenti avanti alle Commissioni tributarie: le diverse tipologie. - 3. I procedimenti da rinviare e quelli non rinviabili. - 4. Una conclusione pratica ed un auspicio.
1. Premesse
L’art. 1, comma 4, del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 prevede che «Le disposizioni del presente articolo, in quanto compatibili, si applicano altresì al procedimenti relativi alle commissioni tributarie..».
Queste brevi note mirano a fornire prime –molto sommarie- valutazioni interpretative circa l’impatto di questa disposizione e quindi della correlativa fonte normativa sulle attività processuali degli organi provinciali e regionali della giurisdizione tributaria di merito.
2. I procedimenti avanti alle Commissioni tributarie: le diverse tipologie.
E’ necessario premettere una sintetica ricostruzione delle tipologie di procedimenti avanti alle Commissioni tributarie, ovviamente con l’attenzione esclusivamente rivolta agli aspetti che direttamente rientrano nella ratio di questa lex specialis, anzi meglio exceptionalis, dunque alle modalità di trattazione dei procedimenti stessi, principali ed incidentali.
Vi è anzitutto un procedimento “ordinario” di primo grado che ha essenzialmente due forme di svolgimento: la trattazione in camera di consiglio e la discussione in pubblica udienza (rispettivamente, artt. 33 e 34 d.lgs. 546/1992).
La prima attività processuale è espressamente “non partecipata” (art. 33, comma 2, d.lgs. 546/1992); la seconda al contrario prevede non solo la presenza delle parti e dei loro difensori, ma addirittura di quisque de populo.
Tali modalità processuali sono estese al grado di appello dall’art. 61, d.lgs. 546/1992.
Vi sono poi altre forme di giudizio principale ovvero incidentale, quali:
-il giudizio di revocazione, cui si applicano le stesse disposizioni del giudizio “ordinario” (art. 66, d.lgs. 546/1992);
-il giudizio di ottemperanza, per il quale l’art. 70, comma 7, d.lgs. 546/1992 prevede una camera di consiglio “partecipata”(dalle parti);
-i procedimenti incidentali di sospensione dell’atto impugnato, di sospensione degli atti volti al recupero di aiuti di Stato, di sospensione dell’esecutività delle sentenze di primo e di secondo rado, per i quali sono previste camere di consiglio “partecipate” (dalle parti), rispettivamente, dagli artt. 47, comma 4, 47-bis, comma 3, 52, comma 5, 62-bis, comma 4, d.lgs. 546/1992).
Le disposizioni del d.l. 11/2020 vanno quindi parametrate a queste forme processuali.
3. I procedimenti da rinviare e quelli non rinviabili
In primo luogo penso si debba convenire con chi su questa stessa rivista [De Stefano, L’emergenza sanitaria rimodula i tempi della giustizia: i provvedimenti sul civile (note a primissima lettura del d.l. n. 11 del 2020)] ha espresso l’opzione di un’interpretazione estensiva secundum ratio –peraltro molto chiara- del termine «udienze» impiegato dal legislatore.
Quindi il “rinvio secco” al 22 marzo (salvo proroghe ..) deve senz’altro considerarsi esteso anche al procedimento camerale ordinario di cognizione (in primo grado ed in appello) nonchè al giudizio di revocazione; tutti gli altri procedimenti suindicati prevedono la partecipazione delle parti e quindi il problema nemmeno si pone.
In secondo luogo bisogna chiedersi cosa sarà per la “ripresa post blocco” e quindi guardare in particolare alle pieghe dell’art. 2 del decreto.
A partire però dalla previsione dell’art. 1, comma 2, del decreto medesimo, secondo la quale sono sospesi anche i termini per le attività processuali finalizzate alla trattazione dei procedimenti (memorie).
Nel riorganizzare l’attività bisognerà prestare una particolare attenzione a questo aspetto della questione, perchè altrimenti si rischiano nullità processuali per violazione del diritto di difesa/principio del contraddittorio (sul punto, v. ancora, per le analoghe problematiche del processo civile, De Stefano, cit.).
Ciò posto, il problema interpretativo più pressante risulta evidentemente essere quello delle eccezioni al rinvio d’ufficio ed a quello, correlato, delle misure discrezionali delegate ai Dirigenti giudiziari, quindi ai Presidenti delle Commissioni provinciali e regionali, previste rispettivamente dagli artt. 1, comma 1, ultima parte e 2, d.l. 11/2020.
Infatti, con riguardo alle due diverse modalità dell’intervento normativo (rinvio automatico al 22 marzo, discrezionale fino al 31 maggio), si pone per entrambe la questione dei procedimenti incidentali cautelari analoghi a quelli civilistici indicati nella lett. g) del comma 1, dell’art. 2 del d.l.: «..procedimenti di cui all’articolo 283, 351 e 373, del codice di procedura civile e, in genere, in tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio per le parti».
Peraltro, ancorchè si tratti di procedimenti “partecipati” sia per le inibitorie civili che per quelle tributarie, non sembrano ravvisabili elementi di “incompatibilità” che inducano a ritenere non completamente estensibile l’eccezionale disciplina processual-civilistica a quella speciale tributaria, nelle articolazioni che sopra si sono sinteticamente indicate.
Ebbene, non può non notarsi una sensibile differenza tra tali, molto “essenziali”, scelte normative e la più articolata e “protettiva” disciplina data con l’art. 3 del decreto ai procedimenti avanti agli organi di giustizia amministrativa, che tuttavia non può essere applicata a quelli avanti le Commissioni tributarie, stante il generale rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 546/1992.
Comunque sia, per i sub-procedimenti cautelari ed inibitori tributari non appaiono ravvisabili ragioni di rinvio, né “secco” né “discrezionale”, ma solo l’applicabilità di misure di natura preventiva sulle modalità di esercizio delle attività.
4. Una conclusione pratica ed un auspicio.
Sul piano delle situazioni concrete e volendo dunque calare l’intervento nella realtà, non bisogna dimenticare che l’edilizia giudiziaria tributaria spesso presenta situazioni di precarietà e promiscuità che possono essere anche deteriori rispetto a quelle, anch’esse non sempre “ottimali”, degli uffici giudiziari ordinari.
Se dunque lo scopo –dichiarato ed evidente- della normativa indifferibile ed urgente è quello di limitare al massimo il “contatto sociale” nelle aule di giustizia, allora i Presidenti delle Commissioni dovranno esercitare con particolare attenzione e prudenza le prerogative loro date dall’art. 2 del decreto.
E l’auspicio è che ciò avvenga
La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19 (Brevi note sul d. l. n. 11 del 2020) di Giuseppe Santalucia
sommario: 1. Premessa. - 2. I principali strumenti di contenimento dei rischi. - 3. Il rinvio delle udienze nel primo periodo. - 4. Le deroghe all’obbligo di rinvio delle udienze.- 5. Le esigenze indifferibili di prova. - 6. La partecipazione al giudizio. 7. Le limitazioni dei colloqui per i detenuti. - 8. Le misure organizzative per il secondo periodo. - 9. Le conseguenze immediate del rinvio dell’udienza.- 10. Le restrizioni per l’accesso a permessi premio e semilibertà
1.Premessa. Il decreto legge, entrato in vigore oggi 8 marzo con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in pari data, detta prescrizioni valevoli sin dal giorno appena successivo, ossia dal 9 marzo.
Fatto salvo l’apparato di regole contenuto nel decreto legge n. 9 del 2020, con cui si sono già dettate le prescrizioni, per sospensione dei termini processuali e il rinvio delle udienze negli uffici giudiziari ricadenti nei distretti di Corte di appello comprensivi dei Comuni facenti parte dell’allora zona rossa delineata per il contenimento dell’epidemia, questo secondo decreto legge prevede anzitutto due diversi tipi di accorgimenti.
Il fine è duplice e composito: si tratta di fronteggiare il rischio del contagio per svolgimento di attività giudiziaria, sia per il settore penale che per quello civile, e di contenere gli effetti negativi dell’epidemia sulla prestazione del servizio giustizia, in modo da assicurare che esso si svolga con continuità ed efficienza.
2. I principali strumenti di contenimento dei rischi. Con previsione comune ai due settori della giustizia ordinaria, e con prescrizioni estese, per quanto compatibili, alla giustizia tributaria e militare, il decreto legge prevede:
Tali misure organizzative devono essere adottate sentita l’Autorità sanitaria regionale, per il tramite del presidente della Giunta regionale, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati; e, per gli uffici diversi dalla Corte di cassazione e dalla Procura generale presso detta Corte, d’intesa con il presidente della Corte di appello e con il Procuratore generale presso la Corte di appello.
3.Il rinvio delle udienze nel primo periodo. Quanto alla misura del rinvio officioso delle udienze fissate per il periodo di maggiore emergenza, valgono alcune eccezioni.
Non sono rinviabili, nel settore penale, le udienze nelle seguenti materie.
Sul punto sembra importante evidenziare che la regola, anche in tale ambito procedimentale, è il rinvio officioso delle udienze, e che l’intervento delle parti o dei loro difensori agisce in deroga a questa regola di generale applicazione.
Non sarebbe allora conforme alle previsioni di legge che il giudice tenesse udienza per appurare se imputati, detenuti o proposti, o anche soltanto i loro difensori, facciano richiesta di trattazione del procedimento. Se, infatti, l’udienza va rinviata, non v’è spazio per soluzioni che ipotizzino l’obbligo di sedere in udienza per lì verificare quale sia la volontà delle parti.
Il provvedimento di rinvio è meramente esecutivo di una prescrizione di legge, in vigore dal 9 marzo e conosciuta e conoscibile da chiunque al pari di ogni altra disposizione di legge. I soggetti abilitati a chiedere il rinvio devono dunque farsi parte diligente quanto più tempestivamente possibile per chiedere la trattazione del processo, pena altrimenti l’impossibilità di evitare il rinvio.
Rinvio che, peraltro, va disposto d’ufficio e non necessariamente in udienza, quindi con provvedimento adottabile dal presidente e non esclusivamente dal giudice, anche collegiale.
Ciò significa che non occorre, per poter disporre il rinvio, che si attenda un termine, che la legge non ha posto, per valutare se trattare o meno il processo. Se questa fosse stata la volontà del legislatore dell’emergenza, la disposizione sarebbe stata costruita diversamente, in termini magari di un rinvio su richiesta di parte e non d’ufficio.
Certo, problemi applicativi si pongono per le udienze fissate per il giorno o i giorni appena successivi all’entrata in vigore del decreto legge, non essendoci uno spazio apprezzabile per determinazioni organizzative dei dirigenti degli uffici giudiziari compatibile con l’utile esercizio del potere delle parti di chiedere il rinvio.
Ma questo aspetto critico, che non si ignora, fa parte degli inconvenienti inevitabili di un provvedimento d’urgenza che comprime e contrae gli ambiti di intervento dei soggetti interessati dalle misure di restrizione, e che non può essere interpretativamente utilizzato per far dire alle norme quello che le norme non hanno inteso affermare.
4. Le deroghe all’obbligo di rinvio delle udienze. I procedimenti in cui le udienze devono essere tenute, sempre che sia espressamente richiesta la trattazione, sono:
Il decreto legge non precisa meglio, e la disposizione appare assai poco restrittiva. Il riferimento è: ad ogni misura cautelare, sia personale che reale, e, nell’ambito della prima categoria, sia alle misure coercitive che a quelle interdittive; oltre che ad ogni misura di sicurezza, personale o patrimoniale, fermo restando che per le misure di sicurezza detentive vale la prescrizione appena prima richiamata, della trattazione del processo a prescindere dal meccanismo dell’espressa richiesta di parte. La previsione sembra eccessiva, perché, oltre a non distinguere tra le varie tipologie di misura cautelare, non chiarisce se l’eccezione al rinvio valga pur quando nel procedimento la misura sia stata applicata ma poi sia stata revocata o sia comunque cessata;
5.Le esigenze indifferibili di prova.
Non sono infine soggette al rinvio le udienze che si rendano necessarie in quei procedimenti ove sia indifferibile l’esigenza di assumere prove non rinviabili, secondo il modulo di cui all’art. 392 cod. proc. pen. in punto di incidente probatorio. La previsione, questa volta, pecca per difetto, per l’omesso richiamo alla disposizione di cui all’art. 467 cod. proc. pen., che autorizza l’assunzione di prove urgenti nella fase degli atti preliminari al giudizio nei casi in cui si abbiano a verificarsi i presupposti per l’incidente probatorio. In tutte queste ipotesi occorre che il giudice o, se questo è collegiale, il presidente dichiarino l’urgenza a provvedere, con provvedimento che dia conto dell’indifferibilità dell’assunzione della prova, comunque non impugnabile.
6.La partecipazione al giudizio. In ogni dibattimento il giudice può disporre che si proceda a porte chiuse, per evitare che nell’aula di udienza si abbia un affollamento tale da accrescere il pericolo di possibili contagi. L’invito a valutare l’opportunità di questo accorgimento è rivolto dal decreto legge a giudici dei singoli processi, rientrando il relativo provvedimento nei compiti propri del giudice che siede in udienza.
Con misura d’ordine generale si prevede poi che per tutto il periodo dell’emergenza, ossia dal 9 marzo al 31 maggio 2020, la partecipazione al giudizio delle persone detenute, anche in via cautelare, e internate sia assicurata, per quanto organizzativamente possibile, per mezzo del collegamento a distanza, facendo applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni che in via ordinaria regolano la partecipazione al dibattimento a distanza delle persone che si trovino in stato di detenzione – art. 146bis disp. att. cod. proc. pen. –.
7.Le limitazioni dei colloqui per i detenuti. Soltanto per il primo periodo di emergenza, i colloqui dei detenuti negli istituti penitenziali e negli istituti penali per i minorenni con i congiunti e con le altre persone con le quali ne hanno diritto devono avvenire a distanza, ove possibile avvalendosi di apparecchiature tecniche che consentano questa modalità di svolgimento dei colloqui. Se questa possibilità organizzativa non si abbia, i colloqui avvengono per mezzo del telefono, e senza le ordinarie limitazione numeriche dei colloqui telefonici.
8.Le misure organizzative per il secondo periodo. I dirigenti degli uffici sono abilitati, per il periodo successivo a quello di maggior restrizione – 23 marzo/31 maggio 2020 – all’adozione di misure organizzative speciali, anche incidenti direttamente sulla trattazione degli affari giudiziari e quindi con interferenza sugli ordinari poteri di organizzazione spettanti ai singoli giudici a cui quegli affari sono assegnati.
7.1. Alcune delle misure che possono essere prese dai dirigenti degli uffici attengono alle modalità di accesso del pubblico con prescrizioni volte a limitarne l’afflusso, a condizione comunque di rispettare l’esigenza del compimento di attività non rinviabili, anche per quanto attiene agli orari giornalieri di apertura, con possibilità addirittura di disporre la chiusura di alcuni servizi al pubblico, sempre che non interessati dalla prestazione di servizi a carattere di urgenza.
Siccome uno degli obiettivi principali è di evitare l’assembramento di persone, evenienza che agevola il rischio di contagi, i dirigenti degli uffici possono imporre prescrizioni per regolare la convocazione degli utenti del servizio giudiziario, anche mediante il modulo della prenotazione per l’accesso ad orari fissi; e soprattutto possono imporre ai singoli giudici direttive vincolanti in punto di fissazione e modalità di trattazione delle udienze.
Con previsione direttamente incidente sui poteri organizzativi dei giudici nei singoli processi, i dirigenti degli uffici possono disporre lo svolgimento dei dibattimenti a porte chiuse per esigenze di pubblico igiene, e quindi di salute pubblica, di tutti o di taluno dei processi incardinati in quegli uffici.
7.2. Spicca poi il potere di disporre, ancora una volta, il rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020 nelle stesse materia e con le stesse eccezioni che, si è detto prima, operano già per il rinvio officioso e obbligatorio che caratterizza il primo periodo di emergenza.
A differenza di quanto già illustrato per il periodo dal 9 al 22 marzo, per tale seconda fase il rinvio non è obbligatorio ma è oggetto di un apprezzamento discrezionale che, quindi, implica per necessità che la misura organizzativa operi sul territorio nazionale a macchia di leopardo, interessando alcuni e non tutti gli uffici giudiziari.
9. Le conseguenze immediate del rinvio dell’udienza.
In tutti i casi in cui opera il rinvio, sia nel caso di rinvio obbligatorio del primo periodo che di rinvio cd. discrezionale del secondo periodo, restano sospesi i seguenti termini:
- i termini di prescrizione dei reati per i quali si procede;
- i termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 cod. proc. pen., e specificamente i termini di fase e i termini complessivi, fermi restando però, a quanto sembra di comprendere, i termini massimi di fase e il termine massimo finale, di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., che non è fatto oggetto di richiamo;
- i termini di proposizione della richiesta di riesame, evidentemente per i casi in cui l’imputato in stato di restrizione cautelare non abbia fatto espressa richiesta di trattazione del procedimento;
- i termini (trenta giorni dalla ricezione degli atti) entro i quali la Corte di cassazione deve decidere sui ricorsi avverso i provvedimenti del Tribunale del riesame e del Tribunale dell’appello cautelare;
- i termini entro i quali il giudice del rinvio, in caso di annullamento dell’ordinanza applicativa della misura coercitiva oggetto di riesame, deve decidere (dieci giorni dalla ricezione degli atti) e deve depositare l’ordinanza (trenta giorni dalla decisione);
- i termini entro i quali, in caso di riesame del decreto di sequestro, deve essere proposta la richiesta, e l’impugnazione deve essere decisa, pur quando l’interessato ne abbia chiesto il differimento;
- per i procedimenti di prevenzione, i termini entro cui deve essere emesso il provvedimento di confisca, a far data dall’immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario, e la Corte di appello, in caso di impugnazione del decreto di confisca, deve pronunciarsi dal deposito del ricorso.
Ulteriore conseguenza del disposto rinvio è che il periodo di forzata stasi procedimentale non può essere computato ai fini della determinazione del tempo irragionevole del processo ai fini della domanda di equa riparazione, ai sensi dell’art. 2, l. n. 89 del 2001.
10.Le restrizioni per l’accesso a permessi premio e semilibertà.
La magistratura di sorveglianza è chiamata ad un non facile compito per l’intero periodo dell’emergenza, e quindi dal 9 marzo al 31 maggio 2020. Tenendo conto delle indicazioni delle autorità sanitarie il magistrato e il tribunale di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive competenze, possono ricorrere a una misura limitativa particolarmente penalizzante: possono infatti sospendere, con decisione che sembra poter rivestire il carattere della generalità per l’intera popolazione carceraria soggetta alla loro giurisdizione, la concessione dei permessi premio e della semilibertà, in modo da evitare che il detenuto possa essere esposto al contagio in ambiente esterno e farsi conseguentemente veicolo di contagio nell’ambiente chiuso del carcere in cui deve fare rientro. Si tratta di una misura eccezionale dal contenuto spiccatamente afflittivo, che dovrà essere adeguatamente giustificata con l’illustrazione delle ragioni sottese, sì come articolate nell’interlocuzione con le autorità sanitarie.
La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19 (Brevi note sul d. l. n. 11 del 2020) di Giuseppe Santalucia
sommario: 1. Premessa. - 2. I principali strumenti di contenimento dei rischi. - 3. Il rinvio delle udienze nel primo periodo. - 4. Le deroghe all’obbligo di rinvio delle udienze.- 5. Le esigenze indifferibili di prova. - 6. La partecipazione al giudizio. 7. Le limitazioni dei colloqui per i detenuti. - 8. Le misure organizzative per il secondo periodo. - 9. Le conseguenze immediate del rinvio dell’udienza.- 10. Le restrizioni per l’accesso a permessi premio e semilibertà
1.Premessa. Il decreto legge, entrato in vigore oggi 8 marzo con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in pari data, detta prescrizioni valevoli sin dal giorno appena successivo, ossia dal 9 marzo.
Fatto salvo l’apparato di regole contenuto nel decreto legge n. 9 del 2020, con cui si sono già dettate le prescrizioni, per sospensione dei termini processuali e il rinvio delle udienze negli uffici giudiziari ricadenti nei distretti di Corte di appello comprensivi dei Comuni facenti parte dell’allora zona rossa delineata per il contenimento dell’epidemia, questo secondo decreto legge prevede anzitutto due diversi tipi di accorgimenti.
Il fine è duplice e composito: si tratta di fronteggiare il rischio del contagio per svolgimento di attività giudiziaria, sia per il settore penale che per quello civile, e di contenere gli effetti negativi dell’epidemia sulla prestazione del servizio giustizia, in modo da assicurare che esso si svolga con continuità ed efficienza.
2. I principali strumenti di contenimento dei rischi. Con previsione comune ai due settori della giustizia ordinaria, e con prescrizioni estese, per quanto compatibili, alla giustizia tributaria e militare, il decreto legge prevede:
Tali misure organizzative devono essere adottate sentita l’Autorità sanitaria regionale, per il tramite del presidente della Giunta regionale, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati; e, per gli uffici diversi dalla Corte di cassazione e dalla Procura generale presso detta Corte, d’intesa con il presidente della Corte di appello e con il Procuratore generale presso la Corte di appello.
3.Il rinvio delle udienze nel primo periodo. Quanto alla misura del rinvio officioso delle udienze fissate per il periodo di maggiore emergenza, valgono alcune eccezioni.
Non sono rinviabili, nel settore penale, le udienze nelle seguenti materie.
Sul punto sembra importante evidenziare che la regola, anche in tale ambito procedimentale, è il rinvio officioso delle udienze, e che l’intervento delle parti o dei loro difensori agisce in deroga a questa regola di generale applicazione.
Non sarebbe allora conforme alle previsioni di legge che il giudice tenesse udienza per appurare se imputati, detenuti o proposti, o anche soltanto i loro difensori, facciano richiesta di trattazione del procedimento. Se, infatti, l’udienza va rinviata, non v’è spazio per soluzioni che ipotizzino l’obbligo di sedere in udienza per lì verificare quale sia la volontà delle parti.
Il provvedimento di rinvio è meramente esecutivo di una prescrizione di legge, in vigore dal 9 marzo e conosciuta e conoscibile da chiunque al pari di ogni altra disposizione di legge. I soggetti abilitati a chiedere il rinvio devono dunque farsi parte diligente quanto più tempestivamente possibile per chiedere la trattazione del processo, pena altrimenti l’impossibilità di evitare il rinvio.
Rinvio che, peraltro, va disposto d’ufficio e non necessariamente in udienza, quindi con provvedimento adottabile dal presidente e non esclusivamente dal giudice, anche collegiale.
Ciò significa che non occorre, per poter disporre il rinvio, che si attenda un termine, che la legge non ha posto, per valutare se trattare o meno il processo. Se questa fosse stata la volontà del legislatore dell’emergenza, la disposizione sarebbe stata costruita diversamente, in termini magari di un rinvio su richiesta di parte e non d’ufficio.
Certo, problemi applicativi si pongono per le udienze fissate per il giorno o i giorni appena successivi all’entrata in vigore del decreto legge, non essendoci uno spazio apprezzabile per determinazioni organizzative dei dirigenti degli uffici giudiziari compatibile con l’utile esercizio del potere delle parti di chiedere il rinvio.
Ma questo aspetto critico, che non si ignora, fa parte degli inconvenienti inevitabili di un provvedimento d’urgenza che comprime e contrae gli ambiti di intervento dei soggetti interessati dalle misure di restrizione, e che non può essere interpretativamente utilizzato per far dire alle norme quello che le norme non hanno inteso affermare.
4. Le deroghe all’obbligo di rinvio delle udienze. I procedimenti in cui le udienze devono essere tenute, sempre che sia espressamente richiesta la trattazione, sono:
Il decreto legge non precisa meglio, e la disposizione appare assai poco restrittiva. Il riferimento è: ad ogni misura cautelare, sia personale che reale, e, nell’ambito della prima categoria, sia alle misure coercitive che a quelle interdittive; oltre che ad ogni misura di sicurezza, personale o patrimoniale, fermo restando che per le misure di sicurezza detentive vale la prescrizione appena prima richiamata, della trattazione del processo a prescindere dal meccanismo dell’espressa richiesta di parte. La previsione sembra eccessiva, perché, oltre a non distinguere tra le varie tipologie di misura cautelare, non chiarisce se l’eccezione al rinvio valga pur quando nel procedimento la misura sia stata applicata ma poi sia stata revocata o sia comunque cessata;
5.Le esigenze indifferibili di prova.
Non sono infine soggette al rinvio le udienze che si rendano necessarie in quei procedimenti ove sia indifferibile l’esigenza di assumere prove non rinviabili, secondo il modulo di cui all’art. 392 cod. proc. pen. in punto di incidente probatorio. La previsione, questa volta, pecca per difetto, per l’omesso richiamo alla disposizione di cui all’art. 467 cod. proc. pen., che autorizza l’assunzione di prove urgenti nella fase degli atti preliminari al giudizio nei casi in cui si abbiano a verificarsi i presupposti per l’incidente probatorio. In tutte queste ipotesi occorre che il giudice o, se questo è collegiale, il presidente dichiarino l’urgenza a provvedere, con provvedimento che dia conto dell’indifferibilità dell’assunzione della prova, comunque non impugnabile.
6.La partecipazione al giudizio. In ogni dibattimento il giudice può disporre che si proceda a porte chiuse, per evitare che nell’aula di udienza si abbia un affollamento tale da accrescere il pericolo di possibili contagi. L’invito a valutare l’opportunità di questo accorgimento è rivolto dal decreto legge a giudici dei singoli processi, rientrando il relativo provvedimento nei compiti propri del giudice che siede in udienza.
Con misura d’ordine generale si prevede poi che per tutto il periodo dell’emergenza, ossia dal 9 marzo al 31 maggio 2020, la partecipazione al giudizio delle persone detenute, anche in via cautelare, e internate sia assicurata, per quanto organizzativamente possibile, per mezzo del collegamento a distanza, facendo applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni che in via ordinaria regolano la partecipazione al dibattimento a distanza delle persone che si trovino in stato di detenzione – art. 146bis disp. att. cod. proc. pen. –.
7.Le limitazioni dei colloqui per i detenuti. Soltanto per il primo periodo di emergenza, i colloqui dei detenuti negli istituti penitenziali e negli istituti penali per i minorenni con i congiunti e con le altre persone con le quali ne hanno diritto devono avvenire a distanza, ove possibile avvalendosi di apparecchiature tecniche che consentano questa modalità di svolgimento dei colloqui. Se questa possibilità organizzativa non si abbia, i colloqui avvengono per mezzo del telefono, e senza le ordinarie limitazione numeriche dei colloqui telefonici.
8.Le misure organizzative per il secondo periodo. I dirigenti degli uffici sono abilitati, per il periodo successivo a quello di maggior restrizione – 23 marzo/31 maggio 2020 – all’adozione di misure organizzative speciali, anche incidenti direttamente sulla trattazione degli affari giudiziari e quindi con interferenza sugli ordinari poteri di organizzazione spettanti ai singoli giudici a cui quegli affari sono assegnati.
7.1. Alcune delle misure che possono essere prese dai dirigenti degli uffici attengono alle modalità di accesso del pubblico con prescrizioni volte a limitarne l’afflusso, a condizione comunque di rispettare l’esigenza del compimento di attività non rinviabili, anche per quanto attiene agli orari giornalieri di apertura, con possibilità addirittura di disporre la chiusura di alcuni servizi al pubblico, sempre che non interessati dalla prestazione di servizi a carattere di urgenza.
Siccome uno degli obiettivi principali è di evitare l’assembramento di persone, evenienza che agevola il rischio di contagi, i dirigenti degli uffici possono imporre prescrizioni per regolare la convocazione degli utenti del servizio giudiziario, anche mediante il modulo della prenotazione per l’accesso ad orari fissi; e soprattutto possono imporre ai singoli giudici direttive vincolanti in punto di fissazione e modalità di trattazione delle udienze.
Con previsione direttamente incidente sui poteri organizzativi dei giudici nei singoli processi, i dirigenti degli uffici possono disporre lo svolgimento dei dibattimenti a porte chiuse per esigenze di pubblico igiene, e quindi di salute pubblica, di tutti o di taluno dei processi incardinati in quegli uffici.
7.2. Spicca poi il potere di disporre, ancora una volta, il rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020 nelle stesse materia e con le stesse eccezioni che, si è detto prima, operano già per il rinvio officioso e obbligatorio che caratterizza il primo periodo di emergenza.
A differenza di quanto già illustrato per il periodo dal 9 al 22 marzo, per tale seconda fase il rinvio non è obbligatorio ma è oggetto di un apprezzamento discrezionale che, quindi, implica per necessità che la misura organizzativa operi sul territorio nazionale a macchia di leopardo, interessando alcuni e non tutti gli uffici giudiziari.
9. Le conseguenze immediate del rinvio dell’udienza.
In tutti i casi in cui opera il rinvio, sia nel caso di rinvio obbligatorio del primo periodo che di rinvio cd. discrezionale del secondo periodo, restano sospesi i seguenti termini:
- i termini di prescrizione dei reati per i quali si procede;
- i termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 cod. proc. pen., e specificamente i termini di fase e i termini complessivi, fermi restando però, a quanto sembra di comprendere, i termini massimi di fase e il termine massimo finale, di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., che non è fatto oggetto di richiamo;
- i termini di proposizione della richiesta di riesame, evidentemente per i casi in cui l’imputato in stato di restrizione cautelare non abbia fatto espressa richiesta di trattazione del procedimento;
- i termini (trenta giorni dalla ricezione degli atti) entro i quali la Corte di cassazione deve decidere sui ricorsi avverso i provvedimenti del Tribunale del riesame e del Tribunale dell’appello cautelare;
- i termini entro i quali il giudice del rinvio, in caso di annullamento dell’ordinanza applicativa della misura coercitiva oggetto di riesame, deve decidere (dieci giorni dalla ricezione degli atti) e deve depositare l’ordinanza (trenta giorni dalla decisione);
- i termini entro i quali, in caso di riesame del decreto di sequestro, deve essere proposta la richiesta, e l’impugnazione deve essere decisa, pur quando l’interessato ne abbia chiesto il differimento;
- per i procedimenti di prevenzione, i termini entro cui deve essere emesso il provvedimento di confisca, a far data dall’immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario, e la Corte di appello, in caso di impugnazione del decreto di confisca, deve pronunciarsi dal deposito del ricorso.
Ulteriore conseguenza del disposto rinvio è che il periodo di forzata stasi procedimentale non può essere computato ai fini della determinazione del tempo irragionevole del processo ai fini della domanda di equa riparazione, ai sensi dell’art. 2, l. n. 89 del 2001.
10.Le restrizioni per l’accesso a permessi premio e semilibertà.
La magistratura di sorveglianza è chiamata ad un non facile compito per l’intero periodo dell’emergenza, e quindi dal 9 marzo al 31 maggio 2020. Tenendo conto delle indicazioni delle autorità sanitarie il magistrato e il tribunale di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive competenze, possono ricorrere a una misura limitativa particolarmente penalizzante: possono infatti sospendere, con decisione che sembra poter rivestire il carattere della generalità per l’intera popolazione carceraria soggetta alla loro giurisdizione, la concessione dei permessi premio e della semilibertà, in modo da evitare che il detenuto possa essere esposto al contagio in ambiente esterno e farsi conseguentemente veicolo di contagio nell’ambiente chiuso del carcere in cui deve fare rientro. Si tratta di una misura eccezionale dal contenuto spiccatamente afflittivo, che dovrà essere adeguatamente giustificata con l’illustrazione delle ragioni sottese, sì come articolate nell’interlocuzione con le autorità sanitarie.
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