Il nuovo reato di abuso d’ufficio: è davvero venuto meno il sindacato sulla discrezionalità amministrativa?
di Renata Stancanelli
Sommario: 1. Premessa - 2. Il reato di abuso d’ufficio e l’eccesso di potere: orientamenti a confronto - 3. La riscrittura dell’abuso d’ufficio con il d.l. Semplificazioni - 4. Profili di diritto intertemporale.
1. Premessa
Il reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) è stato nuovamente oggetto di attenzione da parte del legislatore con il decreto Semplificazioni (d.l. n. 76/2020, convertito con legge n. 120/2020).
La ratio dell’intervento è duplice. Si intende (come già con le precedenti riforme) circoscrivere e tipizzare meglio la condotta penalmente rilevante e così anche incentivare la ripartenza economica e sociale dell’Italia, rallentata dalla pandemia in atto e ostacolata dalla ritrosia dei pubblici funzionari all’adozione di atti o provvedimenti per il timore di doverne rispondere penalmente (c.d. “burocrazia difensiva” “paura della firma”).
In questa stessa ottica va letta la recente scelta del legislatore di delimitare la responsabilità contabile del pubblico funzionario e ricondurre il dolo rilevante ai fini della responsabilità erariale alle maglie più stringenti del dolo tipico della materia penale.
L’intervento legislativo offre altresì uno spunto interessante per riflettere su come possa mutare l’intenzione del legislatore, anche nel breve periodo, a causa delle contingenze del momento: basti pensare che quest’ultima riforma si mostra in netta contro-tendenza rispetto alla recente legge spazza-corrotti [1], oggetto anch’essa di accesi dibattiti in dottrina.
2. Il reato di abuso d’ufficio e l’eccesso di potere: orientamenti a confronto
Collocato nella parte finale del Titolo II, dedicato ai delitti contro la pubblica amministrazione, il reato di abuso d’ufficio, è stato considerato, stante la clausola «salvo che il fatto non costituisca un più grave reato», come una norma sussidiaria e di chiusura del sistema di tutele della Pubblica amministrazione.
L’abuso d’ufficio è un tipico reato proprio perché punisce il pubblico ufficiale, o l’incaricato di un pubblico servizio, che, nell’esercizio delle sue funzioni, procura intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
È necessario il dolo intenzionale rispetto all’evento, ossia l’intenzione di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto. Tuttavia, non si richiede che tale intenzione sia esclusiva come, invece, per esempio, nel peculato d’uso di cui all’art. 314, comma 2, c.p.
La duplicità dell’evento che deve essere voluto dall’agente è stata una scelta della legge n. 234 del 1997 che ha trasformato l’abuso d’ufficio da reato di mera condotta (a dolo specifico) a reato d’evento (a dolo intenzionale)[2].
L’obiettivo del legislatore del ’97 è stato anche quello di espungere dalla fattispecie i casi di eccesso di potere, vizio di legittimità dell’atto amministrativo la valutazione del quale consente al giudice penale di censurare la discrezionalità amministrativa. Proprio questa è la ragione delle riforme succedutesi negli anni: pur essendo norma di chiusura del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione, l’art. 323 c.p. è un punto nevralgico del rapporto attività amministrativa e giustizia penale[3].
Attraverso tale fattispecie incriminatrice, il giudice penale è in grado di esercitare un sindacato sull’attività amministrativa la cui ampiezza, tuttavia, non è pacifica in dottrina e in giurisprudenza.
All’indomani della riforma del ‘97, infatti, sono stati sostenuti diversi orientamenti.
Secondo una posizione, con la nuova formulazione della norma il giudice penale non sarebbe stato in grado di sindacare l’eccesso di potere perché il legislatore aveva deciso
di ancorare la rilevanza penale delle condotte soltanto alla violazione di legge quale vizio di legittimità amministrativa.
Altra posizione assumeva che l’eccesso di potere non potesse sindacarsi nemmeno tramite il principio costituzionale contenuto nell’art. 97 Cost., che impone il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, così valorizzando il carattere programmatico e non precettivo della norma la cui violazione avrebbe dato luogo ad una condotta lesiva di principi generali ma non anche di specifiche norme di legge.[4]
Una tesi mediana ha operato una distinzione: non sarebbe più sussumibile sotto la fattispecie dell’art. 323 c.p. l’eccesso di potere intrinseco − ossia l’esercizio del potere discrezionale, che pur non corrispondente all’interesse pubblico, rimanga nell’ambito delle scelte consentite dalla norma attributiva del potere − ma lo sarebbe l’eccesso di potere estrinseco − ossia l’esercizio del potere finalizzato ad uno scopo del tutto estraneo a quello delineato nella norma attributiva[5].
L’orientamento della giurisprudenza, che è rimasto prevalente fino al decreto Semplificazioni, è stato quello di ritenere censurabile l’eccesso di potere nell’accezione più moderna, accolta anche dalla giurisprudenza amministrativa, del c.d. sviamento di potere: ossia il vizio che inficia tutte quelle condotte, che sebbene siano espressione di un potere autoritativo, esulano dai fini istituzionali ai quali il potere è preposto. Si ha sviamento di potere non solo quando si persegue un interesse privato, ma anche quando si mira a un interesse pubblico diverso da quello considerato dalla norma attributiva del potere. Questo conferma che la peculiarità del delitto di abuso d’ufficio sta proprio nell’aprire la possibilità di sindacare scelte discrezionali dei pubblici amministratori.
3. La riscrittura dell’abuso d’ufficio con il d.l. Semplificazioni
Come anticipato, il legislatore dell’emergenza ha modificato il delitto di abuso d’ufficio con un’evidente delimitazione della fattispecie penale tipica.
3.1. In particolare, ha sostituito la formula «in violazione di norme di legge o di regolamento» con la diversa formula relativa alla «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
La modifica che ha subito animato il dibattito tra gli interpreti è quella relativa all’espunzione della «violazione dei regolamenti» dalla formula legislativa. I primi commentatori della riforma la considerano negativamente osservando che il buon andamento della Pubblica amministrazione potrebbe facilmente risultare leso da talune condotte che non assumono più rilevanza penale[6]. Secondo quest’orientamento è proprio nella violazione dei regolamenti (spesso quelli che le stesse pubbliche amministrazioni si danno) che si annidano i principali abusi[7]: il sistema delle fonti secondarie riveste nel diritto amministrativo una particolare importanza, perché sono prevalentemente queste che disciplinano i rapporti pubblicistici dettando quelle «specifiche regole di condotta» la violazione delle quali può integrare il nuovo reato di abuso d’ufficio[8].
3.2. Con riguardo, appunto, alla formula relativa alle «specifiche regole di condotta» valgono le seguenti osservazioni.
L’opinione formatasi nei primi mesi successivi all’entrata in vigore della nuova figura di abuso d’ufficio ritiene che con questo espresso rimando il legislatore abbia voluto definitivamente escludere dall’ambito di applicazione della norma tutte le condotte che si sostanziano in violazioni di principi generali.
Si ripropone, così, il dibattito relativo alla funzione che l’art. 97 Cost. assume in relazione all’abuso d’ufficio che, come visto in precedenza, aveva già animato gli interpreti all’indomani della riforma del ’97: da un canto, l’orientamento secondo cui le condotte contrastanti con il principio dettato dall’art. 97 Cost. sono censurabili tramite l'art. 323 c.p. perché dall’art. 97 Cost. emergerebbe una specifica regola di condotta la cui inosservanza è penalmente rilevante; dall’altro, la posizione della dottrina che ritiene che dall’art. 97 Cost. non possano ricavarsi specifiche regole di condotta, ma semmai i principi generali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, come tali non più rilevanti per l’applicazione del 323 c.p.[9]
Sotto un altro profilo, ma pur sempre strettamente connessa, si colloca la tematica relativa alla discrezionalità, la cui estromissione dall’ambito di applicazione della norma è stata aspramente criticata da più parti.
Se ci si ferma ad una mera interpretazione letterale della disposizione, risulta evidente che il legislatore del 2020 ha voluto attribuire rilevanza alle sole regole che non implichino un esercizio di potere discrezionale da parte del soggetto agente. La ratio di tale modifica è quella di evitare il rischio che il giudice penale possa sindacare le scelte operate dall’amministrazione e non soltanto la sua attività vincolata. Interessante, a tal proposito, risulta l’analogia che parte della dottrina stabilisce con la disciplina dell’azione contro il silenzio-inadempimento di cui all’art. 31 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) [10]. Infatti, il giudice amministrativo, in sede di ricorso avverso il silenzio-inadempimento, può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratti di attività vincolata o comunque quando risulta che non residuino margini di esercizio della discrezionalità, diversamente deve limitarsi ad accertare l’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
La scelta operata dal legislatore, tuttavia, non è stata esente da critiche all’indomani della riforma. Infatti, sottolinea autorevole dottrina[11] che un’effettiva tutela del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica amministrazione non può non comportare un sindacato sulla discrezionalità amministrativa, perché restringendo la sindacabilità alla sola attività vincolata al controllo del giudice penale sarebbero sottratte alcune delle condotte più pericolose.[12]
In realtà, all’indomani della riforma, parte della giurisprudenza sembra non valorizzare la formulazione letterale della disposizione mantenendo il sindacato sull’eccesso di potere almeno nella sua accezione di violazione dei limiti esterni della discrezionalità, «nel caso in cui l’esercizio del potere trasmodi in una vera e propria distorsione funzionale dei fini pubblici – c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità”». Sembra, dunque, che la giurisprudenza abbia voluto, pur di conservare un margine di sindacato sulla discrezionalità, operare un distinguo e ritenere censurabile la discrezionalità, quanto meno nei suoi limiti “esterni”, e, invece, far venir meno il sindacato sui limiti c.d. “interni” della discrezionalità, consistenti nel «mero “cattivo uso»[13].
Sul punto, giova segnalare anche una recente pronuncia della Corte di cassazione che ha ritenuto configurabile il delitto di abuso d’ufficio, così come riformulato a seguito della modifica legislativa, «non solo nel caso in cui la violazione di una specifica regola di condotta è connessa all’esercizio di un potere già in origine previsto dalla legge come del tutto vincolato, ma anche nei casi in cui l’inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’abuso di ufficio»[14].
Se si considerano le pronunce richiamate, si può ragionevole affermare che i giudici di legittimità, non aderiscono a un’interpretazione letterale della disposizione, ma ne estendono l’ambito di applicazione anche a quei casi che siano espressione di scelte contrarie allo spirito che deve muovere l’azione amministrativa.
3.3. Invece, la portata incriminatrice del riferimento alla condotta di omessa astensione non è stata modificata dal legislatore[15]: il pubblico ufficiale continua ad essere punito se non si astiene in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti. La formula «negli altri casi prescritti» è rimasta intatta e questo conserva rilevanza penale della condotta di omessa astensione anche a prescindere dalla violazione di una specifica norma di legge o di regolamento e dall’esercizio di un qualsivoglia potere discrezionale[16].
3.4. Altro elemento non intaccato dal legislatore del 2020 è quello relativo all’evento: per la consumazione del reato continua a richiedersi il duplice evento consistente alternativamente nel danno ingiusto o nell’ingiusto vantaggio patrimoniale necessariamente oggetto di dolo intenzionale da parte del soggetto autore del reato.
4. Profili di diritto intertemporale
Per le condotte non più penalmente rilevanti l’art. 2, comma 2, c.p. esclude la punibilità del soggetto che ha commesso il fatto, anche anteriormente all’entrata in vigore della norma, e se vi è stata condanna, questa viene revocata ai sensi dell’art. 673 c.p.p.
Le possibili implicazioni in termini di diritto intertemporale che la riforma comporta riguardano le condotte commissive.
Si prospetta una soltanto parziale abolitio criminis dell’abuso d’ufficio, perché il legislatore non ha optato per la scelta di eliminare la figura del reato di abuso d’ufficio dal nostro ordinamento (scelta che, secondo autorevole dottrina sarebbe stata, a queste condizioni, senz’altro più ragionevole e, comunque, meno contraddittoria[17]) ma ha ritenuto opportuno circoscriverne l’ambito di applicazione.
Tuttavia, la situazione non è così lineare come appare prima facie: occorre valutare se vi è stata una abrogatio sine abolitione, potendo alcune condotte rimanere penalmente rilevanti se riconducibili ad altre fattispecie incriminatrici previste nell’ordinamento.
Le vie tracciate dalla dottrina sono essenzialmente tre[18].
In primo luogo, occorre accertare se non vi sia stata una violazione – ancorché mediata – di legge; in secondo luogo, verificare se la condotta perpetrata non sia sussumibile sotto il segmento della condotta rimasta invariata; infine, valutare se la riduzione della tipicità dell’abuso d’ufficio non abbia comportato la “reviviscenza” di altre forme di reato.
Con particolare riferimento al primo accertamento, è necessario verificare se una condotta – prima facie violativa di un regolamento – non violi, sia pure mediatamente, una norma di rango primario che ne costituisca la base legale e dalla quale non residuino margini di discrezionalità nelle scelte del pubblico amministratore. È il caso trattato recentemente dalla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, che ha ricondotto nell’alveo dell’abuso d’ufficio la condotta di un pubblico ufficiale che aveva rilasciato un permesso di costruire in contrasto con il piano regolatore e altri strumenti urbanistici. Ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi «alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente». La Corte ha evidenziato che «dall’espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una “violazione di legge”, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 323 cod. pen.» [19]. Tuttavia, esiste anche un diverso orientamento che, facendo leva sulla ratio della modifica legislativa, ritiene che l’intervento del legislatore abbia precluso al giudice penale, oltre che l’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali, anche quello di fonti normative di tipo regolamentare, che non possono essere sindacate neppure tramite il classico schema della violazione mediata di norme di legge interposte o della cd. eterointegrazione[20].
Altra strada ipotizzabile per la esclusione di un’avvenuta abolitio criminis, può essere quella di ritenere tali condotte sussumibili nella fattispecie della omessa astensione. Si avrebbe, così, una “ri-espansione” della fattispecie della condotta di omessa astensione, che diverrebbe applicabile ogni qualvolta condotte lesive del buon andamento della pubblica amministrazione non siano più punibili sotto forma di condotta commissiva. La condotta dell’omessa astensione non richiede che la mancanza dell’esercizio del potere sia ricondotto ad un esercizio dello stesso vincolato o discrezionale. Anzi, autorevole dottrina[21] rimarca che il dovere di astensione è ipotizzabile solo dinanzi ad un provvedimento discrezionale, altrimenti se fosse vincolato non ci sarebbe ragione per punire un siffatto obbligo.
Una terza via, prospettata dalla dottrina, è quella della reviviscenza di altre fattispecie criminose che erano state, per così dire, “messe in cantina”.
La prima è il c.d. peculato per distrazione che la riforma del ’97 aveva fatto venir meno dall’ambito di applicazione dell’art. 314 c.p. e l’aveva incluso tra le condotte penalmente rilevanti ex art. 323 c.p. Si può ragionevolmente ipotizzare che, stante la clausola di riserva indeterminata che sta all’inizio della disposizione, alcune condotte potrebbero essere sussunte sotto la fattispecie del peculato ex art. 314 c.p., che vedrà rie-spandere la sua sfera di applicazione. A tal proposito, merita di essere segnalato l’orientamento della giurisprudenza che nel tracciare il discrimen tra reato di abuso di ufficio e peculato ritiene che quest’ultimo sia ipotizzabile quando la violazione dei doveri di ufficio sia costituita dall’appropriazione di un bene esclusivamente personale incompatibile con il titolo per cui si possiede, mentre si ha abuso d’ufficio quando si faccia un uso indebito del bene a proprio vantaggio senza che ciò comporti la perdita dello stesso.[22]
Inoltre, ben si potrebbe prospettare l’ipotesi in cui venisse in rilievo un reato che, a seguito della modifica dell’abuso di ufficio, non rimanga più da questo assorbito. Si pensi al reato meno grave di omissione di atti di ufficio di cui all’art. 328 c.p.: in quest’ultima ipotesi, si avrebbe una modifica favorevole, applicabile a tutti i fatti per i quali è pendente il giudizio, ancorché commessi prima dell’entrata in vigore della norma. In situazioni di questo genere si verificherebbe una mera successione di leggi penali nel tempo, con l’applicazione della disciplina relativa alla mutatio criminis di cui all’art. 2, comma 4, c.p..
Da ciò ne consegue che l’interprete dovrà concretamente individuare la legge più favorevole e applicarla.
[1] Per una riflessione più approfondita, si rimanda a G.L. Gatta, Da “spazza-corrotti” a “basta paura”: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo salvo intese (e la riserva di legge?), in: Sistema Penale, 17 luglio 2020.
[2] Quanto alla condotta penalmente rilevante, il legislatore del ’97 ha sentito l’esigenza di circoscriverla e tipizzarla rispetto a quella modificata con la legge n. 86 del 1990 (la cui formulazione, che poco si discostava da quella originaria del codice del ‘30, era stata ritenuta eccessivamente generica e ampia). In particolare, veniva rimosso il riferimento al generico abuso dei poteri, inteso in senso ampio, e si delineava la condotta penalmente rilevante nella violazione da parte del pubblico ufficiale di norme di legge o di regolamento e nell’omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti.
[3] A. Nisco, La riforma dell’abuso d’ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, in: Sistema Penale, 20 novembre 2020.
[4] Tuttavia, un filone della giurisprudenza considerava censurabile il vizio di eccesso di potere per il tramite dell’art. 97, comma 2, Cost. Per un’approfondita analisi sul punto si rimanda a: M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio in Sistema Penale, 29 luglio 2020.
[5] A. Nisco, La riforma dell’abuso d’ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile cit.
[6] Sul punto si veda anche un precedente contributo su questa rivista a cura di: R. Greco, Abuso d’ufficio: per un approccio “eclettico”, in Giustizia insieme, 22 luglio 2020.
[7] G.L. Gatta, Da “spazza-corrotti” a “basta paura”: il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo salvo intese (e la riserva di legge?) cit.
[8] R. Chieppa-R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, V edizione, Milano, 2020.
[9] G.L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis cit.
[10] M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, cit.
[11] M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, cit.
[12] Sul punto si veda l’intervista al Presidente della Sesta Sezione della Corte di Cassazione Giorgio Fidelbo pubblicata sul Giornale online “Il Dubbio” del 27/02/2021 a cura di F. Spasiano, https://ildubbiopushita.newsmemory.com/?token=837ddc74d00958b88ad50293ec7195cd_6039813d_2fe1_1346233&selDate=20210227&promo=push&utm_medium=Email&utm_campaign=ildubbio-E-Editions&utm_source=ildubbio&utm_content=Read-Button&goTo=01&artid=6.
[12] G.L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis cit.
[13] Cass. Sez. VI pen. 8 gennaio 2021, n.442, p. 5.
[14] Cass. Sez. VI pen. 28 gennaio 2021, n. 8057.
[15] Sul punto si rimanda ad un articolo di G. Tona pubblicato sul Il Sole 24 ore di Lunedì 15 febbraio 2021, p. 20.
[16] Per un’applicazione pratica si veda: Cass. Sez. Feriale, 25 agosto 2020, n. 32174.
[17] M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio cit.
Sul punto anche l’intervista al Presidente di Sezione della Corte di Cassazione G. Fidelbo pubblicata sul giornale online “Il Dubbio” del 27/02/2021 a cura di F.Spasiano,https://ildubbiopush-ita.newsmemory.com/?token=837ddc74d00958b88ad50293ec7195cd_6039813d_2fe1_1346233&selDate=20210227&promo=push&utm_medium=Email&utm_campaign=ildubbio-E-Editions&utm_source=ildubbio&utm_content=Read-Button&goTo=01&artid=6
[18] G.L.Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis cit.
[19] Per una lettura si rimanda a Cass. Sez. VI pen. 12 novembre 2020, n. 31873.
[20] Cfr. Cass. Sez. VI pen. 8 gennaio 2021 n. 442.
[21] T. Padovani, Vita, morte e miracolo dell’abuso d’ufficio, in: Giur. pen. Web, 7-8 2020.
[22] Cfr. Cass. Sez. VI pen. 2 marzo 2016, n. 12658.