1) Alterazione degli equilibri tra i poteri dello Stato delineati dalla Carta costituzionale; imposizione di un modello di Pubblico ministero organico all’Esecutivo; graduale detrimento delle garanzie di autonomia e indipendenza riconosciute alla Magistratura dall’art. 104 Cost.: sono le più evidenti criticità che determinati settori della cultura giuridica rilevano a seguito dell’esame della legge di revisione costituzionale proposta dal Ministro Nordio; gli aspetti più controversi sui quali insiste il dibattito sulla giustizia al momento in corso. Aspetti controversi che, a una attenta analisi, non trovano esclusiva origine nella stretta attualità, ma vanno a saldarsi direttamente con le ombre lunghe di una delle più drammatiche, laceranti ma al contempo eroiche pagine della storia della giustizia in Italia: quella che andiamo a raccontare è infatti la storia di un uomo arrestato ancorché innocente, deportato ancorché assolto. È una storia di tradimenti, di sangue, di coraggio: è la storia di una vela, e di un Giudice a Cagliari. È la storia di Emilio Lussu, e del suo processo.
2) I fatti oggetto di questa storia hanno inizio la sera del 31 ottobre del 1926, con il Paese messo a ferro e fuoco dall’imperversare delle Camicie nere accecate dal desiderio di vendetta dopo il fallimento dell’attentato a Mussolini ad opera dell’anarchico Zamboni. In una Cagliari spazzata da un gelido maestrale fuori stagione, tre colonne di squadristi assediavano la casa di Lussu nella centralissima piazza Martiri, invocandone a gran voce il linciaggio. Tre colonne di militi dediti alla devastazione di uffici vuoti e all’aggressione di uomini inermi, tre colonne di fascisti ancora storditi dalla hybris della Marcia su Roma e dall’odore del sangue di Matteotti: troppo poco per mandare nel panico un vecchio capitano forgiato dagli orrori della vita di trincea; troppo poco per ridurre al silenzio l’eroe dell’Altipiano.
Un grido risuonò alto sul vociare della piazza inferocita: “sono armato, e mi difenderò!”; una pila umana montava minacciosa alla volta del balcone al primo piano. Uno sparo, sangue sull’asfalto, le Camicie nere in fuga, il Cavaliere dei Rossomori tratto in arresto da quegli stessi poliziotti che avevano pochi istanti prima giurato di voler soltanto intervenire a sua difesa (menzogna giustificata dalla dipendenza strutturale delle forze di sicurezza agli apparati del Governo).
A poco valsero i richiami ai principi del diritto penale, e alla scriminante della legittima difesa; a poco valsero i riferimenti alle guarentigie che lo Statuto Albertino riconosceva ai deputati: la macchina infernale del Regime non tardò a mettersi in moto. Operando alla stregua di un’articolazione del Ministero della Giustizia, il procuratore generale insistette comunque per il rinvio a giudizio di Lussu, malgrado la manifesta non punibilità della sua condotta: non poteva non mettere in atto le indicazioni del Guardasigilli. Di più: l’Ordine degli Avvocati di Cagliari (anch’esso ormai organico al Fascio) ne dispose l’immediata radiazione dall’albo. A notificare il provvedimento fu il segretario Giuseppe Pazzaglia, di cui Lussu era stato testimone di nozze: un tempo antifascista convinto, giurava che si sarebbe tagliato le vene se Mussolini avesse mai messo piede a Palazzo Chigi. Quando Lussu gli chiese di dare seguito a quella antica promessa, si sentì rispondere: “io sono vivo, il morto sei tu”.
Vile degradazione dell’avvocatura che si inginocchia al potere: la condanna sociale doveva addirittura precedere quella giudiziaria.
3) Eppure, c’era ancora un Giudice a Cagliari: Arcangelo Marras, Decio Lobina e Antonio Giuseppe Manca Casu – i tre componenti della Sezione d’accusa competente, secondo il Codice di procedura penale allora in vigore, a disporre il rinvio a giudizio – si riunirono d’urgenza per deliberare di sabato sera, nel silenzio del Tribunale deserto: quando, due giorni dopo, il Palazzo di Giustizia riprese vita, la sentenza di non doversi procedere era già registrata in cancelleria, e dunque immediatamente esecutiva. Uno smacco terribile per Mussolini, Rocco e per l’Ordine degli Avvocati di Cagliari; uno smacco per il Fascismo intero, costretto a liberarsi dell’ennesimo avversario scomodo attraverso la deportazione per ragioni di pubblica sicurezza.
Ma proprio mentre una città tristemente blindata assisteva alla discesa di Lussu dal carcere di Buoncammino verso il piroscafo che lo doveva condurre a Lipari, una vela attraversò rapida le onde del porto, accompagnata dal grido di un giovane pescatore: “Viva Lussu! Viva la Sardegna!”. Non sappiamo a quale destino andò incontro il timoniere di quella barca, né se quel grido riuscì a strappare un sorriso al volto del Cavaliere dei Rossomori, scavato dalla malattia e provato dagli stenti della detenzione. Mi piace però pensare che la Carta del 1948, con il suo solido ancoraggio ai principi di solidarietà ed eguaglianza, con il suo geometrico sistema di equilibri volto ad impedire che la legittima vocazione al governo della maggioranza politica contingente esondi nella pericolosa pulsione verso il comando, con il suo modello di magistratura “indipendente e autonoma rispetto ad ogni altro potere” sia nata in quel momento: che la Costituzione prodotta dalla Resistenza sia anche figlia del coraggio di una vela, e del rigore di un Giudice a Cagliari, soggetto solamente alla legge e non ai desiderata del potere politico.
4) I fili di questa storia, come in precedenza accennato, non costituiscono semplicemente l’ordito di una vicenda ormai cristallizzata in un passato che troppi vorrebbero coprire con una salvifica cortina d’oblio, ma finiscono con l’intrecciarsi con i temi che alimentano il dibattito sulla riforma in atto. La separazione delle carriere di Giudici e PM, la duplicazione dei CSM indeboliti dal sorteggio e dall’influenza della componente di nomina parlamentare (nomina affidata alla volontà della maggioranza semplice), la trasformazione del Procuratore della Repubblica in “Procuratore della maggioranza” costituiscono infatti i primi segnali di ritorno dello scenario che aveva animato il processo a Lussu, il cui rinvio a giudizio era stato imposto al requirente non dall’evidenza dei fatti, ma dalla già descritta necessità di assecondare l’orientamento del Guardasigilli.
Ancora: nella mente del Riformante, l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare, anch’essa fortemente condizionata dai membri nominati dalla maggioranza parlamentare, rende sempre meno attuabile quel modello di Giudice soggetto solamente alla legge (intesa sempre come ordinamento nel suo complesso, e non come atto di volontà della componente politica dominante in un dato momento storico) che salvò, attraverso la rigorosa applicazione dei principi del diritto, il Cavaliere dei Rossomori dalla certezza di una condanna ingiusta.
Una magistratura indipendente come prima garanzia dei diritti del cittadino; un giudice soggetto solamente alla legge come principale freno avverso gli arbitri del potere selvaggio; il controllo di legalità come supremo garante per la salvaguardia della democrazia: la riforma costituzionale in atto sembra mettere in discussione la piena operatività dei principi che guidarono l’esito del processo a Lussu, riproponendo, a un secolo di distanza dal verificarsi di quegli eventi, una storia comparabile a quella nella quale veniva a radicarsi la vicenda processuale oggetto di questo scritto. Con una differenza, collegata all’esito dell’ormai imminente referendum oppositivo: se il testo elaborato dal Ministro Nordio dovesse assurgere a dettato costituzionale, se i principi appena richiamati dovessero, uno dopo l’altro, iniziare a scolorire nell’impianto del Costituente, il coraggio di una vela e il rigore di un Giudice a Cagliari potrebbero non trovare più spazio, nel finale di questa storia.
