La società filosofica italiana promosse nella metà degli anni ’80 del secolo scorso un’inchiesta sul futuro della Filosofia nei licei italiani. In quell’occasione avvalendosi anche del Patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione, la Società elaborò un questionario molto complesso e lo propose all’attenzione di un campione di mille docenti su tutto il territorio nazionale. I risultati dell’Inchiesta furono pubblicati da” Laterza” nel 1987 a cura di L. Vigone e C. Lanzetti. Da quel lavoro emergeva un quadro abbastanza omogeneo dei desideri e delle tendenze del corpo docente italiano nell’insegnamento della Filosofia: l’approccio diretto alle fonti, l’analisi dei problemi senza perdere di vista l’assetto storico-cronologico, la necessità di studiare di più gli autori maggiori, una più elastica interpretazione dei programmi ministeriali, un più attento collegamento della Filosofia alle altre materie di studio e all’attualità. I docenti invocavano per il rinnovamento della didattica della disciplina corsi di aggiornamento e una sperimentazione vivificata dal rapporto più diretto con istituti e personale qualificato. In sostanza si auspicava un serio impegno a ricercare nuovi strumenti per una didattica in grado di guidare gli studenti alla lettura delle opere filosofiche. Che cosa è cambiato da quel rapporto così bene illustrato dai curatori? Io credo che non siano intervenuti grossi mutamenti per quel che attiene i desideri e gli orientamenti del corpo docente e che siano invece intervenute novità negli strumenti e nella politica scolastica. Innanzi tutto i libri di testo. C’è stata negli ultimi dieci anni una proliferazione di nuove edizioni di manuali. Molti, per carità, ben fatti e ben presentati. Quasi tutti costruiti con l’intento di articolare percorsi problematici affiancati da pagine e pagine tratte dalle opere degli autori. Scopo nobilissimo ma spesso disatteso dai risultati: una storia delle idee presentate come piccole o grandi isole, con brutto termine “decontestualizzate”. L’assetto storico-cronologico è stato via via minimizzato fino a ridursi in alcuni manuali a piccole note a margine! Questa operazione era stata già attuata in campo letterario e aveva avuto un grande e tuttavia effimero successo. Io sono convinta che il metodo si debba necessariamente costruire sui contenuti e che i contenuti non possano essere avulsi dal contesto storico in cui certe costruzioni teoriche hanno rappresentato e rappresentano risposte storicamente determinate a problemi concreti. La Filosofia può dirsi il regno dell’astratto, ma l’astrazione è un risultato. E senza partire dal concreto davvero i giovani troveranno sempre più inaccessibile questo mondo e gli adulti, burocrati non acculturati, ne approfitteranno per decretare la scomparsa progressiva dalle nostre scuole dell’insegnamento della Filosofia come in parte è avvenuto in Germania con pessime conseguenze. Non mi piace ripetere le grandi e pur fondate apologie del valore formativo della Filosofia, la certezza consolidata che i grandi logici, fisici, giuristi o chi per loro non sarebbero tali senza essere comunque “filosofi”. Era scritto sulla Porta dell’Accademia:” Non entri chi non è matematico”. Vorrei, invece, proporre qualche riflessione di più modesto profilo ricordando un’esperienza che, per rinnovare gli strumenti della didattica, vide protagonista il liceo classico in cui ho insegnato nei primi anni duemila. Rispondendo all’invito di Rai Educational, i nostri alunni prepararono una serie di puntate del programma culturale “Il Grillo”. La varietà e complessità delle tematiche inizialmente aveva spaventato anche i più bravi…ma di alcuni problemi non sappiamo nulla, sulla modernizzazione dell’Italia e sulla Imprese abbiamo cognizioni vaghe, Croce non lo abbiamo ancora studiato…” e via discorrendo. Le perplessità erano del tutto legittime, ma poi quegli stessi ragazzi un po' aiutati dai filmati, un po' spinti a letture specifiche dagli autori e dagli insegnanti, furono capaci di interagire con filosofi, uomini politici, scienziati, letterati, giornalisti…meglio di tanti adulti ricchi di cognizioni tecniche ma poveri di pensiero. Voglio dire che fin dagli ultimi anni della scuola superiore appare evidente la differenza strutturale tra quelli che hanno letto e compreso qualche pagina di Platone e quelli che neppure ne immaginano l’esistenza. Smettiamola dunque con questa illusione di nuovismo, con la corsa alle mode e all’imitazione di modelli considerati più vicini alle esigenze del mondo digitalizzato. Quali modelli? Quello americano, cinese, indiano? Questi sono stati già nel passato gli effetti del provincialismo, delle mode appunto, e oggi sono espressione delle pretese del mercato allargato, di un mercato globale sempre meno controllato che mangia le teste come un risorto orribile Leviatano. Incontrarsi tra i popoli per dialogare ognuno con i suoi strumenti, con il retaggio ineliminabile del suo passato, con la ricchezza del suo linguaggio e della sua filosofia. Questo bisogna insegnare, ognuno come può, come tanti bravi ciabattini. Perché la Filosofia (e Croce in questo aveva ragione) scaturisce sempre dalla vita e i problemi non sono isole nell’oceano senza sponde, sono espressioni concrete delle domande eterne che gli uomini si pongono mentre lavorano e producono, mentre scoprono nuovi cieli e costruiscono macchine, alcune così potentemente distruttive. Anziché tecnicizzare e aziendalizzare i licei classici (come appare evidente nelle nuove politiche scolastiche), inseriamo lo studio della Filosofia in tutti gli istituti, perché al di là dei massimi sistemi è assurdo che uno nato in Italia non sappia neppure cosa significhi Magna Graecia. O pensiamo davvero di sclerotizzare le differenze proprio a partire da chi studia e da chi non studia determinate discipline? Nelle scuole regionali, specie quelle leghiste del nord quale cultura si costruirà? I bianchi poveri e gli immigrati li cuciniamo tutti nel grande calderone delle professionali, i figli ricchi della borghesia ignorante nelle scuole private, e chi resta? C’è solo un grande impegno per evitare che gli studenti, nella rinata apologia di Dio Patria e Famiglia, siano educati all’affettività, al riconoscimento guidato delle distorsioni della sessualità in un Paese dove le donne vengono massacrate un giorno sì e l’altro pure? E che dire del controllo dell’attività didattica e della libertà di insegnamento anche attraverso un revisionismo storico del tutto ideologico? Immagino i salotti “culturali” del prossimo futuro come copie di Porta a Porta. Un incubo. È dunque un dovere morale resistere al nuovo oscurantismo di questi tempi durissimi in cui molti ministri in carica, pure loro, non hanno mai studiato, e si sente, la Filosofia.
Immagine: Giuseppe Le Grù e Innocenzo Ceppi, Allegoria della Filosofia, 1755-1761.
