Sommario: 1. L’irragionevole durata dei processi in Italia - 2. Iscrizione della notizia di reato - 3. Giustizia riparativa - 4. Messa alla prova dell’imputato - 5. Le pene sostitutive - 6. Richiesta di archiviazione e sentenza di non luogo a procedere - 7. Obbligatorietà dell’azione penale - 8. Conclusioni.
1. L’irragionevole durata dei processi in Italia.
L’irragionevole durata dei processi, secondo il lessico descrittivo introdotto con la riforma dell’art.111 della Costituzione [1] costituisce una criticità strutturale grave della giustizia nel nostro paese, come d’altro canto, sistematicamente stigmatizzato nei rapporti annuali dalla Cepej [2] e per la quale l’Italia ha l’imbarazzante posizione di Paese tra quelli con il più elevato numero di violazioni. Dal 1959, anno della sua istituzione, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato 1.202 violazioni del diritto al giusto processo ex art. 6 della carta dei diritti dell’uomo, in termini di durata del processo [3].
Il processo non è giusto se la risposta di giustizia arriva troppo tardi. Le indagini seguite da un processo esageratamente lungo costituiscono, per chi le subisce, una sanzione senza sentenza di condanna.
Non a caso il PNRR, quanto alla giustizia, è incentrato sul tema della durata dei processi. I target negoziati con la Commissione europea sono come è noto – la riduzione del disposition time complessivo, dato dalla somma del disposition time nei tre gradi di giudizio, del 40% nel settore civile e del 25% nel settore penale entro giugno 2026 - la riduzione dell’arretrato civile del 65% in Tribunale e del 55% in Corte di Appello entro fine 2024; del 90% in Tribunale e in Corte di Appello entro giugno 2026. I consolidati annuali rassegnano un mite trend positivo.
Il raggiungimento dell’obiettivo del PNRR e della riforma Cartabia della riduzione della durata del processo è inevitabilmente destinato a scontrarsi con la mancanza di risorse umane – e non solo di magistrati - negli uffici di procura manca il personale così come manca negli uffici dei giudici per le indagini preliminari, uffici nevralgici quanto ai flussi in entrata dei carichi penali. Il personale dell’ufficio del processo offre il suo contributo ma si tratta di contributo – nonostante l’elevata qualità dei funzionari del processo -non comparabile rispetto a quello nel complesso richiesto.
In questo contesto è essenziale cambiare passo, nella consapevolezza che il raggiungimento dell’obiettivo dipenderà in massima parte - quanto ai flussi in entrata-, dall’approccio che i pubblici ministeri adotteranno rispetto alla notitia criminis, al ruolo di “giudice” della prevedibilità della condanna che sapranno assumere e, quanto ai giudici per le indagini preliminari, dalla capacità di farsi carico del decidere, senza dibattimento, in ordine al più probabile esito dello stesso, della responsabilità di farsi carico della prognosi (v. Ragionevole previsione di condanna e giustizia predittiva: una modesta proposta per la riforma dell’art.425 c.p.p. di Cataldo Intrieri e Luigi Viola).
Quanto agli avvocati il raggiungimento dell’obiettivo dipenderà dalla capacità di ritagliarsi un ruolo difensivo attivo nella fase delle indagini e di svolgere efficacie ruolo informativo in favore dei loro assistiti quanto alla possibilità di accedere ai nuovi istituti.
Occorre essere consapevoli che l’obiettivo della riduzione dei tempi del processo si raggiunge con la partecipazione al comune obiettivo.
Significativo il richiamo del Presidente della Repubblica, alla magistratura e all’avvocatura perché si impegnino affinché il processo, sia civile che penale, divenga uno strumento più agile e moderno per perseguire adeguatamente gli obiettivi per il quale è predisposto [4].
Ecco qui la speranza riposta nella modernità, in questa fase, affidata ancora, e potrebbe essere l’ultima, alle scelte degli uomini prima, e non ancora, che alle soluzioni dell’intelligenza artificiale.
Per gli avvocati, i pubblici ministeri e i giudici, la sfida è quella di sapersi rimodellare per avviare, in concreto, la semplificazione del processo senza arretramenti rispetto alla sacralità e alle garanzie del rito, con impegno convinto a sollecitare, quando ne ricorrano i presupposti, soluzioni semplificate e percorsi alternativi al processo, attraverso i quali, senz’altro, si può ben riaffermare il diritto violato e soddisfare le pretese riparative e rieducative generate dal delitto.
Per i pubblici ministeri, in ragione delle riforme introdotte, la sfida è quella di riuscire realizzare un ridimensionamento, non arbitrario ma fondato su criteri oggettivi, dell’esercizio dell’azione penale.
D’altro canto l’obbligatorietà dell’azione penale è espressione del principio di uguaglianza che si declina nel processo nel principio di parità di trattamento davanti alla legge, principio espressione dell’articolo 3 della nostra Costituzione, incrinato dall’impossibilità oggettiva dell’esercizio esaustivo e paritario dell’azione penale per l’atavica mancanza di risorse materiali.
L’effetto ultimo della mancanza di risorse è che, senza criteri oggettivi di selezione, paradossalmente, l’obbligatorietà dell’azione si riverbera in disparità e ingiustizia. Nella ricostruzione di nuovi modelli i capi degli uffici di Procura dovrebbero dunque per primi farsi carico dei rischi derivanti da un esercizio arbitrario dell’azione penale.
Se l’obbiettivo della riforma è quello di ridisegnare un processo giusto in termini di ragionevole durata allora l’interpretazione delle norme dovrà necessariamente essere orientata nel senso della realizzazione dell’efficienza e del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
2. Iscrizione della notizia di reato
Già in fase di iscrizione cambia l’approccio del pubblico ministero verso la notizia di reato con l’introduzione della previsione della descrizione del fatto che costituisce il fondamentale inizio della trama di quella che sarà la vicenda processuale che, eventualmente, si snoderà nei successivi gradi del giudizio di merito e poi nel giudizio di legittimità [5].
Significative, con riferimento all’obiettivo della ragionevole durata delle indagini preliminari, le modifiche dell’art. 355 nonché le previsioni introdotte con gli artt. 355 bis, 335 ter 335 quater, c.p.c. Secondo le previsioni introdotte con la riforma l’iscrizione deve contenere la “rappresentazione del fatto, determinato e non inverosimile riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice” (comma n.1 dell’ art. 355).
Viene così anticipata, al momento dell’iscrizione della notitia criminis, la fase descrittiva della vicenda che migliora l’intellegibilità della contestazione da parte dell’indagato. L’operazione di inserimento della rappresentazione del fatto necessariamente implica e presuppone un’opera di analisi di quanto riportato nella denuncia, nel rapporto o nell’informativa che impone uno studio immediato dell’atto di impulso del procedimento penale.
La previsione che la rappresentazione del fatto non sia inverosimile implica il riconoscimento in capo al pubblico ministero - e questo è l’altro lato della medaglia - del potere di procedere all’immediata archiviazione della denuncia implausibile.
L’iscrizione deve essere disposta non appena viene individuato il nome dell’autore del reato. È riconosciuta al pubblico ministero la possibilità di indicare una data anteriore. La previsione della retrodatazione conferma l’importanza del dies dell’iscrizione quale termine iniziale di tutte le successive fasi.
È importante anche in questo caso il ruolo rimesso al pubblico ministero quale giudice del suo operato. Si va dunque verso un modello di pubblico ministero che è terzo in relazione ai suoi stessi atti perché messo in grado di correggerli. Peraltro il potere di retrodatazione gli evita di incorrere in illecito disciplinare, il ritardo nell’iscrizione può infatti integrare ipotesi di illecito disciplinare del pubblico ministero. Il potere di retrodatazione di riflesso onera il pubblico ministero di un dovere di lealtà nei confronti dell’indagato.
Ulteriore elemento di novità con riguardo alla scansione dei termini è segnato dall’attribuzione al giudice per le indagini preliminari del potere di corretta individuazione del momento in cui l’iscrizione si sarebbe dovuta effettuare in caso di divergenza tra il momento dell'individuazione dell’autore e quello dell’iscrizione ( v. Le nuove indagini preliminari fra obiettivi deflattivi ed esigenze di legalità di Roberta Aprati)
3. Giustizia riparativa
Con riferimento al nuovo istituto della giustizia riparativa è fondamentale la sollecitazione che avvocati, pubblici ministeri e giudici sapranno articolare verso l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129 bis [6].
L’accesso è di base rimesso alle parti e qui ampio spazio è rimesso agli avvocati, sia quello dell’imputato che quello della persona offesa.
I giudici e, nella fase delle indagini, i pubblici ministeri possono disporre l’invio dell’imputato e della vittima al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l'avvio di un programma di giustizia riparativa.
La mediazione penale per i reati procedibili a querela può sostituirsi al processo non ha per il resto effetti deflattivi. Trattasi di istituto che, sotto il profilo della giustizia sostanziale, presenta il maggior carico di novità quale strumento di risoluzione sociale del conflitto originato dal reato.
L’introduzione dell’istituto della giustizia riparativa richiama a un nuovo modello di giudice e di pubblico ministero avuto riguardo ai doveri informativi, l’art. 47 prevede infatti che l’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento nonché nella fase esecutiva della pena detentiva o della misura di sicurezza, informi la vittima e l’autore del reato in merito alla facoltà di accedere ai servizi di giustizia riparativa e ai servizi disponibili. È prescritto che l’informazione sia effettiva, completa e obiettiva.
Già in fase di informazione di garanzia ai sensi dell’art. 369 ter è rimesso al pubblico ministero il compito di avvisare la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa circa facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (v. L'omicidio di Carol Maltesi e l'attuale disciplina della giustizia riparativa di Flavia Costantini).
4. Messa alla prova dell’imputato
Un nuovo modello di operatori della giustizia va necessariamente ridisegnato in ragione dell’introduzione dell’istituto della messa alla prova.
È attribuito al PM il potere di iniziativa, ex art. 168 bis, in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.
L’ultima parte del primo comma di detto articolo prevede che nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
Ai sensi dell’art. 464 bis la richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo oppure, nel procedimento di citazione diretta a giudizio, fino alla conclusione dell'udienza predibattimentale prevista dall'articolo 554-bis. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l'atto di opposizione.
5. Le pene sostitutive
Un nuovo modello di avvocato è senz’altro auspicabile con riguardo alla riforma in tema di pene sostitutive.
Il successo della riforma in tema di pene sostitutive dipenderà dalla capacità con la quale gli avvocati sapranno accompagnare i loro assistiti nel percorso verso le pene sostitutive che necessariamente presuppone un’adeguata informazione tecnica affinché la scelta avvenga nella piena consapevolezza dell’imputato. Solo la scelta responsabile evita infatti il rischio di adesioni non consapevoli.
Sarà compito degli avvocati aiutare i loro assistiti a rappresentare tutto ciò che è utile che gli organi competenti conoscano ai fini della predisposizione di una “pena-programma” che sia la più adatta possibile alle esigenze di vita e familiari dell’imputato e a così a rendere effettiva la clausola del “minor sacrificio della libertà personale” di cui all’art. 58, 2° comma l.n. 689/1981. Il ricorso all’istituto della pena sostitutiva costituisce, è bene non dimenticarlo, un efficace applicazione, in concreto, del principio rieducativo della pena.
Il ricorso alle pene sostitutive è in grado di risolvere lo iato temporale, che a volte dura lunghi anni, tra il momento del processo ed il momento dell’esecuzione. Iato temporale che lede il canone della proporzionalità, ciò a causa dei mutamenti che medio tempore intervengono nella persona del condannato.
Comminare all’imputato, giudicato colpevole, la pena a lui adatta, quella “che gli serve”, ritagliata su di lui, e farlo nel momento in cui occorre che essa sia espiata, rappresenta la sfida cui oggi è chiamato ogni giudice penale che desideri proiettarsi nel futuro.
6. Richiesta di archiviazione e sentenza di non luogo a procedere
A parte il controllo del giudice per le indagini preliminari in merito all’iscrizione della notizia di reato e al controllo in ordine a eventuali fasi di stallo, con riferimento alla fase delle indagini preliminari la previsione di maggior rilievo è quella che modifica il presupposto della richiesta di archiviazione.
Secondo il nuovo art. 408, primo comma, non è più l’“infondatezza della notizia di reato” che deve determinare il PM alla richiesta di archiviazione bensì detta richiesta deve essere avanzata “Quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».
Il riferimento alla condanna sposta la barra della richiesta di archiviazione dall’infondatezza della notizia alla ricognizione degli elementi raccolti - pro e contro ai sensi dell’art. 353 - completate le indagini.
Se gli elementi sono insufficienti o contraddittori il PM, all’esito di giudizio cognitorio che ha a oggetto i risultati investigativi raggiunti, deve assumersi la responsabilità di chiedere l’archiviazione.
Trattasi di un giudizio molto simile a quello effettuato dal giudice per le indagini preliminari all’esito dell’udienza preliminare ai sensi del vecchio art. 425 terzo comma che prevedeva che “il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa”.
Il terzo comma dell’art. 425 è stato modificato nel senso che il “giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quanto gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna” in questo caso è rimesso al giudice per le indagini preliminari importante potere deflattivo.
Se il pubblico ministero saprà svolgere l’azione di filtro si raggiungerà l’obiettivo della drastica riduzione dei flussi in entrata. Se il gip saprà svolgere l’attività di filtro il dibattimento sarà deflazionato.
Una grande responsabilità è dunque rimessa a PM e Gip.
Dalla previsione in esame ne esce ridimensionato il dibattimento, il processo accusatorio e il ruolo del PM come parte.
La previsione normativa si presta a spunti di riflessione che riguardano la materia ordinamentale.
Il riconoscimento in capo al PM di una funzione tipica dello di ius dicere stride con la paventata riforma sulla separazione delle carriere - in concreto attuata con l’art. 12 legge n. 71/2022 che restringere a uno solo i passaggi da una funzione all’altra–.
Il primo comma dell’art. 408 cod. proc. pen. rimette al pubblico ministero un giudizio prognostico più incisivo di quello che era richiesto al giudice per le indagini preliminari prima della riforma. Trattasi di disposizioni in linea con l’art. 358 cod. proc. pen. che rimette al pubblico ministero il compito di svolgere gli accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato.
Il modello di Pubblico ministero ridisegnato dalla riforma Cartabia conferma la bontà della definizione di pubblico ministero quale organo pubblico che agisce a tutela di interessi collettivi”, questa la definizione offerta dalla Corte costituzionale in coerenza con l’etimologia del nome, dal latino minister, aiutante.
La formazione del pubblico ministero, eventualmente anche attraverso il previo esercizio delle funzioni giurisdizionali, meglio predispone all’applicazione dell’art. 358 cod. proc. pen. e all’applicazione della previsione di cui all’ art. 408 primo comma.
Un pubblico ministero, già giudice, meglio potrebbe contribuite al PNRR sotto il profilo dell’esercizio mirato dell’azione penale nell’obiettivo del contenimento delle risorse e della riduzione dei tempi della giustizia penale. Anche sotto tale profilo la previsione di cui all’art. 12 del legge n. 71/2022 appare incoerente con la situazione contingente e con gli obiettivi che la riforma della giustizia penale si prefigge.
Se dobbiamo pensare a un nuovo modello di PM ce lo immaginiamo più giudice che poliziotto.
Sotto il profilo delle risorse umane non si può omettere di considerare che quel giudizio prognostico richiede formazione preliminare di quei 1800 magistrati che svolgono le funzioni in primo grado con riguardo ai possibili risvolti processuali, tempo di studio degli elementi raccolti pro e contro l’imputato e di bilanciamento delle prove, tutte operazioni che richiederebbe un aumento degli organici delle Procure che invece si svuotano in ragione del rischio della paventata trasformazione della magistratura requirente in conseguenza della separazione.
7.Obbligatorietà dell’azione penale
L’obbligatorietà dell’azione penale sancita dall’art. 112, della quale deve farsi carico il pubblico ministero, altro non è che la manifestazione del principio di uguaglianza che, nel processo, si declina, nella parità di trattamento davanti alla legge.
Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge è la frase scritta nelle aule dei Tribunali, un monito che vale per tutta la magistratura in ragione dell’appartenenza a un unico ordine.
Con la riforma cambia il ruolo del pubblico ministero e cambia la nozione del principio dell’obbligatorietà, il pubblico ministero non è obbligato a esercitare l’azione quando giudica che non raggiungerà il risultato della condanna; il pubblico ministero non eserciterà l’azione con riferimento ai reati che non rientrano tra quelli da trattare in via prioritaria. L’art. 41 della legge 2022 ha introdotto modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, prevedendo l’inserimento dell’art. 3 bis, in tema di priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale che stabilisce che il pubblico ministero è tenuto a conformarsi ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio. L’art. 13 legge 17 giugno 2022 , n. 71 contenente modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero stabilisce che “il procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai princìpi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, il progetto organizzativo dell’ufficio, con il quale, tra l’altro, determina le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, tenendo conto dei criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili. Il progetto è approvato dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195”. Sul punto però la riforma è rimasta inattuata (La lenta erosione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Prime note ai “criteri di priorità” indicati dal Parlamento di Stefano Civardi, Chi sceglie quali indagini devono fare (e quali non fare) i pubblici ministeri? di Costantino De Robbio).
8. Conclusioni.
La riforma Cartabia è l’occasione per fare il punto sull'attività e sul ruolo, anche costituzionale del Pubblico ministero.
Ci sono funzioni del pubblico ministero poco conosciute delle quali è essenziale tener conto per comprendere appieno il ruolo che l’ordinamento repubblicano gli riconosce quale "organo pubblico che agisce a tutela di interessi collettivi" nonché «organo di giustizia che nella dialettica del processo riveste il ruolo formale di parte, ma con il compito di cooperare con il giudice in vista dell’attuazione del diritto, a garanzia dei valori di legalità».
Il punto è proprio questo: il filo rosso delle modifiche introdotte dalla riforma scommette su un pubblico ministero che sia capace di farsi giudice della sua stessa indagine.
La riduzione delle iscrizioni, la razionalizzazione delle scelte in ordine alle notizie da coltivare effettivamente, l’estensione dell’ambito di applicazione delle forme di definizione alternative (sia con procedimento per decreto, che con istituti di giustizia riparativa finalizzati alla remissione tacita di querela), la limitazione del numero di azioni penali (definizione di uno standard per l’esercizio dell’azione penale più elevato) richiede una sostanziale rimodulazione della funzione requirente.
Insomma, la scommessa è che, nel meccanismo, inceppato, della giustizia si faccia entrare un numero significativamente inferiore di regiudicande e questo è possibile sé il pubblico ministero assumerà le sue determinazioni con riferimento all’esercizio dell’azione penale da organo terzo, indipendente e parziale e non da semplice inquirente. Il pubblico ministero può adeguatamente operare con la funzione giurisdizionale che la riforma Cartabia gli riconosce e per l'attuazione del diritto a garanzia della legalità solo se gli saranno garantite, al pari del giudice, autonomia e indipendenza.
In tema di pubblico ministero su questa rivista: Brevi riflessioni sul ruolo del Pubblico Ministero nell’esercizio della funzione giurisdizionale di Giuseppe Amara, Pubblica ministera a chi? di Sara Posa, Il ruolo del PM nei procedimenti di volontaria giurisdizione gestiti dal notaio di Caterina Romiti, La separazione della carriera dei magistrati: la proposta di riforma e il referendum di Paola Filippi, Il ruolo del PM nel codice della crisi e dell’insolvenza. Cosa cambia? di Paola Filippi.
[1] Fenomeno che in ragione delle condanne all’Italia si tentò di arginare con la legge n. 89/2001 c.d. “legge Pinto” che paradossalmente produsse l’aumento del carico delle corti di appello, con procedimenti ex legge Pinto anche per l’irragionevole durata di detti procedimenti.
[2] Dal rapporto Cepej del 17 ottobre 2022 emerge che, nel 2020, le istituzioni italiane hanno investito nel sistema giustizia quasi 5 miliardi di euro, una somma corrispondente allo 0,30% dell’intero prodotto interno lordo, trattasi di percentuale in linea con quella degli altri Stati europei. Il denaro messo a disposizione per la giustizia è stato utilizzato principalmente per le esigenze dei tribunali (65%), in particolare per lo sviluppo dei sistemi informatici e della formazione, il 28% per le Procure della Repubblica e il 7% è destinato a garantire il servizio di patrocinio a spese dello Stato. Uno dei dati che maggiormente significativi messo in luce nel rapporto CEPEJ 2022 è il numero di avvocati nel nostro Paese, ben 236.000, pari a quasi un quinto del numero complessivo di professionisti legali presenti in tutta Europa. Viceversa, il numero di giudici professionali operanti in Italia è di soli 12 ogni 100.000 abitanti, un rapporto inferiore rispetto alla media europea ( detto dato non tiene conto degli oltre 3.500 giudici non professionali). Quanto alla lunghezza dei procedimenti il rapporto evidenzia che la durata media di un giudizio di primo grado è di circa due anni in ambito civile, un anno e mezzo nel penale e più di due anni nel settore amministrativo. Il secondo grado di giudizio dura tre anni, sia nel civile che nel penale. I tempi di definizione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione nel settore civile, sfiorano i cinque anni, mentre sono inferiori ai dodici mesi nel settore penale. È di due anni, invece, la durata media del giudizio davanti al Consiglio di Stato nel settore amministrativo.
[3] L’Italia, quanto a condanne è al secondo posto, seguita a distanza dalla Turchia, con 608 violazioni. Quelle di Germania, Francia e Regno Unito sono rispettivamente, 284, 102 e 30.
[4] Dal discorso tenuto dal Presidente il 15 maggio 2023 a Napoli per l’inaugurazione della sede di della scuola di Castel Capuano.
[5] Prima della riforma il tema dell’iscrizione e dei termini di durata delle indagini preliminari nonchè delle conseguenze della loro inosservanza è stato oggetto di una fondamentale sentenza delle Sezioni unite che affermò il principio secondo il quale “il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma 3, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244376 – 01). Con la medesima decisione la Corte ha affermato che il pubblico ministero, non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie di reato, è tenuto a provvedere alla iscrizione della "notitia criminis" senza che possa configurarsi un suo potere discrezionale al riguardo. Ugualmente, una volta riscontrati, contestualmente o successivamente, elementi obiettivi di identificazione del soggetto cui il reato è attribuito, il pubblico ministero è tenuto a iscriverne il nome con altrettanta tempestività (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi Rv. 244378- 01).
La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha precisato che, al fine della verifica della inutilizzabilità prevista dall’art. 407, comma 3, cod. proc. pen. per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume (Sez. 6, n. 12104 del 05/03/2020, Sautto, Rv. 278726 – 01; Sez. 5, n. 19553 del 25/03/2014, Naso, Rv. 260403 – 01; Sez. 2, n. 40409 del 08/10/2008, Scatena, Rv. 241870 - 01).
[6] Nel nostro ordinamento, le prime applicazioni di GR si sono avute nel rito minorile a partire dalla metà degli anni Novanta, con esperimenti-pilota, soprattutto grazie alla particolare sensibilità culturale di una parte della magistratura e della dottrina penalistica4 . Pur in assenza di una norma ad hoc, piedistalli normativi instabili (in particolare gli artt. 9 e 28 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448) hanno consentito l’attivazione di procedure di mediazione penale (presso uffici istituiti prevalentemente attraverso l’opera del privato sociale) e la possibilità di attribuirvi valore in sede penale. Lente e frammentarie sono invece state le esperienze di GR nella “giustizia penale degli adulti” . GIUSTIZIA RIPARATIVA E SISTEMA PENALE NEL DECRETO LEGISLATIVO 10 OTTOBRE 2022, N. 150. PARTE I. «DISCIPLINA ORGANICA» E ASPETTI DI DIRITTO SOSTANZIALE 27.2.23 di Francesco Parisi.