La riforma Cartabia (d. lgs. n. 150 del 2022) nella esigenza di deflazionare il carico giudiziario, alla luce degli impegni assunti in sede europea, sviluppa i percorsi processuali alternativi connotati da una accentuata premialità.
A fianco ai nuovi percorsi, il legislatore cerca di incentivare l’adesione a quelli già presenti. Sotto questo profilo si possono considerare l’ampliamento dei reati che consentono la sospensione e la messa alla prova, le novità in tema di decreto penale di condanna e quella in tema di patteggiamento.
Si prospettava più difficile ampliare gli spazi di operatività del giudizio abbreviato in quanto destinato ad operare, a differenza degli altri, da percorsi condizionati dalle ipotesi di operatività per tutta la gamma dei reati, con esclusione di quelli puniti con l’ergastolo. Quest’ultimo profilo, del resto, in difetto di un elemento contenuto nella delega e vista la posizione della corte costituzionale che ne ha a più riprese ribadito la legittimità, non era suscettibile di un intervento correttivo.
Confermata la natura acceleratoria e deflattiva del rito, rispetto agli sviluppi dibattimentali, confermata la sanabilità degli atti invalidi rispetto alla richiesta e la premialità di 1/3 per i delitti e la metà per le contravvenzioni, l’incentivo al rito è legato alla possibilità di una ulteriore riduzione della pena applicata con la sentenza di condanna, nella misura di un ulteriore sesto, in caso di mancata impugnazione dell’imputato o del suo difensore.
La presenza di questa possibile premialità, difettando una espressa norma transitoria, ha naturalmente prospettato la possibilità di accedervi alle situazioni in itinere. Si sono evidenziate da subito varie situazioni processuali suscettibili di considerare una possibile applicazione di questa opportunità per la difesa.
Sicuramente questa era praticabile da chi avesse pendenti i termini per proporre impugnazione. La questione sembrava, tuttavia, diversificabile con riferimento a coloro i quali potevano proporre appello e coloro i quali avessero pendenti i tempi per il ricorso in cassazione, avendo proposto appello ovvero essendo stato questo proposto dal pubblico ministero.
Ora, stante la formulazione della previsione che non sembra distinguere tra l’appello ed il ricorso (ancorché forse nella mente del legislatore il riferimento si è incentrato sull’appello dell’imputato) dovrebbe ritenersi che la previsione dell’abbattimento nella misura di un sesto possa operare in entrambe le situazioni delineate.
Resterebbe da considerare la posizione di chi avendo appellato, avesse effettuato un concordato magari con esito favorevole. Anche n questo caso, tuttavia, essendo la decisione impugnabile, seppur nei limiti di cui all’art. 625 bis c.p.p., non potrebbe escludersi l’operatività della previsione premiale.
Prescindendo dalla natura sostanziale o processuale della riduzione, questa sarebbe suscettibile di applicazione, per un verso, in relazione alla retroattività della previsione favorevole e, per un altro verso, per la regola del tempus regit actum.
Mentre questi ultimi profili non sembrano essere stati oggetto di pronunce da parte dei giudici di merito, si sono evidenziati contrasti nelle loro determinazioni. Al riguardo sono emersi orientamenti contrastanti in relazione alla possibilità di riconoscere l’operatività dell’accesso al rito anche successivamente al superamento del momento preclusivo, costituito dalla conclusione delle parti nell’udienza preliminare.
In particolare, alcune pronunce, sulla base del sopravvenire della possibilità della premialità per effetto della mancata impugnazione, hanno ritenuto che questo dato sconosciuto al momento di cui agli artt. 421 e 422 c.p.p. consentisse una possibile legittima richiesta di restituzione in termini (in tal senso Trib. Perugia, ord. 18 gennaio 2023, Signul, giudice Ciliberto).
Non sono mancate, peraltro, come quella in esame, decisioni di segno contrario che sono decisamente condivisibili per una serie piuttosto valida di ragioni (Trib. Milano, ord, 26 gennaio 2023, pres. Guadagnino; Trib. Vasto, ord. 23 gennaio 2023, pres. Giangiacomo).
In primo luogo, il riferimento alla restituzione in termini appare ancorato su ragioni diverse da quelle qui considerate, non emergendo fatti che abbiano impedito al tempo la richiesta del rito contratto.
In secondo luogo, la riferita premialità non appare riconducibile ad un effetto di natura sostanziale favorevole, ma piuttosto ad un incentivo di natura deflattiva processuale.
In terzo luogo, a differenza di quanto previsto per la messa alla prova ed all’applicazione della pena sostitutiva manca una previsione transitoria.
Infine, come citato dal provvedimento in commento, si può richiamare C. cost. n. 263 del 2011 che ha escluso la proponibilità in Cassazione della sopravvenuta previsione della messa alla prova, perché anche nel caso in esame l’applicazione della premialità è l’esito di un percorso che deve essere svolto interamente secondo le sue cadenze.