La lenta erosione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Prime note ai “criteri di priorità” indicati dal Parlamento
di Stefano Civardi
Come noto, la L. 134/2021 (c.d. “Riforma Cartabia”) si compone di due articoli: il primo, articolato in commi e sottocommi, contenente “delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, delle norme di attuazione del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale nonché delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati e per l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa e di una disciplina organica dell’ufficio per il processo penale”; il secondo, recante novelle al codice penale e di rito, immediatamente precettive (la legge è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 237 del 4.10.2021).
In questi essenziali appunti ci si occupa del contenuto dell’art. 1, comma 9, lett. i). La legge delega recita: “gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili; allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti” .
Non è questa la sede per positivamente commentare la “svolta legislativa” conseguente all’ “allineamento” della procedura di approvazione dei progetti organizzativi degli uffici requirenti a quella relativa alle tabelle degli uffici giudicanti. Se alla legge delega sul punto seguiranno tempestivi decreti delegati di attuazione nel termine annuale previsto, si realizzerà la prima robusta inversione di rotta rispetto all’indiscutibile assetto gerarchico delle Procure della Repubblica consegnatoci dal decreto l.vo 106/2006.
Ciò che vorrebbe, invece, essere messo a fuoco da queste embrionali note è la prima parte della disposizione.
Apparentemente la norma non sembrerebbe così innovativa in quanto, ricalcando il noto “mantra” del fine di garantire l’ ”efficace e uniforme esercizio dell’azione penale”, prevede semplicemente che gli uffici del Pubblico Ministero indichino nei progetti organizzativi i criteri di priorità nella “selezione” delle notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre. La qual cosa è già espressamente prevista nella circolare del Consiglio Superiore della Magistratura del 16.11.2017, sull’organizzazione degli uffici requirenti: l’art. 3, comma 2 già contempla infatti che il procuratore della Repubblica possa “elaborare criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti”. Si badi bene che l’organo di governo autonomo facoltizzava l’indicazione di trasparenti criteri di priorità nei progetti organizzativi, ma non ne rende in alcun modo obbligatoria l’elaborazione. Del resto, il Consiglio Superiore della Magistratura nel 2017 si era già spinto fino all’estremo limite consentito in sede di normazione secondaria, non essendo previsto in alcun modo dalla normazione primaria una “cernita” nella trattazione prioritaria delle notizie di reato per gli uffici requirenti, essendo per contro previsti, dall’art. 132 bis disp. att. c.p.p., criteri per l’organizzazione dei ruoli dei soli uffici giudicanti (per una puntuale ricostruzione degli interventi del CSM si legga il secondo pare del Consiglio sulla “riforma Cartabia” – ddl AC n.2435 - licenziato con delibera del 29.7.2021, da p. 13).
L’assoluta novità è invece nella “duplice copertura legislativa” ai criteri di priorità inseriti nei progetti organizzativi. Da un lato, infatti, il legislatore delegante prevede espressamente, non più come semplice facoltà, l’individuazione, secondo canoni di trasparenza e predeterminazione, delle notizie di reato da trattare con priorità negli uffici di Procura; dall’altro, prescrive che tale selezione avvenga nell’ambito dei “criteri generali” indicati dal Parlamento con legge.
Proprio su quest’ultimo punto si sono accentrate le critiche più preoccupate. Infatti, mentre la selezione operata dal procuratore della Repubblica nei progetti organizzativi sarebbe frutto di un concreto lavoro sui flussi delle notizie di reato in entrata, sulla definizione dei procedimenti e sullo studio dei mezzi per meglio fronteggiare le emergenze criminali in un determinato territorio, le indicazioni di priorità del Legislatore inevitabilmente decamperebbero dall’ambito meramente organizzativo degli uffici requirenti, per invadere quello dell’orientamento della funzione giudiziaria a secondo degli indirizzi politici delle variabili maggioranze parlamentari.
La comprensibile critica, tuttavia, non coglie pienamente quanto sia naturale ricondurre alla volontà del Parlamento una scelta di criteri generali per determinare le priorità nella trattazione di diverse tipologie di reati. Ciò che è penalmente rilevante, lo è, secondo la nostra Costituzione, per espressa previsione di legge. Sarebbe curioso che fattispecie di reato degradassero a fatti di rilevanza penale “non prioritaria”, a prescindere dal Parlamento.
Con spunto più radicale e provocatorio, in realtà, occorrerebbe riflettere su che cosa significhi “selezionare” le priorità, soprattutto con riferimento ai fascicoli ritenuti non prioritari, con particolare riferimento all’evento, non del tutto episodico, di estinzione dei reati per decorso del termine di prescrizione. Nell’eufemismo dei termini la norma è volta a garantire quel “corretto, puntuale, uniforme esercizio dell’azione penale”, tanto agognato dal legislatore del 2006. Nella pratica degli Uffici, tuttavia, è noto come l’azione penale non possa essere tempestivamente, efficacemente e uniformemente garantita, istruendo convenientemente tutte le notizie di reato che approdano negli uffici requirenti di primo grado. Conscio di questo assunto, tanto sperimentato quanto indicibile, da qualche decennio il legislatore cerca l’impossibile quadratura del cerchio. Se, da un lato, mantiene l’ossequio al sacrosanto principio di obbligatorietà dell’azione penale, presidio tanto di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, quanto di indipendenza dell’azione dell’Autorità Giudiziaria, dall’altro, si accinge a formalizzare una “obbligatorietà per priorità”, laddove la vera domanda rimane il destino di ciò che sarà indicato, de residuo, come secondario.