Dubbi molto ragionevoli di Giorgio Spangher
Se c’è una notizia di reato, cioè di un fatto sussimibile in una fattispecie incriminatrice, si avvia un procedimento per verificare se quel fatto di cui alla notizia configura o meno un reato.
Qualora la notizia si configuri come un fatto non riconducibile ad una ipotesi criminosa, si procede alla cestinazione (autoarchiviazione); dal registro notizie non reato non parte nessun procedimento.
Quando per quella notizia di reato viene formulata una imputazione si sviluppa un processo teso ad accertare la presenza o meno di un reato.
Ogni qual volta nel corso del procedimento o del processo si accerta che quel fatto di cui alla notizia non si configura come reato, il procedimento, con i vari provvedimenti previsti dalla legge, si arresta (archiviazioni e varie decisioni in relazione alle diverse fasi e gradi).
Il dato emerge con chiarezza dall’art. 129 c.p.p.: obbligo dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità e soprattutto del suo secondo comma.
In alcuni casi, il legislatore pur a fronte di una notizia di reato (da verificare) richiede la presenza di un elemento aggiuntivo per poter avviare il procedimento (si pensi alle due situazioni di Salvini in relazione alla presenza o meno dell’autorizzazione a procedere).
Anche se emerse nel corso del procedimento, il riconoscimento di una condizione di procedibilità retroagisce all’origine (reato ritenuto procedibile d’ufficio; derubricazione anche in Cassazione; declaratoria di improcedibilità e travolgimento di tutto quanto si è fatto).
E’ vero che solo la decisione definitiva chiarisce se un fatto è o non è reato, ed infatti gli effetti della decisione intermedia sono sospesi durante il termine per impugnare e durante l’impugnazione, sia che si tratti di condanna, sia che si tratti di proscioglimento.
Diverso è il caso nel quale lo sviluppo del procedimento e del processo si imbatta nell’operatività del novellato art. 344 bis c.p.p.
In questo caso, il provvedimento e il processo iniziano e si avviano senza preclusioni; il giudice può decidere tutto quanto previsto dalla legge, il processo si può concludere regolarmente; come ogni altro processo.
Non saremo in presenza di un reato (come sostenuto da qualcuno), ma qualcosa ci sarà pure, se può essere applicata una misura cautelare, possono essere fatte intercettazioni, disposti sequestri e perquisizioni, decise provvisorie esecuzioni civili, confische e quant’altro.
Con la nuova previsione si stabilisce che se il giudizio d’appello o quello di cassazione non vengono definiti nei termini fissati dal legislatore il giudice deve dichiarare con sentenza l’improcedibilità (dell’azione penale!); invero più che di una improcedibilità sembrerebbe trattarsi di una improseguibilità.
Non è questa l’occasione per una disgressione ed un approfondimento sugli elementi di dettaglio della norma (peraltro problematici): tempi differenziati in relazione alla gravità dei reati, nonché indifferenti a quelli delle fasi precedenti; proroghe, numero delle stesse e soggetto che le dispone; limiti alla tutela degli interessi civili; incertezza sull’operatività della previsione alle impugnazioni delle sentenze di non luogo e dell’appello della parte civile per i soli interessi civili; individuazione del termine a quo in caso di conversione del ricorso nonché dell’annullamento con rinvio e quant’altro previsto dalla riforma.
Considerati gli effetti della decisione deve riconoscersi che quel fatto non è né reato, né non reato, non c’è né condanna, né proscioglimento, perché la precedente decisione è comunque travolta dalla nuova. Il soggetto sottoposto a misura cautelare non avrà diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, eventualmente patita. Forse l’imputato potrà avvalersi della l. Pinto, limitatamente alla fase delle impugnazioni. Vengono meno le misure cautelari personali e reali (anche quelle a favore della vittima); nessuna decisione sul querelante; si caducono i provvedimenti civili provvisoriamente esecutivi. L’inammissibilità prevarrà sulla improcedibilità! Quale valore ha il materiale probatorio in un diverso procedimento?
Qualche “toppa” parziale si potrebbe porre con l’inserimento di un terzo comma dell’art. 129 c.p.p.
La questione che allora si pone riguarda il riconoscimento di una copertura costituzionale o sovranazionale alla previsione ovvero il suo contrasto con le stesse previsioni o con altre disposizioni sovraordinate.
Non è poi questa l’occasione per considerare altresì se la improcedibilità possa riguardare solo lo sforamento dei termini di alcune fasi (come nel caso di specie, le impugnazioni) ovvero debba coinvolgere, per essere legittima, tutte le fasi del procedimento, nella previsione dei rispettivi termini di durata.
Per legittimare la scelta normativa, sembrerebbe agevole il richiamo alla durata ragionevole del processo.
La durata ragionevole è un elemento – importante – del giusto processo, ma non è l’unico, dovendosi integrare con gli altri elementi che connotano un processo equo.
Indubbiamente il tempo nel processo incide sotto vari profili (tempo delle indagini, tempo per lo svolgimento delle attività processuali; impugnazioni, misure cautelari). Si tratta di un ruolo non secondario, ma che non può non spingersi fino ad annullare completamente il diritto delle parti e della vittima, ad ottenere una decisione, nonché il diritto-dovere del giudice di pronunciarsi.
Se appare corretto ritenere che il decorso del tempo possa togliere offensività ad un fatto di reato - se il fatto non è offensivo prevale l’esclusione della sua configurabilità come del fatto di reato – può lo stesso dirsi che il tempo del processo possa togliere ogni valutazione sulla natura o meno di un fatto di reato (senza neppure una valutazione che si possa escludere che si tratti di un fatto di reato).
Se qualcosa si cerca di salvare agli effetti civili (con differenza rispetto alla prescrizione sostanziale: C. cost. n. 182 del 2021) ma è dubbio che ciò sia possibile, nulla si salva agli effetti penali.
L’esercizio della giurisdizione è una delle attività essenziali e strutturali di una società e di uno Stato che non può essere pregiudicata o addirittura azzerata da elementi che ne devono connaturare l’esercizio, sicchè pur dovendosi misurare non essi in termini qualitativi e quantitativi, questi elementi non possono prevalere su di essa, ma possono essere suscettibili di rimedi compensativi, proporzionati alla lesione che si è determinata.
Anche riconoscendo che l’imputato può rinunciare all’improcedibilità, l’opzione non opera, né per il p.m., né per la parte civile, né per la persona offesa, né per il giudice.
Non sembra allora azzardato sostenere che quanto detto metta in seria discussione il principio di effettività della tutela e della stessa giurisdizione di cui anche all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove la durata ragionevole si configura come un elemento della stessa, unito, tuttavia, ad altre connotazioni, del pari dell’art. 111 Cost.
E’ vero che spetta allo Stato assicurare l’efficienza delle sue funzioni – giustizia inclusa (nonostante le riserve sull’art. 97 Cost.) – ma quale può essere – se può essere – il limite non superabile oltre il quale, cioè, anche i rimedi compensativi (riduzioni di pena e/o indennizzo) possano essere ritenuti inadeguati.