I tabulati: un difficile equilibrio tra esigenze di accertamento e tutela di diritti fondamentali.
di Giorgio Spangher
1. La Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi a seguito di un rinvio pregiudiziale della Corte Suprema dell’Estonia, relativamente all’interpretazione dell’art. 15.
La domanda di pronuncia pregiudiziale ha riguardato l’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (GU 2009, L 337, pag. 11) (in prosieguo: la «direttiva 2002/58»), letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
In particolare le questioni pregiudiziali riguardavano:
- Se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2002/58] debba essere interpretato, alla luce degli articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1, della [Carta], nel senso che, in un procedimento penale, l’accesso di autorità nazionali a dati che consentano di rintracciare e identificare la fonte e la destinazione di una comunicazione telefonica a partire dal telefono fisso o mobile del sospettato, di determinare la data, l’ora, la durata e la natura di tale comunicazione, di identificare le apparecchiature di comunicazione utilizzate, nonché di localizzare il materiale di comunicazione mobile utilizzato, costituisce un’ingerenza nei diritti fondamentali sanciti dai suddetti articoli della Carta di gravità tale che detto accesso debba essere limitato, nel contesto della prevenzione, della ricerca, dell’accertamento e del perseguimento dei reati, alla lotta contro le forme gravi di criminalità, indipendentemente dal periodo al quale si riferiscono i dati conservati cui le autorità nazionali hanno accesso.
- Se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2002/58] debba essere interpretato, sulla scorta del principio di proporzionalità enunciato nella [sentenza del 2 ottobre 2018, Ministerio Fiscal (C‑207/16, EU:C:2018:788)], punti da 55 a 57, nel senso che, qualora la quantità dei dati menzionati nella prima questione, ai quali le autorità nazionali hanno accesso, non sia grande (sia per il tipo di dati che per la loro estensione nel tempo), la conseguente ingerenza nei diritti fondamentali può essere giustificata, in generale, dall’obiettivo della prevenzione, della ricerca, dell’accertamento e del perseguimento dei reati, e che quanto più notevole è la quantità di dati cui le autorità nazionali hanno accesso, tanto più gravi devono essere i reati perseguiti mediante tale ingerenza.
- Se il requisito indicato nel secondo punto del dispositivo della [sentenza del 21 dicembre 2016, Tele2 (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970)], secondo cui l’accesso ai dati da parte delle autorità nazionali competenti dev’essere soggetto ad un controllo preventivo da parte di un giudice o di un’autorità amministrativa indipendente, implichi che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva [2002/58] deve essere interpretato nel senso che può considerarsi come un’autorità amministrativa indipendente il pubblico ministero, il quale dirige il procedimento istruttorio e che, per legge, è tenuto ad agire in modo indipendente, restando soggetto soltanto alla legge e verificando, nell’ambito del procedimento istruttorio, sia gli elementi a carico sia quelli a discarico relativi all’indagato, ma che successivamente, nel procedimento giudiziario, rappresenta la pubblica accusa».
Su tali quesiti la Corte (Grande Sezione) con la sentenza del 2 marzo ha dichiarato:
a) l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.
b) l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale.
2. La sentenza ha da subito prospettato alcune questioni interpretative e applicative a vasto raggio - al di là delle possibili ricadute (di più lungo periodo) di natura più strettamente ordinamentali, legate alla posizione istituzionale ed al ruolo del pubblico ministero - considerando le differenti modalità con le quali nel nostro sistema processuale vengono acquisiti i tabulati delle comunicazioni. Com’è noto, ai sensi dell’art. 132, comma 3, d. lgs. n. 196 del 2003, l’acquisizione può essere disposta dal pubblico ministero. Del resto, modificando un primo orientamento (Cass. Sez. un. 13.7.1998, Gallieri), il Supremo Collegio riunito, nel giro di soli due anni, aveva conferito la legittimazione al p.m. (Cass. Sez. un. 23.2.2000, D’Amuri e 21.6.2000, Tammaro).
Una immediata risposta, di natura “politica”, è stata assunta dal Parlamento con l’approvazione di un ordine del giorno che impegna il Governo ad adeguare la normativa italiana alle disposizioni di cui all’art. 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, conformemente all’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea quanto alle condizioni soggettive e oggettive di applicabilità, apportando le opportune modifiche al codice di procedura penale e al Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, prevedendo, tra l’altro, che l’accesso del pubblico ministero ai dati sia subordinato all’autorizzazione del giudice.
3. Restano aperte, con esiti contrastanti, le questioni applicative, legate, in primo luogo, alla possibile immediata operatività della decisione. La soluzione potrebbe avere significative conseguenze sull’utilizzabilità delle acquisizioni effettuate in deroga alle indicazioni della Corte di Giustizia.
Per un verso, ricollegandosi a quanto previsto dagli artt. 258, 267, 280 e 299 TFUE si dovrebbe sostenere che la sua applicazione potrebbe conseguire solo da una previsione normativa che definisca tutti i profili applicativi. Sotto questo aspetto, dovrebbe ritenersi necessario un intervento legislativo, oppure una decisione della Corte costituzionale, adeguatamente investita ex art. 117 Cost.
Non andrebbe neppure esclusa una sentenza del Supremo Collegio riunito che adegui la sua interpretazione alla mutata sensibilità della materia come emergente dalla decisione della Corte di Giustizia.
Per un altro verso, si ritiene che la disposizione, sotto il profilo della legittimazione potrebbe essere operativa da subito, essendo compiutamente definito il suo raggio di applicazione.
Invero, la Corte di legittimità ha più volte ribadito che l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito “il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 22577 del 2012 e giurisprudenza ivi richiamata). E’ stato, altresì, ribadito che, “Poiché ai sensi dell’art. 64 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e per tal via, nel determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative” (Cass. civ. sez. lavoro ud. 7.3.2019 – 17.5.209, n. 13425).
A tale proposito va sottolineato che, richiesto dal p.m. di essere autorizzato all’acquisizione di “dati relativi il traffico telefonico completo dalle memorie analiticamente indicate nella richiesta, in entrata e in uscita”, il gip di Roma ne ha autorizzato l’acquisizione, richiamando alcune decisione della Corte costituzionale (C. cost. n. 170 del 1984; C. cost. n. 113 del 1985; C. cost. n. 168 del 1991).
4. Il punto centrale resta quello legato alla legittimazione ad autorizzare l’acquisizione dei tabulati.
Le connotazioni del pubblico ministero, al di là di quanto possa derivare dalla disciplina dell’Estonia, consente di escludere che, pur nella (possibile) funzione di garanzia, connessa alla raccolta di indagini a favore dell’imputato, il ruolo di “parte” del p.m. contrapposta a quella dell’imputato possa connotarlo di quegli elementi idonei ad incidere su diritti fondamentali dell’imputato, in quanto persona, cioè, in quanto soggetto connotato di una sfera di garanzie particolari ed incomprimibili.
Non potrebbe, peraltro, potersi far riferimento – al di là di ogni altra considerazione – ad un'altra autorità che non sia, nel nostro sistema, quella del giudice. La riserva di giurisdizione, a fronte di diritti a copertura costituzionale, non appare superabile.
Come anticipato, l’ordine del giorno è preciso al riguardo, in linea con la decisione della Corte di Giustizia (sono così superate le contrarie affermazioni di Cass. 10.12.2019, n. 5741; Cass. 24.4.2018, n. 33851; in relazione a Corte di Giustizia 8 aprile 2014 Digital Rights Ireland e 21 dicembre 2016 Tele2 Svezia, richiamate dal gip di Roma).
Si è prospettata la possibilità che in presenza di ragioni di urgenza il provvedimento venga disposto dal pubblico ministero.
Il dato, prospettato dai primi interpreti, trova riscontro in un passaggio nella motivazione della sentenza della Corte di Giustizia. Va, tuttavia, ribadito con forza che la regola della legittimazione deve riguardare il giudice e che l’intervento d’urgenza del p.m. possa costituire solo l’eccezione.
Residuerebbero da definire le questioni “soggettive” ed “oggettive” alle quali si è accennato ed alle quali fa riferimento anche il citato ordine del giorno, che dovrebbero essere di competenza del solo legislatore.
Sotto il primo aspetto, infatti, a differenza di quanto previsto per le intercettazioni telefoniche, stante la natura degli atti in questione, appare necessario che il provvedimento autorizzativo contenga un preciso collegamento tra i reati di cui al procedimento ed il soggetto ai quali i dati si riferiscono.
Sotto il profilo oggettivo, oltre alla indicazione delle finalità investigative, per le quali la conoscenza di quegli atti risulta necessaria, dovranno essere indicati l’arco temporale, i luoghi e i mezzi ai quali i dati si riferiscono.
Sempre sotto questo profilo, in linea con l’indicazione esplicita della Corte di Giustizia – “la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica – risulta necessario precisare quali sono i reati in ordine ai quali l’attività de qua è consentita.
Una prima ipotesi alla quale si è ipotizzato di fare riferimento è quella di rimandare alle indicazioni delittuose di cui all’art. 266 c.p.p., relativamente, cioè, ai reati per i quali sono consentite le intercettazioni telefoniche. In tal senso si è espresso da ultimo nel citato provvedimento il gip di Roma, ritenendo che
Non può escludersi, tuttavia, per un verso, la possibilità di esclusioni e, per un altro, di qualche ampliamento.
Non può pertanto condividersi Cass. 25.9.2019, n. 48737, che in relazione a Corte di Giustizia 2.10.2018 in causa c. 207/16 ha ritenuto non rilevante la mancata indicazione da parte del legislatore del catalogo dei reati che consentono l’acquisizione dei tabulati.
Questo dato rischia di avere ricadute negative sull’operatività immediata della sentenza europea anche in presenza di una richiesta di autorizzazione del p.m. al gip che peraltro potrebbe ritenere il reato comunque di particolare gravità e quindi pronunciarsi favorevolmente.
5. Le considerazioni svolte fanno emergere gli ampi spazi che si dischiudono all’iniziativa del legislatore nel ricostruire i dettagli operativi delle direttrici tracciate dalla decisione della Corte di Giustizia.
Oggetto di un confronto tra le forze politiche, che non si presenta agevole, e dalle prospettazioni, peraltro già emerse, dagli uffici di procura, sarà necessario trovare - ancora una volta, come ormai in modo sempre più accentuato – il punto di equilibrio, di bilanciamento, tra le esigenze di tutela dei diritti individuali e quelle tese all’accertamento ed alla prevenzione dei reati, considerati in modo proporzionato alla loro gravità.
Tuttavia, sarebbe auspicabile che il legislatore agisca tempestivamente, prima che sia la giurisdizione a definire gli ambiti di operatività del tema dei tabulati.