Consigli Giudiziari: paure, potere, funzionalità di Claudio Castelli
Il disegno di legge sull’ordinamento giudiziario introduce per i componenti avvocati del Consiglio Giudiziario una facoltà di voto sui pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati con voto unitario e solo se il Consiglio dell’Ordine abbia effettuato segnalazioni sul magistrato: una normativa contorta e compromissoria. Normativa contrastata da ampi settori della magistratura per l’assenza di terzietà degli avvocati nominati nei Consigli Giudiziari che continuano la loro attività professionale. Il rischio è di un dibattito puramente ideologico ed uno scontro tra categorie. L’attuale normativa già dà ampi spazi di partecipazione e interlocuzione agli Ordini degli Avvocati in materia sinora pochissimo utilizzati. Anche se vi sono esperienze positive. Per gli avvocati l’idea di valutare i propri giudici viene vissuta per i rapporti reciproci quanto meno come imbarazzante. Una proposta alternativa che riconduce nell’alveo istituzionale la collaborazione con gli avvocati è di coinvolgere direttamente l’Ordine degli Avvocati territoriale a dare un parere sulle valutazioni, in modo da responsabilizzare e spersonalizzare la scelta.
Sommario: 1. I Consigli Giudiziari nel nuovo disegno di legge sull’ordinamento giudiziario – 2. Il pericolo di un dibattito meramente ideologico – 3. L’attuale normativa – 4. Lo stato dell’arte: un bilancio post 2006 - 5. Una proposta alternativa.
1. I Consigli Giudiziari nel nuovo disegno di legge sull’ordinamento giudiziario
Nel disegno di legge per la riforma dell’ordinamento giudiziario approvato in data 26 aprile 2022 dalla Camera dei Deputati all’art.3 lettera a) è previsto che nell’esercizio della delega il funzionamento del Consiglio Giudiziario sia così modificato:
“a) introdurre la facoltà per i componenti avvocati e professori universitari di partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni relative all’esercizio delle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari di cui, rispettivamente, agli articoli 7, comma 1, lettera b), e 15, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, con attribuzione alla componente degli avvocati della facoltà di esprimere un voto unitario sulla base del contenuto delle segnalazioni di fatti specifici, positivi o negativi, incidenti sulla professionalità del magistrato in valutazione, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia effettuato le predette segnalazioni sul magistrato in valutazione; prevedere che, nel caso in cui la componente degli avvocati intenda discostarsi dalla predetta segnalazione, debba richiedere una nuova deter- minazione del consiglio dell’ordine degli avvocati.”
Onde consentire ciò, nella lettera b) viene previsto che il C.S.M. ogni anno debba individuare i nominativi dei magistrati per i quali nell’anno successivo matura uno dei sette quadrienni utili ai fini delle valutazioni di professionalità e ne dia comunicazione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
La disciplina introdotta è con evidenza contorta e compromissoria: - la componente degli avvocati ha una mera facoltà di esprimere un voto; - il voto deve essere unitario e può essere espresso solo se il consiglio dell’ordine ha effettuato segnalazioni sul magistrato in valutazione. E’ sempre prevista la partecipazione alle discussioni e il diritto di assistere alle deliberazioni da parte dei componenti avvocati e professori.
Se ne trae tra l’altro una divaricazione di facoltà e diritti, prima inesistente, tra i componenti avvocati ed i componenti professori universitari
2. Il pericolo di un dibattito meramente ideologico
Tale proposta ha provocato una forte reazione da parte di ampi settori della magistratura. Prendendo il contenuto di uno dei documenti che maggiormente ha interpretato questo dissenso, quello elaborato dai magistrati di Busto Arsizio, viene rimarcato che:
“1) Diritto di tribuna ai laici e diritto di voto all’Avvocatura in sede di Consiglio Giudiziario sulla valutazione del magistrato: nell’ambito dell’autogoverno della Magistratura, il riformatore introduce un fattore di controllo esterno sull’operato e sulla professionalità del magistrato, senza peraltro contemplare nessun requisito di terzietà per neutralizzare i possibili conflitti d’interesse. L’Avvocatura, per definizione, parteggia, presta il suo patrocinio ed è interprete di pratici e specifici interessi – da cui dipende il compenso legittimo spettante all’avvocato –, pertanto il membro laico che esercita la professione forense non avrebbe i requisiti formali d’indipendenza, poiché la sua valutazione sarebbe comunque condizionata dall’interesse specifico (e di categoria) di cui rimane portatore. Il ‘valutatore’ del magistrato deve essere ed apparire imparziale. Così si avrebbe una sostanziale erosione dell’autogoverno della magistratura.”
Come ben si capisce la preoccupazione riguarda l’assenza di terzietà data dal fatto che, a differenza che per gli avvocati eletti al Consiglio Superiore della Magistratura, non è prevista alcuna cancellazione o sospensione dall’albo. Il timore è che nella valutazione possano incidere o rientrare contrasti professionali o decisioni o iniziative sgradite. La questione può apparire inesistente in situazioni in cui non vi è conflittualità tra magistratura e foro, ma sappiamo che in alcune sedi non è purtroppo così.
Il formidabile rischio che si avverte è che il dibattito scivoli da quello, che dovrebbe essere centrale, della migliore funzionalità del Consiglio Giudiziario ad uno scontro tra categorie, con logiche di reciproci timori da un lato e di potere categoriale dall’altro.
Da un lato vi è un desiderio dell’avvocatura di affermazione della rilevanza della propria categoria, ma anche la paura degli avvocati di entrare in rotta di collisione con singoli magistrati ed interi uffici, con un inevitabile danno sulla propria attività professionale. D’altro conto la magistratura teme da parte degli avvocati la confusione tra ruolo istituzionale e professione privata: la paura dei magistrati di essere valutati non per le proprie capacità, ma per avere condotto indagini o processi scomodi o nei quali uno o più degli avvocati interessati hanno avuto torto o comunque avrebbero ragione per qualche rimostranza. Paure che derivano inevitabilmente dal fatto che, a differenza dal C.S.M., gli avvocati continuano a svolgere la loro attività e potrebbero essere condizionati da casi specifici. Al riguardo la posizione in cui si troverebbero gli avvocati è diversa da quella che può avere un pubblico ministero (o un giudice) che magari si è trovato in contrasto con un altro magistrato, dato che diverso è il ruolo istituzionale e la natura pubblica ed imparziale che inevitabilmente un magistrato ha e deve avere.
D’altro canto gli avvocati sono e potrebbero essere un preziosissimo sensore che riveli difficoltà, anomalie, malfunzionamenti, di grande aiuto per la funzionalità del sistema.
La contrapposizione che si crea rischia di essere meramente ideologica perché già oggi il D.Leg. n.160/2006 ha forti aperture alla partecipazione degli avvocati nei Consigli Giudiziari, in larga parte ignorate e non utilizzate.
3. L’attuale normativa
Un intervento degli avvocati è difatti già oggi previsto sia per le valutazioni di professionalità, sia per le conferme di incarichi direttivi e semi direttivi, per non parlare del Presidente del Consiglio Nazionale Forense che siede come membro di diritto partecipando e votando su tutto nel Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione.
L’art. 11 co. 4 lettera f) del Decreto Legislativo n.160/2006 prevede che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati possa far pervenire in occasione delle valutazioni di professionalità “segnalazioni.....che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.”
La legge dà grande rilievo a tali segnalazioni ponendole sullo stesso piano del rapporto del capo dell’ufficio come uno dei canali informativi che contribuiscono a formare il parere del Consiglio Giudiziario.
Le informazioni su fatti specifici vengono anche acquisite d’ufficio nell’ambito della procedura di conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi sulla base di quanto disposto dalla Circolare CSM 24 luglio 2008.
Un ulteriore tassello viene dato dal nuovo Decreto Legislativo 31 maggio 2016 n.92 che all’art 2 disciplina la procedura di conferma dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei viceprocuratori onorari già in servizio. In tale norma viene previsto un vero e proprio parere espresso dal Consiglio dell’Ordine territoriale forense in cui però devono essere “indica(ti) i fatti specifici incidenti sulla idoneità a svolgere le funzioni, con particolare riguardo, se esistenti, alle situazioni concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.”
4. Lo stato dell’arte: un bilancio post 2006
Il bilancio che si trae da questa partecipazione e dall’utilizzo di queste ampie facoltà riconosciute ai Consigli dell’Ordine degli avvocati relativamente ai magistrati professionali non è incoraggiante. Pur mancando una verifica su scala nazionale risulta che i casi in cui i Consigli forensi abbiano effettuato segnalazioni sono rarissimi, quando non inesistenti.
La facoltà riconosciuta dalla legge è quindi rimasta pressoché lettera morta.
A differenza di quanto sta invece accadendo in relazione alla magistratura onoraria ove i Consigli dell’Ordine sono invece quanto mai presenti nelle segnalazioni, esprimendo anche pareri negativi.
Non si dice nulla di nuovo se si riscontra che la doppia composizione prevista dagli artt. 15 e 16 D. Leg. n. 25/2006 era stata una soluzione di compromesso e di verifica.
Oggi ci sono gli elementi per superarla? Ed un suo superamento rappresenta l’assestamento di un nuovo equilibrio di potere o è funzionale agli scopi di verifica della professionalità che si pone la legge?
La tentazione di ridimensionare la magistratura attraverso l’avvocatura è indubbia, ma se andiamo a verificare come vanno le cose in concreto ci sono esempi anche positivi. Mi rifaccio alla mia esperienza di sei anni di presidenza di un Consiglio Giudiziario in cui a fronte di molti rapporti critici nei confronti di magistrati onorari non abbiamo avuto alcuna segnalazione nei confronti dei magistrati togati. Nel contempo però i Consigli dell’Ordine competenti hanno formulato due pareri critici in sede di conferma di incarichi direttivi e semidirettivi che, a seguito di una lunga istruttoria, ha portato a pareri negativi unanimi del Consiglio Giudiziario. Per non parlare di una delicatissima pratica di vigilanza relativa ad un ufficio del distretto qualche anno fa condotta con determinazione grazie all’unanimità del Consiglio in tutte le sue componenti. Ad un clima disteso e collaborativo ha forse contribuito il diritto di tribuna riconosciuto a livello regolamentare sin dal 2016. Trattare alla luce del sole (salvo ovviamente casi in cui vi siano situazioni sensibili che richiedono riservatezza) le pratiche anche relative alle valutazioni di professionalità e ai pareri per incarichi direttivi e semidirettivi non solo è stata una dimostrazione di trasparenza, ma ha evidenziato la serietà dell’approccio che i magistrati hanno sul tema e come si cerchi di arrivare a fotografie realistiche e non ad un appiattimento.
5. Una proposta alternativa
Da tempo si discute di superare la doppia composizione dei Consigli Giudiziari, dando anche ai componenti avvocati e professori il diritto di voto in tema di valutazioni di professionalità e di pareri. Era la proposta avanzata dalla Commissione Vietti, anche se va rammentato che l’ipotesi su cui si lavorava era di un decentramento pieno, che attribuiva pieni poteri ai Consigli Giudiziari in tema di valutazioni di professionalità. Tale ipotesi induceva alcuni a ritenere che fosse necessaria, almeno in tale fase, la voce anche di esterni alla magistratura. Comunque anche tale ipotesi non si confrontava con le ragioni per cui gli spazi dati dalla normativa del 2006 erano stati scarsamente utilizzati. Probabilmente le ragioni erano da ravvisarsi nel fatto che l’avvocatura non vive con serenità l’idea di valutare la professionalità dei suoi giudici, che, salvo casi specifici, viene vissuta come imbarazzante.
Il disegno di legge approvato dalla Camera in realtà risolve limitatamente questi problemi, e con una formulazione contorta, rischia di accentuarli. Difatti il limitato peso della presenza laica non deriva né dal numero limitato, né dalla mancata partecipazione a altre tematiche, ma dall’assenza di una vera rappresentatività e responsabilità. Le stesse modalità di nomina di avvocati e professori universitari fa sì che gli stessi siano molto parzialmente rappresentativi della comunità locale degli avvocati. Né gli stessi, al di là del loro valore e autorevolezza, sono portatori di una reale responsabilità istituzionale (ovviamente esistente sotto il profilo personale, ma non a nome dell’università o dell’avvocatura).
Per questo la scelta che apparirebbe più efficace e istituzionalmente corretta non è quella della composizione mista sui temi che riguardano valutazioni e pareri, ma un coinvolgimento diretto del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che dovrebbe essere chiamato a dare un proprio parere (che può anche consistere in un semplice “Nulla da osservare”) sulle valutazioni. Questo da un lato responsabilizzerebbe l’organo e dall’altro spersonalizzerebbe il parere.
Non mi ha mai, di converso, persuaso la richiesta di reciprocità, ovvero di partecipazione dei magistrati ai Consigli dell’Ordine o ai Consigli di disciplina degli avvocati. I nostri sono mestieri e ruoli diversi, con un ruolo istituzionale da un lato ed una professione privata (sia pure esercente un fondamentale diritto costituzionale) dall’altro, su cui è bene non fare confusione. Non solo, ma parificare le due partecipazioni vorrebbe dire mettersi in quell’ottica di confronto e scambio di potere tra categorie che invece è bene evitare, puntando su di una collaborazione rispettosa di differenze e ruoli.