GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La formazione ai tempi della pandemia

    La formazione ai tempi della pandemia

    di Costantino De Robbio 

    Sommario: 1. La formazione dei magistrati diventa digitale: trasformazioni strutturali - 2. Ciò che si guadagna e ciò che si perde con la formazione a distanza - 3. Effetti psicologici del nuovo modo di fare formazione sui partecipanti ai corsi - 4. Le difficoltà dei docenti - 5. La perdita di verticalità del sapere e gli effetti sulla formazione - 6. La nuova sfida della formazione: imparare dalla musica.  

    1. La formazione dei magistrati diventa digitale: trasformazioni strutturali

    Come noto, la Scuola Superiore della Magistratura ha sin dall’inizio della pandemia dovuto trasformare radicalmente la propria offerta formativa, convertendo pressocché da un giorno all’altro i propri corsi, fino a quel momento svolti in presenza presso la sede di Scandicci,  in corsi on line.

    Tutti gli incontri dedicati all’aggiornamento dei magistrati in servizio (che compongono la cosiddetta  formazione permanente) sono stati portati su piattaforma digitale, così come interamente “a distanza” è divenuto il tirocinio iniziale dei magistrati vincitori di concorso che non hanno ancora preso servizio. Parimenti, le iniziative di formazione internazionale sono state portate su Teams per essere seguite da casa, cancellando o sospendendo  i programmi di scambio ed anche gli incontri delle formazioni decentrate, strutture territoriali della scuola operanti in ciascun distretto, hanno subito analoga trasformazione in incontri virtuali, così come i corsi di formazione per gli aspiranti ai posti direttivi.  

    Dal punto di vista organizzativo, tale mutamento di pelle è avvenuto con rapidità ed efficienza: la completa trasformazione dell’offerta formativa nelle forme della didattica a distanza – per usare un’espressione ormai in voga – è avvenuta praticamente senza soluzione di continuità, letteralmente “da un giorno all’altro” e a giudicare dalle valutazioni compilate dai partecipanti ai vari corsi[1],  senza flessioni qualitative rispetto al passato.  

    Dopo quasi un anno dal provvedimento di sospensione dei corsi in presenza, e in un momento in cui la prospettiva del ritorno alla tradizionale offerta formativa  appare ancora lontana e indefinita, il nuovo assetto sembra essere stato del tutto metabolizzato, tanto che non è azzardato parlare, in questo settore, di una “nuova normalità” con le sue regole e la sua routine.   

    2. Ciò che si guadagna e ciò che si perde con la formazione a distanza

    Sarebbe tuttavia semplicistico affermare che nulla è cambiato a parte la forma.

    Al contrario, numerosi e convergenti elementi inducono a ritenere che il mondo della formazione dei magistrati abbia subìto una profonda e sostanziale trasformazione, dai contorni ancora da definire compiutamente e che potrebbe avere il carattere della irreversibilità.

    Questo mutamento ha infatti investito e modificato in primo luogo l’approccio ai corsi da parte dei discenti, dei docenti e persino dei componenti del Comitato Direttivo della Scuola.

    Alcuni di questi cambiamenti sono senza dubbio positivi: oggi è possibile partecipare ad un corso, sia per i docenti che per i discenti, senza doversi recare  in un luogo situato a decine o a centinaia di chilometri dalla propria residenza; continuare a lavorare (o a fare cose per alcuni di noi persino più piacevoli) fino a un minuto prima dell’inizio del corso e riprendere da dove si aveva interrotto un minuto dopo il termine del medesimo e non occorre più interrompere la propria routine quotidiana, elemento che può avere un’incidenza sull’organizzazione del lavoro e della vita familiare (basti pensare ai moltissimi colleghi con figli piccoli o a quelli con problemi di salute).

    L’utilizzo del mezzo digitale ha poi consentito di sperimentare nel mondo della formazione i webinar[2], strumenti preziosissimi per poter fornire informazioni e riflessioni a caldo su temi di stretta attualità.

    E’ stato così possibile coinvolgere per singoli eventi centinaia di destinatari in luogo dei 90-100 partecipanti ai corsi tradizionali ed arricchire l’offerta formativa aggiungendo  alle forme già esistenti un modo complementare e non concorrente di fare formazione.  

    A fronte di queste indubbie comodità il prezzo da pagare sembra per altro verso particolarmente alto.

    Limitare la partecipazione ai corsi ai soli momenti in cui parla uno dei docenti o si fa attività nei gruppi di lavoro vuol dire infatti rinunciare a tutto quello che ruota intorno alla didattica in senso stretto e che pure ha un’importanza fondamentale per la formazione: il confronto incessante sulle tematiche del corso che si svolge, da sempre, tra i colleghi nei giorni in cui sono a Scandicci.

    A tutti è capitato di commentare argomenti inerenti al corso nelle pause davanti alla macchinetta del caffè, nella pausa pranzo, durante il trasporto in navetta da e per l’albergo nonché a cena, in gruppi più o numerosi di partecipanti e a volte con gli stessi relatori.

    Alla voce solista del docente del corso si accompagnano, da sempre, le voci plurali ed informali di tutti quelli che il corso lo vivono: questa polifonia è da sempre una ricchezza insostituibile dell’attività formativa della Scuola e genera quella condivisione di prassi ed esperienze tra magistrati di distretti anche lontanissimi geograficamente che è linfa vitale per la giurisprudenza, di merito e non solo.

    Alle riflessioni tecniche va poi aggiunto il valore, invisibile ma altrettanto importante, della condivisione dell’esperienza al punto di vista sociale: trascorrere insieme i tre giorni del corso è da sempre un modo per creare o rafforzare rapporti umani tra i colleghi e “fare rete”, ciò che  costituisce  uno strumento imprescindibile per realizzare quello strano e meraviglioso potere diffuso che la Costituzione ci assegna.

    Quanto detto è ancora più vero e importante per il tirocinio dei MOT: tutti noi siamo legati, anche dopo anni di esercizio delle funzioni nei distretti più lontani, ai nostri “compagni di concorso”, proprio in virtù di un percorso vissuto insieme che va molto al di là della condivisione a distanza di una o più lezioni.

     Identico, o a volte ancora più profondo, è poi il legame che si crea tra i MOT di un gruppo ed il tutor[3] a questo assegnato, con quest’ultimo che diviene molto spesso un punto di riferimento anche negli anni a venire.

    Questo vero e proprio capitale invisibile dell’offerta formativa è al momento indisponibile e non c’è davvero nulla che si possa fare per recuperarlo, finché perdura lo stato di emergenza conseguente alla pandemia; è importante però non dimenticare la sua esistenza né sottovalutare la sua importanza, soprattutto quando si dovrà discutere di tempi e modalità della ripresa dei corsi in presenza o quando i partecipanti potranno scegliere se riprendere il viaggio verso la Toscana o seguire il corso comodamente da casa (se si decidesse di adottare, post pandemia, una modalità di partecipazione mista).  

    3. Effetti psicologici del nuovo modo di fare  formazione sui partecipanti ai corsi

    Vi è poi un aspetto altrettanto importante su cui riflettere, che riguarda ciò che dell’esperienza formativa è invece ben visibile.

    Punto di partenza è ancora la considerazione già svolta in precedenza: la formazione svolta su Teams si inserisce armonicamente, come mai avvenuto prima, nel vissuto quotidiano di ognuno di noi, senza stravolgerlo né pretendere un’attenzione particolare.

    Ebbene, anche tale armonia sembra avere un costo.

    Viene infatti spontaneo chiedersi se  una formazione che non pretende un’attenzione particolare ma si inserisce nella vita quotidiana quasi in punta di piedi sia una formazione veramente efficace.  

    Non è facile dare una risposta a questo interrogativo, perché è pressocché impossibile avere dati oggettivi di riferimento.

    Alcuni elementi tuttavia appaiono innegabili e meritevoli di riflessione.  

    Il primo è dato dal riscontro di un calo di partecipazione ai dibattiti, che sono parte fondamentale di ognuno dei corsi della Scuola, da quando questa si svolge in forma digitale.

    È noto che la formazione dei magistrati ha caratteristiche peculiari rispetto alla normale didattica: i partecipanti ai corsi non sono studenti a cui impartire nozioni su una materia a loro ignota, ma professionisti del diritto, usciti vincitori da un concorso altamente selettivo e che possono avere alle spalle anche venti o trenta anni di esperienza.

    È per questo che la formazione è da sempre strutturata in forma il più possibile partecipata e tendenzialmente somiglia (o dovrebbe somigliare) più ad un confronto tra tutti i partecipanti sulle rispettive esperienze e ad una riflessione comune piuttosto che ad un sapere versato unilateralmente dai docenti alla platea.

    È dunque previsto un dibattito alla fine di ogni intervento, di durata considerevole (a volte quasi pari a quello della relazione), vi sono sessioni intere dedicate ai gruppi di lavoro, composti da un numero ristretto di persone per favorire al massimo partecipazione ed interattività in luogo delle relazioni frontali, nei corsi MOT si prevedono esercitazioni individuali e collettive, e tanto altro.

    Ebbene, la riflessione non può prescindere da questo dato di fatto: la partecipazione attiva ai gruppi di lavoro e persino i semplici dibattiti al termine delle relazioni soffrono nella nuova veste digitale un calo quantitativo che non si può ignorare.

    Con alcune lodevoli eccezioni (soprattutto nel campo della formazione iniziale) i docenti e gli organizzatori dei corsi hanno riscontrato una minore partecipazione dei discenti ed una difficoltà di conduzione di dibattiti e gruppi di lavoro.

    Sembra essersi affermato un nuovo modo di partecipare con connotazioni fortemente passive, che non pare riconducibile ad una reazione ad un corso qualitativamente insoddisfacente, in presenza – come si è detto innanzi – di valutazioni assai lusinghiere e votazioni mediamente molto alte.

    La spiegazione va dunque verosimilmente cercata proprio nella nuova “forma” digitale ed è doveroso domandarsi se non sia proprio questa nuova forma a spingere ad una sorta di disaffezione.

    C’è da dire che in realtà la platea dei partecipanti al corso si presenta agli occhi di docenti e organizzatori come un insieme di decine e decine di telecamere spente, in cui a ciascun volto è sostituita un’impersonale sigla con le iniziali di nome e cognome, sicché non è facile dire con certezza se vi sia effettivamente un calo di attenzione durante i corsi.

    Tuttavia, la nota imperizia informatica di larga parte dei magistrati offre spesso un involontario squarcio di cosa avviene nelle stanze dei discenti, con effetti a volte comici: le telecamere lasciate inavvertitamente accese hanno restituito in più di un’occasione immagini di colleghi intenti in occupazioni domestiche le più disparate (dalla cottura dei pasti alle pulizie domestiche o a quelle… personali) o a conversare al telefono.

    La maggior parte dei monitor non disattivati, va precisato ad onore della produttività della categoria, mostra tuttavia magistrati alacremente impegnati in attività lavorative, mentre compulsano faldoni o scrivono alla tastiera dello stesso computer da cui promanano le attività formative. Non pochi colleghi indossano la toga, segno evidente del fatto che stanno per andare in udienza o vengono da udienza appena terminata (va  per incidens ricordato che le attività di lavoro non dovrebbero essere svolte nei giorni di corso).

    Da tali dati, che ripeto sono assolutamente parziali e interessano comunque una sparuta minoranza dei partecipanti, uniti al dato oggettivo della diminuita partecipazione attiva ai dibattiti e ai gruppi di lavoro, si può trarre se non una risposta quantomeno uno spunto di riflessione: la formazione a distanza comporta o può comportare una minore partecipazione “attiva” dei discenti.

    Non si tratta a mio avviso di una vera  e propria disaffezione alla formazione ma della conseguenza di un altro fattore (questo sì, invisibile ma ben presente): seguire il corso dall’ufficio (o da casa) dà al partecipante al corso e a chi lo circonda (familiari, colleghi, capi) l’idea che non si stia davvero partecipando ad un evento di formazione, che lo stesso possa essere interrotto alla bisogna.

    E così, fatalmente, le telefonate “urgentissime” si alternano alle convocazioni del dirigente dell’ufficio o alle visite dell’avvocato o dell’ufficiale di P.G. che “mi permetto di disturbarla solo per un minuto”…. E quel fascicolo urgente che è davanti agli occhi del partecipante al corso e che reclama attenzione  diventa una tentazione irresistibile.

    Inevitabile il confronto con i “bei tempi” dei corsi in presenza, quando lo stacco con il mondo di provenienza era netto e precisamente avvertibile nella mente sia del partecipante che dei terzi e a nessuno sarebbe venuto in mente di contattare chi era a Firenze se non per effettive urgenze indifferibili (meno che meno, va da sé, venire a Castelpulci a “disturbare per un attimino”).

     Ecco, riassunte in pochi fotogrammi, le differenze di approccio alla formazione al tempo della pandemia rispetto a quanto vissuto in precedenza.  

    4. Le difficoltà dei docenti

    A questi elementi va poi aggiunta la difficoltà dei docenti di compiere il proprio lavoro avendo di fronte uno schermo nero e non poter vedere i destinatari della propria relazione.

    Chiunque è salito su un palco come relatore ad un convegno sa che da lì si percepisce l’uditorio come un corpo vivo, conosce quanta importanza hanno per la riuscita dell’intervento  le facce attente (o quelle disattente, che sono spia della necessità di un cambio di direzione da imprimere a ciò che si sta dicendo), ricorda quanto conti il peso e l’intensità dell’applauso finale per avere un riscontro di ciò che si è appena offerto.

    Oggi a tutto questo è stata sostituita una voce (quella del responsabile del corso) che dà la parola all’inizio dell’intervento e che al termine dello stesso, in un silenzio irreale, se la riprende per il commento finale prima di dare la parola al relatore successivo.  

    Non vi è giorno in cui qualcuno dei relatori non si lamenti, con i responsabili o con gli stessi partecipanti, del disagio di dover intervenire in un contesto siffatto. 

    Anche questi fattori contribuiscono senza dubbio alle difficoltà di fare formazione in questi tempi così particolari.  

    5. La perdita di verticalità del sapere e gli effetti sulla formazione

    Non bisogna però pensare che i problemi descritti siano necessariamente conseguenza del mai abbastanza vituperato virus noto come “covid19”.

    O meglio, sarebbe un errore  trascurare un ulteriore elemento, che consegno a questo scritto come momento finale di riflessione: le distrazioni e i deficit di attenzione riscontrati potrebbero essere (anche) frutto di una tendenza in atto ovunque ed iniziata molto tempo prima dell’inizio della pandemia, che si potrebbe definire una perdita di verticalità del sapere.  

    E’ sempre più evidente infatti che le nuove generazioni, cresciute in un mondo sovraccarico di dati e costantemente bombardati dagli stessi, mostrano una sorprendente capacità di interagire contemporaneamente con molteplici fonti di informazione …. e una parallela perdita o attenuazione della capacità di approfondimento di ciascuna.

    Il fenomeno è  particolarmente accentuato tra i ragazzi (i cosiddetti “nativi digitali”) ma riguarda ormai tutti noi: oggi è piuttosto comune anche per un “ex giovane”  - come chi scrive -  lavorare mentre si ascolta musica, e come si è già avuto modo di evidenziare  è richiesto a tutti di mantenere la concentrazione su un fascicolo mentre si è interrotti più volte in ufficio o a telefono.

    Viceversa, l’esperienza un tempo comune di isolarsi completamente per ore o per giorni per dedicarsi interamente ad un singolo approfondimento diviene sempre più rara e viene percepita come superata e inutile, se non addirittura dannosa per la produttività del lavoro o dell’apprendimento.  

    Tra i giovani il fenomeno sta assumendo dimensioni e caratteristiche preoccupanti: mio figlio, liceale,  studia con un cuffia sola così io non so mai se quando gli parlo sta davvero sentendo me o ascoltando musica…  spesso pare fare con disinvoltura entrambe le cose o addirittura scambia messaggi e non me ne accorgo (perché diteggia in modi per me insospettabili, ad esempio sull’orologio: a me sembra che stia controllando l’ora mentre ha mandato un bacio alla ragazza e preso appuntamento per uscire con un amico), per  poi chiedermi all’improvviso di ripetergli storia ma “fai una cosa veloce per favore” mentre palleggia per casa con una palla di gomma tenendosi in allenamento per la partita di calcio di domenica.

    Non è facile, e mi fa sempre un certo effetto, spiegare al mio giovane “congiunto” le cause per cui si è arrivati alla follia di chiudere esseri umani in campi di concentramento in pacchetti liofilizzati di informazioni, da inscatolare velocemente insieme a cose eterogenee e coloratissime; ma se oso protestare tutto quello che ottengo è che lui “sta attento” (anche se a me non sembra) e che “tanto me le ricordo le cose che dici, non ti preoccupare”.

    Che non si tratti (solo) di una risposta dettata da furbizia ce lo dicono gli articoli di giornali e riviste ove sempre più spesso si parla di una modalità di “apprendimento orizzontale” (più cose imparate contemporaneamente e più superficialmente) che sta prendendo il posto di quella tradizionale, definita modalità di “apprendimento verticale”.

    Alessandro Baricco ci ha scritto ben due saggi di notevole perspicacia, oltre che molto godibili[4] in cui dimostra mirabilmente che oggi nessuno può più permettersi di pensare ed apprendere in profondità: la cultura, a quanto pare, non è più fatta di faticosi carotaggi ma di abili e leggiadri surf tra dati e informazioni.

    Siamo dunque in presenza di un fenomeno universale e da tempo presente, che ha ovvie refluenze anche nel mondo della formazione dei magistrati, come  riscontrabile del resto anche nei corsi in presenza prima della sospensione: le aule di Scandicci erano da tempo “infestate” da cellulari o ipad con cui i partecipanti facevano esattamente ciò che imputiamo oggi al Covid19: dividevano la loro attenzione tra più fonti di informazione, con ovvia compromissione della capacità di attenzione e tanti saluti all’approfondimento.  

    6. La nuova sfida della formazione: imparare dalla musica

    Certo, queste tendenze possono accentuarsi con la didattica a distanza e sommate agli altri fenomeni sopra descritti (dalla difficoltà dei relatori alla perdita della polifonia e del contesto extra-lezione) stanno mettendo a dura prova sia l’offerta formativa che la fruizione della stessa.

    Tuttavia, essere consapevoli che la “distrazione di massa” è un fenomeno universale e generazionale e non una condotta del singolo partecipante al corso non vuol dire accettare supinamente questa deriva.

    Al contrario, si tratta a mio avviso di un fenomeno che non riesce ad essere del tutto convincente  - almeno per un vecchio innamorato della formazione  - e nessuno riesce a togliermi dalla testa che non si possano e debbano pensare dei rimedi o dei correttivi (alcuni dei quali sono allo studio del Comitato Direttivo della Scuola proprio in questi giorni).

    E’ vero, oggi le informazioni ci arrivano selezionate, liofilizzate, impacchettate. E’ come l’avvento dei suoni digitali (il CD che ha sostituto  - e sembrava avere ucciso  - il vecchio LP): il suono sembra più nitido, ma si perde qualcosa perché i suoni sono compressi.

    Secondo alcuni ciò che si perde è solo il fruscio della puntina sul disco, un rumore di fondo tutto sommato innocuo se non dannoso e che con la musica non c’entra nulla ….

    Ma a ben pensare si perde molto altro, e quello che si perde è parte imprescindibile dell’esperienza dell’ascolto: poter percepire i rumori di fondo dello studio di registrazione, lo sfregare delle dita sulla corda della chitarra, persino il canto dell’uccellino fuori dalla finestra dello studio di registrazione ci dà un senso diverso di ciò che ascoltiamo, lo contestualizza, lo rende tridimensionale e reale.

    E’ la possibilità di essere trasportati in quel posto, che rende l’esperienza musicale e la rende più completa perché reale.

    Ricordiamoci anche questo, quando questo periodo terribile sarà finito.

     

    [1] A proposito: anche queste sono state nell’arco di poche ore informatizzate, abbandonando la forma cartacea che le caratterizzava dall’inizio della storia della Scuola. E’ stata mantenuta la forma anonima, ciò che costituisce la migliore garanzia della attendibilità delle stesse.

    [2] Il webinar, neologismo scaturito dalla fusione delle due parole inglesi web e seminar, è appunto un evento formativo che si sviluppa in rete. Ci si accede tramite semplice compilazione di un form o cliccando su un link inviato dalla Scuola. Vi si possono collegare anche migliaia di persone contemporaneamente e richiede uno sforzo organizzativo minimo, per cui si presta particolarmente ad eventi formativi che nascono da esigenze cui occorre dare risposta immediata e garantire la massima partecipazione (a esempio, il commento a caldo di novità legislative o di sentenze di particolare rilievo).

    [3] Ogni settimana di tirocinio presso la Scuola è divisa in sessioni (mezze giornate) composte da due parti: nella prima si affida ad un relatore un argomento (relazione frontale + dibattito); nella seconda si prosegue il lavoro sul medesimo argomento  con approfondimenti in gruppi composti da circa 20 persone e guidati da un tutor (esercitazioni su casi pratici e discussione interattiva). Mentre il relatore cambia per ogni argomento, i tutor seguono il gruppo di MOT loro affidati per l’intera settimana (o a volte per due settimane). 

    [4] Il primo, intitolato “I barbari” è del 2006; il secondo, “The game”, è uscito pochi mesi fa.

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