IN RICORDO DI VIRGINIO ROGNONI di Ernesto Aghina, Paolo Arbasino e Giuseppe Fici
Si è spento ieri Virginio Rognoni, ex ministro degli interni, della giustizia e della difesa, uno degli ultimi padri nobili della Repubblica, protagonista degli anni di piombo, del contrasto al terrorismo ed alla criminalità organizzata.
Il Rognoni (per gli amici “Gingio”) che abbiamo conosciuto noi é stato il vicepresidente del C.S.M. nella consiliatura 2002/2006.
Forte dell’autorevolezza che lo caratterizzava (anche quale propulsore della legge n. 646/1982, più nota come legge Rognoni-La Torre, che introdusse il reato di associazione mafiosa e misure di prevenzione di carattere patrimoniale), raccolse il voto di tutti i consiglieri togati (spesso tra loro contrapposti).
In un quadriennio contraddistinto da forti contrasti tra l’esecutivo e la magistratura, culminati in ripetuti impasse del plenum, per la mancanza del numero legale derivato dall’assenza (volontaria) dei membri laici espressione della maggioranza di governo, seppe con equilibrio affermare e difendere l’autorevolezza del Consiglio.
Rognoni, a volte burbero ma sempre corretto, guidó con mano ferma l’organo di autogoverno superando momenti di forte tensione, aiutato da Luigi Berlinguer, pure presente in quel Consiglio, con cui si creò una naturale empatia.
Abbiamo conosciuto la sua sorridente bonomìa in inediti aspetti privati, come quando introduceva compiaciuto e sorridente i lavori dopo una vittoria della sua amata Juventus, o quando esultò con noi, con la purezza di un adolescente, per la vittoria ai mondiali dell’Italia.
Ricordiamo ancora quando, durante un prolungato ed estenuante plenum, che seguiva (apparentemente) assorto, convocò con lo sguardo un commesso per recapitare un biglietto intestato al vicepresidente del CSM, indirizzato “al consigliere Aghina”, al cui interno si era disegnato giovane e aitante in procinto di tirare un calcio di rigore…
Rognoni era una gran bella persona: servitore dello Stato e uomo per bene, che amava sorridere e conversare, e la cui statura morale sovrastava quella fisica (pur non indifferente).
Abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo e di affezionarci al “nostro” vicepresidente, a cui anche la magistratura tutta deve tanto, ed é opportuno ricordarlo in momenti in cui si trascura colpevolmente di coltivare il vizio della memoria.
Ci accompagnerá il ricordo della sua voce stentorea quando, battendo il palmo della mano destra sullo scranno presidenziale, poneva (finalmente) fine alle discussioni in plenum ed al successivo voto, scandendo un “così resta stabilito”, che consacrava ogni decisione del Consiglio di cui lui era certamente un componente “superiore”.