Onofrio Fanelli - In memoriam
di Marco Rossetti
“Le piace Brahms?”, domandò il Presidente mentre, accortosi dal mio arrivo, abbassava con la sinistra il volume della piccola radio a transistor poggiata su una consolle accanto alla scrivania. Erano i suoi pochi momenti di riposo in una giornata intensissima, ed ero arrivato io a disturbarlo.
La domanda mi spiazzò.
Ero andato dal direttore dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione per presentarmi (era il 1994 e m’era stato concesso di fare il “massimatore volontario”, da semplice uditore con funzioni); non avevo mai messo piede in quel Palazzo, e m’attendevo sguardi indagatori e supponenza.
Invece a rivolgermi quella domanda era stato un signore sulla settantina, molto giovanile, dal volto disteso, lo sguardo vivo d’una intelligenza penetrante, un sorriso benevolo, un’espressione che in ogni cenno emanava il senso d’una grande forza - per dirla col Manzoni - passata ma non trascorsa.
Gli erano bastati pochi secondi a capire e capirmi. Mi mise a mio agio, mi spiegò il da farsi, mi offrì il suo aiuto. Non tralasciò nessuna delle parole, né delle attenzioni, che fa piacere ascoltare per essere incoraggiati.
E non lo fece quella volta soltanto.
Quell’uomo colto, generoso e disponibile era Onofrio Fanelli, venuto a mancare lo scorso 17 ottobre.
Onofrio Fanelli è stato uno dei magistrati che più hanno reso onore alla toga che hanno indossato: per come hanno lavorato, per quanto hanno lavorato, per quanto hanno insegnato.
Era nato a Castellana Grotte il 27.9.1926, ed era entrato in magistratura a 27 anni, nel 1954, diciassettesimo del suo concorso.
Magistrato di Tribunale dal 1960, poi fuori ruolo al Ministero della Giustizia dal 1962 al 1968, quindi magistrato d’appello per concorso, ed applicato al Massimario dal 1970.
Qui proseguì tutta la sua carriera: consigliere di cassazione dal 1974; dichiarato idoneo alle funzioni direttive superiori dal 1979, Presidente di Sezione dal 1993. Le sue indiscutibili capacità di giurista gli valsero la nomina a direttore dell’Ufficio del Massimario e, contemporaneamente, del Centro Elettronico di Documentazione (CED) della Corte di cassazione: un onore - e una responsabilità - concesso a pochi prima di lui, e nessun altro dopo di lui.
Lasciò la magistratura nel 1998, per limiti di età, ma la pensione non significò affatto il riposo: per altri vent’anni continuò a dirigere il Repertorio del Foro Italiano, dopo averne completamente ristrutturato ed aggiornato, da solo, lo schema di classificazione.
Il giurista Onofrio Fanelli possedeva doti che chiunque avrebbe invidiato: che si parlasse di riscatto agrario o di concorso dell’extraneus nel reato proprio, lui era perfettamente in grado di dire la sua. Possedeva la capacità rara di guardare in alto - o meglio, dall’alto, il mondo del diritto. Era in grado di cogliere subito il cuore dei problemi; di inquadrarli nel contesto generale; di individuare la soluzione corretta.
Non amava i bizantinismi dei legulei, né i voli pindarici degli idealisti. Aveva i piedi nel diritto positivo, e la testa nei princìpi.
Ha dato il suo contributo in tutte le Sezioni della Corte di cassazione, ivi comprese le Sezioni Unite, ma fu soprattutto nella Sezione Lavoro che spese la sua attività di magistrato. Sarebbe qui impossibil cosa ricordare le centinaia di decisioni cui prese parte come presidente o relatore (l’archivio “Italgiure” della Corte di cassazione ne include 3.258), ma almeno due vanno menzionate.
Onofrio Fanelli fu, innanzitutto, l’estensore di in intero “set” di decisioni che, tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, vennero abbattendo parificando in via pretoria, a fronte di una legislazione ancora incerta, la posizione delle lavoratrici a quella dei lavoratori: è il caso della estensione dell’indennità di maternità alla lavoratrice in stato di gravidanza, che, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, si trovi in aspettativa politica o sindacale non retribuita (Cass. civ., sez. un., 16.3.1993 n. 3092); oppure della estensione del diritto di congedo post partum anche alla lavoratrice che riceva un minore in affidamento preadottivo, durante i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del minore medesimo nella sua famiglia (Cass. civ., sez. un., 114.1990 n. 3073).
Ma a me piace ricordare che fu Onofrio Fanelli, in una ormai dimenticata sentenza di quasi quarant’anni fa, ad introdurre nel nostro ordinamento la risarcibilità dl danno (patrimoniale) da perdita di chance, principio destinato a grandi fortune negli anni che seguirono (Cass. civ., sez. lav., 19.12.1985 n. 6506).
Le doti di giurista di Onofrio Fanelli non rifulsero solo in sede giudiziaria.
Lui, che il diritto lo conosceva come pochi, come pochi lo maneggiava e - indirettamente - lo insegnava. La sua produzione scientifica cominciò già negli anni Settanta del secolo scorso. Pubblicò saggi sulle più svariate riviste, principalmente dell’area lavoristica (Informazione previdenziale, Il diritto del lavoro, Il lavoro nella giurisprudenza, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, Legalità e giustizia, Rassegna giuridica dell’energia elettrica, Il foro italiano).
Diresse la collana “Pratica giuridica” dell’editore Giuffrè, che raccolse in 52 volumi alcuni i più vari temi di diritto e procedura tanto civile, quanto penale.
Ma ove più e meglio spese le sue doti di studio, inquadramento ed organizzazione fu nella direzione del Repertorio del Foro italiano, la prestigiosa pubblicazione che da un secolo mezzo seleziona e raccoglie ogni anno normativa, giurisprudenza e dottrina.
Onofrio Fanelli iniziò a collaborare al Repertorio all’inizio degli anni Settanta, fino a divenirne direttore.
Essere direttore del Repertorio non è esattamente presiedere una bocciofila. Il Repertorio impone la selezione di migliaia di massime, testi normativi, contributi dottrinari. Un lavoro da far tremare i polsi, e che Onofrio Fanelli supervisionava interamente, e da solo. E lo ha fatto per anni, ancora pochi mesi prima di andarsene. Così come, da solo, concepì l’intera architettura delle voci e sottovoci del “Repertorio”: un lavoro che nell’epoca dei tanti laureati all’università di Google potrà sembrar poco, ma che per i (pochi?) giuristi ancora in circolazione è l’opera d’un Linneo.
Si è detto che Onofrio Fanelli poteva guardare “dall’alto” il diritto, per la sua capacità di tenerne insieme tutti gli ambiti. Guardava dall’alto il diritto, ma non i giuristi.
Lui, che pure ne avrebbe avuto ben donde, non manifestava mai alcuna supponenza nei confronti delle centinaia di persone con cui aveva a che fare. Aveva un sorriso per tutti, e per tutti un accento di comprensione. Possedeva un acume mai sotteso da presunzione, ed una cultura mai scostante.
Se il giurista Onofrio Fanelli fu pari a pochi, lo fu anche l’uomo Onofrio Fanelli. Ringrazio Dio per avermi concesso l’onore della sua conoscenza, lo stupore della sua competenza, il beneficio dei suoi insegnamenti.
E se è vero che “a egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”, quella di quest’Uomo non smetterà di ispirare chi vuole fare il mestiere di magistrato come va fatto: con zelo solerte ed operoso silenzio.