Francesco Mauro Iacoviello: il magistrato come “uomo libero”
di Tomaso Epidendio
Quando mi è stato chiesto di tracciare un profilo di Francesco Iacoviello, per salutarlo dopo essere andato in pensione, ho immediatamente pensato che molti possono vantare una frequentazione e una conoscenza, sia dell’uomo sia del magistrato, più durature e risalenti della mia e che meglio di me avrebbero potuto farlo.
Tuttavia credo non gli dispiaccia, in coerenza con la sua personalità, che sia uno degli “ultimi venuti” alla Procura generale della Corte di cassazione a parlare di lui: d’altro canto è questa per me l’occasione per poter esprimere pubblicamente la mia gratitudine, anche a nome dei colleghi dell'Ufficio, per quanto ci ha insegnato e il raro privilegio che è stato per noi lavorare con lui e di poterlo fare in piena libertà.
Dico “lavorare con lui” perché “lavorare insieme” esprime appieno il modo in cui abbiamo percepito egli avesse inteso il nostro servizio alla Procura generale e i rapporti con i sostituti: la porta del suo ufficio di Procuratore generale aggiunto è sempre stata aperta e vi si è sempre parlato di diritto: sempre abbiamo trovato pronto consiglio e interlocuzione, sia per le piccole sia per le grandi questioni che ciascuno di noi deve affrontare nel quotidiano esercizio della magistratura.
In quell’ufficio e parlando con lui abbiamo avuto modo di apprezzare la sua figura come pensatore e magistrato, l’una non disgiunta dall’altra, e questo ci ha consentito di trarre quelle che, nella mia percezione, sono le coordinate che egli ha impresso alla sua attività lungo la sua carriera in magistratura: fiducia nella ragione, attenzione all’uomo e curiosità per il mondo.
Fiducia nella ragione
Credo che il suo impegno scientifico sul ragionamento probatorio e la tecnica dell’argomentazione dimostri una fondamentale fiducia nella ragione argomentativa come strumento per giungere a soluzioni condivise, anche e soprattutto nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto.
Questo, da un lato, spiega la sua disponibilità al confronto con tutti (poiché la ragione non conosce autoritarietà gerarchica, ma solo autorevolezza derivante dal suo reggere alle confutazioni altrui) e, dall’altro, la frequente organizzazione di riunioni per discutere la posizione dell’ufficio sulle questioni giuridiche da affrontare.
D’altro canto, la ragione non conosce padroni, non conosce ideologie e infonde il coraggio per sostenere le soluzioni cui si è giunti, attraverso il suo esercizio e l’esposizione alla confutazione altrui o dei fatti, senza preoccuparsi di dispiacere ad alcuni, di inseguire il pensiero “alla moda” o di uniformarsi alle opinioni del momento. Per questo Francesco Iacoviello è stato un magistrato “coraggioso”, che non ha mancato di esporsi anche in processi delicatissimi e di grande clamore pubblico (si pensi ad esempio al concorso esterno in associazione mafiosa o a processi per gravi disastri colposi), perché come egli stesso ha chiarito in una sua nota requisitoria, di fronte alle sirene di una “giustizia” soggettiva e relativa, il magistrato deve sempre scegliere il “diritto”. Per questo chi ha lavorato con lui ha avuto modo di apprendere l’importanza a non essere sciocco ripetitore di massime, a non fare un mero ed esteriore sfoggio conoscitivo della giurisprudenza, ma a comprendere l’importanza e la portata del precedente, e diventare propulsore della vita del diritto che, di fronte a casi sempre nuovi, deve continuamente e incessantemente confrontarsi con le loro istanze.
Esercizio della ragione argomentativa non vuol dire infatti astrattezza, vuoto gioco della mente, al contrario vuol dire mettersi sempre alla prova con i fatti, misurarsi con le conseguenze della teoria, vuol dire concretezza, vuol dire esemplificare per mettere alla prova i concetti: per questo in lui il pensatore non è mai disgiunto dal magistrato, perché – e forse troppo spesso ci dimentichiamo di questo grande privilegio – il nostro lavoro ci consente di essere sempre in contatto con la sofferta ricchezza e varietà della vita e ci mette in condizioni di pensare meglio e di essere più consapevoli.
Qui emerge tutta l’importanza della esperienza maturata da Francesco Iacoviello in lunghi anni di carriera, svolta praticando sempre il diritto e le aule di giustizia: dal processo per il disastro del porto di Ravenna, all’inchiesta per i falsi in bilancio nel gruppo Montedison-Ferruzzi, dalle indagini su Mediobanca per arrivare al processo Andreotti e, poi, al processo per l’omicidio Lima, al processo IMI-SIR, a quello per il Lodo Mondadori, per il crollo della scuola di San Giuliano, per l’alluvione di Sarno; infine il processo Telecom, quello Parmalat, quello per il G8 di Genova e il cd. Processo Eternit. Ma la sua presenza si avverte anche in procedimenti di minore clamore pubblico, eppure ricchi di delicate questioni giuridiche, come quelli in materia di parziale equiparazione del mutamento giurisprudenziale a quello normativo in sede di incidente di esecuzione. Una lunga lista, certamente incompleta e che si potrebbe ulteriormente arricchire, ma che dimostra come solo una lunga e variegata esperienza consente quella profondità di pensiero e quella capacità di ammaestrare i più inesperti, che il Presidente Iacoviello ha sempre manifestato.
Mi piace ricordare il suo costante impegno in ufficio perché il più largo numero di sostituti avesse il privilegio di partecipare ai processi davanti alle Sezioni unite della Corte di cassazione e, in generale, perché tutti avessero la più ampia possibilità di maturare quell’esperienza necessaria alla crescita professionale di ciascuno e dell’intera Procura generale nei vari e differenti servizi.
Attenzione all’uomo
Proprio la concretezza con la quale Francesco Iacoviello concepisce l’esercizio della ragione argomentativa, non gli ha mai fatto dimenticare che il diritto è per l’uomo e si applica a uomini. Da qui la sua costante attenzione per le garanzie e il garantismo.
D’altro canto proprio la concretezza del suo approccio ha fatto sì che in lui la professione di garantismo si sia sempre tradotta in una visione delle garanzie colte nell’inestricabile intreccio del loro operare insieme nel diritto sostanziale e in quello processuale.
Solo la consapevolezza che le garanzie sostanziali del diritto penale debbano essere viste in stretta connessione con le possibilità operative delle correlative garanzie processuali consente di salvaguardarne l’effettività e non ridurle a vuota quanto astratta declamazione di alti principi.
Ci è stata quindi indicata una strada per non vedere le garanzie come opposte all’efficienza del sistema, ma come salvaguardia del funzionamento del sistema che vive nella connessione pratica del diritto processuale e di quello sostanziale.
In anticipo sulle mode di questi ultimi tempi – dove sempre più spesso si sente parlare di “istituti misti”, sostanziali e processuali – c’è solo da augurarsi che la sua voce non rimanga inascoltata e che continui a farcela sentire proseguendo la sua produzione scientifica in campo giuridico.
Attenzione all’uomo vuol dire però anche attenzione all’uomo-magistrato: essere sensibile e solidale nelle difficoltà personali, agevolare i rapporti sia nell’ufficio, attraverso il confronto aperto al maggior numero di interessati, sia tra uffici. Mi piace ricordare, ad esempio, l’impegno da lui profuso per l’adozione di Protocolli organizzativi tra Procura generale e Corte di cassazione, poi realizzatisi.
Curiosità per il mondo
L’attenzione concreta all’uomo e la fiducia nella ragione non possono poi che tradursi in una naturale curiosità intellettuale verso le trasformazioni del mondo che ci circonda e di quello che questo significa per il diritto.
Questo spiega l’eccezionale versatilità del suo impegno nelle diverse attività dell’ufficio della Procura generale: Francesco Iacoviello, infatti, è stato anche avvocato generale delegato al settore civile e al settore affari internazionali, dove è stato corrispondente nazionale per il terrorismo e delegato per l’ufficio nazionale del Forum dei procuratori generali dell’Unione europea; noto poi è il suo impegno in relazione alla materia dei contrasti tra uffici del pubblico ministero e nei rapporti con le Procure di merito.
Soprattutto è significativa la sua pionieristica attenzione alle fonti sovranazionali e alle attività della Corte europea dei diritti dell’uomo, da un lato, e di quella della Corte di giustizia dell’Unione europea, dall’altro, quando ancora poco se ne parlava e il “diritto giurisprudenziale” era considerato un concetto esoterico o comunque da trattare con sospetto.
Penso alla sua attenzione per le opportunità offerte dalla tecnologia nel nostro lavoro e all’impegno profuso nell’assicurare, attraverso la rete informatica, la più ampia circolazione di idee ed esperienze tra colleghi, anche attraverso la richiesta di schemi scritti di requisitoria da far circolare con il mezzo informatico tra i vari sostituti.
Da lui abbiamo imparato che un buon magistrato deve essere culturalmente attento a cogliere le trasformazioni che avvengono nel mondo, fuori e dentro il diritto, cosa che non è possibile fare se ci si rinchiude in stretti settori o ci si limita ai propri ristretti interessi giuridici.
Magistrato-pensatore e un uomo libero
Ho già scritto troppo contravvenendo, forse per eccesso di gratitudine e affetto, proprio ai precetti di chi si è sforzato di insegnarmi che, anche nella redazione degli atti, bisogna togliere l’ovvio e lasciare solo il significativo.
Aggiungo allora solo due chiose finali che, nella mia percezione, connotano la figura di Francesco Iacoviello ponendola come modello di magistrato.
La prima concerne il fatto che se, come è stato detto, lo scultore che pensa deve pensare nel marmo, allora credo che il magistrato che pensa deve pensare nella pratica del diritto: in questo senso, credo che Iacoviello incarni una icastica figura di “magistrato-pensatore”, esempio per noi tutti.
La seconda riguarda il nostro modo di essere magistrati in questo momenti storico, in cui l’uomo moderno non soffre più per l’eccesso di proibizioni, ma per l’eccesso di possibilità, che lo spingono a costruirsi da solo le gabbie di cui resta prigioniero: ebbene, credo che, talvolta, anche noi magistrati – che pure per disposizione costituzionale siamo soggetti soltanto alla legge e ci distinguiamo solo per diversità di funzioni, e non per grado, e che dunque godiamo delle più ampie garanzie di libertà – quali uomini moderni ci dimentichiamo del grande privilegio di cui godiamo e ci costruiamo da soli gabbie che ci impediscono di essere uomini completamente liberi.
Francesco Iacoviello ci ha indicato come fare i magistrati da uomini davvero liberi e soprattutto per questo suo esempio lo ringrazio.
Grazie Francesco del privilegio di averci fatto lavorare insieme a te e perdonami se ho travisato quello che tu hai trasmesso: continua ad occuparti di diritto perché il tuo lavoro non è finito.
Alleghiamo alcuni link di interventi di Francesco Mauro Iacoviello
Bilancio di Responsabilità Sociale - Illustrazione dell'attività della Procura generale della Corte di Cassazione
Roma, 5.12.19 Suprema Corte di Cassazione https://www.radioradicale.it/scheda/568420/bilancio-di-responsabilita-sociale-illustrazione-dellattivita-della-procura-generale?i=3963328
Il burocrate creativo. La crescente intraprendenza interpretativa della giurisprudenza penale
Firenze,16.7.16, Camera penale di Firenze https://www.radioradicale.it/scheda/486323/il-burocrate-creativo-la-crescente-intraprendenza-interpretativa-della-giurisprudenza?i=3606960
Il fenomeno della criminalità organizzata tra storia, economia e sociologia - prima giornata
Roma,1.3.17, Scuola superiore della magistratura