IL cinema: un ausilio intelligente alla formazione dei magistrati (storia di un esperimento riuscito a Scandicci)
di Andrea Apollonio
Spesso, troppo spesso e forse ingiustamente, si imputa alla classe magistratuale tutta di essere autoreferenziale, priva di capacità autocritica, e per ciò ermeticamente chiusa alle istanze e alle effettive esigenze della società. Nell'immaginario comune questo stato di cose lo si deriva, per lo più, dallo stesso percorso formativo del magistrato, che prevede una puntigliosa conoscenza delle norme e delle leggi, del sistema giuridico nel suo complesso, senza tuttavia interessarsi ad attività di più ampio respiro, di carattere culturale o intellettuale. Lo stesso concorso, d'altro canto, presenta un elevato coefficiente di complessità proprio perché comporta l'avere - solo e soltanto - un bagaglio di conoscenze teorico-giuridiche vasto se non sconfinato, su cui applicare le proprie tecniche di ragionamento inferenziale.
Per il vero, la gran parte dei magistrati ha un sostrato intellettuale spesso almeno quanto quello, tecnico-giuridico, adoperato quotidianamente. Eppure queste critiche colgono il segno tutte le volte in cui non si registrano, nei programmi di formazione, attività che vadano oltre la conoscenza e l'interpretazione del dato di legge, e tocchino magari più generali problemi della società, oppure approfondiscano con altri linguaggi il proprio ruolo.
Di tutto questo i giovani magistrati requirenti nominati con D.M. del 7 febbraio 2018 (la cui attività di formazione iniziale, a Scandicci, si è appena conclusa) erano consapevoli, quando hanno proposto al comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura di inserire tra le attività didattiche a loro rivolte anche la proiezione di un film, che spingesse gli studenti ad interrogarsi sulla natura della propria funzione, spesso esposta al rischio del pre-giudizio di chi la esercita. Una proposta infine accolta, ed in maniera molto favorevole, dal Direttivo: così, per la prima volta nella recente storia della formazione di quelli che un tempo erano gli "uditori" giudiziari - ed oggi m.o.t., terribile acronimo di magistrato ordinario in tirocinio -, a Scandicci, dopo l'orario delle lezioni frontali "tradizionali", è stato proiettato l'immortale film di Dino Risi, "In nome del popolo italiano", al quale è seguito un intenso e partecipato dibattito coordinato proprio da un membro del Direttivo, il prof. Riccardo Ferrante.
Uno dei film migliori e più intelligenti mai prodotti sulla magistratura, un film in questo senso necessario, che già nel 1971 si interrogava sull'uso distorto della funzione giudiziaria (celebre la scena in cui l'indagato Vittorio Gassman urla a Ugo Tognazzi: "Lei mi odia a livello ideologico, lei è prevenuto contro di me, lei non è un buon giudice!"; e purtroppo, la storia raccontata nel film gli darà ragione). Un'opera che gli stessi studenti, magistrati in procinto di prendere le funzioni nelle rispettive sedi, hanno voluto dibattire, approfondendo - in un momento di formazione intellettuale "collettiva" - i rischi che un approccio eccessivamente ideologizzato alla giurisdizione, in qualsiasi senso esso sia rivolto, produce nei casi concreti.
L'auspicio, quindi, è che un'attività didattica di questa natura possa essere organicamente inserita nei programmi di formazione, almeno della formazione iniziale dei m.o.t., che tornerà presto ad essere di ben diciotto mesi; giacché vedersi rivolgere domande cruciali sulla propria funzione, per mezzo di espressioni artistiche, quale quella cinematografica, che lasciano sempre un solco profondo nella coscienza di ciascuno, vuol dire incarnare il ruolo giudiziario con maggiore consapevolezza; meglio "attrezzati". La premessa (l'attenzione alla tematica da parte della Scuola Superiore) è nei fatti: l'auspicio è che l'esperimento ben riuscito a Scandicci qualche settimana fa non sia un esempio virtuoso ma isolato, bensì il punto d'avvio di un nuovo modo di concepire la formazione, che faccia leva anche sui linguaggi diversi da quello giuridico per preparare meglio - e a tutto tondo - il magistrato di domani alle sfide della modernità; che già oggi appaiono ciclopiche.