ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Azioni di classe e diritti umani
Elisabetta Silvestri
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le human rights class actions. – 2.1 Qualche esempio. – 3. Recenti sviluppi: il caso Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co. – 4. Le human rights class actions: un modello esportabile? – 5. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione.
Associare i diritti umani alle azioni di classe suona, almeno in apparenza, come un “matrimonio” davvero mal combinato. Ben difficilmente, pensando alla protezione dei diritti umani, si prendono in considerazione forme di tutela di tipo civilistico, posto che il risarcimento del danno subito dalla vittima della violazione è percepito come una inaccettabile monetizzazione di un pregiudizio che, il più delle volte, non è suscettibile di riparazione. Al tempo stesso, il parlare di azioni di classe e, in particolare, delle class actions statunitensi, evoca scenari tra loro contraddittori. Da un lato, si affaccia alla mente un’immagine positiva dell’istituto, personificata dai paladini dei diritti dei consumatori (per citarne solo due molto noti, Ralph Nader e, in epoca più recente, Erin Brockovich), che sfidano in giudizio le grandi corporations e riescono, proprio attraverso lo strumento dell’azione di classe, a condizionarne il comportamento. Dall’altro lato, invece, il pensiero corre ad un’immagine negativa, ben descritta, ad esempio, da un noto romanzo di John Grisham, intitolato “Il re dei torti”[1], ossia l’immagine dell’avvocato assetato di denaro, che crea dal nulla le basi per un’azione di gruppo, al solo scopo di estorcere al convenuto una transazione che arricchirà solo lui e non i soggetti che rappresenta. Questa seconda immagine è forse quella che più si è radicata nell’opinione comune e certamente è l’immagine che rischia di condizionare il futuro dibattito sulle possibili forme di tutela di gruppo o collettiva, un dibattito molto vivo a livello internazionale e particolarmente intenso nell’Unione Europea[2].
In ogni caso, non è consueto trattare delle azioni di classe presentandole come uno strumento processuale di tipo civilistico utilizzabile a tutela dei diritti umani: lo scopo di questo scritto è proprio quello di dimostrare che le azioni di classe possono essere impiegate anche al di fuori di quello che è il loro tradizionale ambito di applicazione, menzionando un’esperienza importante, almeno a giudizio di chi scrive. Si tratta dell’esperienza statunitense delle human rights class actions, un’esperienza finora poco conosciuta fuori dagli Stati Uniti: un’esperienza in chiaroscuro, che tuttavia merita di essere segnalata, in quanto può offrire importanti spunti di riflessione anche per altri ordinamenti.
2. Le human rights class actions.
Le human rights class actions sono azioni di gruppo che possono essere proposte dinanzi alle corti federali statunitensi a tutela delle vittime di violazioni di diritti fondamentali, con alcune peculiarità che saranno messe in luce più oltre. È evidente che il parlare di un rimedio civilistico fa pensare immediatamente ad una tutela di tipo risarcitorio e, naturalmente, non c’è bisogno di elaborare intorno alla circostanza che, nel caso di una violazione di diritti fondamentali, non solo il risarcimento del danno subito dai soggetti appare come qualcosa di assolutamente inadeguato, ma anche un rimedio di tipo inibitorio può essere considerato poco soddisfacente. Tuttavia, l’intento di questo scritto è dimostrare che il vero scopo delle human rights class actions non è quello (o non è solo quello) di monetizzare il pregiudizio subito dalle vittime o di impedire l’iterazione della condotta lesiva in futuro.
Sembra superfluo soffermarsi sulla struttura delle azioni di classe, ben note ormai anche nel nostro ordinamento. Nei sistemi giuridici in cui queste azioni esistono, le varianti sono molte e legate soprattutto al cd. opt-in o opt-out, ossia alla necessità che i membri della classe manifestino la loro intenzione di associarsi all’azione (opt-in), oppure si dissocino espressamente dall’azione stessa (opt-out)[3]. In concreto, il modello di azione superindividuale più efficiente e più sperimentato è quello statunitense, appunto la class action[4]. Ed è proprio questo modello che, da alcuni anni, viene utilizzato anche dalle vittime di violazioni di diritti fondamentali: l’aspetto più interessante è certamente il fatto che i soggetti cui è concessa questa forma di tutela sono in genere cittadini di Stati diversi dagli Stati Uniti e che l’evento lesivo, che ha comportato la violazione di diritti umani, di regola si è verificato al di fuori del territorio statunitense.
Le norme che hanno consentito lo sviluppo di questa particolare forma di tutela sono due leggi federali emanate in epoche molto lontane tra loro: la prima, l’Alien Tort Claims Act (ATCA)[5] risale agli albori della Confederazione, essendo del 1789, mentre la seconda è il Torture Victim Protection Act (TVPA) del 1991[6]. Spesso, queste due leggi sono utilizzate insieme, perché entrambe prevedono che le corti federali abbiano giurisdizione rispetto ad azioni di danno proposte contro chi si sia reso responsabile di una violazione della “law of nations” (intesa come l’insieme dei principi fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale, anche consuetudinario), oppure si sia reso responsabile di atti di tortura (intesa in senso amplissimo[7]) nei confronti di uno o più soggetti. La giurisdizione delle corti distrettuali americane sussiste indipendentemente sia dalla nazionalità del soggetto (o dei soggetti) che assumono la veste di parti nel procedimento, sia indipendentemente dal luogo in cui l’evento si è verificato, sia, infine, indipendentemente dal fatto che l’autore della condotta lesiva affermi di avere agito nell’esercizio di un potere o di un’autorità legittimamente conferitigli.
Nella nostra prospettiva, tutto questo sembra molto strano. Occorre però tenere presente che il concetto di giurisdizione civile negli Stati Uniti è decisamente diverso dal nostro. Se una legge del Congresso attribuisce un’azione alla giurisdizione delle corti federali, questo fatto è da solo sufficiente e non occorre nient’altro per il promovimento dell’azione: la nazionalità delle parti è irrilevante, come lo è il luogo in cui l’evento lesivo si è verificato. In altre parole, non è necessario nessun altro collegamento con l’ordinamento statunitense e la legge americana è immediatamente applicabile. L’azione civile può quindi essere proposta e proseguita alla sola condizione che il convenuto, se si tratta di una persona fisica, si trovi anche solo temporaneamente sul suolo americano[8] o, trattandosi di una persona giuridica, abbia quelli che sono definiti come “contatti minimi” con l’ordinamento statunitense, ad esempio una sede secondaria o una società collegata[9].
Tutto questo ha consentito lo sviluppo delle human rights class actions, da molti considerate come la “nuova frontiera” della tutela collettiva[10], destinata ad acquisire (almeno nell’auspicio di chi ritiene che le vittime di violazioni di diritti fondamentali non possano accontentarsi delle sole sanzioni penali inflitte all’autore della condotta lesiva) un respiro internazionale di grande rilievo, in linea con la migliore tradizione delle class actions americane che, soprattutto in passato, hanno rappresentato uno strumento giudiziario fondamentale nella prospettiva di importanti riforme varate dal legislatore proprio sulla spinta di azioni promosse nell’intento di realizzare un’effettiva giustizia sociale[11].
2.1. Qualche esempio.
Dall’analisi della giurisprudenza federale in tema di human rights class actions emergono almeno due tipi di azioni di classe proposte sulla base delle due leggi citate più sopra: un primo gruppo di azioni vede nella veste di convenuto un soggetto identificato come l’autore della violazione in applicazione dei principi che regolano la cd. responsabilità da comando; un secondo gruppo comprende azioni proposte contro chi detiene la rappresentanza legale di società multinazionali, ritenute colpevoli di aver violato (o di non avere impedito la violazione) di diritti fondamentali nei luoghi in cui hanno svolto la propria attività[12]. Come si è già sottolineato, il tratto comune ad entrambi i tipi di azione è la circostanza che esse rappresentano il ricorso ad uno strumento processuale previsto dal diritto interno, ma in relazione a vicende che non hanno un collegamento specifico con gli Stati Uniti e che tuttavia possono essere devolute alla giurisdizione delle corti federali, alle quali viene riconosciuto il potere di dare attuazione alle norme di diritto internazionale che vietano la violazione di diritti umani, siano esse contenute in trattati internazionali multilaterali o di natura consuetudinaria.
Alle azioni promosse sulla base della dottrina della command responsability appartiene la prima azione di classe a tutela dei diritti umani di cui si ha notizia, ossia quella intentata contro Ferdinand Marcos, il dittatore delle Filippine, sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso[13]. Si tratta di una human rights class action molto importante sia per il numero di persone interessate (la classe era composta da non meno di diecimila individui), ma anche perché risulta essere l’unica, ad oggi, in cui il risarcimento dei danni concesso dalla giuria è stato effettivamente distribuito ai membri della classe, sia pure tra molte difficoltà[14].
Numerose, poi, sono state le azioni di classe intentate contro multinazionali impegnate, ad esempio, nell’estrazione di petrolio e altre risorse naturali in paesi in via di sviluppo, attività in occasione delle quali gli agenti delle società avrebbero esercitato sui residenti violenze di ogni genere. Merita di essere segnalato, in particolare, il caso Doe v. Unocal, una class action promossa dagli abitanti di una regione della Birmania, in cui la compagnia petrolifera Unocal (e altre società collegate) avevano realizzato un gasdotto, costringendo la popolazione locale al lavoro forzato e assoggettandola a sistematiche violazioni dei diritti umani. Nella prima decisione di una vicenda processuale particolarmente complessa venne affermato un importante principio, quello della responsabilità di una corporation per i danni causati dalla violazione di diritti umani perpetrata sia da agenti della società, sia da soggetti terzi (nel caso di specie, dalla polizia birmana) con la complicità dei vertici di Unocal[15]. L’indubbio valore dell’affermazione di tale principio, tuttavia, non deve indurre a ritenere che la sentenza nel caso Doe v. Unocal abbia “fatto giurisprudenza”, costituendo un precedente vincolante per altre corti federali: al contrario, sono numerosi i casi in cui class actions proposte contro multinazionali in relazione a fatti del tutto analoghi a quelli attribuiti alla società Unocal hanno avuto un esito sfavorevole alla classe o sono state dichiarate addirittura inammissibili in limine litis[16].
Non è possibile in questa sede analizzare in dettaglio le molte human rights class actions proposte sulla base dell’ATCA o del TVPA, alcune delle quali sollevano complesse, ma interessanti questioni strettamente processuali, la cui trattazione sarebbe fuori luogo in uno scritto che si propone di segnalare l’esistenza (e la vitalità) di uno strumento di tutela contro le violazioni di diritti umani ancora poco noto, almeno al di qua dell’Atlantico. Tuttavia, è necessario precisare, anche al fine di evitare fraintendimenti, che molte delle human rights class actions terminate con una decisione favorevole alla classe non hanno arrecato nessuna utilità concreta alle vittime, che non sono state in grado di conseguire la loro quota-parte del risarcimento del danno concesso a seguito dell’accertamento della responsabilità del convenuto. Allo stesso tempo, però, è anche opportuno sottolineare che, almeno nell’opinione di chi sostiene l’utilità di queste azioni, l’effettivo risarcimento alle vittime deve essere considerato come una sorta di valore aggiunto rispetto all’esito positivo dell’azione. In effetti, il risarcimento del danno e la possibilità di ottenerlo concretamente non rappresentano la funzione primaria di questa forma di tutela: le human rights class actions sono utilizzate, innanzi tutto, come strumento per dare visibilità alle vittime e, allo stesso tempo, per “mettere alla gogna” l’autore della violazione, esponendo la sua condotta alla riprovazione generale ed esercitando nei suoi confronti una funzione di deterrenza rispetto alla ripetizione della condotta lesiva, quando la ripetizione di tale condotta è probabile o anche solo possibile.
Tuttavia, mettendosi nei panni delle vittime di violazioni di diritti fondamentali, ci si può legittimamente chiedere che senso abbia essere membri di una classe coinvolta in un’azione giudiziaria di questo genere, se è molto probabile che anche un’eventuale sentenza favorevole alla classe abbia un valore quasi solo simbolico e non porti alle vittime nessun beneficio concreto, neppure quella minima riparazione del danno subito che potrebbe derivare da un risarcimento. La ragione è semplice e ha a che vedere con la struttura del procedimento proprio delle class actions. Se un solo individuo ha iniziato l’azione in rappresentanza della classe (ossia, di una pluralità di soggetti innominati ugualmente pregiudicati dalla condotta di uno stesso convenuto), i membri della classe non hanno l’onere di rendersi parti attive nel procedimento, assumendo iniziative processuali o partecipando al giudizio, ad esempio in veste di litisconsorti. Al contrario, essi potranno adottare un comportamento del tutto passivo e, di fatto, disinteressarsi del processo in attesa della sua conclusione[17]: solo nel caso in cui la corte pronunci una decisione favorevole alla classe, riconoscendo la responsabilità del convenuto, i membri della classe avranno l’onere di farsi vivi per poter reclamare, se del caso, la loro quota parte di risarcimento.
Quindi, in sostanza, la human rights class action ha una finalità alquanto diversa da quella strettamente risarcitoria cui si tende ad associare il concetto di un rimedio di tipo civilistico. Non si dimentichi, comunque, che negli Stati Uniti sono frequenti (e lo sono anche nei casi promossi come azioni di classe, indipendentemente dal fatto che oggetto del contendere sia o non la violazione di diritti fondamentali) le condanne ai cd. danni punitivi, la cui funzione è puramente sanzionatoria e non risarcitoria, ossia una funzione essenzialmente volta alla deterrenza rispetto all’iterazione della condotta lesiva[18].
3 . Recenti sviluppi: il caso Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co.
Nel momento attuale, le prospettive di ulteriori sviluppi delle human rights class actions sembrano avere subito una battuta d’arresto a causa della più recente giurisprudenza della Corte Suprema statunitense, che ha fortemente ridimensionato le possibilità di convenire in giudizio avanti le corti federali cittadini stranieri che si siano resi responsabili di violazioni dei diritti umani compiute al di fuori degli Stati Uniti e in danno di soggetti privi della cittadinanza americana. Nel caso Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co.[19], infatti, la Corte Suprema ha escluso che all’ATCA possa riconoscersi un ambito di applicazione extraterritoriale: il caso riguardava un gruppo di nigeriani residenti negli Stati Uniti, tutti provenienti da uno stesso villaggio, nel quale la compagnia petrolifera olandese aveva iniziato lavori di trivellazione per la ricerca di giacimenti petroliferi. Gli attori (ai quali era stato concesso diritto d’asilo negli Stati Uniti) lamentavano di essere stati vittime di violazione dei loro diritti fondamentali, violazioni attuate mediante violenze di ogni genere, perpetrate dagli agenti della società petrolifera con la complicità del governo nigeriano. Dopo varie vicende processuali, il caso è arrivato alla Corte Suprema, che, con argomentazioni complesse, ha escluso che atti illeciti commessi fuori dal territorio statunitense e ad opera di cittadini stranieri possano legittimare un’azione risarcitoria promossa dalle vittime avanti una corte federale, anche quando il danno lamentato è conseguenza di atti di particolare gravità, in quanto lesivi di diritti umani. Un passaggio della sentenza è particolarmente significativo per comprendere come la Corte abbia freddato gli entusiasmi dei sostenitori delle human rights class actions. Secondo la Corte Suprema, nulla indica che l’ATCA sia stato concepito per fare degli Stati Uniti un foro privilegiato per l’attuazione di norme di diritto internazionale, quali sono quelle che reprimono la violazione di diritti fondamentali. Comunque si voglia interpretare la decisione nel caso Kiobel, appare certo che sul versante giurisprudenziale la Corte Suprema ha inaugurato una stagione di “disimpegno” nella tutela dei diritti umani, utilizzando sofisticati argomenti giuridici, che tuttavia sembrano celare scelte politiche ben precise[20].
4. Le human rights class actions: un modello esportabile?
È probabile che quanto esposto nei paragrafi che precedono a proposito delle human rights class actions abbia il sapore di una notizia curiosa, che ben rappresenta uno dei tanti aspetti del cd. “eccezionalismo” americano, di cui molto si parla anche in campo giuridico. Ed è ugualmente probabile che, agli occhi del giurista di civil law, l’esperienza statunitense che si è cercato di descrivere appaia forse interessante, ma non imitabile negli ordinamenti dell’Europa continentale. Ciò che segna la differenza è la tradizione, profondamente radicata nell’ordinamento nordamericano, di ricorrere al processo (promosso in forma sia individuale che collettiva) nella prospettiva di farne uno strumento di riforma sociale o, più in generale, attribuendogli una funzione pubblicistica ben più ampia della semplice finalità di porre fine ad una controversia specifica tra due o più parti contrapposte[21]. La public law litigation (grazie alla quale, ad esempio, si è posto fine alla segregazione razziale nelle scuole o sono state migliorate le condizioni di vita della popolazione carceraria), come pure il cd. private enforcement di norme di diritto pubblico (quali le norme in materia di concorrenza o sul funzionamento dei mercati finanziari) hanno in un certo senso aperto la strada a quella che viene ora definita come la transnational public law litigation, intesa come l’azione civile, individuale o collettiva, esperibile avanti le corti federali statunitensi per la tutela di diritti fondamentali pregiudicati da atti compiuti in violazione del diritto internazionale[22]. Le human rights class actions certamente si iscrivono in questo nuovo tipo di litigation, che – come si è detto – ha avuto fortune alterne e, nel momento attuale, pare destinata ad un futuro incerto, in conseguenza dell’orientamento restrittivo adottato dalla Corte Suprema. Se questa è la situazione negli Stati Uniti, le cose non vanno meglio altrove: il modello di un’azione civile collettiva a tutela delle vittime di violazioni dei diritti umani non sembra essere esportabile fuori dagli Stati Uniti. Negli ordinamenti europei, in particolare, un “trapianto” di questo genere appare come un wishful thinking destinato a rimanere tale, considerando che, per ora, le idee delle istituzioni comunitarie sulle azioni di gruppo da un lato sono assai vaghe e, dall’altro lato, certamente non contemplano i diritti umani tra le situazioni specificamente tutelabili in forma collettiva o, in generale, superindividuale.
5. Considerazioni conclusive.
Nel dibattito dottrinale sulle human rights class actions è frequente il riferimento al concetto di giurisdizione universale, di cui si parla, di norma, con riferimento alla giurisdizione penale e, in particolare, alla giurisdizione penale internazionale, intesa come il potere di uno Stato di perseguire penalmente chiunque si sia reso colpevole di crimini tanto gravi da essere considerati come contro l’intera società umana e, quindi, indipendentemente da qualunque collegamento fra l’atto compiuto, la nazionalità delle vittime e dell’autore del crimine e lo Stato che intenda agire penalmente. Molti autori sostengono l’opportunità di ammettere anche l’esistenza di una giurisdizione civile universale, nella prospettiva di fare dell’azione civile uno strumento supplementare a garanzia del rispetto di norme internazionali che vietano condotte particolarmente offensive e riprovevoli. Il dibattito sulla possibilità di riconoscere l’esistenza di una giurisdizione civile universale è molto vivace[23]. Il tema certamente pone problemi complessi, che riguardano tra l’altro il concetto di sovranità degli Stati e la possibilità di ammettere che norme nazionali abbiano un’efficacia extraterritoriale: in linea di principio, è ben noto che lo stesso concetto di giurisdizione è un concetto con una forte componente territoriale, legato com’è al concetto di sovranità nazionale, sovranità che, a sua volta, fa riferimento ad uno specifico territorio. Si comprende, quindi quanto sia forte la contrapposizione tra chi vede nella giurisdizione civile universale e nelle azioni con cui questa può essere esercitata l’espressione del dovere della comunità internazionale di offrire tutela non solo penale alle vittime di chi, con la sua condotta, si sia reso “hostis humani generis” e chi, all’opposto e forse più pragmaticamente, ritiene che ragioni di politica estera e di salvaguardia delle relazioni e del commercio internazionali sconsiglino di riconoscere una giurisdizione di questo tipo.
In conclusione, l’auspicio di chi scrive è che l’esperienza delle human rights class actions statunitensi non solo prosegua, pur con tutte le difficoltà del caso e nonostante le chiusure della Corte Suprema, ma possa anche fornire spunti per lo sviluppo di analoghe azioni in altri ordinamenti. La comunità internazionale, infatti, dovrebbe sì preoccuparsi della repressione penale della violazione di diritti umani, ma anche non trascurare di “prendersi cura” delle vittime. E il “prendersi cura” delle vittime, qualunque cosa ciò significhi a livello di strumentario giuridico messo a loro disposizione da ciascun ordinamento, può essere realizzato solo attraverso rimedi di tipo civile.
[1] John Grisham, Il re dei torti (trad. it.), Mondadori Editore, 2004.
[2] La vastità della letteratura esistente sul problema della tutela collettiva (o di gruppo o di classe) nelle sue diverse declinazioni a livello mondiale impedisce di fornire indicazioni bibliografiche adeguate all’importanza dell’argomento e che, al tempo stesso, non rappresentino un mero “centone” di tutto quanto è stato scritto sul tema. Un buon punto di partenza per l’approfondimento delle tematiche coinvolte è costituito dalla panoramica offerta dal sito “Global Class Actions Exchange”, gestito dalla Stanford Law School, che, grazie ad uno specifico motore di ricerca, consente di esaminare la legislazione vigente in una varietà di ordinamenti: il sito è consultabile all’indirizzo http://globalclassactions.stanford.edu/. Con riferimento all’Unione Europea ed alle iniziative assunte in tema di “ricorsi collettivi” (per utilizzare la terminologia fatta propria dalla Commissione), sia consentito il rinvio a E. Silvestri, Group actions ‘à la mode européenne’: a kinder, gentler class action for Europe?, in C. B. Picker – G. I. Seidman (eds.), The Dynamism of Civil Procedure-Global Trends and Developments, Springer Int’l Publishing, 2016, pp. 203-214. Più di recente, è stata elaborata una proposta di direttiva che dovrebbe assicurare l’adozione in tutti gli Stati Membri di un modello uniforme di azione collettiva, in applicazione di alcuni dei principi contenuti nella Raccomandazione della Commissione dell’11 giugno 2013 relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria: cfr. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE [COM(2018) 184 final], consultabile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:adba9e47-3e34-11e8-b5fe-01aa75ed71a1.0014.02/DOC_1&format=PDF
[3] La circostanza che la disciplina positiva dell’azione di gruppo preveda il meccanismo dell’ opt-in oppure dell’ opt-out incide in maniera significativa sull’effettività dello strumento. Non a caso, una delle ragioni che, insieme ad altre, hanno determinato il fallimento dell’azione di classe italiana prevista dall’art. 140 bis del Codice del consumo per la tutela dei “diritti individuali omogenei” di consumatori e utenti è rappresentata dal fatto che, proposta l’azione ad opera di un singolo consumatore o utente (o, in alternativa, di un’associazione di consumatori o di un comitato, su “mandato” di un componente della “classe”, intendendosi per tale – si suppone – quella costituita dall’insieme degli individui ugualmente pregiudicati dalla condotta lesiva posta in essere da uno stesso soggetto), la possibilità di estendere l’efficacia della decisione ad altri potenziali membri della “classe” presuppone la loro “adesione” al procedimento: sull’argomento, sia consentito il rinvio a E. Silvestri, Class actions in Italy: great expectations, big disappointment, in V. Harsági and C.H van Rhee (eds), Multy-Party Redress Mechanisms in Europe: Squeaking Mice?, Intersentia, 2014, pp. 197-207. È noto che la legge 12 aprile 2019, n. 31 ha introdotto nel codice di procedura civile il nuovo titolo VIII-bis intitolato “Dei Procedimenti collettivi”, che contiene la rinnovata disciplina dell’azione di classe (articoli da 840-bis a 840-quinquiesdecies) e dell’azione inibitoria (art. 840-sexiesdecies), con conseguente abrogazione delle norme disciplinanti i due tipi di azione, già contenute nel Codice del consumo. Le nuove norme (la cui entrata in vigore è stata prorogata al 19 novembre 2020), peraltro, ripropongono inalterato il meccanismo dell’opt-in, giustificando un forte scetticismo circa le “magnifiche sorti e progressive” degli istituti novellati.
[4] La letteratura sulle class actions, previste dalla Rule 23 delle Federal Rules of Civil Procedure, è sterminata. Una sintesi tuttora valida delle linee essenziali dell’istituto è costituita dallo studio di A. Giussani, Studi sulle ‘class actions’, CEDAM, 1996. La disciplina delle class actions ha subito modifiche in senso restrittivo nel 2005, nel tentativo di limitare un presunto abuso nell’utilizzo di questa forma di tutela. Su quanto le nuove disposizioni abbiano condizionato l’effettività di uno strumento processuale creato per favorire l’accesso alla giustizia di soggetti che, a titolo individuale, non sarebbero in grado di sostenere il peso economico di un processo, ma “corrotto” nella prassi da una classe forense impegnata essenzialmente ad utilizzarlo come strumento di facili guadagni, le opinioni sono discordi: si vedano, ad esempio, i giudizi diametralmente opposti di B. T. Fitzpatrick, The end of class actions?, in Arizona L. Rev., vol. 57, 2015, pp. 161-199 e di R. L. Marcus, Bending in the breeze: American class actions in the twenty-first century, in DePaul L. Rev. , vol 65, 2016, pp. 497-533.
[5] La norma che qui interessa è ora contenuta nel par. 1350 del Titolo 28 dello United States Code e recita: “The district courts shall have original jurisdiction of any civil action by an alien for a tort only, committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States”.
[6] La parte rilevante della legge è la seguente: “Establishment of civil action. (a) Liability. – An individual who, under actual or apparent authority, or color of law, of any foreign nation – (1) subjects an individual to torture shall, in a civil action, be liable for damages to that individual; or – (2) subjects an individual to extrajudicial killing shall, in a civil action, be liable for damages to the individual's legal representative, or to any person who may be a claimant in an action for wrongful death”.
[7] Di seguito, la definizione di tortura contenuta nel TVPA: “Torture – For the purposes of this Act – (1) the term "torture" means any act, directed against an individual in the offender's custody or physical control, by which severe pain or suffering (other than pain or suffering arising only from or inherent in, or incidental to, lawful sanctions), whether physical or mental, is intentionally inflicted on that individual for such purposes as obtaining from that individual or a third person information or a confession, punishing that individual for an act that individual or a third person has committed or is suspected of having committed, intimidating or coercing that individual or a third person, or for any reason based on discrimination of any kind; and – (2) mental pain or suffering refers to prolonged mental harm caused by or resulting from – (A) the intentional infliction or threatened infliction of severe physical pain or suffering; – (B) the administration or application, or threatened administration or application, of mind altering substances or other procedures calculated to disrupt profoundly the senses or the personality; – (C) the threat of imminent death; or – (D) the threat that another individual will imminently be subjected to death, severe physical pain or suffering, or the administration or application of mind altering substances or other procedures calculated to disrupt profoundly the senses or personality”.
[8] Un esempio concreto può forse consentire una migliore comprensione delle peculiarità che contraddistinguono la jurisdiction federale in materia civile. L’esempio riguarda la prima azione individuale proposta da cittadini non statunitensi avanti corti federali in base ad una delle due leggi menzionate nel testo (nella fattispecie, l’ATCA), lamentando la violazione di diritti fondamentali perpetrata fuori dal territorio statunitense: si tratta del caso Filártiga v. Peña-Inala del 1980. Brevemente, i fatti, tutti verificatisi in Paraguay: Joelito Filártiga era figlio di un oppositore al regime del dittatore Alfredo Stroessner. Joelito era stato catturato da Américo Peña-Inala, ufficiale di polizia, per ritorsione contro le attività anti-regime del padre: a seguito delle torture subite, Joelito Filártiga era morto. Anni dopo, la sorella del defunto, Dolly Filártiga, era approdata negli Stati Uniti, ottenendo asilo polico, ed aveva scoperto che anche Américo Peña-Inala si era trasferito negli Stati Uniti, dove ormai risiedeva, sia pure illegalmente. Dolly aveva quindi agito dinanzi ad una corte federale di primo grado sulla base dell’ATCA, chiedendo (e, alla fine, ottenendo) la condanna di Peña-Inala al risarcimento dei danni causati a lei stessa e alla famiglia Filártiga dalla morte violenta di Joelito. Com’è evidente, le parti erano straniere, come lo era anche la vittima; i fatti si erano svolti in Paraguay. L’unico collegamento con gli Stati Uniti, sufficiente però a fondare la giurisdizione della corte federale, era – al momento della proposizione dell’azione – la presenza sul territorio americano del convenuto Américo Peña-Inala. Un’interessante analisi retrospettiva del caso, considerato (a torto o a ragione) un leading case per la tutela dei diritti fondamentali può leggersi in K. E. Holt, Filártiga v. Peña-Inala after ten years: major breakthrough or legal oddity?, in Georgia Journal of International & Comparative Law, vol. 20, 1990, pp. 543-569.
[9] Ciò non toglie, tuttavia, che molti siano gli ostacoli che, in concreto, possono rendere problematica l’instaurazione di una class action di questo genere, ostacoli in parte legati all’interazione tra le norme sulla legittimazione ad agire federale ed altre norme, ad esempio in materia di termine di prescrizione dell’azione o di forum non conveniens, in parte discendenti da non trascurabili difficoltà pratiche, quale quella di identificare esattamente la persona cui attribuire la responsabilità della condotta lesiva: sul tema, cfr. diffusamente M. A. Ratner, Factors impacting the selection and positioning of human rights class actions in United States Courts: a practical overview, in New York University Ann. Survey of American L., vol. 58, 2003, pp. 623-649.
[10] In questo senso cfr., ad esempio, K. R. Johnson, International human rights class actions: new frontiers for group litigation, in Michigan State L. Rev., 2004, pp. 643-670.
[11] Non si dimentichi che il famoso caso Brown v. Board of Education (347 U.S. 483), che nel 1954 determinò la fine della segregazione razziale nelle scuole pubbliche e rappresentò un punto di svolta per lo sviluppo del movimento a favore della tutela generalizzata dei diritti civili, venne iniziato proprio nella forma di una class action.
[12] Per questa classificazione, cfr. B. Van Schaack, Unfilled promise: the human rights class action, in The University of Chicago Legal Forum, 2003, pp. 279-352, part. p. 282 ss.
[13] Cfr. Hilao v. Estate of Ferdinand Marcos, 103 F3rd 767, 771 (9th Cir 1996): questa, in realtà, è la decisione finale resa da una Corte d’appello federale a conclusione di un complesso iter processuale, iniziato nel 1986, poco dopo la fuga di Marcos dalle Filippine e il suo esilio alle Hawaii.
[14] Il risarcimento ammontava a circa due miliardi di dollari; l’esecuzione della sentenza favorevole alla classe era risultata inizialmente impossibile, perché, nel frattempo, la quasi totalità del patrimonio di Marcos era stata messa al sicuro in banche svizzere. Complesse negoziazioni tra le banche, la famiglia Marcos, il governo delle Filippine e i rappresentanti delle vittime delle violazioni perpetrate dal dittatore portarono a qualche risultato solo nel 2011, quando alcuni degli aderenti alla class action (o i loro eredi) furono in grado di ricevere la somma corrispondente alla loro quota-parte del risarcimento accordato alla classe: un risarcimento sostanzialmente simbolico, considerando il tempo intercorso dall’inizio del procedimento e, soprattutto, dagli anni ai quali risalivano le atrocità compiute da Marcos e dai suoi sostenitori: cfr. R. A. Swift, A human rights class action distribution in the Philippines, in The Philadelphia Lawyer (Winter 2012), pp. 38-41, disponibile all’indirizzo http://www.philadelphiabar.org/WebObjects/PBAReadOnly.woa/Contents/WebServerResources/CMSResources/TPL.winter12_philipines.pdf.
[15] Anche in questo caso, il processo, iniziato sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, si concluse solo nel 2005, con una transazione tra le parti, i cui termini non furono resi noti al pubblico: cfr. A. Rosencranz, D. Louk, Doe v. Unocal: holding corporations liable for human rights abuses on their watch, in Chapman L. Rev., vol. 8, 2005, pp. 130-147.
[16] Sul punto, cfr. ampiamente D. Kinley & J. Tadaki, From talk to walk: the emergence of human rightss responsabilities for corporations at international law, in Virginia J. of International L., vol. 44, 2003-2004, pp. 931-1023.
[17] Viene qui in considerazione uno degli aspetti più caratteristici della class action, rappresentato – appunto – dalla possibilità che i membri della classe rimangano estranei al processo promosso dal class representative, a meno che non decidano di auto-escludersi dalla classe e dal processo attraverso il cd. opt-out, perché, ad esempio, intendono promuovere un’azione individuale contro il convenuto.
[18] Sui rapporti tra condanna ai punitive damages e azioni di classe, cfr., ad esempio, F. E. McGovern, Punitive damages and class actions, in Louisiana L. Rev., vol. 70, 2010, pp. 435-462. Sui punitive damages la letteratura (anche quella in lingua italiana) è vastissima: sul tema, che ciclicamente torna alla ribalta anche nell’ordinamento italiano sotto il profilo della possibilità che sentenze straniere portanti condanna ai danni punitivi siano riconosciute o meno, cfr. C. De Menech, Il problema della riconoscibilità di sentenze comminatorie di punitive damages: alcuni spunti ricostruttivi, in Riv. dir. civ., 2016, pp. 1644-1677.
[19] Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co., 133 S.Ct. 1659 (2013).
[20] La sentenza Kiobel ha suscitato commenti generalmente molto critici: cfr., ad esempio, R. P. Alford, The future of human rights litigation after Kiobel, in Notre Dame Law Review, vol. 89, 2014, pp. 1749-1772; A. J. Colangelo, The Alien Tort Statute and the law of nations in Kiobel and beyond, in Georgetown J. of International L., vol. 44, 2013, pp. 1329-1346.
[21] Sul punto, per tutti cfr. R. A. Kagan, La giustizia americana. Come il contraddittorio fa il diritto (trad. it.), Bologna, 2009.
[22] Cfr. H. H. Koh, Transnational litigation in United States courts, New York, 2008, pp. 24 ss.
[23] Anche la bibliografia sul tema indicato nel testo è molto ampia: cfr., ad es., M. Cohen, Between offenders and victims: the civil dimension of universal jurisidction, in Revista do Instituto Brasileiro de Direitos Humanos, vol. 11, 2011, pp. 141-153; K. Anderson, Kiobel v. Royal Dutch Petroleum: The Alien Tort Statute's Jurisdictional Universalism in Retreat (September 17, 2013), in Cato Supreme Court Review, 2012-2013, pp. 149-185, disponibile all’indirizzo https://ssrn.com/abstract=2332808; D. F. Donovan and A. Roberts, Notes and comments – The emerging recognition of universal civil jurisdiction, in The American Journal of International Law, vol. 100, 2006, pp. 142-163.
Gli algoritmi del processo penale telematico: logica e grammatica del post-moderno tecnologico.
di Pasquale Liccardo
Contributo ad una riflessione sulla tecnologia ai tempi del Covid-19.
Lo studio si propone di contribuire all’analisi del ruolo delle tecnologie ICT nel processo penale, sottolineando le potenzialità inespresse ed i limiti necessari da porre al loro dispiegamento. Propone una lettura delle tecnologie nel contesto delle istituzioni della giuridicità del terzo millennio e ne riscrive il ruolo quale componente essenziale del formante giudiziario, provvedendo a tracciare le possibili linee evolutive attraverso un nuovo legame tra telematica, processo, dati, intelligenza artificiale e metriche di misurazione della norma.
Sommario: 1. Premessa. - 2. La prima era informatica del processo penale. - 3. Le istituzioni della giuridicità nel terzo millennio - 4. L’eccedenza delle tecnologie e preservazione del simbolico. - 5. L’udienza e le tecnologie: la domotica udienziale - 6. Riposizionamento strategico dei sistemi e delle tecnologie. Per la creazione di un “ecosistema giudiziario”. - 7. Riformulazione delle priorità dell’intervento tecnologico: capitale semantico e registri. - 8. La forma, il formato: verso la prosumerizzazione delle relazioni processuali. - 9. Nomometrica del settore penale: i limiti necessari della I.A. - 10.Conclusioni.
1. Premessa: il ruolo delle tecnologie al tempo dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
L’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha imposto al sistema giudiziario il rinvio d’ufficio dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari (art. 83, comma 1 del d.l. n.18 del 1 Marzo 2020) com la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (art. 83, comma 2), salvo limitate eccezioni.
Rispetto alla maturità tecnologica del settore civile, che conosce un ampliamento dell’utilizzo della telematica per il tramite dell’invio di tutti gli atti processuali, per la gestione scritturale del contraddittorio (art. 83, comma 11) e per la possibillità di assicurare la partecipazione alle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti, a distanza “mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia” (art. 83, comma 7 lett.f), il settore penale risulta interessato :
- dall’estensione delle comunicazioni e notificazioni degli avvisi del processo penale in via telematica al difensore di fiducia anche dell’imputato e delle altre parti processuali, mediante sistemi telematici individuati e regolati con provvedimento del DGSIA del Ministero della giustizia (art. 83,commi 13, 14, 15);
- dalla partecipazione da remoto delle persone detenute non solo con multivideo conferenza ma anche con collegamenti più agili, sempre utilizzando infrastrutture tecnologiche individuate dal Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (art. 83, comma 12).
L’arretratezza tecnologica del settore penale, immediatamente evidente nell’infrastruttura consumer cui si rimanda per la eccezionale gestione della fase (tali sono gli strumenti individuati dalla DGSIA) impone una riflessione sulla mission assolta dalle tecnologie all’interno del sistema giudiziario, muovendo dall’analisi dello stato dei sistemi realizzati ed in corso di realizzazione, evidenziando le criticità progettuali, le linee di sviluppo seguite e le azioni intraprese negli uffici. Non senza considerare il contesto non solo tecnologico ma “istituzionale” all’interno del quale si dimensiona l’azione performativa delle tecnologie informatiche: è fin troppo evidente come, nel passato, si sia guardato alle tecnologie in una dinamica meramente sostitutiva dei sistemi informativi dei registri di cancelleria e dei dispositivi scritturali, senza alcun riposizionamento strategico delle tecnologie all’interno della dinamica registrata dalle istituzioni della giuridicità già alla fine dello scorso millennio.
In questa sede e nella sintesi di una relazione, si propone pertanto una prima analisi del contesto tecnologico e dell’intreccio post moderno tra norma, tecnologia ed istituzioni della giuridicità, cercando di assicurare coerenza tra progettazione fondativa e sviluppo applicativo.
2. La prima era informatica del processo penale [1].
La ricognizione dello stato dell’arte costituisce un’operazione preliminare per la definizione di una nuova fase strategica dei sistemi informativi deputati al governo del settore penale.
In primo luogo, va osservato come debba registrarsi un’estrema frammentazione delle logiche di sviluppo ed implementazione dei sistemi informativi, ictu oculi evidente laddove si consideri il numero dei contratti in essere al 2015, la loro articolazione temporale e il loro dimensionamento per fasi, per oggetti, per riti.
Allo stato, il sistema dei registri penali può dirsi così composto:
SIDDA/SIDNA
Si tratta del sistema informativo delle Direzioni Distrettuali Antimafia e della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
Il sistema nel suo complesso costituisce l'asse portante nella fase delle indagini preliminari per la lotta alla criminalità organizzata ed al terrorismo. La costante interazione con i sistemi di area penale, la necessità di garantire elevatissimi livelli tecnologici e di sicurezza a supporto dell'attività di coordinamento ed impulso della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sono alla base della scelta strategica di realizzare un sistema unitario in cui la circolarità delle informazioni e la granularità delle ricerche e delle relazioni non trovi ostacoli di natura tecnica e consenta il superamento dei sistemi di ricerca semantica su base statistica a favore di sistemi di ricerca cognitivi in cui sia possibile determinare il contesto.
Il SIDNA attualmente è costituito dall'insieme delle banche dati dispiegate presso le direzioni distrettuali antimafia e antiterrorismo, ciascuna costituita da un archivio dei testi integrali e da una base dei dati relazionale, tra loro integrati.
I sistemi SIDDA sono alimentati dai sistemi di area penale di cognizione e delle misure di prevenzione. La banca dati nazionale, SIDNA, è alimentata da quelle distrettuali per effetto della loro “fusione”.e consente ricerche dei dati e delle informazioni utili sia all’interno dell’archivio dei testi integrali che – in maniera più puntuale – nella base dati relazionale.
SIC / NSC – Sistema Informativo del Casellario
Il SIC costituisce l’archivio centralizzato di riferimento per i provvedimenti giudiziali emessi da autorità italiane e diventati definitivi (non più impugnabili) a carico di soggetti fisici o giuridici.
Il SIC dialoga con l’Agenzia delle Entrate attraverso un processo che consente la validazione delle Anagrafiche italiane e il completamento delle stesse con il Codice Fiscale.
Il SIC ha un componente (ECRIS) che si occupa dello scambio delle notifiche riguardo alle condanne subìte da cittadini europei (o di stati interconnessi) nei paesi membri.
La interazione con i sistemi di area penale e le modifiche normative intervenute rendono indispensabile la inclusione del sistema del casellario nel sistema informativo unitario.
SICP – Sistema Informativo della Cognizione Penale
Il sistema informativo SICP è composto da un ecosistema di moduli software interconnessi tra loro che concorrono sia a costituire le banche informative distrettuali sia all’interrogazione dei dati del sistema stesso, permettendo quindi ai vari attori dell'azione penale della fase cognitiva di condividere le informazioni necessarie alle rispettive attività e di aggiornare i dati supportando le attività decisionali di tutte le componenti coinvolte.
Di seguito si riporta una breve descrizione dei moduli che compongono l’applicativo SICP.
AGI – Assistenza Giudiziaria Internazionale
Il modulo AGI, interno all’applicativo SICP, gestisce le seguenti tre tipologie di pratiche: Estradizioni Attive, Estradizioni Passive, Rogatorie Passive.
A&D - Atti e Documenti
Atti e Documenti (A&D) è un modulo che consente di integrare in SICP l’ambiente di redazione di atti e documenti associati a procedimenti, implementando una serie di meccanismi automatici di validazione e di flussi informativi tra il sistema Re.Ge.WEB e il sistema Documentale.
BDMC – Banca Dati Misure Cautelari
Modulo per l’automatizzazione di attività relative alle misure cautelari, a partire dalla prima iscrizione della misura nel sistema, fino al termine dell’iter giuridico.
Il sistema traccia tutti gli eventi intervenuti sulla misura, come provvedimenti degli organi giudicanti, grado e fase del giudizio, ricorsi verso organi giuridici superiori quali Corte di Appello, Cassazione o Tribunale della Libertà.
Consolle Area Penale (Consolle Magistrato ed estrattore statistico)
Il modulo rende disponibili agli utenti le funzionalità relative all’agenda del magistrato, della fissazione udienze, scadenzario, gestione turni, e delle statistiche periodiche obbligatorie, basato sulla profilazione.
Consolle Magistrato è il modulo che implementa funzionalità di office automation per il magistrato, consentendone la pianificazione, l’organizzazione e l’ottimizzazione del lavoro.
Portale NdR - Portale Notizie di Reato
Il Portale NdR costituisce il sistema utilizzato dagli Uffici Fonte dislocati sul territorio nazionale per la registrazione delle Notizie di Reato e il successivo trasferimento alle Procure di destinazione.
Re.Ge.WEB
Modulo che offre funzionalità per la gestione delle informazioni di Registro statiche e dinamiche. Nel momento in cui un utente del sistema effettua operazioni inerenti all’attività di definizione del fascicolo, il modulo ne analizza lo stato nel ciclo di vita di un procedimento giudiziario e propone tutte le azioni compatibili con il codice di Procedura Penale.
SIRIS/ARES – Sistema Informativo Relazionale Integrazione Sistemi
SIRIS e ARES sono due moduli simili che offrono funzionalità di elaborazione dei dati ai fini ispettivi e di monitoraggio.
SIRIS/ARES consentono di effettuare ricerche e interrogazioni verso le Banche Dati Unificate (la base dati Re.Ge.WEB, la base dati storica) e generare report/statistiche sulla base dei dati restituiti dalle interrogazioni. Tramite un modulo di SIRIS (Catalogatore) è possibile manutenere la base dati di SICP.
WAC – Work Area Casellario
Il modulo WAC costituisce un’area di interscambio, interconnessa con il Casellario Nazionale (Vedi SIC), utilizzata per costruire il Carico Pendente Nazionale. WAC è alimentata in automatico da dati estratti dalla Base di Dati del SICP, secondo regole e dettami ben precisi e stringenti, rispetto ad eventi particolari nel corso del processo di cognizione penale.
Base di dati del SICP
L’applicativo SICP opera su una base di dati che funge da punto di aggregazione dei moduli e degli applicativi che gravitano su questo sistema, ha uno schema dei dati suddiviso nelle seguenti aree principali:
CAAA – Central Authentication and Authorization Authority
Il sistema CAAA ha lo scopo di gestire tutte le informazioni necessarie ai processi di autenticazione e autorizzazione. Svolge funzione di proxy di autenticazione e funge da repository di informazioni concernenti la sicurezza delle applicazioni per i diversi sistemi dell’Area Penale del Ministero di Giustizia (MdG).
ArchiMedia/ArchiBridge
Il sistema Archimedia T consente la ricezione delle notizie di reato inoltrate dalle fonti informative all’Ufficio Giudiziario relative a reati e/o fatti inerenti Noti, Ignoti e Atti non Costituenti notizia di Reato.
L’applicativo ArchiBridge consente di elaborare l’output del sistema Archimedia T (trasmissione telematica delle notizie di reato) al fine di consentire l’iscrizione automatica delle notizie di reato trasmesse dalle fonti informative mediante il modulo denominato Archimod.
SIGMA – Sistema Informativo Giustizia Minorile Automatizzata
SIGMA è il sistema informativo utilizzato per la gestione dei registri delle cancellerie civili (compresa l’adozione) e penali degli Uffici Giudiziari Minorili.
L’applicativo SIGMA PENALE è lo strumento di automazione a supporto delle attività svolte dagli Uffici Giudiziari per quanto riguarda la gestione dei Registri Generali in ambito Penale e le funzioni ad essa connesse.
SNT – Sistema di Notifiche Telematiche
L’applicativo SNT è usato per la trasmissione telematica delle notifiche, tramite PEC, nel Procedimento Penale a persona diversa dall'imputato.
Le funzionalità operative disponibili nell’ambito del sistema applicativo Notifiche Telematiche sono: coda dei messaggi in ingresso; gestione documenti; firma digitale; gestione notifica.
SIES – Sistema Informativo Esecuzione e Sorveglianza
Il SIES implementa la gestione informatizzata del procedimento di esecuzione penale. Ha lo scopo di informatizzare tutte le attività connesse all'esecuzione dei provvedimenti giudiziari delle Procure, dei Tribunali di sorveglianza, degli Uffici di sorveglianza e degli uffici del giudice dell'esecuzione. Le attività comprendono sia la gestione dei registri che la produzione dei provvedimenti con sistemi di office automation e l'archiviazione dei provvedimenti con sistemi di document management.
SIT-MP – Sistema Informativo Telematico delle Misure di Prevenzione
Sistema informativo per la gestione delle Misure di Prevenzione Reali e Personali, informatizza tutto il procedimento di applicazione della misura di prevenzione ma anche i procedimenti incidentali e la banca dati centrale dei beni sequestrati e confiscati e la interoperabilità con l'agenzia dei Beni sequestrati e confiscati. L’informatizzazione del procedimento comporta la gestione dei dati e dei relativi atti per gli uffici di procura, tribunale, procura generale e corte di appello.
SIPPI – Sistema Prefetture e Procure Italia Meridionale
Sistema informativo per la gestione delle Misure di Prevenzione Reali e Personali, e dei beni sequestrati e confiscati. Nel sistema SIPPI si possono delimitare tre sottosistemi: il sistema delle misure di prevenzione, SMP; il sottosistema della banca dati centrale dei beni sequestrati e confiscati, BDC; il sottosistema di cooperazione applicativa.
GL-AP – Gestore Locale Area Penale
Il GL-AP consente di gestire e coordinare tutti i flussi telematici in ingresso e in uscita al Dominio Giustizia fornendo al Sistema Informativo di Cognizione Penale (SICP) tutte le informazioni necessarie per la loro corretta gestione. Inoltre consente ai tecnici (amministratori di sistema) il monitoraggio di tutte le operazioni svolte dal GL-AP stesso.
Il sistema offre funzionalità di gestione delle Notifiche penali, intese come comunicazioni da parte degli uffici giudiziari a soggetti esterni il cui indirizzo PEC è preso dal RegIndE.
GL-MP – Gestore Locale Misure di Prevenzione
Il ruolo del GL-MP è quello di gestire e coordinare tutti i flussi telematici in ingresso e in uscita al Dominio Giustizia fornendo al Sistema Informativo Telematico delle Misure di Prevenzione (SIT-MP) tutte le informazioni necessarie per la loro corretta gestione. Inoltre consente ai tecnici (amministratori di sistema) il monitoraggio di tutte le operazioni svolte dal GLMP stesso.
TIAP - Trattamento Informatizzato Atti Processuali
TIAP è un applicativo per la gestione dei fascicoli dell’area penale. Sono disponibili tutte le funzionalità di gestione dei contenuti nelle varie fasi del procedimento (Fase delle Indagini preliminari, GIP, GUP, Trib del Riesame, Dibattimento), scansione e classificazione dei documenti, con possibilità di digitalizzazione del testo dei documenti (OCR), di indicizzazione dei contenuti e di ricerca, codifica e indicizzazione dei fascicoli. Sono offerte infine funzionalità di consultazione e stampa anche per attori esterni all’Amministrazione (avvocati). Ha un modulo di gestione delle notifiche penali.
SIDIP – Sistema Informativo Dibattimento Penale
SIDIP realizza la gestione unificata ed omogenea di tutte le conoscenze prodotte nella fase di indagine preliminare (GIP), di udienza preliminare (GUP) e dibattimentale (DIB) attraverso la gestione informatizzata:
PDoc – Piattaforma Documentale
La piattaforma PDOC è deputata alla memorizzazione dei documenti generati dal flusso documentale del processo penale. Le principali macro-funzionalità presenti nella PDOC, non tutte utilizzate dagli applicativi allo stato in esercizio, sono le seguenti: gestione documentale (documento/fascicolo), gestione di contenuti multimediali (inclusa fruizione in streaming), condivisione dei documenti tra utenti, OCR dei documenti, Firma digitale dei documenti, gestione email (PEC) e relativa rubrica, gestione dei registri, migrazione di rubrica/documenti tra distretti, esportazione del documento, classificazione dei documenti.
La piattaforma si propone di archiviare documenti di varia natura, e relativi allegati, fornendo a livello applicativo superiore le sole funzionalità di accesso, inserimento, recupero ed eliminazione di documenti e demandando allo stesso la reale logica di business.
BigHawk
È un sistema in grado di catalogare e analizzare in maniera automatica l’enorme mole di informazioni gestite dagli uffici giudiziari, durante la fase delle indagini preliminari.
Attraverso la disponibilità di banche dati integrate e di funzioni che mettono in evidenza informazioni rilevanti che propongano correlazioni tra fatti, persone, attività economiche, il sistema fornisce un valido supporto alle attività di indagine delle DDA e della DNA.
Il sistema consente di memorizzare i dati relativi alla discovery dei dati strutturati e non strutturati, provenienti dai vari database giudiziari e non, dai vari documenti relativi a procedimenti penali ed esterni e, in generale, il sistema memorizza sia le conoscenze acquisite automaticamente sia le deduzioni investigative ricavate dal personale giudiziario (magistrati e personale giudiziario) e di polizia giudiziaria (P.G.) attraverso l’utilizzo e la correlazione delle suddette informazioni.
Interfacciamento con altri sistemi
Gli applicativi oggetto di Manutenzione dovranno garantire per tutto il periodo della fornitura il corretto interfacciamento con i sistemi descritti nel seguente paragrafo, precisando che gli stessi sono oggetto di manutenzione nell’ambito di altri contratti.
ADN – Active Directory Nazionale
L’ Active Directory ADN è una struttura centralizzata e gerarchica alla quale viene affidata la gestione delle policy di gruppo e il controllo, la gestione e l’assegnazione delle risorse della rete (utenti, servizi, programmi, server, client, etc.).
SIAMM - Sistema Informativo dell’Amministrazione
Il SIAMM supporta l’operatività di tutti gli uffici giudiziari, requirenti e giudicanti, per la gestione, dell’intero ciclo di vita delle spese e pene di giustizia, dall’acquisizione all’interno dei registri di annotazione (registro delle spese Prenotate ed Anticipate dall’Erario), sino alla gestione del recupero del credito nei confronti dei debitori (Recupero del credito e successive vicende).
Inoltre il SIAMM gestisce il sistema Elettorale ed Automezzi.
DAP – Direzione Amministrativa Penitenziaria
Il sistema DAP è utilizzato come sistema informativo dell’Amministrazione Penitenziaria.
P@SS – Punti di Accesso ai Servizi per i Cittadini
P@SS è nato con l’obiettivo di estendere il servizio certificativo dell’Amministrazione Giudiziaria. P@SS gestisce il processo di emissione dei certificati rilasciati dagli uffici giudiziari, coordinando le attività delle varie entità coinvolte: il cittadino che richiede il certificato, gli uffici richiedenti (Comuni, Giudici di Pace, ecc.), che hanno il compito di interfacciarsi con i cittadini, gli uffici emittenti (Tribunali e Procure), che producono il certificato.
Portale Servizi Telematici
Il portale dei servizi telematici è composto di una “area pubblica” e di una “area riservata”. Nell’area pubblica è consultabile il catalogo dei servizi telematici, che offre informazioni e documentazione sui servizi telematici del dominio giustizia e informazioni essenziali sullo stato dei procedimenti pendenti, rese disponibili in forma anonima (identificativi dei procedimenti).
Nell’area riservata sono disponibili i seguenti servizi:
Infrastruttura telematica
L’infrastruttura telematica è disciplinata dal Decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011[2] (nel seguito anche “Regole Tecniche”) e dalle relative specifiche tecniche (Provvedimento 16 aprile 2014) pubblicati nell’area Documenti del Portale dei Servizi Telematici (http://pst.giustizia.it).
La Figura 2 illustra lo schema generale dell’infrastruttura già esistente:
Figura 1 - Schema generale dell'infrastruttura telematica
I moduli fondamentali costituenti l’architettura sono i seguenti:
Ogni distretto di Corte di Appello è dotato di infrastruttura telematica, installata su sale server pluri-distrettuali e costituita dai moduli seguenti:
La seguente figura illustra con maggiore dettaglio l’architettura del Gestore Locale (GL), suddiviso per i moduli funzionali responsabili di erogare le singole tipologie di servizi telematici.
Figura 2 – Dettaglio dei componenti del Gestore Locale per servizio telematico erogato
Le tipologie di servizi telematici sono contrassegnate con i relativi numeri in Figura 2 e di seguito dettagliati:
Relativamente all’ultimo punto (invio degli esiti), è demandata ai sistemi dei registri di cancelleria suddetti – con un concetto di callback[3] – l’esecuzione dei controlli applicativi entrando nella semantica dei dati. Il sistema di cancelleria chiamante contiene l’interfaccia utente di accettazione degli atti e le funzionalità relative all’aggiornamento del registro di cancelleria e all’archiviazione nel proprio fascicolo informatico.
Il sistema di cancelleria chiamante, su cui è presente l’interfaccia utente integrata nell’ambito della funzione di aggiornamento del relativo registro, richiede al GL l’invio dei messaggi di PEC, trasmettendo a quest’ultimo i codici fiscali dei destinatari e il contenuto da inviare. Il sistema di cancelleria chiamante recupera poi dal GL le ricevute PEC, curandone la relativa conservazione.
La prima considerazione indotta da tale numerosità è la frammentazione dell’approccio tecnologico e della logica di riproduzione del linguaggio, propria di ogni esperienza del rito.
L’apparente realismo delle scelte operate nella frantumazione degli applicativi e delle esperienze non è solo il frutto di una stagione di mancato governo delle tecnologie da parte delle strutture deputate al loro indirizzo sistematico, ma riflette il pendolarismo delle scelte ideologiche di una lunga stagione della politica istituzionale nonché un approccio alla stilizzazione segmetaria delle tematiche interessate dall’azione degli attori sociali del processo mai troppo analizzata nei suoi elementi fondativi e nelle sue evidenze realizzative.
Rinviando a quanto più diffusamente si dirà in seguito, si può ritenere come la successione incrementale conosciuta dal processo penale tra fatto tipico, contestazione, dibattimento, impugnazione si sia riflessa nella costruzione di una serie di sistemi applicativi votati alla mera gestione anagrafica e categoriale dell’azione esercitata dal formante giudiziario, senza alcun apertura alla consistenza materiale del fatto e alle sue relazioni con il “contesto”.
Volendo muovere da una considerazione di insieme, può osservarsi come l’esperienza condotta fino ad oggi sia per intero ascrivibile all’analogismo tecnologico proprio della prima era di ogni processo di informatizzazione, conosciuta in ogni settore interessato dall’introduzione delle tecnologie ICT.
L’analogismo tecnologico, ovverosia la riproduzione in logica digitale della consistenza, struttura e qualità delle informazioni censite e, per il loro tramite, delle relazioni processuali definite dal codice e dalle regole d’organizzazione sottostanti, ha costituito, al pari del settore civile, la prima dinamica di introduzione delle tecnologie ICT nel settore, non senza rilevare l’ingenuità fideistica di tale approccio quanto ad efficentamento degli uffici.
La riscrittura della successione sequenziale delle attività operata dai sistemi del Portale notizie di reato, dal sistema dei registri e dal sistema documentale di supporto, costituisce una risposta solo in apparenza coerente con la ricerca di un nuovo modello organizzativo: il fascicolo nella sua dimensione cartacea, resta comunque il medium necessario dell’azione realizzata dai vari attori sociali del processo, quand’anche contenga atti su supporto digitale. Il fascicolo procede così per accumulaizone sequenziale degli atti prodotti, senza alcuna visione verticale delle informazioni presenti e delle relazioni tra gli attori in essi documentate.
L’azione realizzata manifesta in modo evidente il proprio limite progettuale in quanto per intero incentrata sui registri di cancelleria e su sistemi documentali a forte impronta analogica, sul consolidamento delle informazioni processate senza alcuna revisione inventiva del tessuto cognitivo sotteso all’azione realizzata complessivamente dal formante giudiziario.
Portale delle notizie di reato e registri di cancelleria
Il portale delle notizie di reato ed i registri di cancelleria, al pari di quanto avvenuto per il settore civile, costituiscono l’oggetto dell’esperienza fin qui condotta e al tempo stesso, l’orizzonte ultimo di visibilità dell’azione intrapresa: l’universo delle informazioni veicolate dai registri assume centralità metodologica e confinaria senza peraltro alcun ripensamento sulla qualità delle informazioni in esse veicolate e sulla capacità delle stesse di costituire moderno integratore dell’azione realizzata dai vari attori sociali nelle varie fasi del processo.
Il portale delle notizie di reato recepisce solo formalmente il catalogo dei reati senza alcuna elaborazione concettuale uniformante, sia per titolo di reato, sia per elementi costitutivi della parte generale del diritto penale. L’assenza di ogni tensione all’organizzazione della conoscenza si riverbera sui registri della cognizione penale, innescando processi di decadenza delle informazioni gestite di difficile governo nelle sequenze processuali.
Del pari, la rigidità del catalogo dei reati presente nel Portale delle notizie di reato e nei registri della cognizione penale, propone una lettura del diritto penale per intero iscritta all’interno della prescrittività normativa, con assenza di ogni ricostrruzione del fatto inteso come vicenda contingente del sistema della cognizione penale. L’assenza di tale condizione di inveramento del diritto ha ricadute di non poco momento sulla tenuta del processo cognitivo sotteso alla capacità di produzione articolata di conoscenza.
L’assenza di una visione realistica del reato rimanda per un verso ad un dibattito teorico mai del tutto superato tra diverse concezioni dei principi fondativi dell’illecito penale [4], per altro verso implementa una visione meramente formalizzata dei sistemi informativi che ne limita fortemente le capacità inclusive del concreto.
La prescrizione normativa e la concretezza del fatto devono invece costituire due istanze parallele di un sistema cognitivo votato alla gestione metodologica della complessità .
Del pari non va sottaciuto come la dinamica introdotta dalla relazione “Polizia Giudiziaria / Portale Notizie di Reato” rimandi ad una profilazione di “data center” che devono rispondere più che a logiche di accumulazione primaria di informazioni, a dinamiche di controllo diffuso “ per competenza processuale” : si assiste cioè, alla crescita di centri di accumulazione primaria di informazioni da reato al di là della frantumazione costituzionale delle competenze giudiziarie chiamate al governo delle informazioni da processo. La vera questione epistemiologica dei Big Data dei prossimi anni è quella di arginare la crescita smisurata dei dati aggregati in luoghi diversi da quelli deputati al loro governo processuale, garantendo la loro tendenziale ricomposizione per competenza territoriale ( Procure della Repubblica e Tribunali) che ne garantiscono il dimensionamento costituzionale.
Sistemi dei registri
La frammentazione dei registri per rito assicura solo un’episodica gestione della fase processuale, disperdendo ogni relazione con altre fasi processuali al pari di quanto assicurato dai registri non informatizzati: al pari del fascicolo cartaceo, il sistema informatico del processo penale non struttura visioni condivise di dati né rappresentazioni cognitive, ma segmenta i processi di produzione all’interno del rito codificato, disperdendo ogni capacità di lettura sistemica del dato e delle qualificazioni connesse al suo avanzamento processuale.
L’inadegutezza delle informazioni registrata nelle attiivtà di recupero delle spese di giustizia attraverso il sistema SIAMM costituisce segno evidente di una separattezza e di una asimmetria informativa difficilmente componibile organizzativamente.[5]
Sistemi documentali
La centralità assunta dai sistemi documentali (Tiap, Aurora, Sidip) rispetto ai registri consacra una visione fascicolare dell’informatica che merita attenzione critica: la forma libera degli atti della fase delle indagini preliminari e le forme vincolate degli atti dibattimentali trova apparente composizione nell’opera realizzata da sistemi documentali nei quali l’atto non è quasi mai il prodotto digitale del sistema ma la trasposizione della sua esistenza analogica. Le modalità di documentazione degli atti del giudice per il tramite del verbale (art 134, 1° comma c.p.p.), la sua possibile redazione in forma integrale o in forma riassuntiva, la riproduzione con il mezzo della stenotipia o in forma fonografica e/o audiovisiva e le relative trascizioni si propongono come un sedimentato tecnologico mai rivisitato, in ragione della preminente funzione assicurata dal fascicolo da cui vengono inesorabilmente attratti (art 139 comma 6° e per il dibattimento, art 483 comma 3° c.p.p.).
Le tecnologie si presentano come “tecnologie tra loro alternative” in quanto l’una sostitutiva in via gradata dell’altra: il contesto tecnologico attuale, viceversa, conosce un processo di forte omogenizzazione degli apparati e delle tecnologie, capaci di una produzione contestuale di audio, video e scrittura.
La fascicolazione degli atti del processo obbedisce, pertanto, ad una visione del documento che ne privilegia la sua consistenza analogica prima che digitale, in quanto si ritiene ancora che le forme analogiche comuni del verbale, delle sentenze e dell’atto processuale in genere siano le uniche capaci di assicurare i valori costituzionali propri del formalismo predibattimentale e dibattimentale
L’inverazione dell’atto processuale nel documento informatico con firma digitale risulta rara e comunque, ancora a livello episodico: e non si rinvengono allo stato pronuce emesse con riferimento alla validità degli atti processuali formati digitalmente, come pure è ad oggi possibile in vigenza delle prescrizioni normative di cui al C.A.D., né si conoscono percorsi esegetici votati alla compenetrazione della disciplina del documento informatico con i principi di legalità e tassatività indicati dall’art.177 c.p.p.
Sintesi conclusiva della prima era.
La necessità costante di interventi evolutivi sul sistema, l'apertura alla consolle del magistrato e alla redazione digitale dei provvedimenti evidenzia una latente insufficienza progettuale della prima fase dell'esperienza condotta, incapace di sedimentare per il tramite dell'informatica, una crescita della capacità di governo selettivo e qualificato delle informazioni rilevanti per il processo, unita ad una revisione organizzativa coerente con la crescita dei sistemi informativi pre-dibattimentali e dibattimentali.
Il rischio di una tale fase è implicito nella sua stessa autoconsistenza, ovverosia nella consacrazione delle architetture cognitive realizzate che necessitano solo di semplici adeguamenti tecnologici: contrariamente alla sua genesi, la dimensione funzionale realizzata dall’ICT introduce nella fase, logiche di mero adeguamento per automotricità indotta dallo stesso formante tecnologico, artefice unico di ogni avanzamento di un’organizzazione giudiziaria schiacciata dall’incedere normativo e dal protagonismo tecnologico.
L’assenza di ogni verticalizzazione delle informazioni processate costituisce il limite evidente dei sistemi informativi del settore penale, che va opportunamente considerato in sede di progettazione: la difficoltà di realizzazione di applicativi come atti e documenti, consolle misure cautelari, statistiche e esecuzioni rendono evidenti i limiti di un approccio fondato sulla ricezione passiva di tecnologie ICT.
Non è un caso che gli uffici abbiano registrato le difficoltà indotte dal contesto organizzativo, dalle specificità delle segmentazioni di rito, dall’ipertrofica necessità di restaurazione di effettività delle relazioni processuali, non più sostenute dal fascicolo processuale e dalla sua articolazione scritturale.
L’esperienza condotta da alcuni uffici giudiziari, con le best practice prima e dalla Corte di Appello di Milano nel corso del biennio 2016-2017, ha evidenziato la costante necessità di ricostruire legami informativi tra i vari attori del processo, come interessati dalle fasi di emissione, gravame e governo del dictum processato: l’assenza di una riformulazione cognitiva delle informazioni, la mancata riscrittura di una gerarchia relazionale, ha condannato i sistemi alla dispersione di ogni aggregazione cognitiva significativa, demandando alle statistiche numeriche il senso di ogni conoscenza andamentale: il SIAM per il recupero delle spese di giustizia manifesta tutto il limite di un sistema avulso dal contesto informativo, che si anima di una sua logica sequenziale di ruotines non contestualizzate dal processo e dalle dinamiche che lo stesso governa con la pena e la sanzione in genere.
Un difetto di “tecnicismo”, dunque, che non può solo imputarsi all’automotricità delle tecnologie: non bisogna dimenticare l’humus culturale del settore, i riflessi indotti dal positivismo penale e dalla rigidità codicistica, insensibile alle interpretazioni costituzionali della seconda metà del secolo scorso così come alla nuova centralità del formante giudiziario del terzo millennio.[6] La razionalità tecnologica ha così manifestato la sua capacità mimetica[7] e la sua insufficienza razionale laddove non presidiata da un governo strategico delle relazioni e delle rappresentazioni cognitive che le stesse alimentano: anzi, si è dato ingresso ad un’informatizzazione intesa come mera riproduzione di tecnologie consumer, senza alcun ripensamento della complessità del contesto e del dimensionamento simbolico/ sociale insito nel processo e nelle sue dinamiche d’azione . “Le ICT non stanno diventando più intelligenti,rendendoci al contempo più stupidi.E’ il mondo che sta diventando un’infosfera sempre più adattata alle limitate capacità dell’ICT” .[8]
La ragione sociale del processo rischia la dispersione nei meandri di un sapere meramente tecnologico, interamente votato al suo protagonismo. La stessa nozione di rito, inteso come destinazione funzionale delle sequenze operative di cui si compone, ne esce interrotta nella sua regoralità fondativa per l’alternanza di tecnologie non sistemiche che ne frammentano l’azione per quanti sono gli attori sociali del processo. I Big Data si propongono come accumulazione primaria incontrollata che supera la dimensione rituale in quanto insensibili o non interessati alla validazione processuale propria del rito.
Il recupero di una visione unitaria risulta tanto più necessario se si ha riguardo al contesto nel quale le istituzioni della giuridicità sono chiamate ad operare.
3. Le istituzioni della giuridicità nel terzo millennio
La difficoltà che registrano le istituzioni della giuridicità nella loro relazione con il concreto non è solo il riflesso della modernità declinante della legge e della propria razionalità ordinante del mondo:[9] già in altra sede si era rilevato come il meccanismo di traduzione nella norma di concetti, di universi simbolici, di idee che hanno connotato per lungo tempo il processo di giuridificazione del concreto, sia ormai lontano dall’esperienza di quanti vivono l’emergenza insita in una condizione di estraneità del concreto alla previsione normativa e l’irrealismo inappagante della fattispecie astratta rispetto ad altri dispositivi ipermoderni di governo del concreto.[10]
Il fatto lieve ex art 131 –bis c.p. non introduce solo una riduzione dimensionale dell’illecito penale che si arresta di fronte alla esiguità dell’offesa ma un limite intrinseco della tipicità penale, chiamata ad una relazione con il concreto non più circoscrivibile alla sola graduazione della pena.[11]
L’erosione registrata dalla riserva assoluta di legge (art.25 cpv. Cost., 1 c.p.)[12] testimonia il processo di deperimento interno del sistema codicistico penale e, al contempo, la sua complementarietà con il contesto istituzionale fortemente mutato dall’emersione delle fonti sovranazionali[13], dalle sentenze delle Corti e dei Tribunali Supremi [14].
Il costituzionalismo penale della seconda metà del secolo scorso ricostruiva la gerarchia delle fonti nell’orizzonte più vasto delle tutele e dei diritti del dettato costituzionale, senza peraltro scalfirne l’idea piramidale di fondo. Il diritto penale attuale vive oggi in un contesto (e di un contesto) fortemente diversificato: per un verso la norma penale registra al suo interno la crescita della rilevanza dello status nella definizione di condotte illecite[15] con la contemporanea erosione del carattere imperativo della prescrizione e per altro verso, non è più solo nazionale, ma sovrannazionale, esprimendo un’antigiuridicità composita come formulata da un sistema reticolare di fonti primarie di trattati internazionali, di norme comunitarie in forma di direttiva e/o regolamento, di interpretazioni rilevanti come significativamente intrecciate nell’operatività delle corti costituzionali interne, della CEDU e della Corte di Giustizia CE.
La competizione delle fonti rimanda ad un luogo di “normativizzazione del concreto” proprio della giurisprudenza, fonte indispensabile di un diritto vivente votato alla concretezza[16]: il codice di rito conosce una fase di continua implementazione per itinerari interni che assurge a complessità non facilmente dominabile se non con il ricorso ad un principio di “effettività costituzionale” della giurisdizione [17]
Il diritto penale nella globalizzazione tende pertanto ad esprimersi per il tramite delle istituzioni giudiziarie che da luogo di affermazione di una normatività astratta e prescrittiva propria della legge, mutano in luogo di traduzione e lettura del contingente e della sua pos-moderna mutevolezza[18]. La contingenza del caso Thyssen[19] ovvero dell’omicidio stradale[20] costituiscono esperienze non confinarie del diritto penale in quanto ne mettono in discussione le ragioni fondative quali il principio di legalità, la tassatività della prescrizione delittuosa nella declinazione distintiva tra dolo e colpa, la inferenza sillogistica tra astratto e concreto: l’eccedenza della fattispecie concreta come descritta nelle sentenze dei giudici di merito[21] produce una crisi nella relazione con la fattispecie astratta di ordinaria riconduzione (omicidio colposo e lesioni colpose) imponendosi come interrogativo capace di produrre un “ giudizio addizionale” diverso.[22]
La mutazione del diritto in diritto giurisprudenziale, il suo essere diritto del presente e al presente[23], si manifesta nell'orientamento degli uffici giudiziari, nell'opera ricostruttiva degli interpreti, disperdendo nella sua relazione con il concreto, la prescrittività autosufficiente della norma generale ed astratta[24].
Si assiste ad un processo di costante erosione della prescrittività autosufficiente della norma positiva in favore della traduzione operata dagli interpreti[25]: il processo di traduzione non è solo un’operazione semantica quanto un’operazione di riposizionamento strategico della fattispecie, di rimodulazione complessiva di una rete di relazioni e di riferimenti testuali che si sono implicitamente o esplicitamente codificati sul testo attraverso l’uso, il richiamo, la differenziazione con il precedente di merito e/o di legittimità. Non è questa la sede per una considerazione sulla creatività o meno di tale processo di ricomposizione del significato normativo della disposizione,[26] quanto piuttosto considerarne la relazione necessaria con i sistemi informativi del settore e le potenzialità di ricomposizione ermeneutica insite nella loro consapevole introduzione.
“Al fatto tipico in senso puramente legale si affianca, così, un fatto tipico in senso ermeneutico che ne costituisce il riflesso o risultato” [27].
Del resto, la stessa intelaiutara normativa pos-moderna risente di questa tendenza all’inclusione del concreto non per astrattezza della disposizione ma per indeterminazione inclusiva : al riguardo, basti in questa sede osservare come l’art 590 sexies c.p. - che ha previsto una nuova causa di non punibilità per i casi in cui l’esercente la professione sanitaria sia incorso in colpa lieve cagionando un danno alla salute del paziente - ha conosciuto di tre pronunzie del Supremo Collegio in contrasto tra loro [28] nell’ultima delle quali le SS.UU. verificano la possibilità di “sperimentare una intepretazione costituzionalmente conforme” senza che la stessa possa perseguire una finalità ed “un’efficacia sanante del deficit di tassatività della norma” non condividendo “il sospetto che la scelta sulla portata normativa dell’art 6. sia sospinta dalla esistenza di connotati di incertezza e di imprevedibilità delle conseguenze del precetto, le quali, se ravvisate, avrebbero condotto alla sola possibile soluzione di sollevare, nella specie propria, il dubbio di costituzionaliltà”: appare invero evidente come, nella stessa operazione seguita dalla Suprema Corte, la tassatività non sia un prerequisito della norma penale, ma l’esito di un’operazione interpretativa volta alla costruzione degli ineludibili margini di certezza propri della norma incriminatrice.
Il giudizio penale, è stato osservato, deve avere al tempo stesso, carattere “ricognitivo delle norma” e “cognitivo di fatti regolati”[29]: laddove il fatto regolato trascende dalla sua “regola” per evidenziarne il limite (e non al suo superamento, impossibile in forza del principio di legalità), si riproduce una relazione tra astratto e concreto estranea alla logica di semplice dominanza del primo sul secondo. Le aspettative ricognitive del concreto si propongono come un interrogativo normativo destabilizzante piuttosto che come una contingenza già normata nella logica binaria della rilevanza/irrilevanza.
Le «aspettative normative» prodotte dalle moderne leggi necessitano di luoghi di produzione di «aspettative ricognitive»[30] votate alla definizione del contingente, in cui il raccordo tra generale e particolare costituisca l’esito- sia pur temporaneo - di una mediazione conoscibile e per ciò stesso, misurabile dalla società civile. Tale esigenza appare di forte rilievo soprattutto nel processo penale in cui principio di legalità, ritualità e pubblicità costituiscono canoni conformativi forti ed irrinunziabili.
Lo stesso diritto processuale registra, in alcuni settori, tensioni mai prima conosciute, rendendo evidente una rottura sempre più marcata tra impostazioni dottrinali e orientamenti giurisprudenziali. La patologia dell’atto processuale appare emblematica di questa nuova distanza: il sistema delle invalidità procesuali dell’atto, imperniato sui principi di legalità e tassatività ex art 177 c.p.p. ed articolato per nullità, inutizzabilità e inammissibilità sembra trovare un inedito bilanciamento nei principi del giusto processo, che non sopportano un formalismo sanzionatorio laddove non comprometta la posizione delle parti. Anche in questo settore, la contingenza insita nella nozione di “ lesività in concreto” o di “manifesta esiguità” interrompe il sillogismo sotteso alle invalidità, introducendo categorie sostanzialistiche quali la inoffensività del vizio o la sua tenuità mai prima conosciute dalla normativa processuale.[31] Il campo teorico si divide nuovamente: l’affermazione del principio della tassatività delle nullità tradizionalmente inteso esclude qualsiasi verifica da parte del giudice dell’effettiva lesione insita nell’atto nullo, con garanzia di uguaglianza e certezza della pena[32]; per altri, la verifica dell’effettività del pregiudizio consente il reale rispetto del princpio di uguaglianza sostanziale e non solo formale, del principio di ragionevole durata del processo non disgiunto dalla tutela effettiva del diritto di difesa.[33]
La crisi in atto costituisce crisi di un costrutto fondativo del processo di democratizzazione delle istituzioni.
La grammatica della proceduralizzazione del diritto vissuta dal moderno, che pure ha consentito di superare l’arbitrio assolutistico del potere sovrano sugli uomini, registra una nuova necessità di parametrazione al concreto, sia per mutata articolazione dei poteri (economici, illegali con conseguente articolazione delle procedure di fronteggiamento), sia per l’indispensabilità istituzionale di compensare nelle istituzioni della giuridicità, coerenza temporale dei valori costituzionali e il contesto sociale in cui opera[34]: la tassatività delle forme processuali cerca una nuova concretezza applicativa e una nuova riformulazione anche in ragione della diversa modernità del contesto tecnologico che depreca come formalismo ormai consunto, ogni atto che non consegua immediatamente il suo scopo. Le forme digitali dell’atto per un verso impongono l’adozione di campi informativi che escludono, in radice, l’esistenza di un atto mancante di forme essenziali e, per altro verso, mirano ad assicurare la conoscenza dell’atto da parte del suo destinatario, superando per sistema digitale, e quindi in nuce, alcune nullità pur lungamente esplorate dalla giurisprudenza nella vigenza del sistema processuale “analogico”.
In tale contesto, le tematiche connesse al c.d. abuso del diritto evidenziano la necessità di un rinnovato efficientamento del processo penale che attui una rimodulazione paradigmatica delle prerogative processuali eccedenti il limite della necessità costituzionale[35].
Realismo vuole che si prenda atto che la legge penale registra un’opera di costante riallocazione di significato da parte della giurisprudenza, nel tentativo di assicurare una nuova effettività alla prescrizione normativa: gli stessi principi di origine illuministico-liberale (legalità, tassatività, divieto di analogia, soggezione del giudice alla legge) richiedono un ripensamento all’attualità, anche mediante il richiamo alla dinamica del concreto tecnologizzato che si alimenta di narrazione e di correlazioni di saperi.[36]
4. L’eccedenza delle tecnologie e la preservazione del simbolico
Il contesto tecnologico va opportunamente considerato ai fini del tracciamento delle linee di sviluppo dei sistemi per la giurisdizione: in economia, si parla ormai sempre più costantemente di una seconda età delle macchine caratterizzata da una potenza di calcolo infinita, da progressi nell’elaborazione del linguaggio naturale, nell’apprendimento automatico, nella mappatura e localizzazione simultanee.
Il legame tra ciclo economico e innovazione tecnologica ne risulta stravolto per la crescita incrementale costante ed imprevedibile che caratterizza l’attuale civiltà delle macchine.
Nell’era della terza rivoluzione delle macchine[37], la conoscenza riproducibile costituisce la primaria leva produttiva di ogni settore, sia esso istituzionale che privato[38]. Non è questa la sede per un esame esteso del valore riconosciuto alla conoscenza riproducibile come “fattore produttivo” peculiare della post-modernità, quanto piuttosto raffigurarne gli elementi paradigmatici salienti per verificarne la loro produttività per le istituzioni della giuridicità penale.
L’eccedenza del mondo sulla norma non può peraltro essere colmata dalle tecnologie ICT e dal loro crescente prometeismo sociale[39]. Il rischio di una semplificazione tecnologica che assegni alle tecnologie la funzione di strumento per il recupero del dominio sul concreto prima esercitato dalla norma astratta, deve essere attentamente considerato in quanto demanda alle tecnologie una funzione di restaurazione divisiva ed irrealistica rispetto alla condizione di complessità sociale/economica/ istituzionale propria del formante normativo del terzo millennio. Il ritorno del diritto al fatto sottolineato da Paolo Grossi[40] evidenzia il cambio complessivo di paradigma della relazione tra norma e concreto, rendendo illusorio ogni recupero di astrattezza sistematica quand’anche demandato all’uso massivo delle tecnologie e alla loro illimitata capacità di accumulazione bytiana. Mai come in questo momento è necessaria una riflessione sul dimensionamento dei sistemi per arginarne l’illimitata capacità di accumulazione di informazioni da processo senza il contrappeso insito nella “cerchiatura confinaria” prodotta dalla titolarità costituzionale dell’ufficio come definita dal Titolo 1° del primo libro del codice di procedura penale.
L’affannosa rincorsa tecnologica del settore penale tradisce la consapevolezza di una necessità imprescindibile di nuova effettività della norma penale e del processo che alla stessa presiede, rimandando ad un’opera di profonda rivisitazione dell’azione esplicata dai vari attori sociali per fase processuale, per significato veicolato e concretamente prodotto: non senza la necessità di un posizionamento strategico delle tecnologie che ne consacri un ruolo non meramente sostitutivo quanto piuttosto paradigmatico di una riformulazione rituale del processo che riannodi i cardini della sua azione al contesto storico della sua operatività.
Per far ciò bisogna muovere dalle radici simboliche del processo, indispensabili al suo inveramento costituzionale: “ Il primo gesto della giustizia non è dunque, né intellettuale né morale bensì architettonico e simbolico: delimitare uno spazio tangibile che tenga a distanza l’indignazione morale e le passioni pubbliche, riservare tempo a tal fine, fissare regole del gioco, convenire su un obiettivo e istituire gli attori. Il processo è la prima forma di radicamento del diritto nella vita […]“.[41]
Sul primo gesto della giustizia, è necessaria una riflessione critica nuova, perché troppo facilmente ignorata dai facili apologeti delle tecnologie ICT: “il rituale giudiziario implica l’esternazione del modus procedendi”[42] storicamente sedimentato, di cui la pubblicità delle udienze costituisce il baricentro costituzionale ineludibile dal ricorso facile alle tecnologie ICT.
I rischi di un’adozione passiva e banale delle tecnologie ICT è pertanto tanto maggiore in quanto si reclama il loro intervento acritico nell’udienza: il sistema udienziale appena delineato dall’emergenza Covid-19 nel D.L. 17 marzo 2020 n 18 deve aprire ad una riflessione complessiva quand’anche innescata dai meccanismi della urgenza in atto.
5. L’udienza e le tecnologie
Il degrado delle forme del processo è stato oggetto di valutazioni diverse a seconda delle prospettive anche operative che ne caratterizzano le visuali: l’adozione, per i reati meno gravi, di moduli operativi informali, l’introduzione del patteggiamento, risultano motivati dalla necessità di preservare comunque l’autenticità costituzionale delle forme del processo per i reati più gravi.
Il degrado delle forme è, al tempo stesso, degrado dell’architettura giudiziaria: non si è mai riflettuto abbastanza sulla correlazione esistente tra spazio giudiziario e amministrazione della giustizia, sulla necessità che le forme del rito trovino radicamento in un ambiente architettonico specularmente “riflessivo della loro azione operativa”.[43]
Eppure, l’utilizzo di registrazioni streaming dell’udienza sembra dilatare lo spazio giudiziario fino alla sua insignificanza, depotenziandone la costrizione architettonica propria dei palazzi di giustizia in favore di uno spazio del tutto avulso da ogni fisicità.
Le prime sperimentazioni anche a livello internazionale[44] ritraggono udienze con pochi partecipanti, in più occasioni con l’imputato in video conferenza: il collegamento registra la sola presenza del collegio, del difensore, del Pubblico ministero e del personale tecnico.
L’idea di un processo che si svolge in un’aula vuota di presenze fisiche manifesta per intero un limite della nozione di pubblico assicurata dalle tecnologie ICT, che alterano la nozione di interno/esterno che è propria della dinamica udienziale.
Ed invero non si è mai considerato l’impatto del pubblico sul giudice, con la possibilità di interferenze visive o giornalistiche che ne condizionino l’azione[45]: la possibilità che deviazioni del campo visivo si tramutino in deviazioni dal valore costituzionale dell’udienza e del principio di innocenza dell’imputato risulta più concreto di quanto sia dato percepire.
La devoluzione al tecnologico di ogni dimensione simbolica della giuridicità così come operata dalle tecnologie della ripresa udienziale costituisce un rischio mai attentamente vagliato e considerato: “L’economia del rituale giudiziario procede da un gioco di corrispondenze tra lo spazio dell’udienza e lo svolgimento del processo. Il tempo del rituale giudiziario evoca il tempo del diritto”[46]. Il tempo del processo si incarna nella scansione rituale delle fasi processuali e nella loro correlazione simbolica con luoghi a ciò deputati , costruendo la propria strategia ordinativa anche per il tramite di architetture dimensionate alla separatezza. Il processo di ritualizzazione della verità, ovverosia di ricostruzione della verità processuale dei fatti, si fonda sulla assunzione della validità come metro autonomo di giustificazione del processo, a cui collaborano non solo le norme ma la loro scenica attuazione nello spazio delimitato dell’udienza[47].
Bisogna quindi pensare ad una tecnologia udienziale-udotica capace di sostenere l’azione degli attori del processo senza scardinarne le condizioni materiali di espressione e componimento come ad oggi concretamente acquisite nelle nostre aule d’udienza, riconducendo ad unità i diversi linguaggi tecnologici pure ad oggi presenti (ad es. redazione del verbale sintetico, redazione del verbale a mezzo trascrizione ecc. ecc., filmati ecc.ecc.) .
Come preservare una separatezza pos-moderna al processo nel terzo millennio, è questione di fondo su cui mai come adesso è indispensabile interrogarsi a fronte di esperienze che ne superano acriticamente la consistenza non meramente simbolica, per dare ingresso ad un uso “indifferenziante” dell’ubiquità ICT.
6. Riposizionamento strategico dei sistemi e delle tecnologie. Per la creazione di un “ecosistema del giuridico”.
Il sistema penale reclama pertanto, al pari di quanto avvenuto in altri settori della vita istituzionale, la costituzione di un “ecosistema delle relazioni processuali digitali” sui cui l’azione performativa delle tecnologie ICT sia governata dai fattori pragmatici propri della dinamica parti, giudice e fase del processo.
Le tecnologie ICT devono in primo luogo relazionarsi con il contesto simbolico che anima – più del processo civile – il processo penale, per assicurare nuova visibilità alla simbolizzazione dell’ordine[48] che ne anima, per larga parte, la sua azione.
In primo luogo, va operato una delimitazione strutturale tra le tecnologie della fase requirente intesa come fase di ricerca della prova e la fase più strettamente processuale, in cui quelle tecnologie devono trovare vaglio udienziale.
Le prime tecnologie hanno quindi essenzialmente ad oggetto una “documentalità” (intesa in senso ampio, ivi comprese le registrazioni visive, i rapporti riassuntivi di attività di indagine, ecc.ecc.) che deve recepire la negoziazione di significato da sempre intessuta tra ufficio requirente e forze di polizia giudiziaria, consentendo le aggregazioni di significato che si costruiscono nella successione delle attività di indagine.
La documentalità in esame deve pertanto consentire non solo il tracciamento delle attività esplicate consentendone la loro “produzione qualificata” in dibattimento, ma anche riposizionare la relazione “documentale” tra Ufficio requirente/forze di Polizia per il tramite di strumenti proattivi capaci di assicurare costanza ubiquitaria alla relazione medesima: ad esempio, la possibilità di interlocuzioni criptate via Skype o Teams consentirebbe una migliore attività di direzione delle indagini in momenti di particolare rilevanza investigativa, assicurando immediatezza alle interlocuzioni che, laddove successive, possono essere tardive e comunque lesive della integrità della prova.
Le tecnologie dell’udienza invece si devono proporre come tecnologie della comunicazione che avviene in uno “spazio rituale” determinato, assolvendo alle funzioni di ausilio alle attività dei vari attori del processo nei limiti propri di una rinnovata udienzialità.
L’aula d’udienza rappresenta non un luogo neutrale da invadere per il tramite delle tecnologie della riproduzione visiva, quanto piuttosto un luogo ordinante, che deve avvalersi delle tecnologie nei limiti di una moderna “documentalità” per l’azione esplicata nel suo spazio cosmologico.[49]
L’espansione dell’universo processuale trova qui un suo limite invalicabile nella separatezza che ne preserva l’azione.
In questo senso, lo sforzo di contestualizzazione delle tecnologie deve misurarsi con la rimodulazione delle architetture giudiziarie e degli spazi, delle relazioni interno / esterno, riformulando un paradigma di pubblicità capace di resistere a tentazioni semplicistiche, di una riproducibilità ubiquitaria.
Lo schermo sempre più presente nelle nostre aule giudiziarie non deve superare i suoi limiti di rappresentatività documentale, per assurgere a dinamica unica della relazione interno / esterno travalicando il carattere simbolico dei luoghi e delle regole che presiedono alla loro univoca rappresentazione. I rischi di una infosfera[50] sempre più delocalizzata in quanto sincronizzata sono quelli di una dispersione di senso del processo come contesto decisionale unico ed irripetibile.
L’analisi del valore simbolico indica alcune regole di “composizione del contesto e del testo udienziale” necessarie alla sua stessa costruzione sintattica: lo streaming udienziale supera i limiti architetturali insiti nella dinamica unitaria (per identità di luogo e di tempo) dell’udienza per riproporsi come nuovo contesto rappresentativo, sostitutivo per forza propria di ogni altro contesto, superando al contempo ogni relazione interno / esterno propria del contesto udienziale, da sempre ritenuta indispensabile all’agire giudiziario.
“Lo spazio giudiziario incarna l’ordine, crea l’ordine, è l’ordine. Esso realizza nel mondo imperfetto e nella vita confusa, una perfezione temporanea, limitata”:[51] la centralità della “distanza” imposta da una dimensione temporale ed architetturale del rito costituisce una tecnica di governo del processo che va opportunamente considerata al fine di preservarne il valore costituzionale rispetto alla dimensione “ordalica della mediatizzazione“.[52]
La toga costituisce, per tutti gli attori del processo, uno schermo protettivo necessario al pari delle mura[53] che, a differenza dalle superfici degli schermi dei monitor, separa dal mondo[54].
La riflessione sul concetto di pubblico e di udienza pubblica come dimensione simbolica del rito, impone una riflessione matura delle tecnologie ICT in quanto le stesse, per automotricità propria, mirano a superare ogni condizione temporale e architetturale di ogni diverso dominio, proponendosi come nuovo elemento fondativo della spazialità e temporalità ubiquitaria. L’idea di una neutralità tecnologica insita nell’uso di una telecamera ferma sull’aula di udienza risulta infantile, in quanto dimentica l’identificazione tra mezzo e messaggio propria delle tecnologie mediatiche (“il mezzo è il messaggio” di Mc Luhan), ed ingenua, in quanto dimentica che la tecnica, ivi compresa la tecnica visiva, rimanda ad un ordine pre-costituito e ad un titolare che ne amministra comunque il fluire.
Le tecnologie dello schermo si prestano, con i media, ad una riproduzione/ricreazione visiva dell’accaduto, che si pone con maggior forza evocativa rispetto alla narrazione proposta negli atti, alla loro interlocuzione verbale nel contraddittorio delle parti e delle acquisizioni processuali.
Anche qui, la riproduzione filmica delle vicende giudiziarie costituisce un atto di appropriazione sostitutiva operata da “un terzo” al di fuori delle regole processuali, capace di proporsi come forma unica del reale per le connotazioni di verosimiglianza insite nello strumento filmico: la finzione cinematografica non viene percepita come opera dei media in quanto si propone come “ esistente” per sua intrinseca natura, interrompendo ogni interlocuzione soggettiva con la vicenda storica del processo come delimitata dal tempo, per proporre una dimensione di ripetibilità infinita propria della riproduzione tecnologica. Ogni attore del processo perde la sua identità valutativa, sempre più schiacciata dall’ordalia mediatica o che prescinde dalla dinamica processuale e dall’ordine cui viene chiamato dal tempo e dalle fasi processuali: la riproducibilità infinita delle ICT interrompe il legame temporale delle fasi processuali come tali legate alla loro successione incrementale di significato per proporre una nuova costruzione veridica di significato che può prescindere da ogni legame sequenziale delle fasi.
Semmai, il versante su cui aprire alle tecnologie è quello:
La materialità superficiale del Surface non deve farci dimenticare la sua porosità visuale e la sua intersezione con il mondo immaginifico della nostra epoca visuale, rendendo possibile che si instauri una dinamica confusiva tra realtà del processo e sua riproduzione tecnologica a tutto danno dei principi costituzionali che ne presidiano la giustezza, ivi compresa la presunzione di innocenza.
7. Riformulazione delle priorità dell’intervento tecnologico: capitale semantico e registri.
Dovendo in sintesi tratteggiare gli elementi salienti dei sistemi tecnologici partecipi di tale rivoluzione, va detto come i sistemi devono essere caratterizzati:
a)dalla semplificazione generalizzata delle strutture informatiche di base, quali i registri, la cui complessità trae origine da una mancato riposizionamento delle informazioni da atto processuale: l’isoformismo delle strutture di base costituisce ad oggi un dato ambientale che va opportunamente considerato, non solo per i tempi di sviluppo degli applicativi ma per le metodiche di governo degli stati di avanzamento dei sistemi;
b)dalla costituzione di uno strato di conoscenza capace di produrre incessantemente costrutti cognitivi ( id. est. capitale semantico), proponendosi come condizione ambientale per qualsiasi azione produttiva che assuma la conoscenza come suo veicolo motivazionale;
c)dalla definizione di strumenti di gestione delle informazioni da processo capaci di arginare la logica dell’accumulazione bytiana propria della memoria digitale (c.d. Big Data), per essere coerente con il quadro costituzionale delle attribuzioni di titolarità esclusiva proprie del processo penale;
d)dalla riduzione dei tempi di ri-produzione della conoscenza in ogni fase e per ognuno degli attori interessati, superando logiche di posizionamento delle stesse informazioni come ereditate da strutture burocratiche del passato (archivi, in quanto capaci di alimentare costantemente un sistema di conoscenze capace di coniugare l’emergenza del caso con l’attualità predittiva del conosciuto).
L’operazione razionale che si vuole quindi porre in essere per il settore penale deve pertanto muovere da tali premesse di contesto mirando a realizzare un’opera di consolidamento dei sistemi e nel contempo, un riposizionamento progettuale che ne assicuri il costante adeguamento alla variabilità del formante normativo e giudiziario interessato dalla sua azione.
Le azioni progettate mirano:
In altri termini, si mira a realizzare uno o più universi informativi paralleli rispetto alle informazioni dei registri, nei quali dovranno trovare aggregazione le informazioni per anagrafica, per qualità della fattispecie, per dinamiche cautelari, per esiti processuali, per rito e per cadenza temporale, secondo logiche processuali che ne garantiscano al tempo stesso identità ricognitiva e attualità conformativa.
Diviene pertanto prioritario ed indispensabile, prima di ogni azione sui sistemi, la formulazione del capitale semantico del sistema informativo, capace di registrare il valore assicurato dall’azione di ognuno degli attori sociali nella successione delle fasi processuali :
es. capitale semantico
FURTO.
Solo la centralità assegnata all’azione svolta dalla riformulazione del capitale semantico dei sistemi informativi permetterà di assicurare all’’atto processuale il valore di spirale cognitiva del singolo processo.
8. La forma, il formato: verso la prosumerizzazione delle relazioni processuali.
Da molto tempo, si è osservato che la crescente digitalizzazione dei prodotti e dei servizi ha mutato la relazione tra consumo e produzione e nelle relazioni istituzionali, tra cittadino ed istituzione: il prosumerismo, come dinamica della relazione digitale, rimanda ad una decodificazione e ristrutturazione delle relazioni tra produttore e consumatore, tra cittadino ed istituzione, in quanto il consumatore e/o il cittadino interviene nel ciclo di produzione del bene e/o del servizio come co-produttore dello stesso, superando così la passività insita nella posizione di mero acquirente e/o utente finale. Se la rete non è un sistema ma ne contiene il concetto[57], va detto che il processo propone una relazione di sistema astratto/ concreto quanto mai coerente con il dinamismo digitale.
Internet, come base tecnologica, realizza al contempo una nuova forma di organizzazione della società e delle istituzioni di cui il network è la rappresentazione strutturale [58].
L’esperienza vissuta dal settore civile quanto a forma e a modalità di deposito degli atti telematici deve indurre ad una riflessione sulla nuova forma dell’atto digitale nell’ecosistema penale, in quanto il documento informatico deve consentire l’invio di un atto capace di interagire immediatamente con “i sistemi dei registri”, producendo rappresentazioni cognitive coerenti per stato del processo e innescando processi di prosumerizzazione delle relazioni quantomai coerenti con la fase del processo[59] .
La rivisitazione del principio di legalità nella disciplina della forma degli atti processuali sia civili che penali si impone come operazione preliminare alla configurazione del nuovo contesto operativo innescato dal processo telematico, proponendo: i) per il legislatore, la riformulazione del modello legale dell’atto dotato di requisiti di validità capaci di sostenere il dinamismo insito nel processo telematico, consentendo il reperimento selettivo delle informazioni necessarie al contraddittorio; ii) per il giudice, una rimodulazione delle ipotesi interpretative della condizione di invalidità dell’atto, in quanto la struttura formale che ne sostanzia l’iscrizione nei registri, realizza di per se stessa, la sua funzione tipica; iii) per i soggetti del processo, l’uso dei modelli legali degli atti come condizione della produzione degli effetti tipici di quegli atti, nella considerazione che l’operatività delle sanatorie per vizi degli atti difformi dal modello costituisce una dinamica di difficile governo interpretativo.
Come è stato correttamente osservato, la regola della tipicità dell’atto – e quindi la regola della forma digitale dell’atto, nella sua composizione narrativa e metadatica – trova nel processo telematico giustificazione “nella fondamentale funzione di garanzia dell’essenza formale dell’atto processuale: garanzia evidente per l’avversario, altrimenti costretto a divinare cosa si nasconde sotto le spoglie di ogni atto; ma garanzia per l’agente, il quale ha diritto che l’atto sia apprezzato dal giudice per ciò che formalmente è”.[60]
La nullità degli atti se rimanda ad un sistema legale chiuso, fondato sul princpio di tassatività di cui all’art 177 c.p.p, pone al legislatore la necessità di una riscrittura complessiva del sistema processuale, che ne realizzi la sua inverazione per il tramite delle tecnologie ICT: nullità di ordine generale e nullità di ordine speciale devono essere oggetto di una ridefinizione che consenta di coniugare il valore costituzionale, insito nella loro individuazione normativa, con i principi di effettività e ragionevole durata del processo[61]: la fattispecie legale dell’atto di ognuno degli attori del processo si estende fino alla sua iscrizione sui registri cosicchè la completezza dell’atto non va solo verificata nella sua compiutezza scritturale ma nel formalismo dei metadati necessario all’esatta produzione dell’effetto tipico dell’atto processuale.
In tale quadro, appare evidente come le possibilità di crescita del sistema sono per intero insite nel superamento della logica meramente sequenziale dell’evento processuale, per essere complessivamente riscritta per mezzo delle informazioni che presiedono alla sua produzione per il tramite degli atti e processi decisionali assolti dai vari attori sociali del processo: in altri termini, il processo di verticalizzazione delle informazioni si fonda su: i) un dinamismo della scrittura significativo, in quanto capace di veicolare l’aggregazione di informazioni rilevanti per le diverse fasi del processo: la scomposizione della dimensione documentale ad oggi prevalente all’interno del processo penale, ovvero la riproduzione immagine del documento fisicamente prodotto carta, deve avvenire con gradualità privilegiando le informazioni apicali proprie di ogni singolo atto, superando la sola classificazione ontologica in favore di una riscrittura narrativa; ii) il riposizionamento delle informazioni non solo all’interno del contesto processuale che ne veicola la produzione, ma dell’universo processuale che è chiamato in varie fasi al loro utilizzo: ad esempio, il sistema dell’esecuzione penale è un contesto di informazioni fortemente dipendente dalle informazioni precedentemente prodotte dal processo, riposizionando peraltro con autonoma rilevanza il significato che presiede alla loro produzione. E’ quindi necessaria la creazione di un nuovo strato architetturale in sui si collocano selettivamente informazioni da scomposizione cognitiva dell’atto, da evento modificativo di stato prodotte dagli stessi attori sociali del processo, per consentire la contestualizzazione dell’attività realizzata per parti ricorrenti, per azioni promosse, per quantificazioni economiche, per dispositivi normativi, per metriche ponderali.
Rispetto alla prima era del processo telematico, il cambio di livello progettuale appare significativo in quanto l’orizzonte che si mira a delineare non assume più la gestione del sistema processuale quale oggetto unico della riscrittura informatica ma si realizza nella continua produzione di conoscenza riflessiva per tutti gli attori coinvolti, capace cioè di restituire ad ognuno di essi la complessità latente del processo di reificazione della norma nel concreto.[62]
In tale quadro, assumono autonoma rilevanza:
9. Nomometrica del settore penale: i nuovi laboratori algoritmici.
Non è questa la sede per un’analisi diffusa delle tendenze normalmente riconducibili al c.d. machine learning, alle mirabili sorti progressive loro assegnate in ogni campo dell’azione umana per il tramite della predisposizione di algoritmi matematici[63].
Va qui solo ricordato come al fideismo “raziocentrico” di molti si accompagna la riflessione di quanti discutono in modo più appropriato del valore cognitivo del machine learning, richiamandosi ai principi della migliore scienza cognitiva neuronale. L’idea di fondo, che deve muovere la relazione con un campo dell’esperienza scientifica, non è la riconducibilità di processi decisori a sistemi algoritmici quanto, piuttosto, quale esperienza giudiziaria può crescere laddove muova anche dall’ausilio dei sistemi di machine learning.
Al riguardo, deve ricordarsi l’esperienza americana maturata con riferimento al «risk assessment» in materia penale. La Conference of Chief Justices ha adottato una risoluzione intitolata «In Support of Sentencing Practices that Promote Public Safety and Reduce Recidivism». La American Bar Association, a sua volta, ha stimolato l’elaborazione di strumenti per ridurre la recidiva ed incrementare la sicurezza. Proprio muovendo da tali finalità, è stato elaborato dalla società Northpointe Inc. un programma, denominato «Compas».[64]
La compatibilità di ogni strumento decisionale con i principi del giusto processo («due process of law»), pure esaminata dalla Corte Suprema del Wisconsin con la decisione del 13 luglio 2016 (Case n. 2015AP157-CR), evidenzia le tematiche di fondo su cui deve muovere ogni considerazione votata all’esame critico dell’apporto tecnologico.
In primo luogo, i sistemi ML processano dati selezionati sulla base di formule matematiche, che assegnano ad essi evidenza decisionale rispetto ad altri: ed invero, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte americana, appare invero fortemente criticabile l’idea della verificabilità ex post della base dati utilizzata per l’elaborazione del coefficiente di recidiva dell’imputato, essendo difficilmente processabile a ritroso un sistema computazionale che si animi per l’elaborazione di un numero estremamente elevato di informazioni .
La decettività delle decisioni assunte per il tramite di algoritmi è stata evidenziata in più campi sensibili per le istituzioni democratiche come per settori più propriamente legati a logiche di mercato, quali ad es. la selezione del personale, le ricerche di mercato, in cui la soluzione proposta dipende fortemente dalla qualità, dall’estensione e dalla ricorrenza selettiva dei dati e dalla neutralità computazionale dell’algoritmo di base, spesso forgiato più sulla base delle esigenze del committente che su quelle del consumatore.
Il problema pertanto è la individuazione di algoritmi capaci di una elaborazione coerente con il sistema costituzionale di valori, con il posizionamento strategico del contraddittorio processuale e con il contesto sociale in cui l’elaborazione per algoritmi è chiamata ad operare. La certezza del diritto perseguita per il tramite di sistemi di intelligenza artificiale costituisce non solo un’idea infantile della relazione tra tecnologie e sistemi sociali, ma riproduce una visione fideistica della certezza del diritto ormai estranea al diritto pos-moderno, all’azione orizzontale esercitata dai sistemi normativi sull’azione giudiziaria e soprattutto, all’impossibilità di assicurazione seriale della giustezza della decisione.
Del pari, il numero di dati oggi disponibili nel settore giudiziario, ed in particolare nel settore civile e in alcuni sottosistemi del penale, ben possono sorreggere una prima sperimentazione per elaborazioni argoritmiche in alcune dimensioni del conflitto giudiziario, evidenziando tendenze e strumenti autopoietici di selezione decisionale prodotti da leaner specifici.
Per questi motivi, si ritiene fuorviante ogni approccio parziale e settoriale, dovendo provvedersi alla costruzione di un sistema complessivo di misurazione della norma applicata (nomometrica) capace di avvalersi anche di algoritmi del due process in quanto forgiati su basi di dati certificate in quanto condivise.
La nomometrica del settore penale si propone una riformulazione del formante giuridico in relazione ad altri contesti, quali:
Nomometrica si propone al contempo un programma prospettico e un piano di azione sul presente, che non libera il passato dal valore della sua preminenza normativa ed interpretativa ma ne esamina la sua relazione con le dinamiche interne ed esterne del contesto sociale, riattualizzando quanto, già in sede di primo approccio alle tematiche in oggetto, veniva indicato in passato come giuritecnica[65] e giuscibernetica[66].
L’ontologia degli “oggetti normativi” e degli “oggetti sociali” rimanda ad una tessitura di significati, che muovono tutti da un rivisitazione della semantica di produzione delle informazioni da processo per renderne possibile una lettura sincronica costante. L’azione prodotta dalla norma all’atto del suo concretizzarsi nella contingenza della decisione non è mai stato oggetto di analisi proprio perché assente nelle categorie editoriali che guidano ancora oggi la visibilità degli uffici giudiziari.
10 Conclusioni
Le azioni indicate appaiono di per sé stesse connotate da elementi: i) di tendenziale continuità con quanto ad oggi realizzato nelle esperienze più avanzate dei sistemi informativi; ii) di forte discontinuità per intersezioni a forte significato progettuale, capaci di superare i limiti genetici dell’analogismo informatico.
Per questo, va detto che non sono sufficienti operazioni di basso profilo, volte al solo efficientamento dei sistemi esistenti: l’adattamento del reale al sistema informativo dato tradisce la mancanza di visione alta delle problematiche fin qui descritte, diminuendo il significato costituzionale dell’azione esercitata per il tramite della progettazione dei sistemi informativi.
L’inquietudine che permea l’intero apparato normativo costituisce una dimensione ormai stabile dell’osservanza moderna della legge, non governabile per il tramite delle tecnologie ma per rinnovati modelli valoriali, che assumano il processo e la verità limitata (iuxta alligata et probata) che ne anima il suo incedere, a requisito performativo costituzionale.
Il diritto vivente reclama altri strumenti e, soprattutto, nuovi attori che siano capaci di un uso coerente con il suo stesso requisito fondativo: “ Le pratiche giudiziarie …..con le loro strategie di regolazione delle colpe e dei danni, con l’aggiudicazione sui domini di diritti e doveri con giudicare errori applicandovi riparazioni e castighi, forniscono nella genealogia, tracce di una relazione tra gli uomini e l’elaborazione del problema della verità”[67].
Dott. Pasquale Liccardo - Pres. Tribunale di Modena
[1] Le considerazioni muovono dall’analisi dei sistemi del settore penale così come operata nel corso dell’intero 2016 e 2017.
[2] recante «Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n.24 »
[3] Nel senso che il GL attende riscontro dall’applicazione al fine di inviare l’esito al mittente.
[4] Per la concezione realistica del reato, si veda Bricola F, Teoria del reato, in Nss. DI, XIX, Utet 1973, p.72: Mantovani F, Il princiopio di offensività del reato nella Costituzione, in Scritti Mortati, IV, 1977, pag. 453; contra Pagliaro A.Il reato, 2007, pag 18 .
[5] Si veda circolare del 4 agosto 2017 con riferimento alle attività di recupero crediti .
[6] Si veda F.Bricola, Teoria generale del reato, in Nov.mo dig. It, vol. XIX, Torino, 1973, p. 9. L’autore fa riferimento ad “indicazioni nettamente giuspositivistiche, anzi giuslegalistiche che la Costituzione (art 25, 2° comma) fissa in materia penale”.
[7] Così , con considerazioni ancora attuali, C. Ciborra, Lavorare assieme. Tecnologie dell’informazione e teamwork nella grandi organizzazioni, Milano, Etas, 1996, p. 7
[8] Floridi L. La quarta rivoluzione, Come l’infosfera sta trasformando il mondo , pagg. 163 e ss
[9] P. Grossi, Introduzione al Novecento giuridico, Roma – Bari, Laterza, 2012; Id, Ritorno al diritto, Roma-Bari, Laterza, 2015; P. G. Monateri, I confini della legge, Torino, Bollati Boringhieri 2014; Resta E., Diritto vivente, Laterza, 2008, pag.81 e ss.
[10] Cfr Resta E. op. ult. Cit, pag 131: “ Del resto la perenne oscillazizone tra l’idea di prova legale e il princpio del libero convincimento del giudice sta a dimostrare come la questione rimanga un nervo scoperto del processo giudiziario e del rapporto mai lineare con le dimensioni della verità”.
[11] Si veda, Ramponi, La non punibilità per lam particolare tenuità del fatto, in Cassazione, 2016, p. 459 Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. Proc. 2015, 6, 660;
[12] F. Bricola, Teoria generale del reato, cit. p.38 e ss; M. Gallo, Appunti di diritto penale, Torino, Giappichelli,vol. I, p. 46 e ss.
[13] G. Vassalli, a cura di, in Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Edizioni Scentifiche italiane, Napoli, 2006.
[14] Per una nuova visione della riserva di legge, si veda M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, Giuffrè, pp. 83 e ss.
[15] G. Alpa, La rinascita dello status, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna, il Mulino, pp. 435 e ss.
[16] Per la mancata considerazione tra le fonti del diritto, si veda L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, il Mulino, pp. 97 e ss.; diversamente, Ferrajoli, Lo stato di diritto tra passato e futuro, in Lo Stato di diritto. Storia, teoria, ciritica, a cura di P. Costa e D. Zolo, Milano, Feltrinelli, 2002, pp. 349 e ss.
[17] Si veda sul punto, Zagrebelsky G.,Il diritto Mite, pag. 13.
[18] R. Dahrendorf, Dopo la democrazia, a cura di A. Polito, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 65 : “ Dall’essere l’anello debole del sistema, il giudiziario è diventato l’anello più forte” ; si veda inoltre, G.Tarello, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista – interprete in Politica del diritto, Bologna, il Mulino, 1972 n. 3/4 p. 474.; H. Le Berre, La Jurprudence et le temps, in Temps, interprétation et droit, Droits n.30/2000, pag. 78 e ss, per una visione della giurisprudenza come luogo del presente, privo della tensioni alla normatività proprie della legge; M. R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società trasnazionale, Bologna, il Mulino, 2000.
[19] Per la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente: Cass. Sez. V, 19 luglio 2004, n. 31523, Scattone; Sez. I, 4 giugno 2013, n. 24217, De Masi, in Ced Cass 255826; Sez. IV, 20 dicembre 1996, n. 11024, Boni, ivi, 207333; Sez. I, 3 giugno 1993, n. 7382, Piga, ivi, 195270; Sez. I, 26 febbraio
1998, n. 5969, Held, ivi, 209891. In dottrina, P.P. Astorina Marino, Waiting for the miracle? Ragionevolezza e speranza nel caso Thyssen: dal dolo eventuale alla colpa cosciente, in Riv. it. dir. proc. pen., Milano, Giuffrè, 2013, p. 1565; R. Bartoli, Ancora sulla problematica distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nel caso Thyssenkrupp, in Dir. pen. cont., Milano, 17 giugno 2013; M. Bellina, Infortuni sul lavoro: la giurisprudenza penale alla “svolta” del dolo eventuale?, in Il lavoro nella giurisprudenza, Assago, IPSOA, 2012, p. 152; S. Canestrari, La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nei contesti a rischio di base “consentito”, in Dir. pen. cont., Milano, 6 febbraio 2013; L. Eusebi, La prevenzione dell’evento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell’illecito colposo e del dolo eventuale, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, vol. II, 2011, 980; M.N. Masullo, Infortuni (mortali) sul lavoro e responsabilità penale del datore di lavoro: ripristinato il primato del modello colposo?, in Dir. Penale e processo, Assago, IPSOA, 2013, p. 923;
[20] Pisa, Incidenti stradali e dolo eventuale: l’evoluzione della giurisprudenza, in Dir. Penale e processo. Speciale Dolo e colpa negli incidenti stradali, Assago, IPSOA, 2011, pp. 13 e ss. (2); Cass., Sez. fer., 31 ottobre 2008, n. 40878, in Riv. pen., 2009, 171. (3) Cass., Sez. I, 15 marzo 2011, n.10411, in Diritto e giustizi@, il quotidiano di informazione giuridica del 17 marzo 2011. (4) Cass., Sez. I, 11 marzo 2015, n.18220, in www.iusexp
[21] Morte causata dal conducente di un tir a seguito di una vietata inversione di marcia e fuga condotta con l’auto della vittima incastrata sotto il rimorchio ( Cass. 31 ott 2008 n 40878, in Riv. Pen 2009, 171) ; Morte provocata da guidatore di un furgone dopo ripetuti attraversamenti di incroci con semaforo rosso, inseguito dalle polizia.
[22] Si veda N. Irti, La crisi della Fattispecie, in Riv. Dir. Proc., Assago, IPSOA, 2014, p. 36; per una corretta distinzione tra casi difficili e casi facili, si veda M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., pp. 159 e ss
[23] Così efficacemente, M. R. Ferrarese, Il diritto al presente, cit. pp. 197 e ss
[24] Sul rapporto tra diritto e contingente, si veda E. Resta, Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell’osservatore, Roma-Bari, Laterza, 1997, p..129 e ss. Sulla novità di ruolo delle istituzioni giudiziarie, con particolare riferimento anche alle corti sovranazionali, si veda A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma- Bari, Laterza, 2002, pp.91.
[25] Si veda, G. Fiandaca, Diritto penale giurisprudenziale e spunti di diritto comparato, in AA. VV. Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giurisprudenziale, a cura di G. Fiandaca, Padova, CEDAM, 1997; sui profili del valore assunto dall’interpretazione in generale. con particolare riferimento al diritto penale, F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e intepretazione. Lineamenti di una teoria ermeneutica del diritto, Roma - Bari, Laternza 1999, pp. 300-307.
[26] G. Fiandaca, Il diritto penale giurisprudenziale cit., p.15, secondo cui «l’interprete assume un ruolo “creativo”, nella misura in cui egli conforma o riempie ermeneuticamente le fattispecie penali nel diritto vivente, le integra, corregge, adatta, orienta ai casi concreti, ne propone interpretazioni restrittive o al contrario estensive (se non proprio analogiche “mascherate”) alla luce di valutazioni teleologiche non sempre univocamente desumibili dal testo scritto delle norme o dalla (non di rado polivalente) ratio legis»; per una visione aspramente critica, si veda L. Ferrajoli , Contro la giurisprudenza creativa, in Questione Giustizia 2016, pag 13 e ss.
[27] G. Fiandaca, Ermeneutica e Applicazione giudiziale del diritto penale,in Il Diritto Penale tra legge e giudice a cura di G. Fiandaca, Padova, CEDAM, p. 357.
[28] Si rimanda alle sentenze adottate dalla IV sezione della Cassazione : la prima Corte di cassazione, sezione IV sent. 20 aprile 2017, n. 28187, imp. De Luca (ricorrente la parte civile Tarabori) , in Dir. pen. contemp., 13 giugno 2017 con nota di C. Cupelli, La legge Gelli-Bianco e il primo vaglio della Cassazione: linee guida sì ma con giudizio, G.M.Caletti - M.L. Mattheudakis, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. contemp., n. 2, 2017, 84; P. Tabasso, L’art. 590-sexies c.p. non contiene una causa di non punibilità. Primi approcci ad una contrastata riforma, in Giur. pen.Web, 2017, 7-8; la seconda Cassazione IV° sez. 19 ottobre 2017, n. 50078, Cavazza, in Dir. pen. contemp., 7 novembre 2017 con nota di C. Cupelli, Quale (non) punibilità per l’imperizia? La Cassazione torna sull’ambito applicativo della legge Gelli-Bianco
ed emerge il contrasto: si avvicinano le sezioni unite?
[29] L. Ferrajoli Le basi epistemologiche del diritto penale, in Il Paradigma Garantista, Napoli, Editoriale Scientifica, p. 67.
[30] Così N. Luhmann, Sociologia del diritto, Roma Bari, Laterza, 1977.
[31] Cfr. Cass. Sez. Un. 29 settembre 2011, in Cass. Pen. 2012, 2410, con nota di F. Caprioli, Abuso del diritto e nullità inoffensive, 2012; R.Brichetti, Il sistema della nullità degli atti.: il princpio di tassatività all’esame dell’intepretazione giurisprudenziale, in Criminalia, Ets, Pisa, 2010, n. 5, pp. 439 ss, G. Leo, L’abuso del processo nella giurispudenza di legittmità, in Diritto Penale e Processo, Assago, IPSOA, 2008, p. 508; A. Marandola, La patologia dell’atto processuale: indirizzi sostanziali vs legalità formale, ibidem, 2012,p. 1053 e ss.; C. Conti, Nullità e inutilizzabilità: probelami attuali e prosepttive di riforma, in Cass. Pen. Milano, Giuffrè, 2008, p. 1654
[32] Si veda, Cordero F,Nullità , sanatorie, vizi nnocui, in Riv. It. Dir. E proc. Pe, 1961, pag. 705; Caianiello M., Premesse per una teoria del pregiudizio effettivo nelle invalidità processuali penali, 2012, p. 20 per il quale “ lo stretto legame con il diritto sostantivo indiceva a inevitabili parallelismi gli studiosi del processo. Il fatto che la norma pemale incriminatrice non possa essere attuata senza la celebrazione del processo,che essa viva esclusivamente nella realtà processuale,conduceva a ritenere ottimale la sottoposizione del fenomeno del rito al principi odi stretta legalità.Ne sarebbe altrimeni risultato smentito – o per lo meno posto in pericolo - il principiodi legalità in sede sostanziale”; e più avanti, l’art. 111 costizione, come novellato, sembra “ confermare in maniera irrefutabile il criterio di tassatività, e un approccio formale all’applicazione di tutte le disposizioni processuali penali, prime fra queste quelle dettate in materia di invalidità”:
[33]per una analisi puntuale e per una critica a tale orientamento, si veda Brichetti R, Il sistema delle nullità degli atti, in Dir. pen e processo 2010, 1049;
[34] “La proceduralizzazione ha segnao il primo passo rilevante nella legalità e lo ha fatto attraverso un’operazione di autoregolazione del sistema giuridico.Inevitabilmente ha dovuto ritrarre lo sguardo da fatti, soggetti, realtà e verità e li ha sottoposti ad un a”internalizzazioe “li ha tradotti nel suo linguaggio”, così resta, in Diritto vivente, pag 19. Si vedano al riguardo G. Gorla, La giurisprudenza. Diritto comparato e diritto comune, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 297 per il quale "i mezzi di informazione sono una condizione essenziale del valore della giurisprudenza come fattore del diritto, cosi come di ogni altro fattore del diritto stesso"
[35] Spangher G, Abuso del processo ( diritto processuale penale) In Annaòo Enc. Dir., IX, 2016.
[36] Cfr per chiarezza ed esausitività dell’approccio, Donini M., Populismo e ragione pubblica. Il post-illuminismo penale tra lex e ius, Modena 2019, : nelle conclusioni a pag.58, la tensione risulta lucidamente analizzata “ E’ sempre il ius che legittima la lex. Questa prevalenza millenaria nella comprensione culturale del diritto ci assicura l’unica garanzia della legittimazione politica e della sua ragione pubblica costituita appunto da una verifica collettiva, non solo giurisdizionale, dei prodotti legislativi in un conesto di diritto, oltre che di diritti sovraordinati, che travalicano il risultato di una maggioranza tanto necessaria quanto spesso incapace di motivare in modo non populistico le proprie leggi” ; G. Zaccaria, La comprensione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp..11 e ss.
[37] E. Brynjolfsson, A. McAfee, La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante, Milano, Feltrinelli, 2015
[38] E. Rullani, La fabbrica dell’Immateriale. Produrre valore con la conoscenza, Roma, Carocci, 2004.
[39] M. Ferraris, Anima e l’iPad, Milano,Guanda, 2011 p..68 per il quale “ Qui la tecnica non è solo un potenziamento della natura. É la manifestazione dell’essenza della cultura e della socialità, e persino di quella parte così cruciale della cultura cha chiamiamo cosicenza”
[40] P. Grossi, Il ritorno del diritto, cit.
[41] Così A. Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007, pag. 3 e ss.
[42] E. Amodio, Estetica della giustizia penale, Milano, Giuffrè, 2016, pagg. 7 e ss.
[43] G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, CEDAM, 2014, p. 229. “ Nondimeno si deve esc ludere – in linea assoluta che la videoconferenza o il telesame siano la stessa cosa dell’assistenza personale o delle dichiarazioni tipiche del contesto spaziale e temporale della pubblica udienza”
[44] Conferenza di Riga del 29 ottobre 2017.
[45] Sul punto, si veda E. Amodio, op. cit., p. 45 e ss e pp. 127 e ss,
[46] A. Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, cit., pag.50.
[47] In tal senso si veda Resta E. op ult. cit pag 137 laddove opportunamente osserva : “ E’ rito nel senso di una precisa pratica sociale che ha tante funzioni,tra cui non è secondaria quella di attutire l’impatto con il non conosciuto o con l’inconsueto: il rito rende magicamente prevedibile, l’imprevedibile e lo fa rispondendo la logiche non di verità ma di validità. La validità non è dell’oggetto né del soggetto del rito ma del rito stesso, con un effetto simbolico non trascurabile che è quello della separazione tra meccanismo e contenuto del riferimento, e tra regole e loro gioco, che si avvcina tanto alla forma e alla prativca della democrazia “
[48] Garapon, op. cit.pag. 28
[49] Così Garapon, op citata: “Tale cosmogonia dello spazio giudiziario prefigura l’ordine giuridico. Ciò che il primo incarna è la preminenza dell’ordine sulla trasgressione, la sottomissione dell’individualità alla socialità, la primazia del diritto rispetto alla forza così di frequente rievocata sui frontoni dei nostri palazzi di giustizia”.
[50] Il temine viene ripreso da Floridi L. La quarta rivoluazione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo,
[51] Garapon, op. cit. pag. 28.
[52] Garapon, op. cit. pag 118
[53] Garapon, op. cit 67
[54] Si veda sulla non superficialità delle nuove superfici, Bruno G. Superfici 2016 .
[55] Così Cordero, Riti e sapienza del diritto, 1985, pag., 312.
[56] Garapon op. cit. pag. 223
[57] Degli Esposti P. essere prosumer nella società digitale, 2014,pag.122.
[58] Castells M, Galassia internet, 2002; più analiticamente, Boccia Artieri G. Stati di connessione. Pubblici,cittadini e consumatori nella ( Social) Network Society, 2013.
[59] Per quanto maturato nel settore civile, si veda in tal senso, L.P.Comoglio, Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e suggestioni evolutive, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ, 2015, III, p. 958, per il quale “ le modalità di deposito degli atti […] sono “ a tutti gli effetti nuove forme con cui le parti e il giudice devono compiere le rispettiva attività processuali”; per un esame complessivo della problematica degli atti, si veda A. Bonafine, L’atto processuale telematico. Forma, patologie, sanatorie, Jovene, Napoli, 2017.
[60] R. Vaccarella, Volontà e forma degli atti processuali di parte: la conversione della citazione in atto di riassunzione, in Giur. It., 1983, I, 2, c.42
[61] G. Conso, I fatti giuridici processuali penali, Milano, Giuffrè 1995, pp. 11 e ss.
[62] Si veda sul punto, C. Ciborra, G. F. Lanzara, I Labirinti dell’innovazione, Milano, Etas, 1999, pp. 38 e ss.
[63] Il richiamo d’oblbigo è agli studi di Gottfried Wilhelm von Leibniz (Dissertatio de arte combinatoria, 1666) e a quelli di Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, dal nome del quale deriva appunto il termine algoritmo. Per un primo esame, si veda Giolito B. Intelligenza Artificiale,,rist. 2015.; P. Domingos, L’Algoritmo definitivo. La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo, Torino 2016: in particolare, per la necessaria distinzione tra IA e ML si veda pag. 31 e ss.
[64] La compatibilità di questo software con i principi del giusto processo («due process of law») è stata esaminata dalla Corte Suprema del Wisconsin con la decisione del 13 luglio 2016 (Case n. 2015AP157-CR).
Il sig. Eric Loomis aveva adìto la corte ed aveva lamentato, in primo luogo, l’insufficienza dei dati acquisiti dal programma, privato, e, quindi, non verificabile; in secondo luogo, la violazione del diritto ad ottenere una decisione individuale; e, in terzo luogo, l’uso del genere nella valutazione del rischio di recidiva: «1) it violates a defendant's right to be sentenced based upon accurate information, in part because the proprietary nature of COMPAS prevents him from assessing its accuracy; (2) it violates a defendant's right to an individualized sentence; and (3) it improperly uses gendered assessments in sentencing».La Corte ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto che le informazioni acquisite dal programma sono consultabili sulla Northpointe's 2015 Practitioner's Guide to COMPAS e questa indica i dati in base ai quali il programma è stato elaborato e le variabili. In riferimento al secondo motivo, la Corte ha esortato i giudici a valutare i risultati forniti dal programma con il profilo personale dell’imputato: «… we expect that circuit courts will exercise discretion when assessing a COMPAS risk score with respect to each individual defendant». Sul terzo motivo, la Corte ha richiamato gli studi in base ai quali, statisticamente, la recidiva è più frequente per gli uomini che per le donne.
La Corte del Wisconsin ha concluso nel senso che il software, se usato correttamente («if used properly»), non viola il giusto processo.
[65] D A llimone ( a cura di) Dalla giuritecnica all’informatica giuricia,. Studi dedicati a Vittorio Frosini, Milano 1995.
[66] M.G. Losano Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Torino 1969
[67] E. Resta, Diritto vivente, Roma-Bari, Laterza, 2008, p.124.
IL BAZOOKA DI LIQUIDITA’ CONTRO IL COVID 2019
di Glauco Zaccardi
Sommario: 1.Gli effetti macroeconomici della pandemia e gli interventi del Governo. Il bazooka di liquidità.- 2.Il quadro europeo. - 3.Il piano italiano. - 4.Il prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020. - 5.Conclusione.
1.Gli effetti macroeconomici della pandemia e gli interventi del Governo. Il bazooka di liquidità
La pandemia da Covid 2019, oltre alla tragedia sanitaria e all’elevatissimo numero di vittime che ha procurato, ha creato un blocco dell’economia globale, gli effetti del quale non potranno essere stimati nell’immediato e, certamente, per avere un orizzonte ben chiaro occorrerà attendere almeno la fine del 2020.
Come noto, le conseguenze della crisi si sono manifestate attraverso diversi canali. All’impatto della contrazione dell’economia cinese nel primo trimestre dell’anno si sono aggiunti lo shock dal lato dell’offerta, quello sul versante della domanda derivante dall’abbattimento dei consumi, l’impatto negativo dell’incertezza sui piani di investimento e, infine, il drenaggio insostenibile alla liquidità delle imprese. Le ripercussioni sui mercati finanziari globali sono evidenti e non occorre soffermarsi in questa sede per renderne l’ordine di grandezza.
Il nostro Governo, per primo in Europa, ha varato uno straordinario piano di interventi a sostegno dell’economia, di entità mai vista nel dopoguerra e che non trova uguali in tutta l’Unione. Si è parlato, nella comunicazione politica, di un vero e proprio bazooka di liquidità.
Al di là dell’enfasi dell’espressione, alcune cifre possono dare l’idea di come sia stata affrontata l’emergenza, pur a fronte di un debito pubblico poderoso (135% del PIL, prima della crisi).
Il Governo ha varato, con i decreti legge 17 marzo 2020, n. 18 e 8 aprile 2020, n. 23, un intervento complessivo di 800 miliardi di euro a sostegno di imprese, cittadini e professionisti, battezzato dall’altra espressione della comunicazione politica, rispolverata per l’occasione, secondo la quale nessuno sarà lasciato indietro. La cifra impiegata è pari al 40% circa del PIL nazionale (ammontante, quest’ultimo, a 1787 miliardi di euro nel 2019, 1944 miliardi misurati in dollari).
Tanto per fare paragoni e guardare cosa succede nell’Unione Europea, la Germania ha messo in campo un piano complessivo di 1.137 miliardi di euro, che si innestano, però, nello scenario di un paese che ha un PIL di 3.388 miliardi di euro, pari a 3.684,45 miliardi di dollari. Lo Scudo protettivo per lavoratori e imprese che il Governo federale ha prodotto insieme con i singoli Lander è pari, quindi, a poco meno di un terzo del PIL nazionale e, non può non essere ricordato, la Germania parte da una situazione di avanzo di bilancio.
Fuori dall’Unione, sempre per rendere l’idea dell’entità dell’intervento varato dal Governo Italiano, il Giappone ha approvato un complesso sistema di misure che portano a un totale di – dichiarati – circa mille miliardi di euro, i quali, però - contestano gli analisti - includono anche i circa 200 miliardi già messi in campo nella sessione di bilancio dello scorso autunno, precedente il diffondersi della pandemia. Il Governo giapponese, quindi, ha stanziato risorse di ordine pari a quelle italiane, ma lo ha fatto intervenendo su un’economia nazionale che produce il terzo PIL del mondo, ossia 4541 miliardi di euro nel 2019 (4.939,38 miliardi dollari), più di due volte e mezzo il PIL italiano.
Così ricordata l’entità del bazooka, è utile inquadrare il contesto europeo nel quale lo stesso si è inserito, per poi accennare alla composizione complessiva del pacchetto; ci si intende soffermare, poi, su una particolare misura, il cosiddetto prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020, al quale a mio avviso sono state mosse critiche ingenerose e un po’ frettolose.
2.Il quadro europeo.
Come è noto, in linea generale l’art. 107 TFUE vieta gli aiuti di Stato, erogati in qualsiasi forma, che favorendo talune imprese o determinati settori produttivi o aree territoriali, rischino di alterare la concorrenza all’interno dell’Unione.
E’ quindi evidente che la Commissione, investita dalle istanze dei paesi (l’Italia per prima) che hanno annunciato misure imponenti di sostegno pubblico all’economia, abbia dovuto delineare un quadro nuovo, necessariamente contingente e legato alla crisi, per la trattazione degli aiuti di Stato.
Ciò è stato fatto con due provvedimenti: la Comunicazione della Commissione, Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid-19, n. 2020/C 91 I/01 del 19 marzo 2020 e la Comunicazione della Commissione, Modifica del Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19, n. 2020/C 112 I/01 del 3 aprile 2020.
Muovendosi nel solco dalle indicazioni del Consiglio Europeo (l’organo che, ricordiamolo, definisce le linee politiche generali e le priorità dell’Unione e nel quale siedono i capi dei governi nazionali, il Presidente del Consiglio Stesso e il Presidente della Commissione), la Commissione ha, in sintesi, enunciato una linea che può essere sintetizzata nei termini seguenti.
Le conseguenze socio-economiche dell’emergenza Covid-19 rientrano tra gli scenari in relazione ai quali l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b) del TFUE prevede la possibilità di autorizzare aiuti di Stato alle imprese per “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia” di uno Stato membro.
Ora, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia questa disposizione, che consente in via eccezionale un approccio più flessibile dell’ordinario nella valutazione degli aiuti di Stato, si applica anche nel caso in cui il turbamento economico coinvolga più Stati membri o la totalità del territorio dell’Unione. In ogni caso, è superfluo specificarlo, gli aiuti devono essere diretti alla compensazione dei danni dovuti all’emergenza e non possono risolversi in un beneficio rispetto alla situazione preesistente.
Per la cronaca, il precedente diretto del ricorso all’articolo 107, paragrafo 3, lettera b) si registrò in occasione della crisi economico-finanziaria del 2008.
La Commissione ha affermato chiaramente che: “Sin dal 10 marzo scorso il Consiglio europeo ha incluso tra le linee di azione per fare fronte all’emergenza, oltre alla flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità e crescita e alle misure per limitare la diffusione dell’epidemia, assicurare adeguate attrezzature sanitarie e promuovere la ricerca di vaccini, anche l’applicazione flessibile delle regole sugli aiuti di Stato”.
L’Europa, quindi, senza tentennamenti e tempestivamente, ha detto chiaramente che i piani di intervento straordinari programmati dai singoli governi sarebbero stati valutati in modo flessibile, direi “bonariamente” ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b) del TFUE e che gli effetti degli stessi sull’indebitamento non rileveranno ai fini dello sforamento degli obiettivi del Patto di Stabilità e crescita ( v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1012-l-unione-europea-contro-la-pandemia-di-covid-19-tra-solidarieta-per-gestire-l-emergenza-sanitaria-e-adattamento-degli-strumenti-esistenti-alla-ricerca-di-un-piano-comune-di-rilancio)
Come dire: via libera agli aiuti.
3.Il piano italiano.
L’Italia ha sinora utilizzato la duplice flessibilità concessa (nell’applicazione del patto di stabilità e nell’applicazione delle regole sugli aiuti), immettendo risorse nell’economia per complessivi 800 miliardi; il bazooka di liquidità ha sparato colpi per 350 miliardi nel decreto legge 18/2020 e per 450 miliardi nel decreto legge 23/2020.
Non è la presente la sede per analizzare approfonditamente le singole misure introdotte, potendosi limitare questa trattazione a uno sguardo di insieme ed essendo preferibile soffermare l’attenzione, come premesso, sul prestito Garanzia Italia di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020.
Ebbene, nel decreto legge 18/2020 si è varato un piano articolato nei seguenti quattro punti (art. 56). Le prime due misure sono destinate alle micro, piccole e medie imprese, per le quali tutte vale la classificazione adottata dalla Raccomandazione 2003/361 CE.
Ossia: il genere comprende imprese con un numero di dipendenti fino a 250, con fatturato fino a 50 milioni e fino a 43 milioni di poste totali di bilancio; sono piccole quelle con non più di 50 dipendenti e 10 milioni di fatturato; microimprese (le cosiddette partite IVA) quelle che hanno fino a 10 dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio sino a 2 milioni.
Fatta questa precisazione, ecco il sunto delle misure messe in campo con l’art. 56 del decreto legge 18/2020.
a)Moratoria nei prestiti alle micro, piccole e medie imprese (PMI). In dettaglio sono stati congelati, ossia non possono essere revocati sino al 30 settembre: le linee di credito in conto corrente (per 97 miliardi totali, attualmente utilizzate per 66 miliardi) e i finanziamenti per 60 miliardi per anticipi su titoli di credito (attualmente utilizzati per 35 miliardi); a queste risorse si aggiungono il congelamento delle scadenze di prestiti a breve per 29 miliardi e la sospensione delle rate dei prestiti e dei canoni in scadenza per 33 miliardi. Totale: 219 miliardi, dei quali una parte è composta da somme già erogate (163mld), che però avrebbero dovuto essere restituite e sono state invece congelate (praticamente come se fossero oggetto di un nuovo prestito da parte della banca da oggi fino al 30 settembre), l’altra parte (56mld) è composta di nuovi finanziamenti in tutto e per tutto che l’impresa può ottenere tirando sull’apertura di credito che viene congelata.
b)Fondo PMI: Il fondo garantisce oggi finanziamenti per 40 miliardi di euro in favore di imprese micro, piccole e medie. Se ne è disposto il rifinanziamento per 1,3 miliardi, nonché è stata assicurata una controgaranzia sullo stock di garanzie in essere in fase di definizione. Sommando i finanziamenti già coperti che potranno essere prorogati e i nuovi finanziamenti l’intervento cuba 110 miliardi di euro di liquidità che potranno essere immessi in favore di micro, piccole e medie imprese. E’ appena il caso di precisare che il costo dello Stato è dato solo dall’accantonamento necessario a fare fronte alla garanza, poiché i finanziamenti garantiti sono erogati concretamente dal sistema bancario e finanziario. Tale costo, in ossequio al regolamento SEC 2010, è pari all’ammontare delle risorse che il Tesoro stima essere pari a ciò che si prevede sarà necessario accantonare per far fronte alle escussioni; nel caso di specie è stata ritenuta prudenziale una percentuale di accantonamento del 6%.
c)Incentivi alle imprese bancarie e industriali a cedere i loro crediti incagliati o deteriorati mediante la conversione delle loro Attività Fiscali Differite (DTA, Deferred Tax assets) in crediti di imposta; con questa misura sono state liberate nuove risorse liquide per le imprese e si è consentito alle banche di dare nuovo credito; il tutto per totali 10 miliardi.
d)Ulteriore garanzia dello Stato a favore di Cassa depositi e prestiti per fornire provvista alle banche che finanziano imprese medio grandi che non beneficiano del Fondo PMI: 10 miliardi.
A questo pacchetto se ne è aggiunto un secondo, ancor più corposo, con il decreto legge 23/2020. Quest’ultimo si compone dei seguenti cardini (articoli 1, 2, 13, 14 e intero Capo IV)):
a)Garanzie dello Stato, attraverso SACE s.p.a., in modo tale da consentire l’erogazione di finanziamenti per 200 miliardi di euro. E’ il cosiddetto prestito Garanzia Italia, sul quale ci si soffermerà partitamente nel successivo paragrafo (art. 1).
b)Ulteriore sostegno all’export. L’intervento introduce un sistema di coassicurazione in base al quale gli impegni normalmente derivanti dall’attività assicurativa di SACE S.p.A. (il core business della quale consiste nella prestazione di garanzie a sostegno del finanziamento dell’export) sono assunti dallo Stato per il 90% e dalla stessa società per il restante 10%, liberando in questo modo ulteriori 200 miliardi di risorse da destinare al potenziamento dell’export (art. 2).
c)Ulteriore rafforzamento del Fondo di Garanzia PMI, potenziamento del credito sportivo, sospensione di adempimenti e versamenti tributari e contributivi (rispettivamente: art. 13, art. 14, Capo IV); 50 miliardi.
4.Il prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020.
L’art. 1 del decreto legge 23/2020 ha introdotto il prestito battezzato “Garanzia Italia”, con il quale sono state messe a disposizione dell’economia - imprese e professionisti - risorse liquide per 200 miliardi (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1010-il-decreto-legge-8-aprile-2020-n-23)
La misura è piuttosto complessa e la si può sintetizzare nei seguenti punti.
E’ previsto che lo Stato assuma fino al 31 dicembre 2020, attraverso la SACE s.p.a., società del gruppo Cassa depositi e prestiti, la garanzia in favore dei finanziamenti che le imprese del settore bancario e finanziario eroghino sotto qualsiasi forma (comma 1).
In particolare, la garanzia coprirà tra il 70% e il 90% dell’importo finanziato, a seconda delle dimensioni dell’impresa (comma 2, lettera d) ed è subordinata a una serie di condizioni (qualificanti quelle di cui al comma 2, lettere b, c, g, i, l, m), le quali appaiono in grado di superare in larga parte le critiche che sono state mosse all’art. 1 e delle quali faremo cenno nel prosieguo.
Venendo, prima, all’entità della copertura, si prevede che le imprese con meno di 5.000 dipendenti in Italia e un fatturato inferiore a 1,5 miliardi di euro ottengano una garanzia pari al 90% dell’importo del finanziamento richiesto e per queste è prevista una procedura semplificata (comma 6) per l’accesso alla garanzia.
La copertura scende all’80% per imprese con oltre 5.000 dipendenti o un fatturato fra 1,5 e 5 miliardi di euro e al 70% per le imprese con fatturato sopra i 5 miliardi (a prescindere dal numero degli addetti).
Per le Piccole e medie imprese, anche individuali o Partite Iva (insomma le PMI definite ai sensi della già citata Raccomandazione 2003/361 Ce, si veda paragrafo precedente), sono riservati 30 miliardi e l’accesso alla garanzia rilasciata da SACE S.p.A. sarà gratuito, ma subordinato alla condizione che le stesse abbiano esaurito la loro capacità di utilizzo del credito rilasciato dal Fondo Centrale di Garanzia, Fondo già fortemente potenziato come si è avuto modo di illustrare nell’elencare le misure del bazooka.
Così sinteticamente descritto il contenuto dell’intervento e, precisato per scrupolo di completezza che il finanziamento potrà avere durata massima di 6 anni e il preammortamento di 18 mesi (elementi marginali ai fini dell’esame della misura), ritengo utile soffermare l’attenzione sulle condizioni di cui alle lettere b), c), g), i), l, m) del comma 2, le quali sembrano mettere il prestito Garanzia Italia al riparo da molte critiche alle quali è stato sottoposto.
L’approccio giusto, quanto meno di partenza, per analizzare la misura, è secondo me quello dell’intervista rilasciata dai procuratori Sava, De Lucia e Petralia e pubblicata il 20 aprile proprio su questa rivista on line.
Essi hanno espresso la condivisibile preoccupazione che, essendo stata messa in campo un’immissione di liquidità per 200 miliardi di euro nell’economia, l’occasione possa fare molta gola alla criminalità ed hanno fatto appello affinché siano approntate tutte le cautele del caso.
La norma, senz’altro, andrà puntellata con un rafforzamento delle attività di controllo e vigilanza, magari queste ultime potranno essere anche potenziate da protocolli tra le autorità investigative e quelle di vigilanza sui settori finanziario e creditizio; se necessario (e il Governo risulta ci stia pensando) si può anche immaginare di esplicitare, con norma di rango primario, quello che è già implicito nell’ordinamento.
Ma, personalmente, non mi trovo nella posizione di una precedente intervista di altri procuratori, nella richiesta di alcuni componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché in altri messaggi a vario titolo inviati sui social, i quali interventi - senza per la verità citare alcun riferimento normativo, ma si capisce che si allude all’art. 1 del decreto legge 23/2020 - tracciano un giudizio di insieme del prestito Garanzia Italia che in più punti non sembra partire da un’analisi puntuale del testo normativo.
Ebbene.
Si è rimproverato, innanzitutto, alla misura una carenza di strumenti per impedire che i soldi finiscano nelle mani sbagliate. Al riguardo mi sembra pertinente richiamare l’impianto costruito dall’art. 1, il quale fa perno sul sistema bancario e finanziario, ossia su quei soggetti i quali rappresentano il primo argine del sistema antiricilaggio. Piaccia o no’ (ma il gradimento sarebbe rimesso a opzioni ideologiche), l’immissione di denaro nel sistema economico avviene sempre e inevitabilmente attraverso il sistema bancario e finanziario e le imprese di quel settore sono quelle alle quali il decreto legislativo 231/2007 e successive modifiche hanno affidato il compito, attraverso gli obblighi di identificazione, adeguata verifica e conservazione, nonché di segnalazione di operazioni sospette, di fare da prima linea contro il riciclaggio.
E’ evidente, quindi, che le banche al momento dell’istruttoria preliminare all’erogazione del credito compiranno, come per qualsiasi altra operazione, le proprie verifiche antiriciclaggio.
Va, poi, aggiunto, che la garanzia, fornita da Sace s.p.a., società del gruppo Cassa depositi e prestiti, come recita esplicitamente il comma 5 sarà prestata in nome proprio, ma per conto dello Stato. Sace s.p.a. è il tramite, lo Stato è il garante. Così testualmente il comma 5, secondo periodo: “La garanzia dello Stato e' esplicita, incondizionata, irrevocabile e si estende al rimborso del capitale”.
La circostanza, prevista in norma, che la garanzia sia fornita dallo Stato attrae il prestito tra quelli in relazione ai quali, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera g) del decreto legge 6 settembre 2011, n. 159, è richiesta la certificazione antimafia. Del resto, le interlocuzioni preliminari all’approvazione della norma hanno consentito di appurare che la società procederà nel senso appena indicato.
Ora, quindi, il meccanismo del prestito Garanzia Italia contiene già, ad una lettura non superficiale del dato normativo, gli strumenti per i presidi antiriciclaggio e antimafia. Non sembra che, un’autocertificazione, come pure suggerito in alcune interviste, sulle proprie qualità o sulla destinazione delle somme potrebbe fornire maggiori cautele rispetto a quelle già operanti attualmente. Anche perché, mi si consenta una battuta, faccio fatica a pensare che il mafioso, prestanome o colluso, che intenda ottenere un finanziamento per centinaia di migliaia, se non milioni di euro, si arresterebbe dinanzi alla firma di un modulo ex d.lgs. 445/2000.
Peraltro, la lettera n) del comma 2 prevede comunque già una dichiarazione: il finanziamento coperto dalla garanzia deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell'impresa beneficiaria.
Ma è previsto, anche, dal comma 9, un seguito, affidato al sistema bancario e a SACE: “I soggetti finanziatori forniscono un rendiconto periodico a SACE S.p.A., con i contenuti, la cadenza e le modalità da quest'ultima indicati, al fine di riscontrare il rispetto da parte dei soggetti finanziati e degli stessi soggetti finanziatori degli impegni e delle condizioni previsti ai sensi del presente articolo. SACE S.p.A. ne riferisce periodicamente al Ministero dell'economia e delle finanze.
Questo meccanismo appare a chi scrive molto più efficace dell’affidarsi all’autocertificazione; il sistema bancario esegue i comuni controlli antiriciclaggio, la garanzia dello Stato impone l’acquisizione della certificazione antimafia. A valle banche e SACE monitorano l’impiego delle risorse.
Venendo a un altro ordine di critiche mosse funditus al prestito Garanzia Italia, si è imputata la mancanza di accorgimenti atti ad impedire che ne possano fruire attività di comodo o comunque evasori.
Al riguardo soccorre, di nuovo, la lettura del testo normativo. La lettera c) del comma 2 prevede, come limite della garanzia (ma anche, quindi, come condizione di accesso) il maggior ammontare tra la il doppio della spesa per personale e il 25% del fatturato nel 2019.
Come dire, se non sei un soggetto con un’attività già in piedi nel 2019, perché non avevi dipendenti o fatturato, il prestito non lo puoi avere. E come dire, anche: se hai fatto nero, fatturando meno di quel che avresti dovuto, non potrai accedere alla garanzia per la parte di nero.
Tra le lacune che si ascrivono all’art. 1 vi è poi quella di non aver previsto conti dedicati al finanziamento, i quali renderebbero i controlli più agevoli.
Pur non vedendo controindicazioni, tale accorgimento nulla aggiungerebbe: l’erogazione del finanziamento attraverso il sistema bancario, peraltro in favore di soggetti che hanno già una contabilità, un fatturato, dei dipendenti (con costi del personale contabilizzati), già consente di tracciare i flussi finanziari delle risorse anche perché, si ripete, i finanziatori e la società che presta la garanzia per conto dello Stato devono monitorare l’esito degli impieghi. Salvo che si ritenga che attraverso il sistema bancario passino flussi non tracciati, ipotesi tecnicamente non sostenibile.
In alcuni interventi pubblici o sui social, poi, si è criticato l’art. 1 perché non avrebbe disposto una vera e propria immissione di nuova liquidità, poiché in realtà le banche intenderebbero utilizzare il prestito Garanzia Italia per azzerare le vecchie esposizioni. Il vantaggio, quindi, sarebbe solo per il sistema creditizio, al quale sarebbe stato fatto il regalo di trasformare in garantito un credito precedente chirografario.
Su questo punto la lettera g) del comma 2 espressamente chiarisce che: “la garanzia copre nuovi finanziamenti concessi all'impresa successivamente all'entrata in vigore del presente decreto, per capitale, interessi ed oneri accessori fino all'importo massimo garantito; la lettera m) aggiunge che: “il soggetto finanziatore deve dimostrare che ad esito del rilascio del finanziamento coperto da garanzia l'ammontare complessivo delle esposizioni nei confronti del soggetto finanziato risulta superiore all'ammontare di esposizioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto, corretto per le riduzioni delle esposizioni intervenute tra le due date in conseguenza del regolamento contrattuale stabilito tra le parti prima dell'entrata in vigore del presente decreto”.
La società SACE ha chiarito che, in ossequio alla norma richiamata, il finanziamento non potrà essere erogato per 12 mesi a riduzione di precedenti esposizioni del soggetto finanziato.
Vanno sottolineati, infine, anche altri aspetti del prestito Garanzia Italia, che lo qualificano come misura realmente volta a sostenere l’economia e non come strumento eventualmente disponibile per operazioni speculative:
il soggetto finanziato non potrà procedere a distribuire utili nei 12 mesi successivi il finanziamento (comma 2, lettera i);
il soggetto finanziato non potrà licenziare liberamente, potendo gestire i livelli occupazionali solo mediante accordi sindacali (ed essendo quindi affidato alle organizzazioni il “veto” sulle riduzioni del personale);
il soggetto finanziato potrà accedere al prestito solo ove non rientrasse al 31.12.2019 nella nozione di impresa in difficoltà ai sensi del Regolamento 651/2014 CE; comma 2, lettera b).
6.Conclusione.
Il Governo italiano ha messo in campo un intervento di sostegno all’economia mai visto nel secondo dopoguerra e che non trova paragoni nell’intera Unione Europea. Lo si è fatto in tempi estremamente rapidi ed in coerenza con l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
E’ del tutto ovvio che un piano simile, costruito a tempi di record, sia perfettibile.
Per quanto riguarda l’art. 1 del decreto legge 23/2020, in particolare, l’approccio di partenza suggerito dall’intervista dei tre procuratori pubblicata su questa rivista on line il 20 aprile appare del tutto condivisibile, invitando tutti gli attori ad approntare ogni rimedio utile a fare sì che nemmeno un euro vada nella direzione sbagliata.
Così, a mio modo di vedere, occorre potenziare agenzie e istituzioni di controllo e vigilanza, mettere in piedi forme di collaborazione (ad esempio protocolli per assicurare flussi tempestivi ed efficaci di informazioni da banche e Sace, che monitorano il rispetto delle finalità degli impieghi ed autorità investigative). Magari, ove necessario, si possono anche esplicitare con norme di rango primario alcune delle considerazioni sopra illustrate.
Ma non pare giustificarsi un atteggiamento più tranchant, di critica radicale, soprattutto quando non ancorata puntualmente allo stringente dato normativo, critica che finisce per dipingere genericamente le misure introdotte come poco più che una meravigliosa occasione per le mafie.
L’economia andava e va sostenuta. Gli interventi vanno puntellati il più possibile e non ci si può arrestare solo per paura che qualcuno provi ad infilarsi tra le maglie dei nuovi istituti.
Uno Stato, se è all’altezza delle sfide che la società contemporanea pone, prova a dotarsi degli anticorpi, ma non lascia il sistema produttivo in ginocchio.
Guardare oltre covid-19: proposte per il rinnovamento del sistema sanitario nazionale
di Paolo De Paoli
Sommario: 1. Introduzione - 2. Analisi della situazione attuale - 3. Considerazioni e proposte - 4. Un’osservazione conclusiva
1. Introduzione
Il mondo si trova di fronte ad un pericolo di salute pubblica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Da alcune settimane assistiamo ad una corsa affannosa e frustrante per tentare di controllare la pandemia in atto e per curare quella parte degli infettati da SARS-CoV-2 che sviluppa malattie gravi e, talora, mortali. Mentre ci si interroga su come affrontare adeguatamente la pandemia nel breve periodo, è altrettanto indispensabile ragionare fin da subito se e come sia possibile cambiare i sistemi sanitari dopo Covid-19 al fine di garantire un futuro quantomeno accettabile. Per l’Italia il punto di partenza è costituito dal Sistema Sanitario Nazionale universalistico istituito nel 1978. Rispetto ad allora, l’SSN è stato oggetto di numerose revisioni, in particolare quella conseguente alla modifica del titolo V della Costituzione che nel 2001 ha suddiviso il SSN in molteplici sistemi decisionali e operativi a livello regionale. Questa riforma ha modificato profondamente il funzionamento della sanità italiana, producendo effetti positivi, ma anche distorsioni rilevanti.
L’ emergenza sanitaria in atto, che ha ed avrà conseguenze molto profonde sulla salute e sulla economia, richiede fin da subito una riflessione sui sistemi sanitari e sulla loro sostenibilità. Ciò è ancora più vero in un paese come l’Italia che ha un sistema universalistico capace di fornire alla popolazione molte prestazioni a carico del sistema stesso e che, allo stesso tempo, ha una economia in stallo da molti anni, un deficit dello stato incomprimibile ed una politica spesso incapace di scelte coraggiose.
Questo breve scritto non vuole intervenire su come l’Italia ha affrontato la pandemia fino ad ora, ma piuttosto utilizzare questa occasione per rivedere in modo anche sostanziale l’organizzazione della sanità in Italia, una questione a cui i decisori politici saranno chiamati fin da subito a dare soluzioni rapide ed efficaci in termini di risultati di salute e di sostenibilità finanziaria.
2. Analisi della situazione attuale
Prima di iniziare, è necessaria una breve precisazione metodologica. Chi è abituato ad occuparsi di medicina in termini di diagnosi, cura e ricerca scientifica, deve basare le proprie riflessioni e proposte su dati oggettivi, raccolti e validati da organismi riconosciuti. Verranno quindi citate nel corso del testo le fonti da cui i dati sono stati ricavati, con la consapevolezza che fonti diverse possono non coincidere completamente. L’articolo continua con alcune proposte personali derivate dalla analisi dei dati. Le performances dei sistemi sanitari universalistici qui utilizzate derivano da “Barua and Moir, Comparing performance of universal health care countries 2019, Fraser Institute Vancouver”, che analizza i dati di 28 paesi a livello mondiale che hanno sistemi sanitari universalistici desunti da quanto raccolto e pubblicato dalla Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Secondo questo articolo, nel 2017 l’ Italia ha speso per il proprio sistema sanitario il 7,8% del prodotto interno lordo (23° posto), la Francia l’11% (3 °posto), la Germania il 10,2% (8° posto ) e la Spagna l’ 8,7% (17° posto.) Questa posizione dell’Italia non cambia sostanzialmente (22° posto) se consideriamo l’aggiustamento dei valori per età della popolazione.
Per quanto riguarda la disponibilità di risorse umane, in Italia abbiamo 3,5 medici (16° posto) e 5,1 infermieri per mille abitanti (27°), a fronte di 3,1 medici della Francia, 3,9 della Germania e di 3,8 medici della Spagna, sempre ogni 1000 abitanti Inoltre, il numero di medici in Italia è in calo assoluto da molti anni. La nostra disponibilità di letti per pazienti acuti è di 2,3 per mille abitanti (24° posto ), in Francia di 3,0 (15°), in Germania di 5,5 (3°), Spagna di 2,4 (23°).
L’Italia è invece ben posizionata tra i 28 sistemi sanitari universalistici per quanto riguarda la disponibilità di alte tecnologie sanitarie. Nel rapporto sopra citato in Italia vi sono 25,2 Risonanze magnetiche nucleari (4 °posto) e 30,6 TAC (9° posto) per milione di abitanti. Queste attrezzature sono sottoutilizzate, dato che in Italia vengono eseguiti 62,9 esami di risonanza e 79,2 TAC per milione di abitanti, mentre ad esempio in Francia il numero è pari a 110 Risonanze e 183 TAC a fronte di 13,8 attrezzature di risonanza magnetica e 16,8 TAC per milione di abitanti. Ciò significa che in Francia e nella gran parte degli altri paesi considerati, ogni “macchina” fa molti più esami, comportando spese di acquisto e di manutenzione complessive sensibilmente inferiori a quelle dell’Italia.
Per quanto riguarda la performance dei sistemi sanitari, prendiamo in considerazione la spettanza di vita e la aspettativa di vita in buona salute, che in Italia sono rispettivamente di 83 anni (4° posto) e di 73,2 anni (5° posto). Si tratta di dati molto buoni ai quali concorrono la buona capacità del nostro sistema sanitario e sociosanitario, ma anche lo stile di vita mediterraneo, come dimostrato dal 3° e 2° posto a livello mondiale della Spagna.
3. Considerazioni e proposte
Investire di più
La prima considerazione, molto evidente, è che è indispensabile investire più risorse per ridurre il divario con gli altri paesi. Non è necessario compiere grandi analisi per capire che il SSN va potenziato in tutte le sue componenti, dalle risorse umane, al numero di posti letto per acuti, alle competenze assistenziali territoriali e di sanità pubblica. In particolare, va riequilibrato in linea con gli altri sistemi sanitari il numero di medici e, in misura ancora maggiore, il numero di infermieri. E’ necessario anche investire in nuovi posti letto per gli acuti, dato che siamo al 24° posto tra i 28 paesi analizzati. Queste misure sono indispensabili ed urgenti, come evidenziato proprio dalla pandemia di Covid-19 che ci ha trovato impreparati su entrambi i fronti.
Il federalismo sanitario e il suo finanziamento
Come detto, il percorso del federalismo italiano ha portato alla frammentazione regionale del SSN, con risultati spesso contrastanti o comunque disomogenei, riconducibili prevalentemente alla mancanza di coordinamento centralizzato (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/954-sull-emergenza-annunciata-del-servizio-sanitario-nazionale).
Non entro qui nel tema dei meccanismi che oggi regolano l’assegnazione delle risorse tributarie al funzionamento dei sistemi sanitari regionali, in quanto tema complesso che va oltre lo scopo di questo intervento. Allo stato attuale è comunque difficile pensare che il trasferire nuovamente le competenze sanitarie a livello centrale possa essere una soluzione migliorativa, anche per ragioni oggettive come la rilevazione che una vicinanza tra chi decide e i cittadini dà più garanzie di buon governo, o la constatazione che le regioni conoscono meglio le esigenze del proprio territorio .
Riscrivere i rapporti decisionali tra Stato e regioni in materia di sistema sanitario
Alcune interventi correttivi si potrebbero fare velocemente, senza intaccare sensibilmente i meccanismi di finanziamento dei sistemi regionali, agendo essenzialmente sulla riscrittura delle regole.
A tutela della salute dell’intera nazione (e qui sarebbe utile una messaggio molto forte da parte dell’opinione pubblica in tutte le sue espressioni), lo stato dovrebbe definire regole di governance centralizzate che siano cogenti per tutte le regioni. Un primo tema, evidenziato in modo drammatico da Covid-19, riguarda la assoluta necessità che, in occasione di pandemie, catastrofi e altri avvenimenti straordinari, sia lo stato e non le regioni a prendere decisioni applicabili su tutto il territorio. Sarebbe utile, ad esempio, preparare in anticipo piani di intervento e avere un database centralizzato contenente i nominativi di figure professionali particolarmente esperte o un elenco di attrezzature da mobilitare velocemente nelle aree dove ci sia una urgenza.
Regole cogenti nazionali dovrebbero esistere anche in tema di organizzazione dei sistemi sanitari a livello regionale. Pisano G et al (Harvard Business Review March 27, 2020: Wholesale reorganizations are needed within hospitals ) hanno recentemente scritto che è urgente un passaggio da modelli di cura centrati sul paziente ad approcci sistemici di comunità che siano capaci di offrire soluzioni all’intera popolazione in caso di pandemie o altri eventi straordinari. Lo stesso concetto è stato ribadito molto pacatamente in una intervista al Corriere della Sera del 28 marzo u.s. dal sindaco di Milano Giuseppe Sala che ha affermato: “In Lombardia, a differenza di Emilia e Veneto, si è puntato più sulle grandi infrastrutture ospedaliere, anche private, a scapito della rete sociosanitaria del territorio, consultori, medici di base”..
Un’altra proposta capace di incidere positivamente sulla qualità delle prestazioni e di ridurre i costi in maniera sensibile, riguarda il controllo della parcellizzazione di strutture sanitarie a livello territoriale, definendo l’obbligatorietà per le regioni di autorizzare lo svolgimento di attività sanitarie solo in quelle strutture che rispettano standard quantitativi e qualitativi definiti a livello centrale sulla base di evidenze scientifiche internazionali . Sono esempi tipici di standard nazionali ed internazionali l’esecuzione di un numero minimo di interventi chirurgici per tipo di neoplasie (es. della mammella, del colon, ecc) o il rispetto di performances qualitative, ad esempio la sopravvivenza a 30 giorni dopo un infarto del miocardio o la capacità di effettuare chirurgia per fratture del femore entro 48 ore. I dati di ciascuna struttura sanitaria presente sul territorio nazionale sono già disponibili tramite il Progetto Nazionale Esiti (PNE, https://pne.agenas.it), che andrebbe solo affinato per aggiungere/privilegiare indicatori più significativi rispetto agli attuali.
Un altro esempio di standard da rispettare, su cui si è mossa anche l’Europa, riguarda la diagnosi, cura e ricerca sulle malattie rare. Si stanno ipotizzando reti con (pochi) centri hub di riferimento dotati di competenze elevate in grado di diagnosticare e trattare al meglio uno o più tipi di malattie rare, a cui affiancare centri spoke che possiedono capacità più limitate, ma che comunque possono partecipare in rete alla gestione dell’intero sistema. L’ Italia ha identificato i centri hub che rispondono ai requisiti di qualità, ma a questo non sembra sia seguito uno sforzo di razionalizzazione delle strutture e dei centri. In definitiva, seguire le indicazioni europee permetterebbe di riferire i pazienti solo a strutture di qualità equamente distribuite sul territorio nazionale, di creare massa critica per svolgere attività di ricerca biomedica di livello internazionale e di migliorare gli esiti di salute dei pazienti. Se questo avvenisse, si potrebbero dedicare i risparmi derivati da queste razionalizzazioni ad altre attività sanitarie, ad esempio sul territorio o dedicate alla prevenzione.
Scrivono Cadauro e Liberati (Giustizia Insieme 2020) che nel campo del fabbisogno necessario per i livelli essenziali di assistenza, ad esempio , il ricorso a criteri standard di determinazione - come rimedio alla spesa storica- ha costituito in molti casi l’argomento scientifico per legittimare tagli di spesa e per mascherare il condizionamento di quegli stessi livelli alle disponibilità finanziarie. Per ovviare a questa possibilità si potrebbe, mantenendo i sistemi regionali, prevedere il finanziamento con risorse centrali dei servizi che comportano la fornitura di alcune prestazioni di particolare rilevanza nazionale.
La razionalizzazione delle grandi attrezzature (vedasi l’elevato numero di RNM e di PET in base alla popolazione rispetto alle altre nazioni) non dovrebbe essere affidata a logiche localistiche, ma dovrebbe essere basata su indicazioni nazionali obbligatorie che ne definiscono il numero in base al bacino di popolazione servito e a standard di utilizzo predefiniti. Questo consentirebbe di diminuire il numero delle macchine in funzione e di utilizzare in modo più estensivo quelle esistenti, riducendo sensibilmente i costi di acquisto e manutenzione.
Ridefinire i percorsi formativi del personale sanitario, in particolare dei medici
Per ovviare alla carenza di medici è inevitabile ripensare il percorso formativo che porta alla laurea e alla specializzazione. L’acceso programmato al corso di laurea è adottato dalla gran parte dei paesi a livello mondiale e, a mio avviso, resta inevitabile. In Italia ci sono ogni anno circa 9 mila posti nelle facoltà di medicina e chirurgia e sulla grandezza di questo numero si può eventualmente ragionare.
Ciò che invece andrebbe cambiato sono le modalità di selezione che attualmente sono basate su criteri opinabili. A conferma di questo, sono state avviate già quest’anno selezioni basate su criteri differenti da quelli ora in uso, come quelli adottati da Humanitas University di Milano. Un’altra modifica dovrebbe riguardare i contenuti formativi dei corsi di laurea in medicina, che in Italia frequentemente includono molta teoria e pochissima pratica reale; l’aumento delle competenze pratiche renderebbe i medici neolaureati capaci svolgere compiti assistenziali di base già alla fine del percorso di laurea, come avviene in molti stati in Europa e nel mondo. Un altro cambiamento indispensabile riguarda l’accesso alle scuole di specialità, che per molti anni è stato basato su numeri insufficienti, che hanno impedito l’accesso a molti laureati in Medicina, lasciando di fatto il sistema sanitario nella impossibilità di utilizzare queste risorse preziose per garantire il suo funzionamento. Si tratta di uno spreco incomprensibile.
L’innovazione per migliorare le performances e l’equità del sistema sanitario
La High performance medicine, basata principalmente sull’uso dell’intelligenza artificiale, può essere uno strumento di innovazione straordinario, in grado di ottimizzare performances del sistema, di garantire diagnosi e cura uniformi su vasta scala e di ridurre i costi complessivi. E’ possibile, ad esempio, raccogliere dati di salute direttamente a domicilio e di inviarli alle strutture sanitarie al fine della rilevazione precoce di patologie. Esempi in tal senso sono gli algoritmi per rilevare la fibrillazione atriale o sistemi “esperti” per elettrocardiogramma applicabili in remoto a pazienti nefropatici; si tratta di situazioni limitate e da verificare accuratamente, ma è chiaro che un investimento uniforme a livello nazionale in high performance medicine produrrebbe un miglioramento straordinario di salute nel nostro paese, dando le stesse opportunità e gli stessi vantaggi a tutti gli italiani, senza differenziazione geografica o di censo.
La digitalizzazione permetterebbe anche di scambiare dati o immagini tra vari sistemi sanitari regionali o tra i singoli clinici, consentendo anche a entità periferiche di avere accesso a informazioni, opinioni/consulti da parte di centri esperti e di ridurre, ad esempio, la mobilità sanitaria tra varie aree del paese (Topol EJ, High performance medicine: the convergence of human and artificial intelligence Nature Medicine 25, 44, 2019).
Semplificare la burocrazia garantisce risorse veloci e risparmio di spesa
Ugualmente è necessario incidere a livello centralizzato sulla burocrazia paralizzante che ci affligge. Si assiste giornalmente a pesanti ritardi e inefficienze dovuti ai lacci e lacciuoli imposti a livello centrale, compreso il codice degli appalti che nella forma attuale di fatto contribuisce a paralizzare il sistema (vedasi L’Economia, supplemento al Corriere della Sera del 30 marzo u.s.).
Quindi, acquisti e procedure per acquisire risorse di varia natura vanno largamente semplificati: troppe risorse dedicate a procedure burocratiche, lentezza esasperante nell’avere quanto necessario, attrezzature già obsolete quando vengono acquistate. Semplificando le regole, le risorse umane che ora sono si occupano delle procedure di acquisto, potrebbero essere dedicate a tutto ciò che avviene una volta concluse le procedure, in modo da essere rapidi nei pagamenti, ottenere prezzi più bassi, fornire risorse economiche fresche alle aziende private e soprattutto dotare il sistema sanitario di maggiore efficienza.
Mi sia consentito un cenno alla importanza di potenziare la ricerca. Si tratta di un settore nel quale la burocrazia incide in modo pesante, con conseguenze negative non solo per la salute, ma anche per l’economia.
Favorire la ricerca pubblica italiana anche nell’interazione con le aziende farmaceutiche e biotech darebbe forza ad un settore che, solo con l’esportazione, vale decine di miliardi ogni anno. Un esempio concreto di semplificazione riguarda la ricerca clinica, quella basata principalmente sull’uso di farmaci innovativi o con indicazioni più ampie rispetto a quelli consentire inizialmente. La legge 3/2018, chiamata comunemente decreto Lorenzin, prevede la razionalizzazione e semplificazione del funzionamento dei comitati etici e consente di utilizzare i risultati delle sperimentazioni no profit ai fini autorizzativi. Il decreto è stato approvato a gennaio 2018, ma è tuttora inapplicato per la mancanza dei decreti attuativi. Una domanda sorge spontanea: è veramente così difficile scrivere leggi che abbiano una operatività rapida?
Queste norme sarebbero state di grande importanza nella pandemia Covid-19. Infatti il decreto Lorenzin in vigore avrebbe permesso di utilizzare rapidamente farmaci sperimentali o con indicazione diversa da quella autorizzata (ad esempio farmaci che bloccano i processi infiammatori in malattie autoimmuni), per verificare con maggiore tempestività la loro capacità di contrastare l’azione del virus o i danni tissutali indotti dall’infezione virale. Le medesime opportunità date dal decreto hanno comunque valenza generale, in quanto applicabili a molti dei nuovi farmaci da usare in protocolli sperimentali in ogni tipo di patologia. In questo modo, questi farmaci sarebbero disponibili gratuitamente ai pazienti e al SSN e, dato l’interesse dei produttori di farmaci e di dispositivi medici, arriverebbero risorse economiche aggiuntive al nostro sistema, come avviene già in molti paesi europei.
Ampliare le competenze dell’UE in termini di previsione/progettualità in sanità
Le situazioni emergenziali pandemiche sono state previste con largo anticipo sia da scienziati nell’ambito della sanità pubblica sia da persone della società civile particolarmente illuminate ( Menachery VD Nat Med 21, 1508, 2015, Cheng VCC Clin Microbiol Rev 20, 660, 2007, Gates New Engl J Med 372,381, 2015). Dato lo scarso o nullo ascolto che queste previsioni hanno avuto a livello politico e programmatorio, è quindi necessario investire globalmente per rafforzare la capacità di previsione in sanità pubblica dei governi e delle istituzioni cooperanti a livello internazionale.
E’ inevitabile pretendere uno sforzo diplomatico e politico comune, per lo meno a livello europeo, ad esempio per favorire la costituzione di una task force europea che analizzi i dati di letteratura, le previsioni e le evidenze scientifiche dell’esistenza di alto rischio pandemico e che investa pesantemente risorse per la creazione di database contenenti tutte le informazioni necessarie a prevenire o a gestire la situazioni critiche.
In breve, questa task force dovrebbe avere il compito di formulare indicazioni agli stati membri in tema di sanità pubblica comune e di fornire dati in modo trasparente alla società, in modo che vi sia consapevolezza comune di quanto potrebbe accadere.
4. Un’osservazione conclusiva
Questa rapida disamina della situazione in un momento di crisi non vuole avere pretese di esaustività, ma semplicemente cerca di portare un contributo diverso e complementare, se possibile, rivolto a chi ha il ruolo di valutare gli aspetti politici, regolatori ed economici che governano il sistema sanitario italiano e di agire per migliorare continuamente le sue prestazioni. La speranza è che la situazione emergenziale in atto spinga tutte le forze che compongono il paese a compiere uno sforzo straordinario, non solo per vincere una battaglia così complessa e difficile, ma anche per prendere con coraggio decisioni capaci di rendere più efficiente il nostro sistema sanitario e di garantire un futuro sostenibile.
Trattazione scritta. Un’impalcatura.
di Riccardo Ionta e Franco Caroleo
Mario Benedetti, nel libro “Impalcature. Il romanzo del ritorno”, non parla della giustizia. Racconta della democrazia, scansata dalla dittatura, ferita dall’esilio.
Il poeta uruguaiano, citando, dice nella premessa che “lo stato attuale della democrazia è l’imperfezione. A volte – molto di rado – viene raggiunta la grazia; quando i cittadini fedeli la accettano come imperfetta e la riconoscono come un regime in perenne costruzione il cui edificio non sarà mai terminato: un sistema senza un finale possibile”. Ogni regime in perenne costruzione ha bisogno di impalcature, “soprattutto se non sarà terminato”, scrive Benedetti.
L’intenzione del presente scritto è quella di proporre un’ipotesi di regolamentazione per la trattazione scritta delle cause civili prevista dall’art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 17 marzo 2020, n. 18[1]. Un’impalcatura immaginata per sostenere la giustizia di oggi, che appare anch’essa in quarantena e dimentica del ruolo pubblico ed essenziale che le appartiene. Anche per limitare i cedimenti che si prospettano per la società e per la giustizia che verrà.
Quest’elaborato è solo un’ipotesi, nulla più. “Quindi, se le impalcature, reali o metaforiche, non sono di suo interesse, consiglio al lettore di chiudere il libro e andare a cercarsi un romanzo vero, di quelli che cominciano e finiscono”, suggerisce, alla fine della premessa, Benedetti.
Parte I. Disposizioni generali
Art. 1 Finalità
Le linee guida sulla trattazione scritta hanno la finalità di contenere l’incidenza negativa sulla giustizia civile dell’attuale emergenza epidemiologica, nel rispetto della normativa igienico-sanitaria, degli articoli 24 e 111 Costituzione e del principio di leale collaborazione tra avvocatura, amministrazione, magistratura.
Art. 2 Fonti
1. La trattazione scritta è disciplinata dal codice di procedura civile, dall’art. 83, co. 7, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e dalle linee guida.
2. Il provvedimento del giudice che dispone la trattazione scritta può prevedere ulteriori e specifiche modalità nei limiti della legge e delle linee guida.
Art. 3 Ambito di applicazione
1. Le linee guida disciplinano la trattazione scritta delle cause civili per il periodo emergenziale compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020 e per l’ulteriore periodo emergenziale eventualmente previsto dalla legislazione successiva.
2. Per cause civili si intendono i procedimenti relativi agli affari del settore civile, lavoro-previdenza, fallimentare, esecuzioni, famiglia, volontaria giurisdizione.
Art. 4 Modalità di trattazione
1. La trattazione scritta (art. 83, comma 7, lett. h) costituisce la modalità di trattazione per le cause che non richiedono la presenza necessaria, per legge o ordine del giudice, di soggetti diversi dai difensori o dal pubblico ministero.
2. Le ulteriori modalità di trattazione sono da remoto (art. 83, comma 7, lett. f), a porte chiuse (art. 83, comma 7, lett. e) o mista.
3. La modalità di trattazione scritta è disposta dal giudice con provvedimento depositato telematicamente con congruo anticipo rispetto alla data di udienza.
Art. 5 Rinvio della causa
1. Il giudice dispone il rinvio della causa nell’ipotesi in cui, per ragioni organizzative, amministrative ovvero per il rispetto delle norme igienico-sanitarie, non sia possibile svolgere le udienze con le modalità di trattazione indicate nell’art. 4.
2. Il giudice dispone allo stesso modo nell’ipotesi in cui i difensori presentino un’istanza congiunta di rinvio della causa ovvero nell’ipotesi indicata dall’art. 11, comma 5, delle linee guida.
Art. 6 Trattazione scritta su istanza delle parti
1. Per le udienze in cui sia necessaria la comparizione personale della parte, i difensori possono domandare che la trattazione avvenga in modalità scritta depositando, almeno sette giorni prima delle data di udienza, un’istanza congiunta con allegata la rinuncia a comparire sottoscritta dalle parti.
2. Per le udienze di giuramento dell’ausiliare giudiziale e quelle in cui l’ausiliare comunque interviene su disposizione del giudice, le parti possono domandare che la trattazione avvenga in modalità scritta depositando, almeno una settimana prima della data di udienza, un’istanza congiunta. Nel provvedimento che dispone la trattazione scritta o mista per tali udienze, il giudice prevede specifiche modalità per il giuramento dell’ausiliare in forma scritta o da remoto garantendo comunque il contraddittorio delle parti sul quesito formulato e sulle modalità di conferimento dell’incarico.
Art. 7 Comunicazioni e annotazioni di cancelleria
1. La cancelleria comunica alle parti costituite il provvedimento con cui il giudice dispone la forma della trattazione ed inserisce nello “storico del fascicolo” l’annotazione “trattazione scritta” ovvero “trattazione da remoto” ovvero “trattazione mista”.
Art. 8 Data dell’udienza
1. Il giorno e l’ora dell’udienza sono quelli già indicati dalla parte (art. 163 c.p.c.) o dal giudice.
Parte II. Trattazione scritta
Art. 9 Trattazione scritta
1. La comparizione delle parti a mezzo dei difensori è figurata ed avviene con il deposito telematico di note scritte.
Art. 10 Trattazione scritta per le udienze di discussione
1. La trattazione scritta è consentita anche per le udienze di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. ovvero ex art. 429 c.p.c. o casi analoghi.
2. Il giudice, per tale udienza, può assegnare alle parti un congruo termine per il deposito di memorie conclusionali, diverse dalle note scritte ex art. 83, co. 7, lett. h), d.l. n. 18/2020, e può provvedere il giorno stesso dell’udienza oppure fuori udienza nel termine di trenta giorni.
3. Il giudice, d’ufficio o su motivata istanza, può comunque disporre motivatamente che la trattazione avvenga con modalità da remoto (art. 83, comma 7, lett. f).
Art. 11 Leale collaborazione
1. I soggetti del processo sono invitati alla leale collaborazione.
2. Il giudice provvede sulle istanze dei difensori nel più breve tempo possibile.
3. I difensori sono invitati a depositare, in allegato alla nota congiunta o alle note disgiunte, una copia di cortesia telematica degli atti introduttivi ove gli stessi siano stati depositati solo in via cartolare.
4. I difensori, in considerazione delle limitazioni di accesso alle cancellerie, sono invitati a depositare telematicamente una copia di cortesia telematica del proprio fascicolo nell’ipotesi in cui sia stato depositato solo in via cartolare. In alternativa, i difensori sono invitati a scambiarsi con ogni mezzo copia dei rispettivi fascicoli.
5. Nel caso in cui non sia possibile il deposito telematico ovvero lo scambio di cui al comma 4, e sia indispensabile la consultazione del fascicolo per procedere alle attività, i difensori possono depositare un’istanza di rinvio della causa.
Art. 12 Deposito telematico delle note scritte di comparizione
1. I difensori depositano in telematico le note di comparizione in modalità congiunta ovvero, in alternativa, disgiunta.
2. I difensori sono invitati a depositare la nota scritta in modalità congiunta e a rispettare i tempi e le modalità indicate per le attività previste anche al fine di non gravare ulteriormente la cancelleria.
3. La nota di comparizione è congiunta nell’ipotesi in cui i difensori si accordino per depositare un’unica nota scritta contenente le istanze e conclusioni di ciascuna di esse. La nota congiunta è depositata da uno solo dei difensori il quale dichiara espressamente che la redazione del documento è stata effettuata, ciascuno per la propria parte, congiuntamente all’altro o agli altri difensori.
4. La nota è disgiunta nell’ipotesi in cui i difensori non si accordino per la nota congiunta e decidano di depositare ciascuna la propria nota. In tal ipotesi il giudice può concedere un nuovo termine per ulteriori note scritte di replica ove necessario a garantire il contraddittorio sulla specifica questione.
Art. 13 Contenuto delle note scritte di comparizione
1. Il contenuto delle note scritte deve essere limitato alle sole istanze, eccezioni e conclusioni previste per l’udienza di riferimento.
2. I difensori sono invitati ad utilizzare le note scritte al solo scopo previsto e ad una reale sintesi nella redazione delle stesse. Si invitano pertanto gli stessi a contenere nel massimo di una pagina le istanze, eccezioni, conclusioni, anche in considerazione degli ulteriori scritti previsti dalla legge o autorizzati dal giudice.
3. Le note devono contenere l’indicazione: a) della dicitura “Note per la trattazione scritta”; b) della data di udienza; c) del numero di ruolo e dell’anno del procedimento; d) del giudice e del Tribunale dinanzi al quale avviene la comparizione figurata; e) del nominativo delle parti e dei difensori che compaiono; f) in ipotesi di nota congiunta, la dichiarazione che la redazione del documento è stata effettuata, ciascuno per la sua parte, congiuntamente all’altro o agli altri difensori.
4. Le note contengono, in caso di discussione scritta in luogo di quella orale (art. 281 sexies c.p.c., rito lavoro, cautelari e camerali, art. 702 ter c.p.c.), le deduzioni conclusionali. Le note scritte, per tali ipotesi, sono distinte dalle memorie che per prassi possono essere autorizzate dal giudice, o già sono state autorizzate da questi, con termine per il deposito prima della data di udienza di discussione.
Art. 14 Termini per il deposito delle note scritte di comparizione
1. I termini entro i quali le parti provvedono al deposito in telematico delle note sono stabiliti dal giudice che indica espressamente il termine ovvero un termine a ritroso.
2. Nel provvedimento che dispone la trattazione scritta il giudice indica, come alternativi, sia il termine per la nota di comparizione congiunta, sia quello per le note disgiunte ed indica altresì il termine ultimo. Il termine per la nota congiunta è più breve di quello per le note disgiunte.
3. Per il computo dei termini trovano applicazione le regole dell’art. 155 c.p.c.
4. Per la nota di comparizione congiunta il giudice dispone un solo termine.
5. Per le note di comparizione disgiunte il giudice, di regola, dispone i termini in modo diversificato assegnando un termine all’attore/ricorrente e un termine, più breve, al convenuto/resistente.
6. Sia per le note congiunte che disgiunte il termine ultimo di deposito è comunque quello del giorno e dell’ora per la trattazione dell’udienza (es. udienza del giorno x fissata alle ore y, il termine ultimo per il deposito delle note, ovvero per la comparizione, è quello del giorno x alle ore y).
Art. 15 Mancato deposito della nota scritta di comparizione
1. Il mancato deposito della nota scritta, entro il termine stabilito o al più tardi entro il termine ultimo del giorno dell’udienza, equivale alla non comparizione (artt. 181, 309, 631 c.p.c.).
Art. 16 Convenuto o resistente non ancora costituito al momento del deposito del provvedimento che dispone la trattazione scritta
1. L’art. 83, comma 11, prevede come obbligatorio il deposito telematico anche per gli atti introduttivi e di costituzione e per i relativi documenti allegati. La costituzione del convenuto/resistente può avvenire anche il giorno dell’udienza di prima comparizione, ma deve necessariamente essere effettuata con deposito telematico.
2. Se il convenuto/resistente si costituisce telematicamente il giorno stesso dell’udienza (entro il termine ultimo) e deposita contestualmente la nota di trattazione scritta, il giudice può rinviare la trattazione della causa, ove ritenuto necessario per consentire all’attore/ricorrente di esercitare pienamente il contraddittorio.
3. Se il convenuto/resistente si costituisce telematicamente il giorno dell’udienza (entro il termine ultimo) e non deposita contestualmente le note scritte, il giudice può rinviare la trattazione della causa, ove ritenuto opportuno, rinnovando il provvedimento che dispone la trattazione scritta.
4. Se il convenuto/resistente non si costituisce il giorno dell’udienza (entro il termine ultimo), il giudice ne dichiara la contumacia.
Art. 17 Provvedimenti del giudice
1. Il giudice, a decorrere dal giorno dell’udienza, verifica l’avvenuto deposito del provvedimento che dispone la trattazione scritta e la comunicazione dello stesso alle parti costituite.
2. Il giudice può redigere il verbale, il giorno dell’udienza, in cui prende atto della mancata comparizione ovvero della comparizione mediante il deposito delle note scritte e riservarsi o disporre su quanto richiesto.
3. Il giudice può non redigere il verbale ed emettere il giorno dell’udienza, ovvero fuori udienza, il provvedimento in cui, preliminarmente, dà atto della mancata comparizione o della comparizione delle parti. Il termine per provvedere è di trenta giorni se provvede il giudice monocratico e sessanta giorni se provvede il collegio.
4. In ogni caso, il verbale e il provvedimento emesso fuori udienza devono essere comunicati a tutte le parti, a cura del cancelliere.
[1] Per un’analisi più approfondita della modalità a trattazione scritta, si veda Caroleo F. e Ionta R., “L’udienza civile ai tempi del corona virus. Comparizione figurata e trattazione scritta”, Giustizia Insieme, 12 marzo 2020: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/916-l-udienza-civile-ai-tempi-del-coronavirus-comparizione-figurata-e-trattazione-scritta-art-2-comma-2-lettera-h-decreto-legge-8-marzo-2020-n-11
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