ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Note sull’adunanza camerale civile in Cassazione al lume della disciplina delle forme del processo ed ora in tempi di Coronavirus.
di Raffaele Frasca
1. Premessa. - 2. L’adunanza camerale nel Codice. - 3. Gli elementi caratterizzanti dell’adunanza camerale. – 4. La mancanza di intervento di elementi estranei al Collegio. – 5 La ricomprensione del cancelliere fra i soggetti estranei. – 6. Segue: le ragioni. Il rilievo decisivo della segretezza. - 7. Il cancelliere e le attività prodromiche all’adunanza camerale. – 8. L’adunanza deve svolgersi in sede, cioè presso la Corte di Cassazione? – 9. Che significa adunanza? – 10. Adunanza camerale in tempi di coronavirus: soluzioni possibili.
1.Premessa.
L’intento di queste note è di riflettere sul profilo dell’adunanza camerale della Corte di Cassazione civile per come emergente dalle norme del Codice di Proceduta Civile e ciò allo scopo di desumerne implicazioni, ove necessario, riguardo al profilo che essa può assumere nell’attuale momento emergenziale.
2. L’adunanza camerale nel Codice.
In funzione della prima riflessione mi pare opportuno partire da una ricognizione di dati normativi: il Codice, dopo avere nell’art. 375 - sotto la rubrica “pronuncia in camera di consiglio” - individuato i casi nei quali la Corte decide “in camera di consiglio”, usa l’espressione “adunanza della camera di consiglio” nel primo comma dell’art. 377. Quindi, nell’art. 380-bis, sotto la rubrica “procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta infondatezza del ricorso”, il primo comma dispone circa la fissazione con decreto della “adunanza della Corte” e nel secondo comma parla di “data stabilita per l’adunanza”. Nell’art. 380-bis.1, sotto la rubrica “procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice”, si parla poi – nel primo inciso - di “fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice” e – nel secondo inciso – di “adunanza in camera di consiglio”. Nel terzo inciso la norma dispone espressamente che “in camera di consiglio la Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti”. Nell’art. 380-ter, sotto la rubrica “procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza”, si parla nel secondo comma di “decreto del presidente che fissa l’adunanza” e nel terzo comma si ripete la disposizione del terzo inciso dell’art. precedente.
Mi pare possa dirsi che queste disposizioni evidenzino tipologie di procedimento che complessivamente, cioè mettendo insieme le varie espressioni usate del legislatore, danno l’immagine unitaria di un istituto che riassuntivamente è individuabile con l’espressione comune “adunanza per la decisione in camera di consiglio”.
3. Gli elementi caratterizzanti dell’adunanza camerale.
Se ci si domanda quali siano gli elementi caratterizzanti dell’adunanza camerale ne viene in rilievo un primo: tutte le tipologie di adunanze regolate dalle norme indicate sono caratterizzate dalla mancanza di intervento di soggetti estranei alla Corte, cioè al Collegio che deve assumere la decisione. In secondo luogo, si palesa rilevante una sorta di elemento “di luogo”, la camera di consiglio. In terzo luogo, emerge il concetto di adunanza, naturalmente riferito al Collegio, ed anch’esso va precisato.
Ancorché gli elementi indicati possano sembrare di immediata comprensione e percepibilità nel loro ubi consistam, mi pare, invece, necessario interrogarsi su ognuno di essi, per comprendere quale esso sia e tale indagine dev’essere condotta utilizzando le categorie generali che disciplinano le forme processuali, giacché si tratta di elementi inerenti alla forma dell’attività processuale di cui trattasi.
4. La mancanza di intervento di elementi estranei al Collegio.
Circa l’individuazione del significato del concetto di soggetto estraneo, una prima risposta – suggerita direttamente dalle norme – si potrebbe dare nel senso che per “estranei” si debbano intendere i difensori e il pubblico ministero presso la Corte.
L’estraneità di tali soggetti è, infatti, stabilita espressamente dal terzo inciso dell’art. 380-bis.1. e dal terzo comma dell’art. 380-ter ed è per implicito rivelata dal silenzio sulla loro presenza dell’art. 380-bis nella versione attuale, la quale, di fronte alla versione precedente, ha – com’è noto – soppresso la possibilità eventuale “a richiesta” dell’audizione dei difensori, che aveva come effetto correlato la partecipazione alla camera di consiglio del pubblico ministero e la formulazione di conclusioni da parte sua: è il silenzio del legislatore che determina la negazione dell’intervento dei difensori, sebbene a richiesta. Per il pubblico ministero viene in rilievo, com’è noto, in negativo (cioè nel senso dell’esclusione) il combinato disposto dell’art. 70 comma secondo c.p.c. e dell’art. 76, comma 1, lett. b), dell’Ordinamento Giudiziario.
Va, peraltro, rimarcato che, allorquando nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis ed in quello ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c. era prevista la possibilità dell’audizione del difensore, che ne avesse fatto richiesta, e la presenza (l’intervento) del pubblico ministero, questa presenza non concerneva tutta la camera di consiglio, ma solo la fase della riunione del Collegio appunto in camera di consiglio anteriore a quella in cui la Corte procedeva a deliberare.
5 La ricomprensione del cancelliere fra i soggetti estranei.
Tornando alla disciplina attuale, osservo che, in realtà, l’assenza di soggetti estranei, ormai da intendersi non già limitato alla sola fase di deliberazione, ma esteso a tutta la camera di consiglio del Collegio, non riguarda solo i difensori e il pubblico ministero e dunque non si esaurisce con il riferimento ad essi, ma comprende anche il cancelliere e lo comprende per tutta l’attività di camera di consiglio del Collegio, a differenza di quanto accadeva prima dell’esclusione della partecipazione del difensore e del pubblico ministero: il cancelliere presenziava allora all’audizione del difensore ed alle conclusioni del pubblico Ministero, anzi era presente fin dall’inizio dell’adunanza camerale con la trattazione del primo ricorso, tanto che redigeva il relativo verbale e, dunque, espletava la sua attività di assistenza alla camera di consiglio non solo quanto alla specifica attività di audizione del difensore e del pubblico ministero per i ricorsi in cui il difensore chiedeva di essere ascoltato, ma anche quanto a tutta l’attività complessiva di camera di consiglio prima della riunione del Collegio per deliberare sui ricorsi. Dunque, al pari dei difensori e del pubblico ministero rimaneva estraneo solo alla attività di deliberazione e di decisione.
A far tempo dalla riforma di cui al d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, nella l. n. 197 del 2016, si deve rilevare che anche il cancelliere non partecipa in alcun modo all’adunanza in camera di consiglio e, dunque, è estraneo a tutto il suo svolgimento, cioè è estraneo all’intera riunione in adunanza del Collegio.
6. Segue: le ragioni. Il rilievo decisivo della segretezza.
È vero che si potrebbe ipotizzare che debba accadere il contrario, ove si desse rilievo al primo comma dell’art. 57 c.p.c., il quale dispone che “il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei casi e nel modi previsti dalla legge, le attività […] degli organi giudiziari”: si potrebbe pensare che all’adunanza camerale della Corte il cancelliere debba essere presente in forza di tale disposto, cioè per documentare l’attività che si svolge in adunanza.
Senonché, non essendo previsto l’intervento di pubblico ministero e di difensori, l’attività che si svolge nell’adunanza è, secondo la disciplina attuale, necessariamente solo quella di deliberazione e decisione (da intendersi come comprensiva della relazione del relatore al Collegio, della discussione fra i componenti e della deliberazione) da parte della Corte, sulla base, naturalmente, dell’eventuale esame in contemporanea degli atti, se ritenuto necessario. Atti che debbono essere certamente, pertanto, a disposizione del Collegio, cioè esaminabili e che debbono essere resi tali altrettanto certamente dalla Cancelleria. Atti che, peraltro, naturalmente sia dal relatore che dal presidente (ed anche all’occorrenza da altri membri del Collegio) ben possono essere stati esaminati prima nell’attività di studio antecedente all’adunanza o – come accade – prima che l’adunanza inizi nello stesso giorno della sua tenuta. Comunque, l’attività di messa a disposizione degli atti del fascicolo d’ufficio da parte della Cancelleria è certamente attività che deve precedere l’adunanza e che, pertanto, non è un’attività della Corte adunata in camera di consiglio e ciò nemmeno sotto il profilo della ricezione da parte della messa a disposizione da parte del Collegio.
Comunque, al di là di quanto appena rilevato, per spiegare perché il cancelliere è oggi soggetto estraneo all’adunanza in camera di consiglio della Cassazione Civile nonostante il disposto del primo comma dell’art. 57, mette conto di richiamare una norma del rito di legittimità, l’art. 380, secondo comma, c.p.c., sebbene dettata a proposito della deliberazione della sentenza all’esito dell’udienza pubblica. Essa dispone che si applica alla “deliberazione della corte” la disposizione dell’art. 276 c.p.c. e questa norma prescrive che “la decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio”, così imponendo la segretezza non solo per l’attività di decisione vera e propria, cioè per quella che si concreta nell’adozione del relativo provvedimento con un certo contenuto, ma anche per la pregressa attività del Collegio, cioè l’eventuale controllo di atti del fascicolo d’ufficio, la relazione del relatore, la discussione fra i componenti e le altre attività che poi analiticamente la norma regola. In altri termini per l’attività che si può definire di deliberazione.
L’esigenza di segretezza esclude nell’art. 276 che il cancelliere partecipi, cioè presenzi, alla decisione e deliberazione e l’applicabilità della stessa al procedimento decisorio di pubblica udienza dinanzi alla Corte sottende la stessa implicazione.
Ora, l’art. 380-bis e gli artt. 380-bis.1 e 380-ter non dispongono sull’attività di “decisione e deliberazione” (intesa nel senso complesso indicato), ma non è dubitabile che l’esigenza di segretezza prevista dall’art. 380, secondo comma, per “la deliberazione in camera di consiglio”, si estenda alla deliberazione (comprensiva della decisione, per quello che si è detto) che abbia luogo i procedimenti decisori previsti da quelle norme e, dunque, all’adunanza i camera di consiglio.
È questo che esclude la presenza del cancelliere.
Se non fosse sufficiente desumerlo per implicazione dall’art. 380, secondo comma, c.p.c., osservando che deve valere la stessa esigenza prevista per la deliberazione a seguito di udienza pubblica, tenuto conto che il procedimento in camera di consiglio di legittimità si riduce proprio all’attività di deliberazione regolata dall’art. 276 oggetto del richiamo del detto coma dell’art. 380, sarebbe comunque decisiva una considerazione: non è previsto non solo dallo stesso art. 276 c.p.c., ma comunque nemmeno lo è nel silenzio delle norme sul camerale di legittimità che l’attività di deliberazione si debba verbalizzare.
Ne consegue che, ai sensi del secondo comma dell’art. 57 c.p.c., non si può in alcun modo ipotizzare che sia un’attività in cui il giudice e dunque il Collegio debba essere assistito dal cancelliere.
D’altro canto, lo stesso art. 276 c.p.c., oltre a non prevedere che si rediga un verbale, contiene una previsione in senso positivo che esprime nel senso che è il presidente debba redigere (egli stesso) il dispositivo e sottoscriverlo. La norma dispone, cioè, che si debba trasporre in un atto scritto il risultato della deliberazione e ne affida espressamente al solo presidente la redazione e la sottoscrizione. Questa è la traccia che resta e deve restare dell’attività di deliberazione. A sua volta il dispositivo esterna per iscritto il solo effetto della sorte dell’affare deciso e, dunque, in Cassazione, del ricorso (e di eventuali ricorsi incidentali).
Questo atto scritto, pur manifestandosi nel mondo esterno, cioè pur avendo un’epifania materiale nel mondo fenomenico, resta però “interno”, cioè rimane interno all’attività del solo Collegio, e non emerge all’esterno, cioè non trova esternazione presso l’ufficio e, dunque, nella cancelleria, come è prescritto invece in generale per gli atti scritti con cui provveda il giudice, dal terzo comma dell’art. 57, il quale, con una previsione certamente “datata” all’epoca di adozione del Codice del 1940, continua ad ipotizzare, salvo appunto che la legge disponga altrimenti, che sia lo stesso cancelliere a stendere la scrittura degli atti con cui il giudice provvede (come, poi, continua a prevedere per la sentenza l’art. 119 delle disposizioni di attuazione del c.p.c.). Nel caso del dispositivo la legge dispone appunto altrimenti e, dunque, il relativo atto non dev’essere scritto dal cancelliere.
Il risultato di queste considerazioni, con specifico riguardo al procedimento di cui mi sto occupando, cioè la decisione a seguito del modello camerale c.d. non partecipato, è questo: l’attività che si svolge nell’adunanza, cioè la decisione a seguito di relazione del relatore e di discussione fra i componenti del Collegio con la relativa votazione (cui allude l’art. 276, ultimo comma, c.p.c.) è un’attività che vede coinvolto soltanto il Collegio e che non prevede la presenza del cancelliere.
7. Il cancelliere e le attività prodromiche all’adunanza camerale.
Occorre a questo punto domandarsi se il cancelliere sia coinvolto almeno nell’inizio dell’attività di adunanza camerale, o meglio se la sua presenza è necessaria per attestare se e quando l’adunanza camerale è iniziata e, naturalmente se lo sia per il tramite del suo normale potere di dar conto dell’attività processuale. Se esistesse un simile coinvolgimento, ne deriverebbe che il potere attestativo riguarderebbe ex necesse almeno anche il luogo di inizio dell’adunanza, se non quello della sua prosecuzione.
La risposta al quesito è negativa: nessuna norma prevede che il cancelliere attesti con un verbale – con potere che sarebbe riconducibile al primo comma dell’art. 57 c.p.c. - che il Collegio si è riunito il tal giorno (quello fissato nel calendario, nel ruolo e nei decreti di fissazione dell’adunanza) alla tal ora ed ha iniziato la sua adunanza in camera di consiglio segreta.
Com’è noto, ai fini dello svolgimento dell’adunanza camerale è previsto che si rediga un “ruolo”, che viene consegnato al presidente del Collegio e reca l’indicazione degli affari secondo il numero di ordine stabilito per la trattazione. Su tale ruolo il Presidente indica l’esito della camera di consiglio soltanto con riferimento alla specie di provvedimento adottato e precisamente, se si tratta di ordinanza che ha deciso sul ricorso (ma con indicazione generica appunto di pronuncia di ordinanza) oppure ha adottato una decisione interlocutoria (esempio: ordine di rinnovo della notificazione) o una “non decisione”, quella di rinvio alla pubblica udienza (nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis e, secondo un’interpretazione ritenuta talvolta possibile in quello ai sensi dell’art. 380-bis.1).
Questo ruolo per la verità non è disciplinato espressamente con riferimento all’adunanza camerale dall’art. 13 del d.m. Giustizia n. 264 del 2000, che prevedendo i registri da tenersi dalla presso la Corte di Cassazione allude genericamente al “ruolo di udienza per ciascuna sezione”, ma la previsione è certamente estensibile ed il relativo modello è quello – per quanto mi risulta - previsto dal successivo d.m. Giustizia 1° dicembre 2001.
Su questo ruolo cartaceo, che ha valore di originale, viene indicata alla fine l’ora di inizio e quella di chiusura dell’adunanza ed esso, firmato dal Presidente, viene depositato in Cancelleria.
Una copia del ruolo viene trattenuta dal Presidente e su quella egli annota il contenuto della decisione.
Una seconda copia con il solo contenuto della prima viene rimessa al P.G. (e una terza copia, nel procedimento ai sensi dell’art. 380-bis.1., se il P.G. ha presentato conclusioni, viene rimessa al P.G. indicato per l’adunanza con l’indicazione generica della conformità o meno della decisione alle sue conclusioni).
La redazione del contenuto del ruolo sia per l’originale, che resta un atto dell’ufficio, sia per tutte le tre copie si connota sempre come un’attività svolta del Collegio tramite il suo Presidente. Il ruolo dell’adunanza comprende, inoltre, sia un’attestazione del Presidente del Collegio con cui egli dà atto dell’inizio dell’adunanza, precisandone l’ora, e di altra attestazione con cui dà atto della chiusura della stessa, parimenti indicandone l’ora. Nei modelli in uso, anzi queste due attestazioni sono riunite in una formulazione finale che chiude il ruolo.
La conclusione che si evince è che l’attività che la Corte svolge in un’adunanza camerale non segue con l’assistenza del cancelliere nemmeno per quanto attiene allo stesso momento iniziale, cioè all’inizio dell’adunanza: non occorre la presenza del cancelliere che attesti tale inizio.
Ma il cancelliere non è nemmeno il soggetto che dà atto della fine dell’adunanza e, dunque, nemmeno la fine dell’adunanza è da lui attestata. Il Cancelliere semmai viene chiamato solo ricevere in consegna il verbale, se l’adunanza si chiude quando ancora egli è tenuto a rimanere in ufficio secondo l’orario di lavoro. In caso contrario la consegna del verbale avviene il giorno dopo.
D’altro canto, come attività del Collegio, la camera di consiglio potrebbe anche durare fino ad un’ora che imponga una pausa ed un aggiornamento al giorno dopo. E di ciò potrebbe dare atto esclusivamente solo il Presidente.
Naturalmente, durante lo svolgimento dell’adunanza, intesa come attività esclusiva del Collegio, può palesarsi la necessità di domandare qualcosa di utile per essa alla Cancelleria ed il Presidente può chiamare il cancelliere perché risponda a quanto necessario.
Il risultato di queste considerazioni, quello che mi preme rimarcare, è allora che la presenza del cancelliere non è necessaria né per dare impulso all’adunanza, né durante il suo svolgimento, né quando essa termina.
8. Passo ad un altro interrogativo, che può sembrare suggestivo, se non provocatorio, ma solo all’apparenza: esso, che è tanto più legittimo nella presente congiuntura emergenziale, concerne quello che sopra ho indicato come secondo elemento caratterizzante dell’adunanza camerale.
L’interrogativo è questo: esiste una previsione espressa o implicita che individui un luogo necessario in cui l’adunanza deve essere tenuta ed imponga precisamente che essa si tenga in Corte di Cassazione?
La risposta è negativa: nessuna norma lo prevede espressamente.
Certo, si potrebbe dire che è cosa ovvia che l’adunanza della Corte di Cassazione si debba tenere, poiché trattasi di un’attività che è un incombente dell’Ufficio Corte di Cassazione, presso l’edificio in cui l’ufficio è ubicato, cioè nell’edificio di piazza Cavour. Ma questa ovvietà ha un valore del tutto relativo.
Maggior valore per spingere in quella direzione potrebbe avere invece un altro discorso: per decidere la Corte deve avere la possibilità di esaminare gli atti dell’affare calendarizzato in adunanza e, quindi, il fascicolo d’ufficio formato dalla Cancelleria della Corte.
Ma, com’è noto, il relatore ed il presidente hanno a disposizione copie degli atti introduttivi, delle memorie e della decisione impugnata e ben può accadere che non occorra esaminare per la decisione sia gli stessi atti in originale nel fascicolo d’ufficio, che, evidentemente, si trova nell’ufficio, sebbene a disposizione del Collegio nel luogo eventualmente deputato alla tenuta dell’adunanza, sia quelli su cui il ricorso si fonda, cui allude l’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., purché indicati specificamente ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., che sono presenti nel detto fascicolo, sia ancora in generale proprio quest’ultimo nella sua struttura (ancora cartacea in Cassazione, com’è noto).
Va considerato, altresì, che quando pure fosse necessario esaminare gli atti in originale (cioè quelli presenti nel fascicolo d’ufficio), potrebbe accadere e di solito accade che il relatore e lo stesso presidente abbiano proceduto al loro esame prima del giorno della calendarizzata adunanza, cioè nella fase di studio della preparazione dell’adunanza, e, dunque, possano informarne il resto del Collegio, sicché potrebbe essere inutile – salvo che altro membro del Collegio voglia fare controlli diretti o ne solleciti di nuovi – esaminare il fascicolo d’ufficio.
Potrebbe allora pensarsi che se il Collegio si riunisca in altro luogo nei casi in cui non occorra esaminare il fascicolo d’ufficio l’adunanza che così venga tenuta dia luogo a qualche nullità o addirittura ad una decisione inesistente?
8. L’adunanza deve svolgersi in sede, cioè presso la Corte di Cassazione?
La risposta ad un simile interrogativo, che può sembrare provocatorio, è, mi pare, negativa.
In tanto, per fare emergere la riunione extra moenia, dovrebbe risultare da qualche parte che il Collegio si è riunito fuori dalla Corte, ma da quale atto formale del processo ciò potrebbe emergere? Si è visto che non si redige un verbale dello svolgimento della camera di consiglio del singolo e ciò né per quanto attiene all’intera camera di consiglio per tutti i ricorsi né per il singolo ricorso. Solo esso potrebbe rivelare l’indicazione del luogo di svolgimento dell’attività. Si redige, invece, solo il ruolo dell’adunanza, nel quale, però, si inseriscono le indicazioni di cui si è detto circa l’ora di inizio e l’ora di chiusura della stessa. D’altro canto, ho già rilevato che non è previsto che il cancelliere attesti l’inizio e la fine dell’adunanza, attestazioni che, se fossero necessarie, dovrebbero comportare l’indicazione del luogo dell’attività attestativa, che per il medesimo non potrebbe certamente che essere l’ufficio.
D’altro canto, anche un Collegio di Cassazione che inizi la riunione nell’aula indicata dalle modalità organizzative del calendario appositamente fissate, bene potrebbe spostarsi, essendo il dominus della propria attività e non essendo essa soggetta ad oneri attestativi circa il luogo, in altro luogo dentro o fuori del Palazzo della cassazione ed anche in tal caso non potendo emergere lo spostamento da un atto del processo, sempre per la mancanza di verbalizzazione, la cosa resterebbe …segreta.
Ricordo che ciò che rileva dopo l’adunanza è solo che il ruolo venga depositato nella cancelleria, ma questo potrebbe avvenire da parte del Presidente anche ove il Collegio si fosse riunito – in ipotesi - fuori dal Palazzo.
Guardando all’inizio dell’adunanza, si potrebbe dare rilievo al fatto che il Presidente comunque dovrebbe apprendere il ruolo dalla Cancelleria e che tale attività non potrebbe che compiersi in ufficio. Questa notazione è vera, ma: a) riguarderebbe – lo ricordo - solo un’attività prodromica allo svolgimento dell’adunanza e non esso, sicché nulla impedirebbe che il luogo dell’adunanza possa poi non essere l’ufficio; b) nulla impedirebbe al Presidente del Collegio di prelevare e farsi consegnare il ruolo il giorno prima dell’adunanza o anche prima.
Considerazioni identiche a quelle che sono venuto svolgendo valgono per il controllo dell’esistenza e ritualità degli avvisi di fissazione dell’adunanza, che avvenendo ormai a mezzo PEC sono indicati in un apposito elenco predisposto informaticamente dalla Cancelleria.
8.2. Tuttavia, si potrebbe pensare che non possa concludersi che lo stesso inizio dell’adunanza camerale nel giorno prefissato, cioè il momento in cui, in relazione all’ora fissata secondo il calendario e indicata nel decreto di fissazione dell’adunanza, quest’ultima ha corso possa situarsi al di fuori dell’ufficio.
Occorre tenere conto che si potrebbero rinvenire un indice normativo espresso ed un indice normativo non espresso, ma desumibile sempre secondo il principio della idoneità dell’attività processuale allo scopo di cui all’art. 156 c.p.c., che potrebbero esigere che il momento iniziale dell’adunanza camerale debba situarsi necessariamente in ufficio.
Il primo indice, quello espresso, è desumibile dall’art. 390 c.p.c.: esso permette alla parte di rinunciare al ricorso sino alla data dell’adunanza camerale e tale norma si interpreta certamente nel senso che implichi che una rinuncia può essere depositata presso la cancelleria della Corte sino a che l’adunanza camerale non inizi, cioè sino al momento precedente l’ora fissata per tale inizio. Ne segue che, dovendo della rinuncia, secondo la previsione normativa, necessariamente tenersi conto ai fini della decisione, è certamente necessario che il Collegio possa dalla cancelleria ricevere l’atto depositato. E quindi qualcuno che possa assicurare tale ricezione – salvo stabilire se si debba trattare di tutto il Collegio o del Presidente o di altro componente eventualmente delegato – dovrebbe essere presente in ufficio.
Il secondo indice non è normativo, nel senso che non è previsto espressamente dalla norma, ma si dovrebbe desumere da quelle applicazioni giurisprudenziali che nonostante anche per il rito camerale, le parti possano interloquire con la memoria cui alludono gli artt. 380-bis e 380-bis.1, consentono alla parte di compiere delle attività rilevanti per la decisione del ricorso fino all’adunanza e, dunque, fino al momento prima che essa inizi. Alludo al deposito dell’avviso di ricevimento della notifica a mezzo posta senza necessità di rispetto dell’art. 372, secondo comma, c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 627 del 2008; dal relativo principio sono state tratte implicazioni nel Protocollo concluso il 15 dicembre 2016 fra Primo Presidente, C.N.F. e Avvocatura generale dello Stato) e alle attività di asseverazione della copia notificata in via telematica del ricorso o della sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., nn. 22438 del 2018 e 8312 del 2019).
Senonché, i detti indici normativi esigono che il Collegio sia messo in grado di avere contezza e disponibilità degli atti depositati fino in limine all’ora fissata per l’adunanza, ma non implicano che ciò si debba realizzare mentre l’adunanza è già iniziata. Esigono anzi solo che la realizzazione di quella contezza e disponibilità sia assicurata prima che il Collegio inizi la sua attività, la sua adunanza. In altri termini la condizione di conoscibilità e la disponibilità di quegli atti deve realizzarsi, naturalmente per il tramite della cancelleria, non ad adunanza già iniziata e, dunque, dopo l’ora di inizio fissata, ma prima e, pertanto, non si può trarne l’implicazione che il Collegio debba poi svolgere la sua attività nell’ufficio. Scaduto il momento precedente l’ora fissata il Collegio potrebbe iniziare la sua attività in un luogo diverso, purché gli sia garantita quella conoscenza ed è palese che per la sua realizzazione sarebbe sufficiente che il Presidente, cui spetta di dar corso all’inizio dell’adunanza, apprenda gli atti depositati e li ponga in diponibilità del Collegio. Non potrebbe escludersi che il Presidente deleghi all’uopo un componente del Collegio.
8.3. Mi sembra, dunque, che si possa concludere che, valutando le cose sotto la specie dell’osservanza delle forme processuali e, quindi, nell’ottica di evitare un’eventuale nullità, è possibile affermare che non solo non esiste, come requisito formale prescritto a pena di nullità dalla legge, ma nemmeno è desumibile ai sensi dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., cioè sotto il profilo della valutazione condotta secondo il principio della c.d. idoneità al raggiungimento dello scopo, una prescrizione per cui l’adunanza camerale non partecipata della Corte debba svolgersi con le attività che implica in piazza Cavour.
Si deve soltanto ritenere la necessità che, con riferimento al momento anteriore al suo inizio, in ragione della necessità di assicurare le attività che ho indicato, il Presidente del Collegio o un suo delegato, debbano assicurare la presenza nell’ufficio per ricevere, prima dell’inizio dell’adunanza, atti eventualmente depositati.
9. Che significa adunanza?
A questo punto passo a considerare il terzo elemento caratterizzante dell’adunanza camerale.
Essa concerne il concetto stesso di adunanza.
Nel vocabolario Treccani il significato della parola adunanza viene definito come “l’adunarsi ordinato di persone, di solito in locale chiuso, per discutere intorno a questioni d’interesse comune”. Tale definizione implica la presenza di coloro che si adunano in uno stesso luogo, in modo che ognuno percepisca la presenza fisica di tutti gli altri e sia posto nella condizione interloquire con ciascuno, eventualmente secondo le regole all’uopo stabilite.
Ne segue che, quando il Codice parla di adunanza collegiale della Corte di Cassazione in camera di consiglio intende ovviamente che i componenti del Collegio debbano riunirsi in un luogo in senso fisico e, dunque, in presenza reciproca.
Senonché, come tutte le previsioni di forme processuali, è da considerare che il requisito formale così previsto, ove non osservato, pur sempre si presta ad essere apprezzato alla stregua del secondo comma dell’art. 156 c.p.c., per cui è legittimo domandarsi – e non sembri questa una provocazione – se sia possibile immaginare un’adunanza collegiale che non si verifichi in un luogo fisico ed in compresenza dei componenti del Collegio e considerarla a certe condizioni comunque una forma idonea allo scopo.
Credo che una riunione virtuale, cioè tramite mezzi tecnici che consentano ai componenti di vedersi, parlare, interloquire, esaminare l’oggetto dell’adunanza (direttamente od indirettamente, chiedendo al presidente o ad altro componente di mostrarlo eventualmente mediante ostensione), redigere (da parte del Presidente) il risultato della deliberazione, cioè il dispositivo, in modo da assicurare gli stessi scopi connaturati ad un’adunanza in presenza, rientrasse nel novero della cose immaginabili sotto la forza del progresso dei mezzi tecnici alla stregua del secondo comma dell’art. 156 e lo fosse però ad una precisa condizione: quella che l’uso del mezzo tecnico garantisse l’esigenza di segretezza prevista dal primo comma dell’art. 276 c.p.c.
Questo era il vero ostacolo a considerare possibile e dunque non nulla per il sol fatto dell’inosservanza della forma sottesa alla nozione di adunanza, un’adunanza realizzata con mezzi virtuali audio e video fra componenti lontani. Qualora fosse stato necessario esaminare atti necessari per la decisione (e ricordo che il loro esame sarebbe stato possibile prima dell’inizio dell’adunanza, salvo per quelli depositati solo in limine, nell’àmbito dell’attività di studio del ricorso da parte del relatore e del Presidente), si sarebbe potuta immaginare la presenza del Presidente o di un componente in ufficio, cioè nel luogo fisico di presenza degli atti, con l’utilizzo per gli altri componenti del mezzo virtuale. Inoltre, se l’esigenza di controllo fosse insorta durante lo svolgimento con il mezzo virtuale, l’adunanza avrebbe potuto interrompersi per consentire al Presidente o a un membro del Collegio da lui delegato di accedere all’ufficio al fine del controllo e, quindi, successivamente riprendere.
Qualche ulteriore riflessione sull’esigenza di segretezza: essa è prescritta dall’art. 276, primo comma, ma per la verità non è disciplinata nelle forme di realizzazione e, dunque, nella normale adunanza in ufficio è naturalmente assicurata in modo empirico durante il suo svolgimento. Il luogo in cui si tiene l’adunanza vede la presenza dei soli componenti del Collegio e ne viene interdetto l’accesso. Per il resto la segretezza dello svolgimento è prescritta, naturalmente, ex post, nel senso che ciò che è accaduto nella camera di consiglio ed il risultato raggiunto per ciascun ricorso ed evidenziato nel dispositivo è oggetto di obbligo di segretezza per i componenti (il che è tanto vero che segreta è anche la manifestazione di dissenso agli effetti della l. n. 117 del 1988).
Per la verità, l’esigenza di segretezza sotto il primo profilo era anche oggettivamente permeabile qualora – lo dico per assurdo – nel luogo della camera di consiglio abusivamente fossero stati presenti dispositivi di captazione di immagine e suoni, ma questo appartiene ad una dimensione patologica ed illecita.
L’uso di un mezzo di adunanza virtuale, come un collegamento dei componenti del Collegio in una videoconferenza, sarebbe stato possibile e non inidoneo alla stregua del secondo comma dell’art. 156 c.p.c. solo se la segretezza fosse stata garantita, sebbene in relazione alla normalità del funzionamento del mezzo e, dunque, prescindendo da abusive captazioni.
Naturalmente, ed è questa l’ultima notazione che faccio, l’idoneità del mezzo sarebbe dovuta emergere o a livello normativo o – mi parrebbe - sotto il profilo oggettivo, cioè ipotizzando, all’esito di una valutazione in concreto, che il mezzo prescelto fosse stato nel dominio soltanto dei componenti del Collegio e non di altri e, dunque, impermeabile a soggetti esterni.
10. Adunanza camerale in tempi di coronavirus: soluzioni possibili.
Vengo a questo punto alle conseguenze che si possono trarre dalle considerazioni che ho svolto con riferimento al momento emergenziale attuale.
Parto dal dato che si desume dall’ultimo intervento legislativo, che è quello con cui bisogna fare i conti.
Il legislatore dell’emergenza non ha considerato espressamente la forma decisoria dell’adunanza camerale non partecipata che vige nel processo di cassazione, ma io credo che non si possa dire che non esista oggi una disposizione legislativa che regola sebbene implicitamente il suo svolgimento.
Questa disposizione si rinviene nel testo che da ultimo si occupa della disciplina dei processi, che è rappresentato dall’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, nel testo che è stato modificato dall’art. 3 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28([1]).
Si tratta dell’art. 83, comma 12-quinquies. Tale comma a suo tempo era stato inserito dalla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020, cioè dalla l. n. 27 del 2020 ed è stato ora modificato dall'art. 3, comma 1, lett. g) e i), del d.l. n. 28 del 2020. La lettera i) ha sostituito la data del 31 luglio 2020 a quella del 30 giugno del 2020 e l’innovazione riguarda - a differenza di quella introdotta dalla lett. g), che concerne solo i procedimenti penali – sia i procedimenti civili che quelli penali.
Secondo tale disposizione si prevede che: “Dal 9 marzo 2020 al 31 luglio 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell'emergenza sanitaria. Nei procedimenti penali, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto”.
10.1. L’oggetto della disposizione, per quanto attiene ai processi interessati, è indicato dall’espressione - presente sotto tale profilo già per effetto della legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020, cioè la l. n. 27 del 2020 - “procedimenti civili e penali non sospesi”.
Tale formulazione certamente non è felice: lo stesso art. 83 non contiene infatti norme sulla sospensione dei processi, ma (a parte le disposizioni che dispongono rinvii e dunque non sospensione del processo) in tutti i suoi commi ne contiene invece sulla sospensione dei termini, e, dunque, consente di individuare processi nei quali i termini per compimento delle attività erano sospesi e processi nei quali tali termini non lo erano e, pertanto, l’attività processuale, ivi compresa la trattazione, poteva avvenire. A stretto rigore la norma, invece, non consente di individuare “processi sospesi”, cioè processi nei quali, sebbene dalla legge, fosse stata disposta la sospensione. Sicché, l’interprete non può concludere che “i processi non sospesi” siano quelli che nelle precedenti disposizioni non sono oggetto di “sospensione dei termini”.
D’altro canto, la norma del comma 12-quinquies ha come attività disciplinata il modo di tenere l’adunanza collegiale e, dunque, una specifica attività processuale. Questa attività è considerata, inoltre, per un periodo che va dal 9 marzo del 2020, che è la data iniziale della sospensione dei termini processuali, sino al 31 luglio 2020. Questa seconda data non ha a che fare con quella sospensione e si colloca dopo il momento di scadenza della sospensione di quei termini.
Il riferimento al 9 marzo 2020 e comunque a tutto il periodo anteriore alla stessa introduzione della disposizione del comma 12-quinques, avvenuta con la legge di conversione n. 27 del 24 aprile 2020, implica – evidentemente con effetto retroattivo - che l’oggetto di disciplina possa riferirsi anche ad adunanze collegiali già tenute e, dunque, certamente ad un’attività processuale che, risultando avvenuta all’atto della modifica legislativa, concerneva un processo in cui i termini per il compimento delle attività non erano stati sospesi, cioè un processo rientrante fra quelli indicati dal comma 3 dell’art. 83. Sotto tale profilo la norma vorrebbe avere una sorta di effetto di convalida di eventuali deliberazioni collegiali che si fossero tenute in modo conforme al suo disposto, evidentemente o sulla base di scelte desunte dal tenore della legislazione emergenziale precedente o anche – è da credere - di provvedimenti dei capi dell’ufficio adottati in base ad essa.
Ma il riferimento della norma, come ambito temporale di disciplina al periodo successivo sino al 31 luglio del 2020 e comunque la sua efficacia anche per l’avvenire, in quanto idoneo a comprendere deliberazioni da tenersi dopo il 24 aprile e sino a quella data, implica come potenziale oggetto di disciplina sia i processi in cui i termini a quel momento non erano sospesi ai sensi dell’art. 83, comma 3, ma ormai per effetto dell’incidenza dell’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020 (che, com’è noto, aveva modificato i termini indicati nei commi 1 e 2 prorogandoli all’11 maggio 2020), sia processi in cui i termini erano sospesi (appunto fino all’11 maggio 2020), atteso che – a seguire la lettera del comma 12-quinquies – per tali processi la possibilità indubbia della loro trattazione successivamente all’11 maggio 2020 e, dunque, per i processi civili di legittimità la tenuta dell’adunanza collegiale (sebbene rispettano eventuali termini a difesa previsti per il suo svolgimento, da calcolarsi ex novo appunto fa quella data) li rende dopo quella data appunti “processi non sospesi” e ciò semplicemente perché possono essere trattati.
L’atecnicismo della norma deve allora essere spiegato necessariamente nel senso ora detto, che sostanzialmente propone di intendere l’espressione “procedimenti non sospesi”, come comprensiva: a) sia dei processi in cui i termini non erano sospesi e riguardo ai quali un’adunanza collegiale si sarebbe potuta tenere e fosse stata tenuta dal 9 marzo sino al 24 aprile (data di entrata in vigore dell’innovazione legislativa) oppure fosse stata da tenere successivamente sino all’11 maggio 2020 (scadenza della sospensione dei termini, non rilevante per tali processi) ed a maggior ragione oltre l’11 maggio sino al 31 luglio 2020; b) sia dei processi nei quali, in ragione della loro soggezione alla sospensione dei termini, un’adunanza collegiale si sarebbe potuta tenere soltanto in futuro (rispetto al 24 aprile 2020) ed anzi soltanto dopo l’11 maggio 2020 e, peraltro, nell’osservanza di termini a difesa (che per le adunanze camerali di Cassazione sono, com’è noto venti giorni per il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis e dell’art. 380-ter c.p.c. e quaranta giorni per il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
In pratica quell’atecnicismo va inteso come se il legislatore avesse detto: “procedimenti trattati o trattabili dal 9 marzo (per non essere stati i termini sospesi) e comunque trattabili sino al 31 luglio 2020 (cioè trattabili dopo la legge di conversione per non essere mai stati sospesi i termini processuali riguardo ad essi o, per quanto attiene ai processi per cui operava la sospensione dei termini, trattabili solo dopo la cessazione del periodo della sospensione, cioè dopo l’11 maggio 2020)”.
10.2. Che la norma si debba intendere in tal senso si impone per il fatto che, se l’atecnicismo si spiegasse solo come relativo ai processi nei quali i termini non sono rimasti sospesi (quelli del comma 3 dell’art. 83), si avrebbe il paradossale risultato che la forma di tenuta dell’adunanza camerale da essa disciplinata (che chiaramente è funzionale ad agevolare la ripresa dell’attività processuale decisoria) resterebbe applicabile del tutto irragionevolmente solo ad essi quando la sospensione dei termini dall’11 maggio cesserà anche per gli altri processi e, dunque, quando ogni ragione di distinguere fra gli uni e gli altri verrebbe meno.
Né può pensarsi che il legislatore abbia voluto agevolare le adunanze collegiali per i processi per i quali non era stata disposta la sospensione dei termini: una simile spiegazione sarebbe possibile solo se la ripresa dell’attività processuale non dovesse essere generalizzata.
D’altro canto, si deve considerare che lo stesso art. 83 mostra di accomunare quanto alla disciplina dell’udienza pubblica i processi in cui opera la sospensione dei termini e quelli per cui non opera: le previsioni della lettera f) e della lettera h) del comma 7 dell’art. 83 sono direttamente applicabili ai primi per effetto del comma 5 della norma e sono applicabili ai secondi per effetto del comma 6. Il periodo di riferimento è sempre fino al 31 luglio 2020.
Poiché l’attività disciplinata nel comma 12-quinquies è sempre la stessa dal punto di vista funzionale, cioè lo svolgimento dell’adunanza collegiale, per entrambe le categorie di processi, resterebbe incomprensibile un distinguo fra i due gruppi di procedimenti riguardo a detto svolgimento.
Mette conto, inoltre, di rilevare che il riferimento alla deliberazione collegiale in camera di consiglio è chiaramente evocativo dell’art. 276, come emerge dall’uso della parola deliberazione, ed è idoneo a comprendere([2]) sia i casi nei quali l’attività deliberatoria consegue a procedimento ordinari in udienza pubblica, sia i casi in cui consegue a procedimenti che si svolgono in camera di consiglio partecipata prima della deliberazione, sia i casi nei quali detta attività di deliberazione esaurisce (come accade per la Cassazione Civile) il procedimento in camera di consiglio, come appunto nelle ipotesi di camera di consiglio non partecipata propri del giudizio di legittimità, in cui il coinvolgimento dei difensori è previsto solo per iscritto e, dunque, nella fase del procedimento prima della camera di consiglio.
L’espressione, dunque, si presta – limito, naturalmente, lo ricordo nuovamente, le mie considerazioni al civile – ad individuare l’attività di deliberazione in camera di consiglio e, dunque, una specifica attività da svolgersi in camera di consiglio. Poiché nei procedimenti camerali non partecipati essa rappresenta tutta l’attività procedimentale per la parte che si svolge in camera di consiglio, non è dubbio che si presti a comprenderli.
Mi sembra, dunque, che il comma 12-quinquies a questo punto esprima una disposizione legislativa che è idonea a regolare anche l’adunanza camerale non partecipata in sede di legittimità.
10.3. La scelta del legislatore è nel senso che l’intera camera di consiglio si possa svolgere da remoto e ciò per tutti i componenti del Collegio e senza pertanto che alcuno di essi debba trovarsi presso la Corte di Cassazione.
In tal senso il disposto legislativo avalla una scelta che si pone su una linea differente da quella fatta dal decreto del Primo Presidente n. 44 del 23 marzo 2020, il quale provvedendo nella vigenza del d.l. n. 18 del 2020 in corso di conversione, nel disporre nell’esercizio del potere organizzatorio di cui al comma 6 dell’art. 83, del d.l. ed assumendo che esso concernesse anche le modalità della adunanze camerali non partecipate, nonché nel dare atto dell’adozione del decreto dirigenziale adottato ai sensi dell'art. 83 dal decreto-legge n. 18 del 2020, dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020, aveva così stabilito: “fino al 15 aprile 2020 per la celebrazione delle udienze penali non partecipate e de plano, nei casi previsti dall'art. 83, comma 3, d.l. n. 18 del 2020, è consentito l'utilizzo degli strumenti di collegamento sicuro da remoto già resi disponibili dall’amministrazione. Il Presidente del collegio o un consigliere da lui delegato dovrà assicurare la sua presenza nella camera di consiglio in Corte, redigere il ruolo informatico mediante il sistema informativo SIC e consegnarlo, una volta sottoscritto, alla cancelleria perché sia accluso al verbale delle predette udienze nel quale si darà atto della presenza dei magistrati collegati da remoto e della disponibilità degli atti attraverso la stessa piattaforma; per il periodo successivo al 16 aprile 2020 si procede con le stesse modalità per la trattazione dei procedimenti camerali, civili e penali, non partecipati e de plano, che saranno individuati con le misure organizzative da adottarsi ai sensi dell'art. 83, comma 6 e 7, DL n. 18 del 2020”.
Successivamente il Primo Presidente, con il decreto n. 47 del 31 marzo 2020, nel punto 3, lett. a), in funzione della ipotizzata (allora) ripresa del lavoro della Corte per i procedimenti non urgenti a far tempo dalle date indicate, ebbe a disporre, con previsione confermativa, che le adunanze camerali non partecipate “di regola” fossero “celebrate da remoto con le modalità previste”.
In fine, con decreto del 10 aprile 2020 il Primo Presidente nel provvedere nuovamente sulla ripresa del lavoro a far tempo dal 1° giugno 2020 ha confermato la disposizione della lettera c) del decreto n. 47 e, quindi, anche quella della lettera a).
Il provvedimento del Primo Presidente, in ragione della sopravvenienza legislativa di cui al d.l. n. del 2020, è, evidentemente, divenuto inattuale, se si considera che la fattispecie dell’adunanza camerale non partecipata è disciplinata dall’art. 83, comma 12-quinquies. Essendovi la disposizione legislativa, riterrei che essa si sovrappone ed elide il disposto del P.P.
Ritengo, dunque, sommessamente che un nuovo decreto del P.P. non sia necessario, perché c’è la disciplina legislativa.
Semmai un provvedimento del P.P. potrebbe essere grandemente opportuno solo per regolare le modalità di gestione del procedimento prima che inizi la camera di consiglio nell’ora fissata. Il Primo Presidente potrebbe, dunque, regolare – per evidenti esigenze di uniformità di comportamenti - l’attività necessaria perché il Collegio, per la cui riunione da remoto non è previsto che il Presidente o un suo delegato stiano in ufficio, possa essere messo in condizione, pur scegliendo di operare tutto da remoto dal momento di inizio dell’adunanza, di conoscere gli atti del fascicolo d’ufficio ivi compresi quelli sopravvenuti fino all’ora dell’adunanza, di disporre del ruolo dell’adunanza, e, dopo lo svolgimento dell’adunanza, depositare il ruolo.
Il Primo Presidente potrebbe allora disporre circa le modalità con cui il Presidente del Collegio o un suo delegato debbono assicurare tali incombenti.
Se non lo facesse, quegli incombenti comunque - per quanto ho osservato sopra sulla base delle sole norme del codice di proceduta civile - dovrebbero e potrebbero svolgersi nei sensi similari che ho sopra indicato quando ho commentato la disciplina del Codice.
Immediatamente prima dell’ora dell’adunanza, il Presidente (se residente in Roma) o un consigliere delegato (residente in Roma) dovrebbero recarsi in ufficio e ricevere dalla Cancelleria il ruolo ed eventuali atti depositati fino a quell’ora, ma poi il Collegio si potrebbe riunire tutto da remoto, come dice il disposto legislativo. Terminata l’adunanza da remoto il ruolo dell’adunanza dovrebbe poi essere riconsegnato dal Presidente o dal consigliere delegato alla Cancelleria.
Ed all’uopo crederei che la consegna possa avvenire sia mediante accesso, sia tramite indirizzo di posta elettronica della Cancelleria, eventualmente da essa indicato.
10.4. Rilevo, in fine che, se – per absurdum - si credesse che la disposizione del comma 12-quinquies non possa riferirsi alle adunanza camerali non partecipate, in quanto la si credesse relativa solo ai procedimenti caratterizzati dall’urgenza e la cui trattazione era possibile anche durante il periodo della sospensione dei termini (il che escluderebbe la sua sostanziale rilevanza diretta per la Cassazione Civile, dato che nessun procedimento urgente è stato calendarizzato da essa), resterebbe da capire se le adunanze camerali civili non possano ritenersi possibili con la stessa modalità in via di applicazione analogica della disposizione.
A mio modo di vedere l’applicazione di questa disposizione potrebbe disporla lo stesso presidente del Collegio.
Lo dico sulla base di quanto ho osservato esaminando le sole norme del codice di procedura civile e considerando che il problema della segretezza risulta ora superato, atteso che le modalità di trattazione da remoto sono state fissate a livello ministeriale e lo sono state, mi pare, sulla base di un disposto legislativo che credo esprima un fenomeno di delegificazione (ed in disparte che sono state date assicurazioni in proposito). Che queste assicurazioni non abbiano convinto tutti, come dimostra la singolare iniziativa del Foro Penale di interrogare il Garante per la Protezione dei Dati Personali, esula dalle mie competenze e dal senso di queste note.
L’alternativa possibile è, invece, che l’applicazione analogica la disponga il Primo Presidente in via generale, il quale, però, non potrebbe, mi pare, disporre in senso contrario alla norma pur applicata analogicamente ed imporre la presenza del Presidente del Collegio o di un suo delegato, ma dovrebbe regolare nel modo indicato le attività immediatamente prodromiche all’inizio dell’adunanza e quella successiva di consegna del ruolo.
10.5. Un’ultima notazione: ho scritto queste note nella chiara consapevolezza che il disposto legislativo sull’adunanza da remoto, che credo direttamente applicabile o che comunque credo applicabile in via analogica, come ho appena detto, indica solo una possibilità ricollegata alla situazione emergenziale e non impone affatto la trattazione da remoto fino al 31 luglio 2020, come qualcuno mostra di credere.
L’auspicio è che essa non serva e, se le limitazioni alla circolazione infraregionale dovessero cessare in via ordinaria riterrei che l’adunanza da remoto non debba avere luogo (o, in ipotesi, debba riguardare semmai solo il Presidente o il consigliere che, in ipotesi, si trovino in un’eventuale “zona rossa” oppure casi nei quali è sconsigliata la trasferta del consigliere o del presidente a Roma). Se fosse possibile tenere le adunanze con opportuno distanziamento sarà opportuno privilegiarle: ad assicurare l’esigenza di distanziamento basterà tenerle in un’aula di udienza, che in Cassazione è di notevoli dimensioni come tutti sanno.
[1] Si è già mosso in questa logica E. IANNELLO, Le adunanze camerali in Cassazione nella Fase 2 dell’emergenza sanitaria. A proposito di alcuni dubbi posti dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 28 del 2020, in questa Rivista. Sul filo conduttore della sua indagine e sul suo approdo finale concordo. Alle sue considerazioni rinvio per gli scritti che ha richiamato.
[2] Come ha correttamente rilevato E. IANNELLO, op. cit.
Marche. La giurisdizione marchigiana e l’emergenza epidemiologica
di Sergio Sottani
La Rivista è da sempre attenta a raccontare la giurisdizione attraverso lo sguardo dei territori, e dei suoi protagonisti, per valorizzare il pluralismo della giustizia e mostrare l’attività giudiziaria nella sua più concreta esperienza.
Nel proseguire, anche durante l’epidemia, questo viaggio nelle diverse realtà giudiziarie la Rivista ha chiesto - al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona Sergio Sottani, al Presidente della Corte di Appello di Palermo Matteo Frasca e alla Presidente della Corte di Appello di Venezia Ines Maria Luisa Marini - di raccontare, ciascuno a suo modo, la giurisdizione d’appartenenza di fronte alla crisi epidemica.
In momenti di frenesia normativa e organizzativa è opportuno precisare che gli scritti sono stati redatti tra la fine del mese di aprile e l’inizio del mese di maggio ed è doveroso ringraziarne gli autori.
Nella foto dell’articolo il panorama mirabile del più poetico dei balconi, il Colle dell’Infinito.
Sommario: 1. La crisi sanitaria nelle Marche - 2. Dall’emergenza sanitaria alla pandemia endemica - 3. Misure organizzative giudiziarie per la tutela sanitaria - 4. Il lavoro agile ed il processo da remoto - 5. La situazione carceraria - 6. La questione criminale
1. La crisi sanitaria nelle Marche.
Nel suo girovagare di qualche anno fa nel nostro paese, un paesologo, nel capitolo dedicato alla “lunga agonia delle Marche”, scopriva che “le Marche sono un polso attraversato da tre arterie: la ferrovia, la statale adriatica e l’autostrada. È un ottimo luogo per vedere a che punto è la nostra febbre. La diagnosi è strana, fausta e infausta allo stesso tempo, stiamo guarendo e ci stiamo aggravando. Sembra di stare in un mondo morto, in un mondo che sta trovando la via per liberarsi dei morti che lo hanno dominato. Forse dipende dall’arteria che si tasta”.
Quel metaforico turbamento letterario sembra mutuabile ai nostri tempi, in cui la diffusa percezione di smarrimento da Covid 19 ha colpito l’intera nazione. Per quanto riguarda il vero e proprio contagio, la Regione Marche ed in particolare la provincia di Pesaro ed Urbino è risultata da subito uno dei territori maggiormente infetti. Nella fase di repentina transizione che ha caratterizzato l’approccio al virus, cioè dall’iniziale sottovalutazione del pericolo al sentimento di panico collettivo, nella Marche si è acuito lo scollamento tra iniziative centrali e decisioni regionali, in quanto l’ordinanza del 25 febbraio 2020, con cui il Presidente della Giunta Regionale ha disposto la sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche e la chiusura di vari luoghi pubblici, compresi gli istituti scolastici, è stata immediatamente impugnata dal Governo e, quasi contestualmente, sospesa cautelarmente con decisione del locale TAR. Solo alcuni giorni dopo, peraltro, la Provincia di Pesaro Urbino è stata espressamente classificata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri come una delle “zone rossa” italiane.
Questo indubbio elemento di incertezza ha ulteriormente inciso sul già di per sé caotico affollamento di norme, prescrizioni, obblighi e divieti introdotti dall’alluvionale produzione normativa di fonti tra loro diverse, quali decreto legge, decreti del Presidente del Consiglio, ordinanze regionali, circolari ministeriali, delibere del CSM. Questa normodemia non ha prodotto certezze, ma ha alimentato il caotico cumulo di questioni, in quanto l’accelerazione della crisi ha proiettato tutti in pochi giorni in un altro mondo, rispetto a quello descritto solo un mese prima nelle inaugurazioni dell’anno giudiziario.
Per l’effetto, la differente estensione territoriale nella diffusione del contagio, l’autonoma produzione regionale in materia sanitaria e la necessità di una risposta innovativa ed immediata hanno determinato una risposta organizzativa, diversificata per i singoli distretti giudiziari.
L’obiettivo del dirigente giudiziario nell’emergenza sanitaria è stato quello di conciliare la tutela della salute nei luoghi di lavoro con il dovere di garantire il servizio pubblico. Si è trattato di adottare le migliori soluzioni per mettere in sicurezza i palazzi di giustizia, per la difesa della salute collettiva in modo di evitare che gli edifici divenissero focolai di contagio, e di far utilizzare i dispositivi di protezione individuale, per la tutela dei lavoratori.
Il Ministero ha di fatto delegato le sue funzioni sul campo con l’istituzione nei distretti della “cabina di regia”, composta dal Presidente della Corte d’appello e dal Procuratore Generale, e delegato i “capi” degli uffici giudiziari.
Per consentire un flusso bidirezionale, i vertici amministrativi del Ministero hanno con encomiabile impegno tenuto quasi settimanalmente delle video conferenze con le autorità giudiziali apicali. Iniziativa assolutamente meritoria che ha cercato di riportare ad unità le singole condotte distrettuali, anche se la mancata partecipazione agli incontri, finanche saltuaria, del Ministro o del suo capo gabinetto, ha icasticamente segnalato la mancanza di una precisa direzione di politica in materia organizzativa, non certamente surrogabile dalle occasionali determinazioni amministrative.
2. Dall’emergenza sanitaria alla pandemia endemica
Conoscere le singole differenti realtà è servito per valorizzare e diffondere le buone prassi e far emergere anche le cattive, che spesso servono quanto le prime, se non altro per evitare errori. Soprattutto nel momento in cui inizia il difficile periodo definito della “convivenza col virus”, in cui si deve conciliare una tendenziale normalità del servizio, a far data già dal 12 maggio, a fronte di un’emergenza sanitaria prevista almeno sino al 31 luglio 2020. Inoltre, acquisita ormai la piena consapevolezza degli effetti potenzialmente devastanti della pandemia in atto, si è consci di quanto la crisi sanitaria abbia evidenziato manchevolezze pregresse dell’organizzazione giudiziaria, sia nel suo complesso che nelle sue articolazioni territoriali.
In questo scenario, al dirigente giudiziario si richiede di essere non solo un manager ma anche un leader, munito della capacità di adattamento alla mutevole e cangiante situazione, di adottare soluzioni organizzative flessibili, di saper sopportare lo stress, di essere socialmente responsabile delle proprie decisioni. Insomma, un dirigente in grado di pensare ed agire con senso pratico, in modo razionale e secondo un’ottica progettuale, di promuovere e costruire rapporti relazionali, per un lavoro collettivo.
Al riguardo, si sono rivelati fondamentali sia gli applicativi di messaggistica sia le video conferenze, che hanno consentito un flusso continuo, altrimenti non immaginabile, di notizie, documenti ed opinioni tra i dirigenti degli uffici giudiziari del distretto marchigiano.
La crisi economica cagionata dalla pandemia infierisce sul territorio marchigiano già da tempo sofferente per il calo della produzione industriale in settori tradizionalmente trainanti, quale quello degli elettrodomestici, per la sofferenza del sistema bancario, di cui la vicenda della Banca delle Marche è l’esempio di maggiore risonanza mediatica, e per il sisma del biennio 2016-2017.
Per la tenuta istituzionale di un territorio così fortemente dilaniato è necessario che il sistema giudiziario sia in grado di funzionare, pur nell’incertezza di quali saranno i futuri sviluppi dell’epidemia. Sin d’ora occorre individuare cosa vada abbandonato, nelle risposte inevitabilmente frettolose dettate dall’emergenza, perché frutto di risposte imposte dalla necessità, da ciò che invece va mantenuto, in quanto espressione di soluzioni innovative che hanno sgretolato la granitica burocratica resistenza culturale al cambiamento.
Se un primo filo conduttore emerge dall’esperienza marchigiana, nel periodo di traumatica rottura, è la consapevolezza che dalla crisi non si può uscire con gli strumenti organizzativi a cui ci si era abituati in precedenza. Per questo serva la mobilitazione comune dei magistrati, con il fattivo coinvolgimento della dirigenza amministrativa e del personale, oltre che il dialogo con gli avvocati e l’indispensabile ascolto delle istituzioni sanitarie. In quest’ottica, la generalizzata adozione di protocolli con l’avvocatura per la gestione delle udienze civili e penali, previa acquisizione del parere dell’autorità sanitaria, si è rivelata un metodo indispensabile per favorire la cultura unitaria dei distinti soggetti che partecipano al sistema giudiziario.
3. Misure organizzative giudiziarie per la tutela sanitaria
Sotto il profilo sanitario, la normativa emergenziale ha imposto un’interlocuzione con l’autorità sanitaria regionale, tramite la Presidenza della Giunta. Nel distretto marchigiano il metodo ha sicuramente funzionato, perché in tempi brevissimi si è garantito un interlocutore sanitario per ogni ufficio circondariale. Alle indicazioni e prescrizioni di quest’ultimo i dirigenti hanno fatto quindi riferimento per adottare i necessari provvedimenti.
Tuttavia questo metodo, sicuramente virtuoso ed in piena sintonia con le direttive ministeriali, di concertazione tra l’autorità giudiziaria e quella sanitaria ha dovuto, a volte, fare i conti con difformi valutazioni del RSPP e del medico competente. La decisione finale è stata doverosamente rimessa al dirigente dell’ufficio giudiziario, il quale peraltro, privo di un autonomo potere di spesa, ha inevitabilmente risentito dei vincoli sul punto imposti a livello ministeriale. In argomento un ruolo essenziale, ancorchè ibrido tra il previsionale ed il consultivo, lo può svolgere la Conferenza permanente dei servizi.
Con il trascorrere del tempo e l’esplosione del contagio, si sono compresi in maniera sempre più nitida i profili su cui concentrare l’attenzione, per evitare il pericolo di diffusione del contagio e contestualmente garantire il benessere fisico dei lavoratori: uso dei mezzi di protezione individuale, a cominciare dalle “mascherine”, installazione di strumentazione per la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso degli edifici giudiziari, effettuazione dei test su soggetti sintomatici ed asintomatici. Su nessuno di questi aspetti la Regione Marche ha adottato un’autonoma disciplina, diversa da quella nazionale, la quale per suo conto ha risentito di non univoche indicazioni sanitarie.
Ad oggi l’obbligo di indossare le “mascherine”, che inizialmente è stato estremamente limitato negli uffici pubblici in sintonia con la raccomandazioni dell’OMS, è di fatto implicitamente imposto per lo stazionamento negli uffici giudiziari dal DPCM del 26 aprile 2020.
Parimenti non risulta prescritta dalla normativa regionale né da quella ministeriale, anzi da quest’ultima espressamente inibita in difetto di specifica prescrizione sanitaria, l’installazione di un sistema di rilevazione della temperatura all’ingresso di uffici pubblici, per cui la decisione sul punto viene, di fatto, rimessa alle determinazioni dei singoli dirigenti, con ogni consequenziale responsabilità. Decisone da adottare congiuntamente dal Presidente e dal Procuratore della Repubblica, tenuto conto che nel distretto marchigiano, ad eccezione degli uffici di appello, tutti quelli di primo grado coabitano nello stesso spazio. Ciò comporta problemi non semplici in ordine all’individuazione del personale che dovrebbe effettuare tale controllo, all’ingresso degli edifici giudiziari, oltre che sulla disciplina protocollare con cui trattare nell’immediatezza le persone che dovessero risultare positive alla misurazione della temperatura corporea.
Il punto di maggiore delicatezza sembra però costituito dall’effettuazione dei test sui dipendenti dell’amministrazione giudiziaria. In primo luogo, si è preso atto, su esplicita richiesta della cabina di regia, che l’autorità sanitaria regionale non ritiene allo stato i test sierologici pienamente affidabili dal punto di vista scientifico. Quindi nella fase emergenziale i test sono stati, di norma, eseguiti col metodo di prelievo faringeo. Nell’ambito distrettuale, si è ottenuta la possibilità di disporre test su soggetti degli uffici giudiziari, anche asintomatici, ma la concreta tempistica deve tener conto del limitato numero di prelievi ed esami concretamente sostenibili dal sistema sanitario marchigiano, oltre che della doverosa priorità in favore dei soggetti appartenenti alle categorie degli operatori sanitari e delle forze dell’ordine.
Per quel che qui interessa, appare ormai evidente come sia indispensabile l’individuazione tempestiva di eventuali contagi, proprio per evitare che uffici di medio-piccole dimensioni, come quelli marchigiani, possano improvvisamente privarsi del personale, o perché affetti dal virus o per le doverose misure di quarantena che dovrebbero interessare tutti coloro che vengano a contatto con i contagiati. Il che determinerebbe la necessità di ricorrere ad applicazioni distrettuali, di magistrati e personale amministrativo, con tutte le inevitabili problematiche.
4. Il lavoro agile ed il processo da remoto
Nonostante il lavoro agile fosse normativamente previsto con la legge n. 81 del 2017, tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa era di fatto ignota all’amministrazione giudiziaria, prima dell’emergenza sanitaria. L’obbligo di distanziamento nel luogo di lavoro e la necessità di istituire presidi, con poche persone fisicamente presenti in un numero strettamente indispensabile per garantire il funzionamento del servizio, hanno invitato all’adozione di forme agili di lavoro, con postazioni ubicate presso i propri domicili o presso uffici giudiziari, diversi da quello di appartenenza. In generale, a fronte all’imperativo di ridurre al minimo la presenza in ufficio, al dirigente si è posto il dilemma se imporre la fruizione di congedi ordinari, ai magistrati od al personale amministrativo, oppure se mantenere la tendenziale fruizione volontaria del congedo, previa consumazione nel periodo emergenziale di quanto maturato nell’annualità pregressa, e contestualmente garantire la normale funzionalità del servizio, ancorché ridotto per la sospensione processuale dei termini processuali, ricorrendo a forme inedite ed inesplorate della prestazione lavorativa.
Questa seconda opzione, fondamentalmente adottata dagli uffici giudiziari marchigiani, ha progettato forme di lavoro a domicilio, ha sfruttato la possibilità di dialogo dei due cloud computing, teams e one drive, ma si è irrimediabilmente scontrata con alcuni limiti di politica giudiziaria, rappresentati dal divieto di un uso generalizzato della sottoscrizione digitale di atti, con valenza processuale penale, e dall’impossibilità di utilizzare in remoto gran parte degli applicativi ministeriali. Tali mancanze impediscono sia la dematerializzazione del procedimento, sia la possibilità del deposito telematico dell’atto in remoto.
Questi nodi non sembrano superabili localmente senza una decisione nazionale, per cui, se non risolti, appaiono pregiudizievoli per le prossime scelte progettuali. In estrema sintesi, dal 12 maggio potranno forse scomparire i presidi negli uffici giudiziari, ma resta impellente la necessità di articolare in modo diverso l’orario lavorativo e di consentire il lavoro agile.
Per quanto riguarda l’attività squisitamente giudiziaria, oltre alla maggiore flessibilità del lavoro dei magistrati, soprattutto di quelli requirenti che per le funzioni svolte inevitabilmente devono garantire una presenza in ufficio maggiore di quelli giudicanti, la novità più significativa del periodo emergenziale è stato il processo penale c.d. da remoto. Il tema è oggetto di più ampia discussione, non necessariamente interrotto dai ristretti limiti di applicazioni consentiti dal decreto legge n. 28 del 2020, che è entrato in vigore in pratica contestualmente alla legge n. 27, proprio per neutralizzarne gli effetti delle disposizioni introdotti in sede di conversione.
Sul punto, va non solo mantenuto ma ulteriormente valorizzato il metodo concertativo adottato da tutti gli uffici del distretto marchigiano, che hanno adottato dei protocolli di udienza, nei quali è prevista la partecipazione alle udienze civili e penali da remoto. Tali accordi convenzionali sono stati sottoscritti congiuntamente con gli ordini professionali forense, e, nella maggioranza dei casi, anche con gli organismi territoriali delle Camere Penali.
Più che mai i protocolli sono espressione del lodevole intento di ridurre l’evidente gap preesistente tra il Processo Civile Telematico, ormai entrato nella cultura giudiziaria, ed il Processo Penale Telematico, di cui ancora sono non chiare le possibilità e troppo ridotti i margini di concreta applicazione.
Di certo, la crisi pandemica ha in gran parte eliminato eventuali pigrizie nell’uso della tecnologia da parte dei magistrati e ha costituito un momento di sicura evoluzione nella cultura informatica. A ciò deve necessariamente corrispondere un adeguamento della struttura organizzativa da parte dei dirigenti degli uffici giudiziari, in quanto di per sé la telematica non apporta alcun beneficio se non supportata dalla capacità organizzativa di renderla funzionale alla struttura in cui si cala.
5. La situazione carceraria.
I quattro istituti penitenziari del distretto marchigiano soffrono del male nazionale del sovraffollamento del sistema carcerario. In uno di questi sono inoltre stati trasferiti alcuni dei detenuti che nella prima decade di marzo hanno inscenato, in altri luoghi, delle manifestazioni di violenta protesta, conclusesi con la morte di alcune detenuti. Nelle Marche non vi sono stati episodi eclatanti di concessione di benefici a soggetti condannati per reati in materia di criminalità organizzata, per cui il problema è consistito, e tuttora rimane, nella capacità di conciliare gli istituti dell’ordinamento penitenziario con l’esigenza di evitare la trasmissione del contagio all’interno degli istituti.
Grazie ad una fertile collaborazione con il Provveditorato interregionale dell’Amministrazione Penitenziaria si è cercato di affrontare il tema della riduzione della popolazione carceraria, alla luce del semplificato regime della detenzione domiciliare, con particolare riferimento a quei soggetti che, pur in presenza di presupposti, non avessero un domicilio “certo” per fruire del beneficio. Invece quindi di ulteriormente onerare gli uffici requirenti di un’atipica “istanza” officiosa per il conseguimento del beneficio in esame, si è preferito monitorare settimanalmente il numero di istanze private e, contestualmente, proseguire nell’attività di progressivo reinserimento sociale dei soggetti reclusi, privi di dimora.
Non si sono registrate ad oggi particolari forme di protesta da parte della popolazione carceraria, ad eccezione di un caso in cui la protesta ha contestato l’asserito ritardo nella comunicazioni delle decisioni sulle istanze. Anche qui, quindi, la crisi ha acuito quelle difficoltà che già esistevano prima della sua manifestazione, quelle rappresentate, per quanto riguarda il Tribunale di Sorveglianza, dalle gravi carenze nell’organico amministrativo dell’ufficio e nella mancata copertura del posto di Presidente, vacante ormai dal dicembre 2018.
6. La questione criminale
La convivenza coatta imposta dalle misure attuate per il distanziamento sociale ha involontariamente aumentato il rischio di reati in materia di violenza domestica. Per altro verso, la crisi sanitaria ha innescato forme, allo stato non preventivabili nella loro estensione, di reati in materia di salute pubblica ed individuale, di cui le indagini sui centri residenziali per anziani rappresentano un primo fenomeno. La maggiore preoccupazione riguarda tuttavia la possibilità di infiltrazione della criminalità organizzata in una regione che è interessata da un notevole flusso finanziario, sia per i fondi pubblici destinati alla ricostruzione dei territori interessati dal fenomeno sismico del biennio 2016-2017, sia dal sistema di erogazione di finanziamenti, volti ad incentivare la ripresa economica. Quindi, per un verso, l’intento liberistico sulla normativa degli appalti, per favorire le doverose esigenze di garantire presidi sanitari, di ricostruzione post-sismica oltre che di ripresa economica a causa della pandemia, rischia di rappresentare un terreno fertile per la criminalità organizzata, in quelle forme finanziarie e professionistiche criminali, con cui storicamente si sono espresse nei territori diversi da quelli dove le associazioni sono storicamente sorte e radicate.
In quest’ottica, con particolare attenzione alla forma di finanziamento bancario, che si rivolge ad una teorica platea regionale di medio piccole imprese, si sono immediatamente attivati sistema di allerta e tavoli di concertazione con le prefetture, per individuare forme di intervento dell’autorità giudiziaria inquirente, idonee ad accertare immediatamente la possibile esistenza di un uso distorto del finanziamento. La strada appare quella di un effettiva “adeguata verifica” da parte degli operatori bancari nel momento di erogazione del finanziamento e di una rendicontazione della effettiva destinazione delle somme ricevute, in sintonia con le direttive della Banca d’Italia, dell’UIF e dell’ABI.
Una crisi sociale così drammatica come quella cagionata dalla crisi epidemiologica non può non avere devastanti conseguenze sociali, soprattutto per una regione che quest’anno puntava alla sua definitiva consacrazione. Pochi mesi fa, una rinomata guida di viaggio internazionale pronosticava che “dopo decenni in un ruolo un po’ defilato, le Marche sono finalmente pronte a mettersi sotto i riflettori”.
Per gli uffici giudiziari la terribile sfida non è il ritorno alla normalità di prima, con tutti i guasti e le disfunzioni ben note, ma l’adozione di scelte organizzative che, sebbene nate come risposta emergenziale, possano costituire il volano per un servizio qualitativamente all’altezza del gravoso compito di contribuire alla rinascita del paese.
Italia-Germania, unite in un'Europa più solidale solidale e "sovrana". Parola d'ambasciatore!
Intervista di Roberto Conti a Viktor Elbling, Ambasciatore in Italia della Repubblica federale tedesca.
Giustizia Insieme ha cominciato da qualche tempo un viaggio di approfondimento sulla persistente attualità dell’idea di Europa.
Lo ha fatto intervistando non solo personalità del mondo politico e giudiziario- Sul destino dell’Europa (https://www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/1059-sul-destino-dell-europa), intervista di M. Dell’Utri a G.Amato, M. Cacciari, V. Dastoli e W. Veltroni - ma anche indagando su cosa sia in atto l’Europa, nel groviglio di competenze a volte poco chiaramente ripartite fra i singoli Stati ed altre accentrate nelle Istituzioni di una Unione europea - E. Arbia, C. Biz, L’Unione europea contro la pandemia di COVID-19: tra solidarietà per gestire l’emergenza sanitaria e adattamento degli strumenti esistenti, alla ricerca di un piano comune di rilancio (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1012-l-unione-europea-contro-la-pandemia-di-covid-19-tra-solidarieta-per-gestire-l-emergenza-sanitaria-e-adattamento-degli-strumenti-esistenti-alla-ricerca-di-un-piano-comune-di-rilancio)- avvertita come lontana e tecnocratica e dunque rimasta per molti un’incompiuta rispetto all’idea originaria che proprio oggi si ricorda con la firma della Dichiarazione Schuman nella Sala dell’orologio del Quai d’Orsay a Parigi.
Insomma, un frutto, quello europeo, non ancora maturato o addirittura precocemente appassito secondo i palati fini dei sostenitori di un ritorno al sano patriottismo identitario come antidoto ai mali, di varia natura e consistenza, prodotti da cessioni di sovranità portatrici unicamente di disastri, per lo più economici.
Uno spaccato composito e frastagliato che la crisi pandemica sembra avere accentuato in relazione alle necessità di alcuni Paesi di avere sostegno ed aiuto maggiori di quelli di altre “regioni” europee colpite in modo meno tragico dall’emergenza sanitaria ed all’atteggiamento apparso a volte burocratico e mercantilista di alcune istituzioni europee chiamate ad intervenire.
Questo il contesto nel quale si inserisce la già notissima decisione della Corte costituzionale tedesca sulle misure di acquisto di titoli di Stato disposte dalla Banca centrale europea che, mettendo in scacco la Corte di Giustizia, sembra far vacillare anche i sostenitori di un’Europa fondata sui diritti delle persone –G. Pitruzzella, Europa e diritti: che fare in attesa del vaccino anti Covid-19?; Un presidente alla Corte edu. Guido Raimondi; M.Cartabia, La Corte costituzionale non si ferma davanti all'emergenza, questo è il tempo della collaborazione tra istituzioni; P.Pinto de Albuquerque, La Corte edu è uno strumento di solidarietà tra i popoli europei- e sulla centralità della persona sovrana, come è stato efficacemente ricordato- Dell’Utri, Sul destino dell’Europa, cit.-
Oggi, accanto ai singoli approfondimenti dedicati dalla Rivista alla sentenza della Corte di Karlsruhe -M. Castellaneta, Bundesverfassungsgericht contro la Corte UE o contro l’Europa? A margine della sentenza della Corte costituzionale- e alla Dichiarazione Schuman - P. V. Dastoli, La dichiarazione Schuman ha settanta anni: è ancora attuale la sua finalità federale? - è venuto naturale pensare alle relazioni tra Italia e Germania, a cosa possa essere per questi due paesi, tanto diversi quanto da sempre complementari, non solo il futuro dell’Europa ma il presente, di uno stare insieme.
L’occasione è stata propiziata dal Prof.Vincenzo Militello, console onorario della Repubblica federale tedesca, al quale Giustizia Insieme è estremamente grata per avere favorito la realizzazione dell’intervista all’Ambasciatore tedesco in Italia, Viktor Elbling.
Tre domande alle quali l’Ambasciatore Elbling ha risposto sfoderando i capisaldi della futura Europa: solidarietà fra i Paesi europei, maggiore "sovranità" dell’Europa e centralità della dignità della persona, in un gioco di bilanciamenti continuo e complesso con tutti gli altri diritti dell’uomo.
Vien da pensare alle parole di Papa Francesco di recente pronunziate, sia pur in contesto diverso, per sottolineare i valori della vicinanza, verità e speranza. Vicinanza nel momento delle necessità che i Paesi dell’Unione possono mostrare nei confronti di quelli che si trovano in situazioni emergenziali, verità circa le difficoltà dell’idea stessa di un’Europa composta di realtà ove serpeggiano forme di nazionalismi “non buone” e speranza che anche dai momenti peggiori i cittadini europei possano avere la capacità e la forza di realizzare i propositi che, a partire dal manifesto di Ventotene, chi credette nell’idea di Europa ancora attende di vedere compiutamente realizzati.
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Ambasciatore Elbling, grazie anzitutto per la disponibilità mostrata nel rispondere alle nostre domande. Il Suo Presidente Steinmeier si è di recente rivolto al popolo italiano evocando ripetutamente un "obbligo di solidarietà" e la centralità dell’Europa per superare l’emergenza. Ci potrebbe dire quali azioni concrete ha svolto il Suo Paese nelle direzioni indicate nelle sedi europee, in cui si sta discutendo sull’alternativa fra prestiti e aiuti solidaristici dell’UE?
I Paesi europei stanno attraversando una situazione drammatica. L’Italia è tra i più colpiti. Nonostante tutte le incognite dovute all’emergenza Covid-19, una cosa è certa: Possiamo uscire solo insieme da questa crisi. Come ha sottolineato il Presidente Steinmeier: La Germania uscirà forte dalla crisi solo se anche i nostri partner europei ne usciranno forti. Per questo, ci vuole una grande solidarietà europea per aiutarci a vicenda. E su questa solidarietà e gli aiuti ai Paesi più colpiti dal virus c’è un consenso assoluto in Europa. Le misure economiche approvate dal Consiglio Europeo il 23 aprile possono aiutare rapidamente a proteggere cittadini, imprese e posti di lavoro nei Paesi colpiti. Aspettiamo la proposta della Commissione sul cosiddetto Recovery Fund destinato a rilanciare l’economia quando la crisi sanitaria sarà superata. Superare la crisi sanitaria e rispondere alle sue conseguenze economiche sarà anche il tema centrale della Presidenza tedesca del Consiglio dell’UE nella seconda metà dell’anno. Lavoreremo insieme ai nostri partner per rinforzare l’integrazione europea anche durante questa crisi.
2. Secondo Lei questa Europa, con pressioni nazionaliste che vanno emergendo in maniera sempre più evidente in vari paesi si salverà e, se sì, con quale tasso di liberismo e con quale "anima" uscirà dalla crisi?
L’Europa per noi è ragione di Stato. Lo ha ribadito la Cancelliera Merkel. Le pressioni nazionaliste esistono in alcuni paesi, ma sono una minoranza. La crisi del Coronavirus ha dimostrato quanto abbiamo bisogno di più Europa. Senza un’Europa forte non sarà possibile difendere i nostri valori ed interessi in un mondo sempre più complesso e multipolare. Le affermazioni dei sovranisti e nazionalisti non offrono alcuna risposta a sfide che vanno ben al di là dei nostri confini e delle singole capacità nazionali, come la pandemia, il cambiamento climatico e la migrazione. Certo, l’Ue non è perfetta e dovremo impegnarci tutti di più per dotare l’Europa di ancora più capacità di agire. Ma non condivido affatto il pessimismo di chi dice che l’Europa non funziona o che possiamo farne a meno. Senza l’Ue, non saremmo in grado di uscire bene dall’emergenza Covid-19, come lo dimostra l’impegno continuo e massiccio della BCE. Con quale spirito l’Ue uscirà dal tunnel del Covid-19, dipende da tutti noi e dalla nostra capacità di offrire e ricevere solidarietà e coesione. Più compattezza europea dimostreremo meglio è. Puntiamo a un’Europa più forte, sovrana e solidale.
3. "Il Presidente del Bundestag Schäuble, in una intervista al Tagesspiegel di qualche giorno fa, ha evocato il rispetto della dignità umana come valore fondante del vostro Paese. Come si concilia con le altre libertà delle persone ristrette anche nel Suo paese?"
Con il suo riferimento al rispetto della dignità umana come cuore della nostra costituzione, il Presidente Schäuble ha voluto indicare che nel contesto dell’emergenza Covid-19 la politica è costretta ad un continuo ponderare tra diritti acquisiti e la necessità di fermare il contagio, senza perdere di vista che ogni misura restrittiva da parte dello Stato deve sempre proteggere la dignità umana. È un dilemma etico non facile da risolvere. Tutti ci troviamo davanti ad una situazione inimmaginabile fino a poco fa e completamente insolita: milioni di persone contagiate, molti di più ancora confinati in casa, contatti fisici ridotti al minimo, interi settori economici in difficoltà. Perciò è un bene, e anche l’essenza della democrazia, che si discuta costantemente sul miglior equilibrio tra restrizioni imposte necessariamente, la protezione della vita e la dignità che va rispettata e protetta sempre.
La Giustizia da remoto: adelante … con juicio – seconda parte
Intervista a Giorgio Costantino e Massimo Orlando di Franco De Stefano
L’applicazione intensiva della tecnologia per le attività da remoto nella gestione delle ordinarie attività processuali incontra più diffidenza e ostilità che favore e apprezzamento.
Giustizia Insieme, consapevole della diversità di approccio da parte degli operatori della Giustizia anche all’interno dell’Avvocatura e della Magistratura, ha messo a confronto sul punto della gestione dell’attività da remoto dell’attività processuale tre professori ed un presidente di tribunale, identificando alcuni temi di discussione.
L’intervista ha suscitato appassionate reazioni e, soprattutto, si è imbattuta nella novità del decreto legge n. 28 del 30 aprile 2020, che è intervenuto pesantemente, in recepimento di un ordine del giorno del Parlamento in sede di conversione del precedente, introducendo una figura di udienza da remoto assai depotenziata.
L’intervista raccoglie, sulle stesse tematiche, ora le risposte del professore Costantino e del presidente Orlando, dopo quelle dei professori Donati e Spangher.
Le domande
1) In linea generale, come giudica l’impiego dei più moderni mezzi tecnologici per l’attività da remoto nella gestione delle ordinarie attività processuali?
2) Quali i suoi rapporti coi diritti fondamentali della persona e poi coi valori fondanti e con le esigenze concrete del processo civile e del processo penale, tenuto conto della vasta diversificazione degli oggetti e di quella conseguente dei riti già solo all’interno dell’uno e dell’altro?
3) Quali sono i rischi maggiori di quell’impiego? Ad esempio, in termini di sospetto o concreto pericolo di manipolazione delle singole attività, anche solo quanto a genuinità e segretezza ovvero tutela della riservatezza?
4) Quali sono i vantaggi maggiori di quell’impiego? Ad esempio, in termini di efficienza e affidabilità della risposta di Giustizia?
5) Come giudica l’impiego finora fatto della tecnologia nella gestione della cosiddetta fase uno dell’emergenza sanitaria?
6) Quali le prospettive dei mezzi offerti dalla tecnologia in tema di prestazioni di attività da remoto come strumenti per disegnare un ordinario nuovo regime anche del processo civile e penale, per la fase della ripartenza e dei nuovi assetti sociali, caratterizzati comunque da una radicale trasformazione dell’esistente?
7) Quali misure pensa sia opportuno sollecitare al Legislatore o al Ministro o al Consiglio Superiore della Magistratura?
Seconda parte – professor Giorgio Costantino e presidente Massimo Orlando
1) In linea generale, come giudica l’impiego dei più moderni mezzi tecnologici per l’attività da remoto nella gestione delle ordinarie attività processuali?
Costantino:
Le sette domande riguardano i rapporti tra l’uso della tecnologia e la trattazione dei processi. Le prime cinque riguardano il passato ed il presente; le ultime due le prospettive future.
Appare possibile, pertanto, fornire risposte unitarie per il primo e per il secondo gruppo.
Il passato ed il presente del processo telematico sono stati illustrati, in questa Rivista, da Pasquale Liccardo (Contributo ad una riflessione sulla tecnologia ai tempi del Covid-19, https://bit.ly/3cYnQGc), al quale appare opportuno rinviare.
La situazione della legislazione dell’emergenza al 1° maggio 2020 è stata descritta, ancora in questa Rivista, da Franco De Stefano (La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: altri sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile).
Gli ultimi sviluppi pongono alcune questioni di diritto intertemporale delle quali appare opportuno dare conto.
L’art. 1, commi 1 e 2, d.l. 8 marzo 2020, n. 11 (in Gazz. Uff. dell’8 marzo 2020, n. 60) ha disposto il rinvio delle «udienze» e la sospensione dei termini processuali dalla data di entrata in vigore del provvedimento al 22 marzo 2020.
L’art. 83, commi 1 e 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (in Gazz. Uff. del 17 marzo 2020, n. 70) ha disposto il rinvio delle «udienze» e la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo al 15 aprile 2020. Il comma 22 ha abrogato gli artt. 1 e 2 d.l. 8 marzo 2020, n. 11.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, d.l. 8 aprile 2018, n. 23 (in Gazz. Uff. dell’8 aprile 2020, n. 94) «il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, è prorogato all’11 maggio 2020. Conseguentemente il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020».
L’art. 83, commi 1 e 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27 (in Gazz. Uff. del 29 aprile 2020, n. 110, S.O.), tuttavia, prevede ancora il rinvio delle «udienze» e la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo al 15 aprile 2020.
L’art. 3 d.l. 30 aprile 2018, n. 28 (in Gazz. Uff. del 30 aprile 2020, n. 111) ha sostituito, nel primo periodo del comma 6 dell’art. d.l. 8 aprile 2018, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, il termine del 16 aprile con quello del 12 maggio e, nel comma 20, il termine del 15 aprile con quello dell’11 maggio. Non è, invece, prevista alcuna modifica dei commi 1 e 2 dello stesso art. 83 per i quali le «udienze» sono rinviate e i termini sono sospesi fino al 15 aprile 2020.
La legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, è successiva al decreto 8 aprile 2018, n. 23, e stabilisce che le «udienze» sono rinviate e i termini sono sospesi dal 9 marzo al 15 aprile 2020. Il decreto 30 aprile 2018, n. 28, ha ribadito soltanto la modifica dell’art. 83, comma 6, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, disposta dall’art. 36 d.l. 8 aprile 2018, n. 23.
In sintesi, il 17 marzo è stato indicato il termine finale della prima fase dell’emergenza sanitaria nel 15 aprile 2020. L’8 aprile questo termine è stato prorogato all’11 maggio 2020 e l’inizio della seconda fase è stato indicato nel 12 maggio 2020. Con la legge di conversione del 24 aprile, però, è stato ribadito il termine del 15 aprile 2020. Il decreto «correttivo» del 29 aprile ha modificato il termine iniziale della seconda fase, previsto dal comma 6 dell’art. 83, ma ha ignorato il termine finale della prima fase, indicato nel 15 aprile dal decreto del 17 marzo, prorogato all’11 maggio dal decreto dell’8 aprile e indicato ancora nel 15 aprile dalla legge di conversione del 24 aprile.
La questione di diritto intertemporale consiste nello stabilire se, in base alle regole in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge di conversione di un decreto legge modificato da un altro decreto prevalga su quest’ultimo oppure se la modifica del decreto convertito, operata da un successivo decreto, prevalga sulla legge di conversione del primo decreto, pur successiva.
La questione è indubbiamente interessante e merita approfondimento.
Sembra ragionevole dubitare che si sentisse il bisogno di dedicarsi a questo gioco di pazienza nella clausura imposta dall’emergenza sanitaria in atto e sembra invece doveroso che siano chiaramente indicati il termine finale della prima fase, nel corso della quale le «udienze» sono rinviate ed il decorso dei termini è sospeso, e quelli della seconda fase, nel corso della quale la trattazione dei processi è affidata ai capi degli uffici giudiziari.
Pur nell’incertezza dei termini, si può prendere atto che è stata stabilita una prima fase, nella quale le «udienze» sono rinviate e il decorso dei termini processuali è sospeso, ed una seconda fase.
Queste previsioni non si applicano alle controversie espressamente qualificate «urgenti» dall’art. 83, comma 3, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, ed a quelle dichiarate tali dal giudice.
La trattazione dei processi, nella seconda fase, è affidata a provvedimenti di soft law dei capi degli uffici, ai sensi dei commi 5 ss. dell’art. 83. In questo periodo, le udienze possono essere rinviate, possono essere sostituite dalla trattazione scritta e possono svolgersi da remoto. Il riferimento alle «udienze» può essere esteso alle udienze in camera di consiglio previste nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia e di status delle persone e delle procedure concorsuali.
La diversità di soluzioni accolte nei diversi uffici mina il principio di uguaglianza. La pluralità delle fonti regolatrici dei processi, inoltre, suscita la tentazione di prescinderne e di governare lo svolgimento delle attività processuali in base a scelte affatto discrezionali.
In questo contesto, appare priva di ogni ragionevole giustificazione la previsione di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) d.l. 30 aprile 2018, n. 28, che, modificando l’art. 83, comma 7, lett. f, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, impone la presenza del giudice civile nell’ufficio giudiziario, mentre il successivo art. 4 dello stesso d.l. 30 aprile 2018, n. 28, in riferimento al processo amministrativo, stabilisce che «il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge». Non vi è alcuna obiettiva ragione per la quale i giudici civili debbano recarsi in ufficio per la trattazione in streaming, mentre i giudici amministrativi possano rimanere a casa. La scelta tra l’una o l’altra soluzione potrebbe dipendere dalla natura della controversia, dalla qualità delle parti; non sembra, invece, possa essere collegata allo status del giudice.
La scelta tra le tre possibilità previste dalla legge ed affidate ai provvedimenti organizzativi dei capi degli uffici ed alle Linee guida dell’organo di autogoverno implica alcune distinzioni.
Ogni generalizzazione, infatti, appare pericolosa: il «sospetto o – il - concreto pericolo di manipolazione delle singole attività» può manifestarsi in relazione ad alcune e non ad altre.
Per quanto riguarda i processi di cognizione in primo grado, ad esempio, appare ragionevole ritenere che le udienze di precisazione delle conclusioni possano essere sostituite dalla trattazione scritta e la medesima soluzione potrebbe essere accolta per la prima udienza di trattazione nel processo ordinario di cognizione, solitamente destinata soltanto alla fissazione dei termini previsti dall’art. 183, comma 6, c.p.c. Analoga soluzione appare praticabile per i processi di appello, nonché per il giudizio di legittimità.
Nella fase dell’emergenza sanitaria, piuttosto che rinviare, e rinviare a tempi lunghi, la definizione delle controversie, le udienze di discussione e le camere di consiglio possono svolgersi da remoto: ai sensi dell’art. 117 disp. att. c.p.c., infatti, «i difensori debbono leggere davanti al collegio le loro conclusioni e possono svolgere sobriamente le ragioni che le sorreggono; «debbono chiedere al presidente la facoltà di parlare, e debbono dirigere la parola soltanto al tribunale». Queste attività e la discussione tra i componenti del collegio, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., si prestano ad essere trattate con mezzi tecnologici, senza suscitare particolari problemi. In questo senso, infatti, è il decreto della Presidente della Corte costituzionale (https://bit.ly/3aMPcxH), per il quale, «qualora almeno una delle parti del giudizio ne faccia richiesta, l’udienza pubblica per quel giudizio si svolge con collegamento da remoto».
Il rinvio, che si traduce in un diniego di giustizia, dovrebbe costituire l’estrema scelta residuale, per la quale è ragionevole optare soltanto se le altre non sono praticabili.
Tra la sostituzione delle udienze con la trattazione scritta e lo svolgimento da remoto, invece, appare corretto valutare le specifiche attività previste per l’incontro tra giudice e parti e, comunque, subordinare la scelta alle richieste delle parti.
Già prima dell’emergenza sanitaria in atto e indipendentemente da questa, infatti, ai sensi dell’art. 95, comma 3, l.f. «all’udienza fissata per l’esame dello stato passivo, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda» e, «in relazione al numero dei creditori e alla entità del passivo, il giudice delegato può stabilire che l’udienza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi»; e l’art. 163, comma 2 bis, a sua volta, stabilisce che il tribunale «in relazione al numero dei creditori e alla entità del passivo, può stabilire che l’adunanza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi»; in tal caso, ai sensi dell’art. 175, comma 2, l.f., «la discussione sulla proposta del debitore e sulle eventuali proposte concorrenti è disciplinata con decreto, non soggetto a reclamo, reso dal giudice delegato almeno dieci giorni prima dell’adunanza». L’art. 569, comma 4, c.p.c., prevede che, nei processi esecutivi, la gara tra gli offerenti per l’acquisto degli immobili si svolga con modalità telematiche.
L’esperienza indica che il contraddittorio effettivo sulla approvazione dello stato passivo nelle procedure concorsuali ovvero sulla approvazione della proposta di concordato si realizza fuori e prima della udienza, cosicché questa ha una funzione meramente formale di ratifica di decisioni già prese, cosicché non suscita grave scandalo l’ossimoro per il quale, «all’udienza» il giudice decide «in camera di consiglio», «anche in assenza delle parti». La prassi applicativa ha consentito lo sviluppo di significative esperienze sulle vendite telematica asincrone, e sincrone miste.
Altre attività processuali, invece, sembrano richiedere la presenza fisica delle parti o dei difensori.
Basti pensare, ad esempio, alle udienze presidenziali nei processi di separazione e di scioglimento del matrimonio, a quelle nei procedimenti cautelari e, in genere, alle udienze istruttorie: l’interrogatorio del testimone o della parte può richiedere il confronto diretto, anche al fine di evitare che l’interrogato usufruisca di un gobbo, come un presentatore televisivo. Il che non esclude, tuttavia, che in considerazione della natura delle controversia e delle qualità delle parti, queste chiedano espressamente ed il giudice disponga la trattazione da remoto. Altrimenti, appare opportuno che queste attività siano rinviate alla cessazione della emergenza sanitaria, qualora sia possibile avere certezza sui termini.
In ogni caso, appare necessario che la scelta della soluzione sia il frutto del confronto tra le parti ed il giudice, sulla traccia segnata da quanto previsto dagli artt. 190, comma 2, 275, comma 2, e 352, comma 2, c.p.c.
L’Ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati (https://bit.ly/2VMgdgj) in occasione della conversione del decreto legge n. 18, con particolare riferimento ai commi 12 bis ss. dell’art. 83, e i contrastanti documenti della Associazione Nazionale Magistrati (https://bit.ly/3f1lLLs), della Unione Camere Civili e della Unione Camere Penali (https://bit.ly/2yOx8G5) sulla utilizzazione degli strumenti informatici esprimono un disagio che potrebbe essere evitato grazie ad un banale buon senso, che tenga conto delle diverse attività e delle esigenze delle parti, eviti generalizzazioni e non affidi le soluzioni a slogan.
Non può escludersi, infatti, che la legislazione dell’emergenza susciti un vivace contenzioso sulla sua interpretazione, sulle decadenze intervenute, sulla osservanza del diritto di azione e di difesa ovvero sull’effettivo rispetto del principio del contraddittorio e, nei prossimi anni, si sia costretti ad esercizi di tetrapiloctomia, che possono favorire lo sviluppo dell’editoria giuridica, ma non giovano certamente al funzionamento della giustizia.
Il processo migliore, infatti, è quello che non fa parlare di sé, perché gli utenti della giustizia vogliono tutela per i diritti che affermano e non sono interessati a questioni processuali, tanto eleganti quanto astratte, né una contrapposizione tra gli operatori della giustizia appare utile a garantirne il funzionamento.
Orlando:
L’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in ambito processuale è stata decisiva per un consistente recupero di efficienza dell’attività giudiziaria da parte, soprattutto, dei Tribunali italiani.
A partire dal 2012 il legislatore ha “gettato il cuore oltre l’ostacolo”, introducendo:
Mi sembra importante evidenziare che, così come oggi, anche nel 2012 l’Italia stava attraversando un difficilissimo periodo di crisi: economica, politica, di credibilità internazionale.
Il Governo, di emergenza nazionale, ha avuto da un lato l’opportunità e dall’altro quasi la necessità di adottare decisioni se non radicali quantomeno fortemente innovative.
Ricordo, limitandomi ovviamente al settore della Giustizia, alla coraggiosissima riforma delle circoscrizioni giudiziarie, che ha soppresso 667 Uffici del Giudice di Pace, 220 sezioni distaccate di Tribunale e 31 Tribunali (e relative Procure della Repubblica).
La profonda crisi in cui si trovava il Paese ha imposto al Governo di vincere le resistenze che per anni avevano bloccato questa riforma, nonostante la sua intrinseca razionalità in termini di contenimento dei costi.
Ma va soprattutto evidenziato che la revisione dell’assetto organizzativo di un grandissimo numero di uffici giudiziari ha consentito anche – e soprattutto - di superare la incredibile frammentazione delle competenze. E con questo termine mi riferisco non solo alla competenza processuale per territorio, ma anche alla competenza specialistica, che è impossibile da conseguire da parte del giudice singolo e solo, addetto ad un Tribunale di piccole dimensioni, ma che secondo i codici di rito deve comunque occuparsi di tutte le materie che in Tribunali più grandi sono assegnate a una pluralità di magistrati.
Sempre nel 2012, per le stesse ragioni di urgenza che imponevano una decisa modernizzazione del Paese, bloccato da veti incrociati e timori di ogni tipo, la gravissima crisi economica ha indotto il Ministro della Giustizia Severino e il Governo nel suo complesso a prevedere l’obbligatorietà del PCT. Un passo obbligato, dopo 12 anni di mere sperimentazioni e di diecine di milioni di Euro spesi, ma non facile da compiere. Sia la magistratura che l’avvocatura che l’amministrazione temevano di non arrivare preparati.
Qual è la lezione che si deve ricavare da queste esperienze (revisione della geografia giudiziaria e PCT)?
Due insegnamenti fondamentali:
Le innovazioni tecnologiche introdotte nel 2012 sono state indotte e quasi imposte dalla strutturale inefficienza della amministrazione.
Si pensi alle notifiche di parte o alle comunicazioni di cancelleria: la carenza di personale (sia nei Tribunali che negli Uffici NEP che nel gestore del servizio postale) provocavano ritardi intollerabili nella esecuzione delle notifiche e, ancor più grave, nella consegna dell’avviso di ricevimento (nelle notifiche a mezzo posta).
Per la stessa ragione, l’obbligatorietà del deposito telematico nel procedimento per ingiunzione ha eliminato una serie di tempi morti che triplicavano il numero di giorni necessari al ricorrente per ottenere il decreto ingiuntivo (iscrizione a ruolo, consegna del fascicolo al Presidente del Tribunale assegnazione alla sezione, designazione del giudice da parte del Presidente della Sezione, ecc.).
Pertanto, alla richiesta di formulare una “valutazione dell’impiego dei più moderni mezzi tecnologici per l’attività da remoto nella gestione delle ordinarie attività processuali” il mio giudizio è più che positivo.
Anche il servizio Giustizia deve modernizzarsi e deve sfruttare tutte le opportunità offerte dalla tecnologia.
L’attuale, gravissima crisi sanitaria, che non si prevede finirà il 30 giugno ma che probabilmente si protrarrà almeno per tutto il 2020, è una opportunità per il sistema Giustizia.
Come è noto Albert Einstein diceva: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere 'superato'.”
Ogni settore ha le sue specificità, la tecnologia ha la capacità di adattarsi alla realtà in cui essa deve essere applicata, ma a sua volta nessun settore può pretendere di vivere fuori dal tempo.
Purtroppo, il Governo non sembra abbia alcuna intenzione di raccogliere la sfida, approfittando della necessità, imposta dalla crisi epidemiologica, di un radicale cambio di passo.
Anzi, il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, costituisce un gigantesco passo indietro ai timidi tentativi innovatori contenuti nel DL 18/2020.
Rimandando al paragrafo successivo il tema della udienza penale con lo strumento della videoconferenza, non posso non evidenziare l’assoluta assurdità della disposizione, contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera d) del DL 28/2020, che ha introdotto l’obbligo per il giudice, che sceglie di celebrare l’udienza civile da remoto, di essere presente in ufficio.
Una disposizione illogica e discriminatoria, denunciata già prima della sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, ma invano.
È impossibile spiegare quale valore aggiunto abbia la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario, se l’udienza si svolge da remoto.
Non è dato intendere perché i difensori e gli ausiliari del giudice possono partecipare all’udienza dai loro studi professionali e il giudice no.
Si sovraccarica inutilmente la rete Intranet del Ministero.
Si contribuisce ad accrescere i problemi della mobilità urbana, che potrebbero essere evitati.
A fronte dell’obbligo per il giudice civile di celebrare l’udienza da remoto, ma con la sua presenza in ufficio, il legislatore non ha invece previsto nulla di simile per il giudice penale, né per il giudice amministrativo e contabile (per i quali è invece espressamente previsto: “Il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati e il personale addetto è considerato udienza a tutti gli effetti di legge”).
2) Quali i suoi rapporti coi diritti fondamentali della persona e poi coi valori fondanti e con le esigenze concrete del processo civile e del processo penale, tenuto conto della vasta diversificazione degli oggetti e di quella conseguente dei riti già solo all’interno dell’uno e dell’altro?
Costantino:
Vedi la risposta complessiva alla domanda 1)
Orlando:
La tecnologia consente di aumentare la competitività del sistema economico e sociale.
È inoltre un fattore di democraticità perché riduce i costi e, quindi, facilita l’accesso alla giustizia.
Si possono fare molteplici esempi che chiariscono questa affermazione che potrebbe sembrare perentoria.
Limitandomi alla più contestata innovazione introdotta nel processo civile e penale dai decreti legge resi necessari dalla crisi epidemiologica che ha imposto il distanziamento sociale, e cioè la udienza in videoconferenza, non possono negarsi i vantaggi della possibilità di trattare “a distanza” almeno una parte del processo.
Le parti, specie se anziani, o disabili o residenti in luoghi lontani da quello in cui si trova la sede del Tribunale, possono partecipare al processo che li riguarda senza perdere intere giornate di lavoro o evitando di esporsi a disagi dovuti allo spostamento fisico.
L’avvocatura, soprattutto l’associazione che rappresenta gli avvocati penalisti, sostiene che i “principi di oralità e immediatezza del processo presuppongono la ineliminabile fisicità della sua celebrazione”.
La Camera penale, nel comunicato del 24 aprile scorso, ha fatto leva su un ordine del giorno approvato dalla Camera dei Deputati che “impegna il Governo a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, che il ricorso a strumenti telematici - processo da remoto- così come previsto dal Decreto di cui in premessa – salvo diverso accordo tra le parti, non si applichi alle udienze di discussione e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti”.
Credo che la Camera penale ponga un problema serio, ma che la soluzione proposta sia assolutamente da scongiurare.
In primo luogo, la persona privata della libertà personale (sottoposta a custodia cautelare, arresto, fermo) deve avere la massima tutela. Va evitato ogni rischio di condizionamento, sempre possibile se la forza di polizia che ha eseguito la misura restrittiva continua ad essere a stretto contatto con il “suo” indagato.
Attenzione: non si mette in dubbio la lealtà e correttezza delle forze di polizia nel loro complesso. Ma non si può sottacere che le degenerazioni sono sempre possibili e che il diritto di queste deve occuparsi.
Deve essere altresì tutelato con la maggior decisione ed efficacia possibile il diritto costituzionale di difesa: in particolare, va garantito il dialogo riservato tra difensore e il suo assistito.
Tuttavia, il rimedio proposto dalla Camera penale non è condivisibile. Subordinare l’udienza a distanza al consenso delle parti equivale a rinunciare ad avvalersi delle opportunità offerte dalla tecnologia.
Il processo, sia civile che penale, non è un luogo in cui vi è convergenza di interessi di tutti gli attori.
Normalmente, la contrapposizione non si limita al piano sostanziale (del diritto e della sua negazione) ma si ripercuote anche sulla strategia o sulla tattica processuale.
Ciò comporta che la conduzione del processo deve essere rimessa al giudice, che – sentite tutte le parti – deve poter applicare la regola processuale nel modo che meglio si attaglia al caso concreto.
L’esperienza tedesca è a questo proposito illuminante.
Con la riforma del processo civile del 2001 (entrata in vigore il 1^ gennaio 2002) la Germania ha abrogato le disposizioni che accordavano alle parti il potere di incidere significativamente sullo svolgimento del processo e conseguentemente anche sui suoi tempi e ha, per contro, rafforzato i poteri del giudice (a titolo esemplificativo, il giudice civile tedesco può formulare “avvisi” (Hinweise) alle parti, può segnalare loro le questioni da approfondire, quelle ritenute irrilevanti e le circostanze che devono essere provate).
In altri termini: è necessario che il giudice svolga un’effettiva analisi del caso specifico posto alla sua attenzione (case management) e decidere di conseguenza come condurre il processo.
Tornando alla questione, importantissima, dell’udienza a distanza nei casi di restrizione della libertà personale, è certamente indispensabile che l’indagato non subisca alcun condizionamento psicologico dovuto alla presenza degli operanti che lo hanno arrestato (o fermato o eseguito l’ordinanza di applicazione della misura cautelare) e che abbia la massima libertà di conferire col proprio difensore.
Queste due esigenze però non impongono, contrariamente a quanto ritenuto dalla Camera penale, la “ineliminabile fisicità della celebrazione del processo”.
Al contrario, sono molte le soluzioni ipotizzabili.
Si potrebbe prevedere l’allestimento, in ogni Tribunale, di una o più stanze da dedicare alle udienze a distanza: di esse potrebbero usufruire le persone (destinatarie di misure restrittive della libertà personale ma non in carcere) che risiedono fuori dal circondario del Tribunale in cui opera il giudice competente. Ciò consentirebbe di evitare spostamenti all’indagato e alla scorta.
Analoghi luoghi si potrebbero attrezzare anche negli Uffici del Giudice di Pace.
Si potrebbero poi ampliare i casi per i quali l’art. 146 bis disp. att. cpp già prevede la partecipazione a distanza, che attualmente si applica solo ai processi nei quali è imputato un soggetto che si trova in stato di detenzione per uno dei reati di mafia (art. 51, comma 3bis, cpp), anche se si procede “per reati per i quali la persona sia in libertà”.
Si potrebbero cioè sentire in videoconferenza tutte le persone detenute in carcere, anche se non fanno parte di organizzazioni criminali.
In tutti questi casi, si conseguirebbe un notevolissimo risparmio in termini di risorse umane (forze di polizia, polizia penitenziaria) mediante un investimento iniziale di natura infrastrutturale (aule e impianti di videoconferenza).
È noto che una spesa (anche se non ha natura di spesa corrente ma è un investimento) non può essere finanziata con la riduzione di altri esborsi.
Tuttavia, proprio l’opportunità dovuta alla crisi epidemiologica e la conseguente possibilità di derogare, temporaneamente, alla suprema esigenza di ridurre l’enorme debito pubblico, deve indurre l’Amministrazione della Giustizia a cogliere l’occasione e a elaborare un ambizioso progetto diretto ad ampliare i casi in cui i detenuti o gli arrestati potranno essere sentiti a distanza, con il massimo rispetto per i loro diritti.
Anche in questo caso, però, il DL 28/2020 costituisce la desolante dimostrazione che il Governo non è capace di adottare le decisioni “giuste”, quelle cioè in grado di rispondere efficacemente alle esigenze di contemperare il diritto alla salute con la necessità di assicurare ai cittadini la tutela dei loro diritti.
Il Governo infatti ha sostanzialmente scelto di porre nel nulla la norma (comma 12bis dell’art.83 DL 18/2020) approvata con la legge di conversione del 24 approvata e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 29 aprile e cioè appena due giorni prima del DL 28/2020.
Con quest’ultimo provvedimento di decretazione d’urgenza, come è noto, è stato previsto l’obbligo del consenso delle parti alla celebrazione dell’udienza penale da remoto, quando essa riguarda “le udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e … quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti.”.
Al di là della specificazione, inutile, che la norma si applica alla “udienza di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio” (come se il codice di rito conoscesse un tertium genus che può fare a meno dell’accordo delle parti), in questo modo, praticamente, l’udienza penale rimane percorribile solo per l’udienza di smistamento.
È facile immaginare infatti che l’accordo delle parti non sarà mai prestato, vista la strenua opposizione della Camera penale al comma 12bis.
Ad ogni modo, in questo momento storico è auspicabile che l’udienza di smistamento sia celebrata nella maggior parte dei casi con collegamento da remoto, sia perché è un’udienza nella quale generalmente è fissato un elevato numero di processi (e quindi si evitano pericolosi assembramenti di professionisti) sia perché può essere un primo passo per dimostrare che anche il processo penale può aprirsi alla tecnologia, senza pericolosi attentati al diritto di difesa.
3) Quali sono i rischi maggiori di quell’impiego? Ad esempio, in termini di sospetto o concreto pericolo di manipolazione delle singole attività, anche solo quanto a genuinità e segretezza ovvero tutela della riservatezza?
Costantino:
Vedi la risposta complessiva alla domanda 1)
Orlando:
Questo è un tema molto delicato e che va adeguatamente ponderato.
3.1) Rischi per la privacy
Il garante della Privacy nella nota del 17 aprile scorso, inviata al Ministro della Giustizia, ha già avuto modo di evidenziare che la piattaforma Teams indicata dal Direttore generale della Direzione dei sistemi informativi e automatizzati è di proprietà di un’impresa “stabilita negli Usa e, come tale, soggetta tra l’altro all’applicazione delle norme del Cloud Act (che come noto attribuisce alle autorità statunitensi di contrasto un ampio potere acquisitivo di dati e informazioni)”.
Nel settore civile, il rischio è analogo, perché anche lì vi sono esigenze rilevanti di riservatezza; è sufficiente considerare i procedimenti di separazione e divorzio, le procedure concorsuali, i procedimenti di amministrazione di sostegno, le cause in materia brevettuale, ecc.
Vi è pertanto certamente un problema di riservatezza dei dati personali, giudiziari o sensibili o, anche, di segretezza (quando l’udienza a distanza riguarda un procedimento nella fase delle indagini preliminari).
D’altra parte, va considerato che anche se il Ministero avesse allestito una piattaforma di sua proprietà (e, certamente, era impossibile farlo, nei ristrettissimi tempi concessi dall’emergenza epidemiologica), si sarebbe comunque dovuto avvalere di una impresa privata, in possesso delle necessarie risorse per crearla e, soprattutto, per gestirla e manutenerla.
Quindi, che differenza c’è se la piattaforma è creata sin dall’origine, da un’impresa privata, su specifica commissione del Ministero (con i necessari tempi biblici per la analisi delle esigenze e per la realizzazione della infrastruttura) e se, invece, la piattaforma è “noleggiata” dal Ministero stesso, reperendola sul mercato, ed eventualmente ottenendo dal fornitore le modifiche in grado di soddisfare gli specifici bisogni del settore Giustizia?
In entrambi i casi, la società che fornisce il servizio viene comunque, inevitabilmente, in possesso dei dati personali o giudiziari o sensibili.
Pertanto, occorre chiedersi se non sia più celere e più efficiente che l’Amministrazione della Giustizia, in quanto cliente di un certo “peso”, negozi con il titolare di Teams (o, ovviamente, anche con altri gestori, individuati a seguito di una procedura aperta) le modifiche che dovessero apparire necessarie In questa negoziazione, il Ministero potrebbe anche richiedere l’inserimento, nel contratto di fornitura del servizio, delle garanzie ritenute necessarie (incluse sostanziose penali).
Qualora invece fosse condivisa la soluzione alternativa di allestire specifiche stanze per l’udienza a distanza in tutti i Tribunali e gli Uffici dei Giudici di Pace, il problema di tutela della privacy sarebbe ancor più facilmente risolto.
In questo caso, il Ministero potrebbe avvalersi dell’impresa che già fornisce il servizio di videoconferenza disciplinato dall’art. 146 bis disp. att. cpp, che è stato ritenuto affidabile per i procedimenti di maggiore complessità e delicatezza (quelli che riguardano soggetti appartenenti a organizzazioni mafiose).
3.2 Rischi di manipolazione delle persone che partecipano al processo a distanza:
Mi sembrano ugualmente risolvibili i rischi di manipolazione delle persone che partecipano al processo a distanza.
L’indagato (nel corso del suo esame) o la parte assoggettata all’interrogatorio formale potrebbero, se sentiti a distanza, avvalersi dell’aiuto di qualche “suggeritore”, che potrebbe evitare risposte contra se, con grave alterazione della regolarità del processo.
Inoltre, nei procedimenti di famiglia, il minore sentito a distanza è certamente soggetto all’influenza del genitore con cui egli convive.
Questi rischi possono però essere agevolmente evitati, se si allestiscono le stanze destinate a videoconferenza, in tutti i Tribunali e in tutti gli Uffici dei Giudici di Pace.
Una volta realizzate tali stanze, i soggetti che devono essere sentiti a distanza sarebbero sotto la supervisione del cancelliere (addetto al Tribunale o all’Ufficio del Giudice di Pace) che sarebbe quindi il garante del regolare espletamento dell’atto processuale.
Questa considerazione consente di aprire il varco anche ad un’altra possibilità.
Mi riferisco alla possibilità di assumere a distanza anche i testi.
Il decreto legge 18/2020 esclude, per il settore civile, la possibilità di sentire i testi.
Questa limitazione è venuta meno per il processo penale, ma solo se devono essere sentiti “ufficiali o agenti di polizia giudiziaria” (art. 83, comma 12 bis, del DL 18/2020, introdotto con la legge di conversione).
La ratio di queste limitazioni è evidente e va rinvenuta nel timore del legislatore che una prova generalmente fondamentale del processo possa essere inquinata.
Ma se – una volta superata l’emergenza sanitaria e venuti quindi meno i pericoli di contagio derivanti dalla compresenza di più persone in un unico ambiente - si prevede che l’udienza a distanza sia sempre svolta in un ufficio giudiziario, alla presenza di un cancelliere, questi timori verrebbero automaticamente meno.
4) Quali sono i vantaggi maggiori di quell’impiego? Ad esempio, in termini di efficienza e affidabilità della risposta di Giustizia?
Costantino:
Vedi la risposta complessiva alla domanda 1)
Orlando:
L’esperienza COVID-19 ha dimostrato l’importanza della informatizzazione.
Negli uffici nei quali era diffuso il ricorso al PCT, anche da parte dei giudici, l’attività giudiziaria ha subito un minore rallentamento rispetto a quelli abituati a stampare gli atti depositati telematicamente, per metterli a disposizione del magistrato sul tradizionale supporto cartaceo.
Analogamente, gli uffici di Procura che - già prima dell’emergenza - avevano generalizzato l’obbligo di trasmettere tramite l’apposito Portale le notizie di reato e i seguiti investigativi, hanno potuto senza alcuna difficoltà conseguire una sensibile riduzione dell’afflusso di esponenti delle forze di polizia.
Con specifico riferimento alla udienza a distanza, ho già detto che i vantaggi per l’intero sistema economico sono enormi, perché consente di evitare spostamenti di parti, difensori, testimoni, ausiliari del giudice, forze di polizia.
Al di là del risparmio in termini di esborsi (per viaggio, pernottamento, vitto, tassa di soggiorno, carburante, manutenzione dei veicoli, ecc.), un ulteriore vantaggio è costituito dal fatto che l’udienza a distanza consente al soggetto, richiesto di svolgere una qualsiasi attività processuale, di dedicarvi il tempo strettamente necessario (ad esempio: per il giuramento, per la deposizione, per l’esame, ecc.).
Ciò consente una sensibilissima riduzione del costo del processo, non solo per la singola parte (che deve sostenere le spese) ma anche per il sistema economico, che potrà beneficiare della produttività del soggetto coinvolto nel processo.
È poi facile prevedere che se il teste (sia nel civile che nel penale) ha la possibilità di rendere testimonianza recandosi nell’ufficio giudiziario più vicino, si ridurranno i numerosi casi (di vero e proprio malcostume) di mancata comparizione dei testimoni.
Il recentissimo DL 28/2020 contiene una disposizione che va certamente nella direzione della informatizzazione.
I commi 12-quater.1 e 12-quater.2, introdotti dall’art. 3, comma 1, lettera f), del DL 28/2020, infatti., prevedono la possibilità per difensori e ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di depositare telematicamente i loro atti.
Si tratta di una sorta di “anticipazione” del processo penale telematico, che va certamente salutata con favore.
La norma solleva alcune questioni tecniche, che probabilmente saranno risolte con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, in particolare per quanto riguarda le modalità di conservazione degli atti digitali depositati telematicamente, che costituiscono l’atto originale (in deroga alla regola generale della forma scritta, prevista dall’art. 110 cpp).
Ma gli interrogativi che la disposizione suscita hanno portata in senso lato politica.
Ho già detto che la norma comporta una anticipazione del processo penale telematico o, meglio, della parte cartacea del processo penale la cui attività, come è noto, è costituita in gran parte non dagli atti e provvedimenti scritti, ma dall’udienza.
Ciò posto, non è dato intendere perché il legislatore ha inteso limitare la opportunità di depositare telematicamente solo gli atti destinati ad essere presentati nell’ufficio della Procura della Repubblica e non anche quelli indirizzati agli uffici giudicanti.
La illogicità di questa disposizione è evidente. I Tribunali e le Corti di appello registrano certamente un flusso di difensori ben più elevato di quello che accede in Procura, non fosse altro per il fatto che il processo normalmente si dipana in più udienze (e, quindi, deve ritirare copia dei relativi verbali). Inoltre, il difensore ha necessità di acquisire copia del fascicolo per il dibattimento e del provvedimento conclusivo. Infine, deve depositare l’atto di impugnazione.
In conclusione: se il legislatore ha – in modo del tutto condivisibile - ritenuto possibile consentire, in questa fase di crisi sanitaria, il deposito telematico degli atti anche in assenza di una specifica struttura informatica realizzata ad hoc (come è quella del Processo civile telematico), non vi è motivo per non estendere questa opportunità a tutti gli uffici, di merito e di legittimità, giudicanti e requirenti (e quindi Ufficio del Giudice di Pace, Tribunale, Corte di appello, Procura della Repubblica, Procura Generale, Corte di Cassazione, Procura Generale presso la Cassazione), e in tutti i settori (non solo penale, ma anche civile: è noto infatti che l’Ufficio del Giudice di Pace non è ancora dotato del PCT).
5) Come giudica l’impiego finora fatto della tecnologia nella gestione della cosiddetta fase uno dell’emergenza sanitaria?
Costantino:
Vedi la risposta complessiva alla domanda 1)
Orlando:
Tranne sporadici casi, non mi sembra che ci siano state numerose occasioni per “sperimentare” l’udienza a distanza così come delineata dal DL 18/2020.
Nel settore civile, ciò è praticamente precluso dalla pressochè generalizzata sospensione dei processi non urgenti.
Nel settore penale il Tribunale di Livorno ha svolto alcune udienze in videoconferenza, quando il processo riguardava soggetti detenuti in carcere.
Per l’eventualità di dover celebrare udienze con persone fermate o in custodia cautelare ma non detenute in carcere, sono state allestite tre sale (due in altrettanti Uffici del Giudice di Pace aventi sede nel circondario e l’altra nel palazzo di giustizia adibito a sede del Tribunale civile).
In ciascuna di esse è stato installato un Personal computer portatile sul quale è stata installata la piattaforma Teams.
6) Quali le prospettive dei mezzi offerti dalla tecnologia in tema di prestazioni di attività da remoto come strumenti per disegnare un ordinario nuovo regime anche del processo civile e penale, per la fase della ripartenza e dei nuovi assetti sociali, caratterizzati comunque da una radicale trasformazione dell’esistente?
7) Quali misure pensa sia opportuno sollecitare al Legislatore o al Ministro o al Consiglio Superiore della Magistratura?
Costantino:
Sembra ragionevole dubitare che l’emergenza sanitaria in atto sia l’occasione «per disegnare un ordinario nuovo regime anche del processo».
Il rischio che si può paventare, piuttosto, è che l’emergenza in atto sviluppi ancora la frenesia legislativa e costringa ad ulteriori e più pesanti puzzles, come quelli già imposti dai provvedimenti emessi.
Sarebbe, invece, necessaria una preliminare opera di pulizia della disciplina processuale, per eliminare le contraddizioni e le incrostazioni, determinate dalla frenesia legislativa.
Nel testo del codice convivono norme che rispondono a diverse rationes, cosicché una attività impegnativa, che assorbe tempo ed energie, consiste nel tentare di risolvere le numerose questioni di coordinamento.
Si tratta di un obiettivo ambizioso, che non trova sponda nelle istituzioni e che costringe interpreti ed operatori ad impiegare le proprie risorse per comporre le tessere di un mosaico lacerato.
Questo impegnativo lavoro implica che ad esso siano dedicate professionalità e presuppone un committente, che, allo stato, non solo manca ma, anzi, probabilmente, ne contrasta il perseguimento. Il pasticcio realizzato sui termini relativi alla prima ed alla seconda fase dell’emergenza sanitaria in atto induce ad astenersi da ogni sollecitazione alla adozione di interventi legislativi.
Ciò allontana la speranza di sfuggire al girone infernale degli esercizi di tetrapiloctomia per cercare di capire, ad esempio, se l’art. 147 c.p.c. sull’orario delle notificazioni si applichi anche a quelle eseguite per posta elettronica certificata, come si possa realizzare il contraddittorio sulla questione di competenza rilevata d’ufficio dal giudice, se questo è stato individuato dall’attore e il convenuto è decaduto dalla relativa eccezione, se l’ordinanza sulla competenza debba essere preceduta dallo scambio delle comparse conclusionali e delle repliche o dalla discussione della causa, come sia possibile che l’impugnazione sia dichiarata inammissibile fuori dei casi di inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.; se il processo debba essere «riproposto» o «riassunto» innanzi al giudice fornito di giurisdizione, ai sensi degli artt. 59 l. 18 giugno 2009, n. 69, 11 c.p.a. o 17 c.p.cont.; se il giudizio di merito debba essere «instaurato» o «riassunto» ai sensi dell’art. 616 c.p.c.; o quale sia il giudice competente per l’esecuzione del sequestro presso terzi, in base alle confliggenti indicazioni di cui agli artt. 26 bis e 678 c.p.c.; ovvero quando come e perché possa essere liberato l’immobile oggetto dell’esecuzione ai sensi degli artt. 560 c.p.c., 52 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e 53 quater d.l. 17 marzo 2020, n. 18; ovvero ancora quando la dichiarazione di inammissibilità di una domanda tardiva di ammissione del credito nelle procedure concorsuali possa essere contestata con l’opposizione e quando con il reclamo al collegio, ai sensi dell’art. 208, comma 3, c.c.i., o come sia possibile la «chiusura» del fallimento o della liquidazione giudiziale, nel caso oggi previsto dall’art. 118 l.f. e domani dall’art. 234 c.c.i., se il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori continuano a svolgere le loro funzioni e se restano aperti il fascicolo ed il conto della procedura.
Questi e consimili giochi di pazienza giovano allo sviluppo dell’editoria giuridica e del turismo processuale, ma sono un incubo al superamento del quale potrebbe essere offerta una speranza.
Sebbene sia auspicabile che il superamento dell’emergenza non sia l’occasione per proporne di nuovi e che la normativa concitatamente emessa in questo periodo non costringa, invece, a dipanarne le contraddizioni, occorre tenersi comunque pronti a discutere sulla decorrenza e sugli effetti della sospensione dei termini processuali e sulle effettiva osservanza del principio del contraddittorio nella fase dell’emergenza sanitaria in atto, nonché, con rassegnazione, alla lettura ed alla applicazione delle eventuali escogitazioni dirette ad una palingenesi dell’esistente.
Orlando:
Quanto alla prima delle due domande (quali prospettive dei mezzi offerti dalla tecnologia in tema di prestazioni di attività da remoto come strumenti per disegnare un ordinario nuovo regime anche del processo civile e penale, per la fase della ripartenza e dei nuovi assetti sociali, caratterizzati comunque da una radicale trasformazione dell’esistente), ritengo di aver risposto alla domanda relativa ai “rapporti coi diritti fondamentali della persona e poi coi valori fondanti e con le esigenze concrete del processo civile e del processo penale”.
Aggiungo che la tecnologia non deve sostituire le persone, che rimarranno sempre centrali nella vicenda processuale.
Ma è rispettoso della dignità delle persone obbligarle a spostamenti lunghi e costosi per un adempimento processuale di pochi minuti? Penso alla udienza di smistamento nel processo penale.
Più articolato il quadro delle misure da sollecitare.
Come ho già detto, questa fase di emergenza deve costituire l’occasione per assumere decisioni che, in condizioni normali, la politica non è in grado di prendere.
Schematicamente, riporto un elenco di interventi (legislativi, amministrativi e di normazione consiliare) che secondo me darebbero un contributo decisivo a modernizzare la giustizia e a rendere omogenee le prassi, superando quelle più antiquate.
A) Legislatore
Il legislatore dovrebbe adottare le seguenti decisioni:
B) Ministero
Premetto che sono perfettamente consapevole dell’impegno profuso dalla Direzione generale per i sistemi informativi e automatizzati del Ministero per la realizzazione di un rilevantissimo numero di progetti di innovazione ed informatizzazione. Mi rendo quindi conto che alcune delle proposte che seguono sono già all’attenzione della Dgsia.
Altre proposte, invece, potrebbero essere valutate dagli organi ministeriali competenti.
Tanto premesso, si potrebbe considerare la possibilità di:
C) Consiglio superiore della Magistratura
Infine, il Consiglio superiore della Magistratura potrebbe farsi promotore, nel Tavolo paritetico tra VII Commissione e Ministero, delle esigenze di innovazione degli uffici giudiziari, anche monitorando i tempi di attuazione delle disposizioni legislative.
Qualche notazione conclusiva
L’esperienza della pandemia, che sta sconvolgendo consolidati stili di vita e la stessa concezione di rapporti interpersonali, ha inevitabilmente investito anche il mondo del Diritto e quindi la Giustizia.
Nei primi si è scoperto un ruolo assolutamente nuovo delle potenzialità offerte dalla tecnologia e soprattutto dalle capacità di mantenere le interconnessioni tra gli individui, sia pure all’ovvio prezzo della smaterializzazione dei contatti: dal biasimo e dalla riprovazione, dai timori di alienazione o di manipolazione dell’opinione del pubblico indifferenziato di una massa potenzialmente indeterminata di fruitori si è passati alla riscoperta della capacità di stabilire invece efficienti contatti e relazioni nonostante le difficoltà di una fisica contiguità.
Si ha certo piena consapevolezza della peculiarità delle esigenze della Giustizia e dei valori da essa coinvolti, ma appunto pure della sterminata e variegata diversità dei fatti che essa deve trattare e degli affari che di giorno in giorno richiedono una risposta giurisdizionale: un autentico “multiverso”, caratterizzato da innumerevoli sottosistemi e microsistemi, che, significativamente, hanno nel tempo dato luogo ad una pluralità di riti e ad una molteplicità assai differenziata di situazioni tipo.
Ci si deve allora chiedere se ed in qual modo, affrontando quali rischi o resistenze, con ogni opportuna cautela ed un’adeguata flessibilità, i mezzi offerti dalla tecnologia in tema di prestazioni di attività da remoto possono contribuire non solo a far fronte alle esigenze immediate dell’emergenza, ma anche a disegnare un nuovo assetto, un ordinario nuovo regime anche del processo civile e penale, per la fase della ripartenza e dei nuovi assetti sociali, che saranno caratterizzati comunque da una radicale trasformazione dell’esistente.
E la domanda di fondo, quindi, si risolve in un interrogativo: può il carattere personale delle attività richieste in ogni contesto e quindi anche nella Giustizia ai suoi protagonisti (parti e loro difensori, giudici, loro ausiliari e personale giudiziario) necessariamente e sempre identificarsi soltanto con la loro estrinsecazione in presenza? Personalità equivale sempre e comunque, nel processo, a fisicità? E perché in ogni momento del processo? E di un processo, come quello italico, dove praticamente si pensa ad un processo per ogni cosa?
Il decreto-legge n. 28, recependo acriticamente ed indifferenziatamente le veementi critiche di una parte dell’Avvocatura e di parte della Magistratura, ma facendo seguito ad un ordine del giorno del Parlamento (tipologia di atti delle Camere che raramente ha avuto applicazione così peculiare ed immediata, viene da dire …) votato in un concitato passaggio della conversione del decreto c.d. Cura Italia, è un pericoloso salto all’indietro; e può essere un'occasione perduta per evitare un incongruo depotenziamento di uno strumento che, se ben gestito e semmai adattato alle diversificate esigenze dei riti e della variegata struttura del multi verso processuale civile e penale, sarebbe stato una risorsa preziosa sicuramente nell’emergenza, ma pure, in una riprogettazione complessiva di tutta la nostra realtà, a regime, nel regime che verrà e che dobbiamo inventare tutti di bel nuovo.
LA ‹‹ REMOTA›› CASSAZIONE CIVILE
di Antonio Scarpa
Il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, ha nuovamente modificato l’art. 83 del decreto legge n. 18 del 2020, appena convertito in legge. Bisogna ora comprendere se lo “svolgimento delle udienze civili” innanzi alla Corte di cassazione, o anche soltanto l’assunzione delle “deliberazioni collegiali in camera di consiglio”, possano avvenire mediante collegamenti da remoto.
Il giorno stesso in cui entrava in vigore la legge 24 aprile 2020, n. 27, che, con voto di fiducia, aveva convertito, modificandolo in parte, il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, è stato emanato il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, che ha di nuovo notevolmente modificato, per quel che qui interessa, l’art. 83 del medesimo decreto legge n. 18 del 2020, appena rimodellato e approvato dal Parlamento.
Nella limitata prospettiva dei procedimenti civili dinanzi alla Corte di cassazione, le novità del decreto legge n. 28 del 2020 consistono in via immediata:
a) nella modifica della lettera f del comma settimo dell’art. 83 che, fra le misure che i capi degli uffici giudiziari possono adottare per il periodo successivo all’11 maggio 2020, consente “la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice … mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia”, disponendosi ora innovativamente che «lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario;
b) nella sostituzione, ovunque ricorressero nell’articolo 83, delle parole «30 giugno 2020» con le parole «31 luglio 2020».
Resta nel tessuto dell’art. 83, come già riscritto dal Parlamento, sempre ai fini specifici dei procedimenti civili innanzi alla Corte di cassazione, il comma 11-bis, che dà facoltà agli avvocati, ora sino al 31 luglio 2020, di depositare gli atti e i documenti in modalità telematica.
La misura organizzativa di cui alla lettera h del comma 7 non riguarda collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili e per l’adozione delle relative deliberazioni.
Resta, del pari, vigente la previsione generale, sempre aggiunta in sede di conversione in legge, del comma 12-quinquies. Questa previsione ha alcuni elementi testuali che ne determinano l’ambito di applicabilità: uno cronologico, in quanto opera per legge “dal 9 marzo 2020 al 31 luglio 2020”; uno tipologico, in quanto opera “nei procedimenti civili e penali non sospesi” (“v. sopra, comma 3”, chiarivano i dossier contenenti le schede di lettura predisposte dal sevizio studi del Senato e della Camera dei deputati ai fini dell’esame del d.l.); uno effettuale, in quanto riferita non “allo svolgimento delle udienze” tout court, ma soltanto alle “deliberazioni collegiali in camera di consiglio”, che possono essere assunte mediante collegamenti da remoto, considerandosi “camera di consiglio” il luogo da cui si collegano i magistrati. E’ pure importante evidenziare come le modalità di assunzione delle deliberazioni collegiali mediante collegamento da remoto non rientrano affatto tra le possibili misure organizzative che possono essere adottate dai capi degli uffici giudiziari, le quali sono elencate nel comma 7, ma sono state volute direttamente dalla legge, volgendosi, come sembra proprio di capire da una prima lettura, a quei casi elencati nel comma 3, casi nei quali non hanno operato le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sul rinvio d’ufficio delle udienze e sulla sospensione dei termini. I procedimenti civili e penali “urgenti”, perciò non rinviati e senza termini sospesi sin dal 9 marzo in poi, hanno visto riconoscersi dal comma 12-quinquies una modalità di assunzione della deliberazione collegiale da remoto (per i procedimenti penali, con la precisazione che ciò vale solo se anche l’udienza si sia svolta in collegamento da remoto), e ciò fino (ora) al 31 luglio 2020, e quindi anche oltre la durata del periodo della sospensione, nella probabile prefigurazione che una o alcune delle misure organizzative adottate dal capo dell’ufficio giudiziario, o che altre misure emergenziali, possano comunque limitare la presenza di uno o più dei giudici del collegio alla camera di consiglio tenuta presso l’ufficio giudiziario.
Le modalità di “deliberazione” del comma 12-quinquies sono, peraltro, espressamente richiamate dal comma 12-ter “per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale”. Il d.l. n. 28/2020 ha modificato il comma 12- quinquies per precisare che “nei procedimenti penali, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto”.
L’interprete deve ora decidere se il vigente, scritto e riscritto, art. 83 preveda in via immediata che lo “svolgimento delle udienze civili” innanzi alla Corte di cassazione, o anche soltanto l’assunzione delle “deliberazioni collegiali in camera di consiglio”, possano avvenire mediante collegamenti da remoto, senza la presenza necessaria del giudice nell'ufficio giudiziario, ovvero considerando “camera di consiglio” il luogo da cui si collegano i magistrati. Così come è espressamente ammesso, per dire, dagli artt. 84 e 85 del medesimo testo di legge per la giustizia amministrativa e la giustizia contabile.
La lettera f del comma settimo dell’art. 83 sembra precludere in ogni caso lo svolgimento delle udienze pubbliche mediante collegamenti da remoto, in quanto esse richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice.
Le adunanze di cui ai riti previsti agli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c., giacché “non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice” (anzi, non prevedono nemmeno l’intervento del pubblico ministero e delle parti …), non precluderebbero lo svolgimento mediante collegamento da remoto, ma il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, dispone in proposito, come lex generalis per lo “svolgimento delle udienze civili”, che il collegamento da remoto avvenga in ogni caso con la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario. Sicché collegato da remoto, nelle adunanze camerali codicistiche di legittimità, finirebbe per non esserci più nessuno.
Potrebbe invece pensarsi che le adunanze di cui ai riti previsti agli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c. possano svolgersi mediante collegamento da remoto, senza la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario (e, dunque, in deroga, per ipotetica specialità, rispetto alla urgente riscrittura fatta della lettera f del comma settimo), ampliando come un elastico magico il comma 12-quinquies. Questa norma potrebbe farsi funzionare dal 12 maggio 2020 anche per i procedimenti civili che erano rimasti sospesi dal 9 marzo all’11 maggio, intendendo che le adunanze codicistiche del giudizio civile di cassazione (delle quali pure abbiamo difeso la conformità agli artt. 24 e 111 Cost. ed all’art. 6 CEDU, qualificandole procedimenti che comunque garantiscono, mediante trattazione scritta, il nucleo indefettibile del diritto di difesa) si riducano a niente più che mere “deliberazioni collegiali in camera di consiglio”.
Sembra tuttavia preferibile, anche per rispetto delle esigenze di organizzazione della Corte di cassazione, confidare in una maggiore chiarezza nel testo di conversione del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28. Pazienza se dovrà nuovamente modificarsi l’art. 83: sappiamo che nulla c’è di immutabile, tranne che l’esigenza di cambiare.
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