La colpa del medico ai tempi del COVID-19: la soluzione nei principi generali?
di Giovanni Bovi
sommario: 1. Normativizzazione e personalizzazione della colpa medica- 2. Il sistema delle linee guida e l’art. 590 sexies c.p.- 3. Medici alla cieca: istruzioni contradditorie e inadeguatezza dell’art. 590 sexies c.p.- 4. In realtà, inadeguatezza dell’agente modello: soluzioni intermedie e rivalutazione della colpa soggettiva- 5. Osservazioni conclusive: lo stato d’eccezione come salvezza dell’Ordinamento.
Si perdonerà l’inopportunità della presente speculazione giuridica in un momento come quello attuale, eppure è innegabile che la drammatica epidemia da Covid-19 stimola numerose riflessioni, ad esempio relativamente alla tutela penale richiesta dagli operatori sanitari, impegnati in prima linea nella lotta contro il virus.
1. Normativizzazione e personalizzazione della colpa medica
Le recenti riforme della responsabilità medica[1] confermano due particolari tendenze: da un lato la progressiva “normativizzazione” del concetto di colpa che si colora sempre più di tinte oggettive e sempre meno di tinte psicologiche, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale da tempo dominante[2]; dall’altro quella di voler configurare la colpa secondo uno schema a “compartimenti stagni” in considerazione dei settori e dei relativi livelli di rischio in cui si inserisce la specifica attività. In ambito medico, ciò è avvenuto per l’adattamento via via maggiore della colpa ai quei parametri di matrice strettamente scientifica (i.e. linee guida, buone pratiche assistenziali, protocolli et similia); ciò ha consentito sicuramente una rivitalizzazione degli importanti principi inaugurati dalla celeberrima sentenza Franzese, in cui si disse che “non possono non valere per essa gli identici criteri di accertamento e di rigore dimostrativo che il giudizio penale riserva a tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato e, trattandosi di imputazione colposa, tale giudizio deve essere svolto rigorosamente ex ante ed in concreto” e che, al contrario, “l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza probatoria, quindi il plausibile e ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all'evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto (…) non può non comportare la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l’esito assolutorio stabilito dall'art. 530, co. 2, c.p.p., secondo il canone di garanzia <<in dubio pro reo
Dunque, i recenti sviluppi sembrerebbero porre maggiore attenzione al concetto di rischio sotteso ad ogni attività medica e con esso alla fallibilità della stessa, onde escludere la configurazione del fatto tipico colposo se al momento della condotta la regola cautelare non fosse predeterminata e/o conoscibile dal sanitario. Parimenti, con riguardo, invece, alla colpevolezza, è innegabile che la giurisprudenza valorizzi sempre più il contesto in cui il medico e la sua condotta si inseriscono, e come assuma maggiore importanza l’errore di sistema, di talché si richiede che la risposta penale consideri tutti gli “anelli della catena terapeutica” e non solo l’ultimo, vale a dire il medico che materialmente tratta il paziente.
2. Il sistema delle linee guida e l’art. 590sexies c.p.
Tra i parametri certamente più diffusi per l’imputazione colposa in ambito sanitario, ruolo predominante è da sempre quello giocato dalle c.d. “linee guida”. Si tratta, secondo una diffusa definizione, di “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche[5]”, frutto tipico della c.d. “Evidence Based Medicine”[6]. Dal punto di vista giuridico, la diffusione delle linee guida ha consentito una vera e propria codificazione delle leges artis in ambito medico, alla quale tuttavia sono conseguiti una serie di corollari negativi. Si fa riferimento, innanzitutto, alla “burocratizzazione” dell’attività del sanitario e alla contestuale limitazione dell’autonomia professionale del medico ma, soprattutto, la maggiore importanza data alle linee guida ha aumentato il rischio della c.d. medicina difensiva[7], vale a dire un’acritica e pedissequa accondiscendenza alle raccomandazioni al mero scopo preventivo di una eventuale causa giudiziaria relativa alla condotta assunta.
La difficoltà di “trattare” la materia delle linee guida è alla base dell’incerta risposta che la giurisprudenza ha talvolta dato nel determinarne la reale portata in punto di responsabilità colposa. Basti considerare che prima delle recenti riforme normative si potevano registrare ben quattro orientamenti diversi.
Una prima tesi[8] valorizzava il momento concreto, per cui l’adozione pedissequa del particolare protocollo del caso specifico, senza considerare alcuna alternativa percorribile, non solo non avrebbe mandato esente da colpa il sanitario, ma lo avrebbe in realtà esposto a profili di vera e propria negligenza. Un secondo[9] indirizzo riteneva che la valutazione sul limite del “rischio consentito”, in mancanza di un’esplicita predeterminazione normativa o amministrativa (di fatto escludendo dal novero delle fonti del diritto le linee guida), doveva essere necessariamente affidata alla discrezionalità del giudice, posto che la prevedibilità andava determinata in concreto, avendo presente tutte le circostanze del caso ed in base al parametro relativistico dell'homo eiusdem condicionis et professionis. Un terzo[10] gruppo di sentenze, invece, proponeva la condanna per i medici, in tutti i casi di immotivato discostamento dalle linee guida. Infine, un quarto gruppo[11] riguardava casi di medici assolti perché il loro operato si era uniformato alle linee guida.
In conclusione, la difficoltà di conferire alle linee guida una giusta collocazione ai fini della decisività o meno in punto di responsabilità, spiega il ricorso a lungo fatto della colpa “solo” generica (con tutto ciò che ne consegue relativamente ai problemi di genericità e di eccessiva dipendenza del giudice dalle valutazioni del proprio perito) di talché la decisione finale sulla colpa ne risultava, spesso, eccessivamente appiattita sul nesso eziologico.
Come anticipato supra, tali incertezze hanno incentivato il ricorso, da parte degli operatori sanitari, alla c.d. medicina difensiva, ed in questi termini si spiegano i due ravvicinati e (almeno nelle intenzioni) prorompenti interventi legislativi, l’ultimo dei quali ha riscritto completamente il canone della responsabilità colposa medica, introducendo direttamente nel corpo del codice l’art. 590sexies.
Nonostante gli sforzi profusi dal legislatore, i problemi interpretativi della nuova disposizione sono emersi sin dalle prime applicazioni tanto da richiedere l’intervento delle Sezioni Unite (ad un anno dalla sua introduzione) le quali hanno chiarito che il medico dovrebbe rispondere per colpa in tutti i casi in cui l’evento dannoso si sia verificato: “a) per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse; c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico”[12].
In breve, ciò che si desume è che l’errore non punibile non riguarda tanto il momento della selezione delle linee guida, “dipendendo il “rispetto” di esse dalla scelta di quelle <<adeguate>>”, bensì, il momento dell’attuazione della linea guida adeguata alle caratteristiche del paziente concreto e correttamente individuata.
L’altro importante decisum è che ogni valutazione circa l’addebitabilità o meno della violazione della regola cautelare debba essere fatta rigorosamente ex ante, considerato che l’indagine ex post riguarda esclusivamente l’accertamento del nesso di causalità.
In conclusione, quindi, attualmente l’esonero dalla colpa sembrerebbe limitato ai soli casi richiamati dall’art. 590sexies c.p. (omicidio e lesioni entrambi colposi); alle sole ipotesi di imperizia non grave ma solo se riconducibili all’atto esecutivo; al rispetto di linee-guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali, ed in ogni caso si tratterebbe di un esonero sottoposto al un controllo in termini di adeguatezza delle raccomandazioni contenute in siffatte linee-guida alle specificità del caso concreto.
3. Medici alla cieca: istruzioni contradditorie e inadeguatezza dell’art. 590sexies
Conclusa quest’astratta premessa, è ora possibile calarsi nel (doloroso) concreto.
Sin dai primi giorni dell’epidemia, si è lanciato l’allarme che, passata l’emergenza, l’ordine medico possa essere investito da un’ondata di denunce a vario titolo.
Ebbene, una delle cause principali della diffusione del virus è stata senz’altro la carenza e l’inadeguatezza di indicazioni ufficiali, non tanto di quelle di natura prettamente scientifica, le quali, nonostante i non pochi e più o meno giustificati “chiari di luna” da parte della comunità scientifica ai più alti livelli, sono state sin da subito fruibili dagli addetti ai lavori[13], quanto di quelle di natura strutturale-organizzativa. Sul punto va, infatti, detto che l’art. 590sexies, si riferisce, non solo alle linee guida propriamente intese ma, in via residuale, anche alle c.d. buone pratiche clinico assistenziali; in queste ultime, il ventaglio di soluzioni da cui attingere si amplia considerevolmente, potendovi ricomprendere anche, ad esempio, prassi, protocolli, circolari ministeriali[14]; infatti “come è stato acutamente osservato in dottrina, il legislatore ha utilizzato nella disposizione ora citata (ndr art. 590sexies c.p.) una formula evocativa della sussidiarietà delle buone pratiche, che consente di annoverarvi le linee guida non accreditate nonché i protocolli e le check list”[15] .
Ecco, allora, che eventuali responsabilità degli operatori sanitari andranno analizzate anche sulla base delle indicazioni loro fornite dagli organi ministeriali.
È opportuno, quindi, accennare brevemente alla drammatica cronistoria di quanto successo nelle prime settimane precedenti l’esplosione della pandemia[16].
Un primo provvedimento rilevante e recante indicazioni per l’individuazione dei casi sospetti di Covid-19, è stata la Circolare n. 1997 del 21 gennaio 2020, per la quale soggetti sospetti erano coloro che avessero avuto collegamenti diretti/indiretti con la Cina nonché coloro che avessero manifestato “un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica”. Tuttavia, nella successiva Circolare n. 2302 del 27 gennaio 2020, il predetto elenco spariva e, invece, i due requisiti figuravano in rapporto reciproco; prova ne è che sono stati letteralmente posti in congiunzione con la lettera “E” in maiuscolo.
Un aspetto assai doloroso e, nella sua drammaticità, singolare è che catalizzatori della diffusione siano stati, anche, gli ospedali; considerata l’assoluta contraddittorietà ed incertezza delle indicazioni ricevute, che di fatto hanno obbligato il medico a dover prendere decisioni cliniche ed organizzative di un certo rilievo (con tutto ciò che ne conseguiva) sulla base del mero colloquio col paziente e sui di lui presunti contatti con soggetti provenienti dalla Cina, si spiega più facilmente il perché si sia stati così incapaci, almeno nelle prime e cruciali fasi, di contenere il contagio tenendo distinti rigorosamente i pazienti positivi da tutti gli altri.
Allo stato, quindi, un ipotetico giudizio circa responsabilità colpose dei sanitari non potrebbe non prescindere da questo aspetto. Alla luce di quanto sopra e dell’improvvisa impennata di pazienti, della conseguente saturazione delle strutture e delle risorse ospedaliere e dunque dell’incredibile stress cui ogni sanitario ha dovuto far fronte, non richiede eccessivi sforzi constatare l’inadeguatezza dell’art. 590sexies c.p. e dello “scudo penale” in esso contenuto che, come ridisegnato dalle S. U. penali, rischierebbe di essere strumento poco utile, laddove non dannoso[17].
In questo senso si spiegano le numerose iniziative riguardanti l’introduzione di una disciplina colposa medica ad hoc in relazione al contesto clinico, terapeutico e organizzativo pandemico. In particolare, se ne evidenziano due: un primo indirizzo prevede una causa di non punibilità secca per le fattispecie di lesioni o omicidio colposo strettamente ancorata al contesto lavorativo e al momento in cui l’evento si è verificato[18]; un secondo limiterebbe ogni profilo di responsabilità relativa agli eventi occorsi durante o a causa dell’emergenza pandemica al solo dolo e colpa grave[19].
Ciò che si desume da questi propositi, è che la l’emergenza attuale può essere un serio aggregante della tendenza a voler prefigurare forme di colpa sempre più personalizzate e specifiche per determinati ruoli e situazioni, tuttavia, non in termini di estensione della responsabilità, bensì, all’opposto, in funzione limitante della stessa. Per usare una raffinata metafora, l’emergenza rende ancora più evidente la caratteristica “anisotropica” della colpa, intesa come capacità di assumere diverse forme e incisività a seconda del contesto in cui se ne richiede il vaglio[20].
In realtà, più che sforzarsi a voler individuare fattispecie sempre più specifiche e/o limitatrici, sarebbe forse il caso di operare una rivalutazione sistemica e d’insieme, nel tentativo di poter trovare una soluzione ricorrendo direttamente ai principi generali.
4. In realtà, inadeguatezza dell’agente modello: soluzioni intermedie e rivalutazione della colpa soggettiva
Nella situazione attuale, a giocare la parte del leone è senz’altro il rapporto tra comportamento assunto, virtualmente colposo, e lo stato emergenziale che, soprattutto in determinate zone del paese, ha impedito che la macchina sanitaria statale rispondesse adeguatamente. Ci si sofferma sul concetto di “scelta tragica”, che da sempre trova cittadinanza nell’ambito medico (si pensi alle probabili e frequenti situazioni in cui si sia dovuto decidere se curare X e non Y, oppure a quando si sia dovuto rifiutare l’ospedalizzazione di un soggetto non acuto per mancanza di posti, soggetto che poi, proprio in ragione di ciò, si sia successivamente acutizzato); ci si domanda, allora, come porsi in presenza di una sistematizzazione e standardizzazione della situazione straordinaria, dove, quindi, la scelta tragica perde il suo carattere di eccezionalità divenendo regola e, come tale, meritevole di una puntuale tipizzazione.
Una prima soluzione si potrebbe avere ricorrendo alle cause di giustificazione dello stato di necessità ex art. 54 c.p. oppure dell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p[21].
La dottrina penalistica non sarebbe nuova a tali – estreme – soluzioni[22], tuttavia, la si potrebbe criticare in punto di inadeguatezza e incompatibilità col mondo medico, in considerazione della attività in esso prestata e dei rischi (e quindi delle conseguenze) che sono dall’ordinamento previste ed accettate[23]. È stato, infatti, osservato che nell’adempimento del dovere di un medico ben può rientrare la situazione di conflitto; allo stesso modo, inoltre, non può non riconoscersi eventualmente una responsabilità ab imis statuale per non aver garantito il corretto funzionamento della macchina organizzativa sanitaria[24]. In una tale prospettiva de iure condendo, l’unica soluzione potrebbe allora essere quella di prevedere una scriminante ad hoc dell’attività medico-chirurgica[25]. In secondo luogo, la scriminante dell’adempimento del dovere, ed in particolare di quello del medico, potrebbe lasciare privi di adeguata tutela il ricevente l’attività doverosa. Più opportuno sarebbe, allora, combinare lo stato di necessità proprio del diritto penale, col suo omonimo civilistico (art. 2045 c.c.) consentendo, da un lato di escludere l’illiceità penale dell’atto medico ma, dall’altro, predisponendo uno strumento comunque riparatorio delle conseguenze dannose a carico dell’interessato[26].
Eppure, si potrebbe scendere ancora più a valle e scandagliare approfonditamente il terreno dei principi. Ebbene, coniugando tali riflessioni con il drammatico contesto attuale, emergono, infatti, molte delle ambiguità dell’impianto dottrinario e normativo su cui si sono fondate sino ad oggi, la colpa, la teoria dell’agente modello ed infine l’effettiva efficacia della predeterminazione di regole cautelari (alla cui violazione corrisponde la colpa stessa).
Si è detto supra della tendenziale normativizzazione della colpa e, quindi, dell’approccio quanto mai oggettivo in punto di accertamento di violazione di regole cautelari (per l’appunto, più o meno codificate). Nell’ambito medico, poi, si è ormai concordi nel ritenere che la colpa si parametri in ragione della condotta tenuta dall’agente concreto confrontata con quella che ci si aspetti da un ideale agente modello, meccanismo tipico della colpa oggettiva.
Trattasi, tuttavia, di un canone da sempre dotato di particolare duttilità a seconda delle maggiori o specifiche conoscenze del soggetto concreto; ciò significa che, sebbene prima facie emani oggettività, lo stesso canone ritorni a colorarsi di soggettività tutte le volte in cui sia necessario “costruire lo standard” attorno allo specifico profilo dell’agente[27]. In questo senso si evidenzia, oltretutto, anche il rapporto tra colpa e prevedibilità, o meglio ancora – come precisato da autorevole dottrina – “rappresentabilità” posto che “prevedibile” è un qualcosa di futuro rispetto alla condotta umana, “rappresentabile è tanto ciò che potrà accadere quanto ciò che è precedente o contestuale all’agire umano[28]”.
Dal che una deroga al criterio oggettivo: un innalzamento “eccezionale” dello standard oggettivo per l’agente dotato di conoscenze “eccezionali”[29].
D’altra parte, non mancano coloro i quali sottolineano come, in realtà, la migliore dottrina tedesca in materia non ha mai disdegnato soffermarsi sulle componenti soggettive dell’agente concreto[30], anche in ragione del fatto che, si ripete, sebbene la teoria base sia sempre quella oggettiva, non v’è chi non veda che essa venga incisivamente soggettivata in tutti i casi di innalzamento dello standard di diligenza in ipotesi eccezionali. Da questo angolo di visuale, allora, emergono molti dei lati critici del concetto stesso di agente modello, così come sollevati in passato da coloro i quali ritenevano che tale criterio fosse, in realtà, inidoneo ad individuare correttamente la punibilità, poiché: “l’agente modello nella colpa, infatti, sembra influenzato dalle pressioni securitarie emergenti, per cui giunge ad impersonare uno standard di diligenza scandito da regole cautelative o ultraprudenziali ispirate ad una logica di mera precauzione[31]”; in questo senso si potrebbe addirittura ritenerlo un mero “espediente retorico in grado di legittimare giudizi di prevedibilità ed evitabilità così distanti da un parametro oggettivo di esigibilità, da consentire un’espansione incontrollata della responsabilità colposa anche in settori ove l’incertezza scientifica impedisce qualsiasi valutazione ex ante delle possibili conseguenze dell’agire umano[32]”
Ebbene, se in punto di modifica dello standard si è generalmente soliti ragionare in termini di innalzamento, considerando soggetti asseriti più competenti della media, la situazione attuale, richiede, invece, di ragionare in senso opposto, vale a dire assumendo l’eccezionalità della conoscenza in termini negativi, di talché sia consentito abbassare “eccezionalmente” lo standard oggettivo, ammettendo un’operazione sottrattiva e così spostando indietro il livello di rimproverabilità ed escludendo la colpevolezza[33].
Un ragionamento siffatto identifica la colpa in termini di esigibilità (poteva l’agente concreto comportarsi in maniera diversa?) e non di tipicità (l’agente concreto si è comportato come si sarebbe comportato l’agente modello?), collocandosi, quindi, nell’ambito soggettivo. La personalizzazione del giudizio di responsabilità avrebbe effetti meno preoccupanti di quanto si immagini, poiché consentirebbe di fare a meno di apportare modifiche alla regola cautelare che, si badi, rimane uguale per chiunque; cosa che, invece, non avverrebbe se si ammettesse una manipolazione del livello di diligenza richiesta a seconda delle conoscenze possedute dall’agente concreto al momento della condotta. Ciò che si deve evitare è l’utilizzo dell’elemento soggettivo come correttivo di quello oggettivo[34]. In breve, innestare sul piano oggettivo la conoscenza dell’agente concreto dovrebbe prescindere dal modo con cui lo stesso elemento si presenta nei diversi casi. Tuttavia, onde evitare problemi di equità, l’elemento relativo alle conoscenze dell’agente concreto andrebbe del tutto espunto dalla dimensione oggettiva e valorizzato esclusivamente su quella soggettiva. Solo in questo modo si riuscirebbe, coerentemente, a tenere conto delle specificità soggettive, qualunque esse siano, rispetto a quelle dell’agente modello. Nel particolare caso di qualità inferiori, ferma una dimensione oggettiva immutata, potrà, a seconda dei casi, mancare una rimproverabilità soggettiva se all’agente concreto era impossibile uniformarsi al modello.
In conclusione, invece di usare le conoscenze specifiche per poter costruire una norma cautelare ad hoc, parrebbe più opportuno, utilizzare sì le medesime conoscenze ma per una valutazione in termini di rimproverabilità soggettiva, ammettendola sicuramente nel caso di conoscenze superiori ma escludendola nel caso di conoscenze inferiori[35].
Tali temi, in realtà, sono stati già affrontati in tempi decisamente non sospetti, anni or sono. Si fa riferimento ai lavori per la riforma del codice penale, incaricati sul finir del secolo scorso[36]. Tra le varie proposte, una in particolare recava l’introduzione della seguente disposizione “la colpa è esclusa, nonostante l’oggettiva inosservanza della regola cautelare, quando l’agente si è trovato costretto ad agire, senza sua colpa, in una situazione eccezionale di panico o di fortissimo stress emotivo, tale da rendere inesigibile l’osservanza della regola”. Posto che la novella non vide mai la luce, è chiaro che già all’epoca si era tentato di istituzionalizzare la colpa soggettiva, rendendola definitivamente diritto positivo.
La definizione di “inesigibilità” intesa come “situazione eccezionale di panico o di fortissimo stress emotivo” (giusto per citare un esempio dell’ambito medico: stress causato da un’improvvisa e prolungata decuplicazione degli accessi in un pronto soccorso, tra l’altro per un male poco conosciuto, in carenza dei mezzi necessari alla cura dei pazienti nonché alla tutela degli operatori sanitari stessi) fa pensare, inoltre, anche ad un altro istituto che potrebbe essere utile ai fini della presente indagine: la forza maggiore.
In entrambi casi, effettivamente, la non punibilità deriva dall’eccezionale compromissione della voluntas agendi del soggetto. Tuttavia, la differenza tra i due istituti è notevole, posto che, nel caso dell’inesigibilità il fatto è, e continua ad essere, un fatto antigiuridico, ciò che manca è invece la colpevolezza, da ciò derivandone, per l’appunto, l’inesigibilità di un comportamento diverso da parte del soggetto. Diversamente, la forza maggiore costituisce quel quid contro cui resistere non potest, che “elide ogni potere di signoria sulla condotta” facendo mancare il requisito della “coscienza e volontà” e compromettendo gli elementi costitutivi del reato stesso[37].
Di similarità si può, semmai, parlare nella misura in cui, in entrambi i casi, i soggetti sono portati ad adottare una condotta che in un contesto “normale” non avrebbero senz’altro adottato, anche se nella forza maggiore ciò si spiega per il fatto che non si sia materialmente potuto fare altrimenti, mentre nell’inesigibilità è mancata a priori la capacità psicologica di comportarsi come ci si sarebbe aspettato. In breve, l’una ha a che fare con la tipicità; l’altra con la colpevolezza. Tuttavia, per quanto non siano mancati taluni che hanno ritenuto che la forza maggiore potesse essere intesa quale “espressione riassuntiva o residuale del principio di inesigibilità, come limite insormontabile della colpevolezza. In questa prospettiva, la forza maggiore assolve[rebbe] al ruolo di causa di esclusione della rilevanza della colpa nel caso concreto”[38], la differenza strutturale tra i due istituti impedisce di poterli ricondurre sul medesimo piano[39].
Effettivamente, nel caso di emergenza da diffusione del Covid-19, la regola cautelare cui debba attenersi una generalità, più o meno specifica, di consociati, può essere tale solo ad emergenza trascorsa, nel senso che la cautela potrà dirsi efficace solo successivamente alla realizzazione della situazione di pericolo[40]. Ebbene, in presenza di regole cautelari che, laddove esistenti, si siano rivelate inadeguate, contraddittorie, inefficaci e comunque in-fruibili dalla maggior parte dei medici[41], in una situazione in cui parrebbe che nemmeno i più esperti virologi siano stati in grado di scongiurare la rapidissima diffusione del virus, si chiede ora di addossare, coerentemente, eventuali responsabilità colpose in capo a tutti gli altri operatori sanitari, che, è opportuno sottolinearlo, si sono ritrovati improvvisamente internisti, pneumologi, infettivologi etc. indipendentemente dalla loro specializzazione iniziale, a maggior ragione a tutti coloro che hanno risposto alle varie “chiamate alle armi” (come definito dalle stesse Istituzioni prendendo in prestito il gergo bellico).
In quest’ottica si potrebbe, allora, ammettere uno sbilanciamento del rapporto agente concreto/agente modello in favore, invece, dell’agente di pari condizioni[42], che diventa il nuovo “modello” su cui parametrare le nuove – e però, giocoforza, inefficaci – regole cautelari, ovviamente inferiori rispetto a quelle elaborate con la miglior scienza ed esperienza. A questo punto, se si volesse trovare un senso a che l’ordinamento ammetta l’esistenza di regole del tutto prive di efficacia cautelativa, il rischio sarebbe quello di ingaggiare un pericoloso “gioco del Jenga”.
In mancanza di una specifica disciplina, ecco che, allora (come detto supra), l’interprete, per evitare di punire un soggetto che, senza sua colpa, non raggiunge gli standard richiesti (perché disponibili ad un numero assai limitato di soggetti), potrebbe valorizzare il profilo soggettivo e rimodulare l’esigibilità concreta. Trattasi di una fictio iuris, escamotage assolutamente conosciuto dall’ordinamento ma che in questo caso sembrerebbe ingiustificato; innanzitutto perché si tratterebbe di immaginare una regola cautelare che o non esiste ovvero, se esiste, è probabilmente poco utile; in secondo luogo date le circostanze, per “salvare” l’agente concreto si potrebbe direttamente far leva sulla colpevolezza tralasciando ogni aspetto riguardante la tipicità, anche perché, diversamente, si andrebbe a duplicare la regola cautelare (la prima per l’esperto virologo, la seconda per chiunque altro), il che condurrebbe, a ben vedere, a due conseguenze; si comprometterebbe fatalmente il principio della certezza del diritto, e soprattutto, ai fini della presente indagine, il medico chiamato in giudizio vedrebbe aumentare a dismisura i fisiologici rischi dell’agone processuale; conseguenze entrambe poco accettabili[43].
5. Osservazioni conclusive: lo stato d’eccezione come salvezza dell’Ordinamento
In conclusione, può dirsi che tutte le sopra esposte considerazioni potrebbero giustificare una riforma della colpa medica, ora, però, letta in chiave soggettiva. L’attuale emergenza pandemica richiede, forse, una norma atta ad ampliare l'area di esonero da responsabilità, che tenga conto delle criticità scientifiche, organizzative, cliniche, assistenziali, del rispetto di linee guida o di istruzioni contradditorie o comunque non univoche e soprattutto delle particolari condizioni personali del medico e dell’altissimo stress emotivo conseguito.
Lo sforzo di voler mettere in discussione taluni principi cardine del diritto, lungi dall’avere intenti sovversivi, parrebbe, invece, coerente con la situazione attuale. Non bisogna, infatti, confondere lo stato di emergenza, che è vicenda tutto sommato ordinaria nella vita di qualsiasi ente (fisico o giuridico che sia), da quello, invece, di “eccezione”. Eccezione non in senso proprio (che vorrebbe dire né più né meno, autonegazione del diritto stesso), bensì in senso “debole”, da intendersi come assoluta straordinarietà e che vede compromettersi la vita dell’ordinamento per la morte (purtroppo fisica e poi sociale, comunque non figurativa) dei consociati stessi. Ragionare in via ordinaria, applicare gli strumenti ordinari, sarebbe operazione, prima ancora che inefficace, assolutamente priva di senso. Da qui la necessità di una normativa d’eccezione che consenta “eccezionalmente” l’adozione di strumenti giuridici non ordinari (non solo tendenzialmente sfavorevoli, ma anche favorevoli, come ad esempio lo scudo penale sanitario di cui sopra), ma comunque in senso debole, poiché non sottratta all’ordinario controllo amministrativo, giudiziario e, da ultimo, costituzionale[44].
D’altra parte, si tratta di considerazioni già svolte precedentemente, seppur in un contesto diverso, in una fondamentale pronuncia della Consulta in materia di legislazione emergenziale per disastro ambientale[45]; in quella sede si ammise, infatti, la possibilità di configurare una “tutela rafforzata” per taluni consociati in ragione dell’assoluta eccezionalità delle conseguenze che l’emergenza ambientale aveva recato; così facendo, di fatto lo stato d’eccezione giustificava e motivava una sorta di “differenziazione penale” e la deroga alla normalità del diritto esistente[46].
D’altra parte, e paradossalmente, ne va della tenuta stessa dell’Ordinamento; non ammettere, infatti, l’abisso che separa l’attuale situazione da qualsiasi altra emergenza (soprattutto in l’Italia, paese ciclicamente funestato da emergenze naturali, sociali o economiche che siano), vuol dire lastricare la strada a future situazioni di più o meno (e diluita) eccezione/emergenza, con tutto ciò che ne consegue in punto di Stato di diritto.
Conclusivamente, il diritto penale, “diritto della e sulla persona” per eccellenza, è ora chiamato ad un nuovo bilanciamento delle prerogative costituzionali su cui esso stesso si fonda, in primis quelle di cui all’art. 27 Cost., dovendo, quindi, non limitarsi a sanzionare responsabilità individuali qualora l’evento lesivo derivi, in realtà, da fattori biologici imponderabili o da carenze strutturali ed organizzative insormontabili; in questo senso si ritiene opportuno che la riforma – eccezionale – della responsabilità penale medica passi attraverso un rivalutazione del principi generali.
[1] Il D.L.13 settembre 2012, n. 158 (c.d. Decreto Balduzzi) e la L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli – Bianco).
[2] Cass. pen., sez. IV, sent. n. 4675/2007, Pt. IV, sez. III, Cap. III, Punto c, intitolato «La natura della colpa», p. 272 ss. che di responsabilità può parlarsi solo in termini di contrarietà della condotta a norme di comportamento di cui sono espressione le regole cautelari dirette a prevenire determinati eventi e nell’inosservanza del livello di diligenza oggettivamente dovuta ed esigibile. Non è, cioè, che non si è ritenuto più sostenibile limitare la colpa al solo ambito della colpevolezza, dovendosi, invece, guardare direttamente, specialmente nelle fattispecie di reato c.d. “causalmente orientate” (in particolare omicidio e lesioni colpose) “caratterizzate dal fatto che il legislatore prende in considerazione esclusivamente l’evento senza che venga descritta la condotta – nelle quali la tipicità è descritta sostanzialmente dalle regole cautelari violate.
[3] Cass. pen. Sez. Unite, n. 30328/2002.
[4] ROIATI, La colpa medica dopo la legge “Gelli-Bianco”: contraddizioni irrisolte, nuove prospettive ed eterni ritorni, 2018.
[5] M.J. FIELD – K.N. LOHR, Guidelines for clinical practice: from development to use, Washington, Institute of Medicine, National Academy Press, 1992.
[6] BARNI, Evidence Based Medicine e medicina legale, in Riv. it. med. leg., 1998.
[7] CAMINITI, La rilevanza delle linee guida e il loro utilizzo nell’ottica della c.d. medicina difensiva, in AA.VV., La medicina difensiva. Questioni giuridiche, assicurative, medico-legali, Santarcangelo di Romagna, 2011.
[8] Cass., sez. IV, 1febbraio 2012, n. 4391; Cass., sez. VI, 20 luglio 2011, n. 34402.
[9] Cass., sez. V, 28 giugno 2011, n. 33136; Cass., sez. IV, 25gennaio 2002, n. 2865.
[10] Cass., sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34729; Cass., sez. IV, 9 giugno 2011, n. 28783.
[11] Cass., sez. IV, 12 giugno 2012, n. 23146; Cass., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 12468.
[12] Cass., SS.UU., sent. 22 febbraio 2018, n. 8770.
[13] Esse sono altresì consultabili presso il sito web dell’ISS https://snlg.iss.it/?p=2706.
[14] Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Torino, 2017, pp. 276 ss.
[15] Trib. Parma sent. 1584/2018.
[16] Capozzi, La responsabilità sanitaria nella diffusione della Covid-19 in aboutpharma.com.
[17] Cupelli, Emergenza covid-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in Sistema Penale.
[18] Emendamento n. 13.2 a firma senn. Mallegni – Sicari.
[19] Emendamento 1.0.4., primo firmatario sen. Marcucci.
[20]Losappio, Responsabilità penale del medico, epidemia da “Covid19” e “scelte tragiche” (nel prisma degli emendamenti alla legge di conversione del d.l. c.d. “Cura Italia”), in Giurisprudenza Penale.
[21] Cupelli, Emergenza covid-19 cit.
[22] Zampaolo, Scudo penale e responsabilità medica durante l’emergenza Covid-19 in Filodiritto.it.: si pensi ai casi di “A, che per salvare l’alpinista B, potrebbe far precipitare C, che si trova fuori pericolo su una cengia vicina. Il medico A potrebbe staccare il respiratore del ferito gravissimo B, per potervi attaccare il ferito C, che ha qualche chance disalvezza in più (ampia esemplificazione è in Comm. Romano, I, 574). O, per ricordare il caso relativo al naufragio della fregata da guerra britannica Mignonette, i marinai A e B potrebbero uccidere C, per berne il sangue e salvare se stessi, quando altre possibilità di salvezza non si profilino all’orizzonte (due vite contro una) (il caso è stato ripresentato da Balestrieri, Monticelli, Caso in tema di stato di necessità e cannibalismo, in IP, 1998, 519; recentemente su esso Simpson, Cannibalism and the Common Law, London, 1994) (Codice Penale Commentato online, articolo 54 c.p., di Pluris, Wolter Kluvers.
[23] Bellagramba, Ai confini dello stato di necessità, in Cass. pen., 2000, p. 1860.
[24] Losappio, Responsabilità penale del medico cit.pag. 13.
[25] Losappio, Responsabilità penale del medico cit.pag. 13 che cita MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, X ed., Wolters Kluwer, p. 266.
[26] LOSAPPIO, Responsabilità penale del medico cit. che cita MEZZETTI, voce Stato di necessità, in Dig. disc. pen., 1997.
[27] MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, Giuffrè, pag.195 che richiama JESCHECK-T. WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, § 55, 1, 2, b e G. FREUND, Strafrecht, § 5, 29 e ROXIN, Strafrecht, § 24, 50 per i quali il modello di agente deve essere costruito a partire da un punto di vista di carattere oggettivo, tuttavia si ammette da sempre che le particolari abilità e conoscenze dell'autore del reato possano venire valorizzate per innalzare lo standard di diligenza cui il soggetto è tenuto.
[28] M. GALLO, Appunti di diritto penale, Giappichielli, Torino, pag. 152.
[29] Grotto, PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA, RIMPROVERABILITÀ SOGGETTIVA E COLPA SPECIFICA, Giappichelli, Torino, 2012 pag. 65 e ss.
[30] LOSAPPIO, Responsabilità penale del medico cit che cita CANEPA, L’imputazione soggettiva della colpa nella dottrina e giurisprudenza di lingua tedesca, pag. 662 e ss., il quale vede quelle soggettive non come interposte tra Unrecht (illecito) e Schuld (colpevolezza), bensì completamente nell’Unrecht.
[31]ATTILI, L’agente - modello “nell’era della complessità”: tramonto, eclissi o trasfigurazione? in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 1240.
[32] MANNA, Corso di diritto penale. Parte generale, Milano, 3ª ed., 2015, pag. 263 ss
[33] Grotto, PRINCIPIO cit. Pag. 194 e ss.
[34] DI GIOVINE, Ombretta, Il contributo della vittima nel delitto colposo, Torino, Giappichelli, 2003, pag. 434 e ss.
[35] Grotto, PRINCIPIO cit. pag. 199.
[36] Commissione per la riforma del codice penale presieduta dal prof. Carlo Federico Grosso - D.M. del 1° ottobre 1998.
[37] FIANDACA, Caso fortuito e forza maggiore nel diritto penale, in Digesto delle discipline penalistiche, Torino, Utet, 1988, pag. 111 e ss.
[38] ANGIONI, Norme definitorie e progetto di legge delega per un nuovo Codice penale, in CANESTRARI, Stefano (a cura di), Il diritto penale alla svolta di fine millennio. Atti del convegno in ricordo di Franco Bricola (Bologna, 18-20 maggio 1995), Torino, Giappichelli, 1998. Pag. 195 e ss.
[39] Grotto, PRINCIPIO, cit. pag. 354 e ss.
[40] Grotto, PRINCIPIO, cit. che a pag. 160 cita PALAZZO, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, Giappichelli, 2006 pag. 472 e ss.
[41] Non si dimentichi: l’accettazione della proliferazione di iper-specializzazioni è avvenuta di pari passo con l’accettazione della proliferazione di regole cautelari altrettanto iper-specialistiche, del tutto incompatibili con settori diversi rispetto a quelli per i quali se ne è richiesta la formulazione. Quindi, come poter chiedere ad un medico di famiglia, ad un neo specializzando in fisiatria, ad un medico di pronto soccorso di conoscere istantaneamente tutto il compendio cautelare proprio del miglior medico virologo?
[42] Grotto, PRINCIPIO cit. che a pag. 160 cita PALAZZO cit. Pag. 472 che ritiene tale modello ““espediente” escogitato dall’ordinamento, poiché in realtà l’agente modello non ha un’afferrabilità concettuale netta e precisa. Con la conseguenza che questo “modello” viene alla fine dei conti individuato dal giudice, anche se indubbiamente sulla base dell’osservazione criticamente consapevole della realtà sociale”.
[43] Grotto, PRINCIPIO cit. pag. 161.
[44] Epidendio, Diritto nello “stato di eccezione” ai tempi dell’epidemia da Coronavirus in Giustiziainsieme.it
[45] Corte Cost. sent. n. 83/2010.
[46] Forzati, Irrilevanza penale del disastro ambientale, Regime derogatorio dei diritti e legislazione emergenziale: I casi Eternit, Ilva ed emergenza rifiuti in Campania. Lo stato d’eccezione oltre lo stato di diritto, pag. 25 che cita DONINI, Il diritto penale di fronte al nemico, in Cass. Pen., 2006 p.910 e ss.