Sliding doors per la “doppia pregiudizialità” (traendo spunto da Corte App. Napoli, I Unità Sez. lav., 18 settembre 2019, in causa n. 2784 del 2018, XY c. Balga)
di Antonio Ruggeri
Sommario: 1. Conviene davvero far luogo alla simultanea presentazione delle due questioni pregiudiziali, così come ha fatto nel caso odierno il giudice partenopeo? – 2. Primo scenario: si pronunzia per prima la Corte costituzionale. – 3. Secondo scenario: si pronunzia per prima la Corte dell’Unione. – 4. I benefici che possono attendersi dall’adozione di un protocollo d’intesa che disciplini i rapporti tra le Corti in vista della ottimale soluzione da apprestare alle questioni di “doppia pregiudizialità” (con specifico riguardo proprio ai casi in cui siano simultaneamente prospettate).
1. Conviene davvero far luogo alla simultanea presentazione delle due questioni pregiudiziali, così come ha fatto nel caso odierno il giudice partenopeo?
Due ordinanze della Corte di Appello di Napoli, adottate lo stesso giorno e rispettivamente indirizzate alla Corte costituzionale ed alla Corte dell’Unione europea, ripropongono la questione, come si sa assai vessata, della “doppia pregiudizialità” con riguardo ai casi in cui si tratti di stabilire se si abbia violazione della Carta di Nizza-Strasburgo (e, dopo la 20 del 2019, anche di discipline eurounitarie a queste quodammodo “connesse”[1]), in ispecie per l’aspetto dell’ordine temporale riguardante la chiamata in campo delle due Corti da parte dei giudici comuni, da cui poi – com’è chiaro – discendono rilevanti conseguenze, ampiamente studiate da una nutrita schiera di studiosi ed alle quali, solo per taluni aspetti, si farà ora nuovamente richiamo.
Nulla – avverto subito – qui si dirà per i profili di merito (concernente una vicenda di illegittimo licenziamento dal lavoro[2]), limitandomi a trattare del solo punto sopra indicato[3].
L’autorità remittente, come si diceva, opta per il simultaneo interpello delle due Corti, facendo propria una soluzione tecnica patrocinata da una sensibile dottrina[4], tenendosi dunque distante da entrambi i corni opposti dell’alternativa che vede prospettate in ordine consecutivo prima questa ovvero quella questione pregiudiziale[5]; ed è interessante notare l’argomento sul quale principalmente fa leva il giudice partenopeo a sostegno della opzione prescelta, con il riferimento al bisogno di parare il rischio che possa essere “esautorato” o “emarginato” il ruolo del giudice di merito per il caso che il rinvio alla Corte di giustizia si abbia “a valle” del sindacato di costituzionalità[6].
Come si vede, si prendono, dunque, le distanze dalla soluzione volta ad accordare priorità temporale alla questione di costituzionalità: una soluzione che – come si sa –, a giudizio di molti commentatori, sarebbe stata imposta dalla Consulta con la 269 del 2017 e fatta nondimeno oggetto di sostanziale temperamento con le pronunzie del 2019[7], con le quali pur tuttavia il giudice delle leggi non cela di preferire che gli sia data comunque la precedenza rispetto al giudice eurounitario[8]. Stranamente, però, nella ordinanza di rimessione alla Consulta nulla si dice a riguardo della opposta soluzione, che veda chiamata per prima la Corte dell’Unione, malgrado il giudice di merito sia ben consapevole del fatto che quest’ultima opzione non gli è più preclusa alla luce dell’attuale orientamento della Corte nazionale. Una soluzione che – come si è tentato di argomentare in altri luoghi – resta, a mia opinione, quella più vantaggiosa, se non pure di necessità imposta, per plurime ragioni delle quali non è ora il caso di fare parola[9]. Talvolta, anzi, è appunto una soluzione obbligata, non foss’altro che per il fatto che il giudice di merito può nutrire dubbi circa il retto significato del parametro sovranazionale e non può, pertanto, stabilire se si abbia, o no, la violazione anche della Carta dell’Unione, oltre che della Costituzione, e, insomma, nulla di sicuro è in grado di dire a riguardo della Carta stessa (o di altra fonte che vi dia attuazione) sì da determinarsi poi a rivolgersi al giudice costituzionale, per lesione indiretta dei parametri costituzionali che vi danno “copertura”, in applicazione dello schema usuale della fonte interposta.
Si aggiunga, poi, che non di rado, proprio grazie al previo interpello della Corte dell’Unione, il giudice nazionale è messo in condizioni di impostare nel modo ancora più efficace e corretto la questione di costituzionalità (ad es., laddove riceva indicazioni non soltanto in merito al giusto significato da attribuire al disposto eurounitario ma anche con riguardo alla sua attitudine, che potrebbe non aversi, ad essere portato ad immediata applicazione, sì da richiedersene la protezione nei riguardi di norma interna con esso incompatibile a mezzo del sindacato di costituzionalità) o, addirittura, a prospettare una questione di costituzionalità che altrimenti non avrebbe presentato, secondo quanto si preciserà meglio più avanti.
In generale, dubito che giovi al giudice comune (e, di riflesso, all’amministrazione della giustizia) prospettare allo stesso tempo un dubbio di costituzionalità “bifronte”, per un verso volto verso il parametro costituzionale e per un altro verso volto verso il parametro eurounitario, coperto però – qui è il punto – dal velo della ignoranza circa il modo con cui quest’ultimo potrebbe essere illuminato e messo opportunamente a fuoco dal suo giudice naturale, la Corte dell’Unione.
Mutatis mutandis – anche se la questione non è ora di specifico interesse per questo studio – ugualmente possono andare le cose sul versante dei rapporti tra giudici nazionali e Corte di Strasburgo; e non è un caso – a me pare – che proprio di recente sia stata sollevata una questione di costituzionalità, che ha subito attratto l’attenzione dei commentatori, in tema di gestazione per conto di terzi, a seguito e dietro sollecitazione di un noto (e discusso) parere emesso dalla Corte suddetta in applicazione del prot. 16[10]; la qual cosa, a mio modo di vedere, rende conferma per tabulas dei non pochi benefici che da quest’ultimo possono aversene e, dunque, della opportunità (e, anzi, della necessità) di far luogo senza ulteriore indugio alla sua ricezione anche nel nostro ordinamento[11].
Ad ogni buon conto, l’effetto di maggior rilievo che consegue alla presentazione congiunta delle due questioni è dato dal carattere del tutto casuale della tecnica decisoria a mezzo della quale possono essere ripianate le antinomie tra norme interne e norme eurounitarie, a seconda che si pronunzi per prima questa o quella Corte potendosene avere ora la “non applicazione” diretta di quella interna accompagnata dall’applicazione di quella sovranazionale (sempre che, ovviamente, self executing[12]) ed ora invece l’annullamento della prima (laddove ne sia acclarata la invalidità) con effetti erga omnes. L’una e l’altra soluzione – è doveroso riconoscere – presentano vantaggi e svantaggi, ampiamente rilevati in altre sedi, dei quali non giova ora tornare a dire.
Sia chiaro. Malgrado le accese discussioni che si sono avute in merito all’ordine cronologico in cui le due pregiudizialità si dispongono (o dovrebbero disporsi), un punto è nondimeno da tener fermo; ed è che anche la soluzione della presentazione congiunta, oggi fatta propria dal giudice napoletano, non esclude affatto (ed anzi implica) che poi esse siano definite in tempi diversi dalle Corti per ciascuna di esse competenti, con la conseguenza che la simultaneità è solo “in entrata”, non pure “in uscita”. E tuttavia – come si viene ora dicendo – altro è che la tecnica decisoria buona per il caso sia demandata alla sorte, come si fa con le lotterie sperando che poi venga estratto il numero vincente, ed altra cosa che sia invece precostituito dal giudice comune il binario sul quale incanalare la questione, prefigurandosene quindi i possibili esiti.
Ora, ad una prima impressione parrebbe che l’opzione favorevole all’esercizio congiunto delle due pregiudizialità presenti l’innegabile vantaggio (non da poco) di accelerare i tempi di chiusura della vicenda processuale, già per il fatto stesso di mettere contemporaneamente in moto e di avviare le due macchine processuali; come si dirà però a momenti, in realtà, si tratta – perlomeno in molti casi – di un effetto ottico, di una mera apparenza appunto, ed anzi potrebbe aversene una non lieve complicazione del quadro della quale è bene avere avvertenza.
Va, al riguardo, prestata la massima attenzione alla circostanza per cui il carattere “pregiudiziale” di entrambe le questioni presentate alle Corti potrebbe indurre il giudice remittente ad attendere che entrambe si siano pronunziate prima di riprendere il processo, che, poi, per vero, talora potrebbe chiudersi rapidamente, talaltra invece avvolgersi in se stesso e richiedere tempi lunghi prima di pervenire a maturazione, secondo quanto si dirà meglio a momenti.
Altra cosa, poi, è stabilire se a ciascuna Corte convenga giocare sul tempo, d’anticipo, anche al fine di condizionare variamente l’operato dell’altra, ovvero se sia maggiormente vantaggioso il gioco di rimessa, attendendo la pronunzia dell’altra, magari al fine di potervi replicare a modo[13]: un nodo, questo, che, ad ogni buon conto, ciascuna Corte dovrà sciogliere da sola, alla luce delle proprie complessive esigenze, anche tenendo presenti altre istanze davanti ad essa pendenti, salvo che non si metta in atto al riguardo un raccordo informale tra le stesse, nei termini che si preciseranno in chiusura di questa riflessione.
2. Primo scenario: si pronunzia per prima la Corte costituzionale
Supponiamo, dunque, che, in caso di simultanea presentazione delle due questioni, si pronunzi per prima la Corte costituzionale. Ovviamente, lo svolgimento della vicenda processuale può poi avere andamenti diversi. Ad es., potrebbe darsi il caso che, considerato il modo con cui la questione è prospettata non soltanto davanti a sé ma anche (e soprattutto) al giudice lussemburghese, la Consulta si determini ad avvalersi a sua volta del potere di rinvio pregiudiziale, specie per il caso che tema il possibile insorgere di un conflitto con la Corte dell’Unione e punti dunque ad indurre quest’ultima ad un ripensamento del proprio punto di vista, quale in precedenti occasioni già manifestato (come, in buona sostanza, si è avuto con Taricco). Si avrebbe, pertanto, la sovrapposizione di due rinvii, che potrebbero convergere come pure divergere per impostazione e connotati complessivi, suscettibili di essere trattati dalla Corte dell’Unione separatamente ovvero, verosimilmente, congiuntamente.
Potrebbe altresì darsi il caso – a mia opinione, con ogni probabilità, di più frequente riscontro, anche alla luce di talune esperienze già maturate – che il giudice costituzionale focalizzi l’attenzione sui profili di stretto diritto interno, pronunziandosi specificamente sulla violazione del parametro costituzionale che, una volta acclarata, potrebbe portare alla messa in atto dello strumento dell’assorbimento dei vizi, e trattenendosi perciò dall’esame della sospetta lesione altresì del parametro eurounitario. La qual cosa presenta l’innegabile vantaggio di parare sul nascere il rischio di orientamenti divergenti tra le Corti interpellate. Di contro, è verosimile attendersi riferimenti al diritto eurounitario vivente, così come peraltro si ha nei riguardi della giurisprudenza della Corte EDU, fatti a rinforzo della soluzione prescelta, una volta constatata la convergenza del proprio orientamento con quello invalso a Lussemburgo (o a Strasburgo)[14].
L’invalidazione della norma interna, poi, potrebbe concretarsi in un annullamento “secco” ovvero in uno di tipo manipolativo e, segnatamente, additivo (di principio ovvero di regola). Quest’ultima evenienza presenta uno speciale interesse, dal momento che preclude poi ai giudici in genere di esercitare eventuali rinvii alla Corte dell’Unione aventi per specifico oggetto il testo di legge così come riscritto dalla Consulta (e, dunque, in buona sostanza, la norma da questa aggiunta o, come che sia, variamente corretta), ostandovi l’impenetrabile scudo protettivo a sua difesa eretto dall’art. 137, ult. c., cost.[15].
Ora, non è chiaro se, una volta avutosi il riscontro della incostituzionalità della norma interna, il processo pendente davanti al giudice comune possa subito riprendere: non dovrebbe essere così – e quest’esito, come si è sopra rilevato, ha pur sempre un suo innegabile costo –, venendo altrimenti contraddetto ex post il carattere pregiudiziale che sta a base del rinvio alla Corte dell’Unione, la cui pronunzia – quale che ne sia il segno – non potrebbe, ad ogni buon conto, portare all’applicazione della norma interna ormai espunta dall’ordinamento. Di certo, la Corte stessa si trova comunque il terreno spianato nell’emettere il proprio verdetto, consapevole di non entrare comunque in rotta di collisione con il giudice delle leggi, quanto meno appunto per il caso che la causa invalidante sia esclusivamente data dal contrasto con il parametro costituzionale.
Il conflitto tra le Corti, invece, aversi per il caso che la questione di costituzionalità dovesse essere definita nel senso dell’accoglimento anche per lesione del parametro eurounitario, lesione che potrebbe risultare esclusa in un secondo momento dal giudice lussemburghese. Un autentico nodo insolubile verrebbe, in una congiuntura siffatta, a legarsi attorno alla questione considerata nel suo complesso, dal momento che il giudice comune sarebbe poi tenuto a dare lineare e fedele seguito ad entrambi i verdetti ricevuti. Ma il vero è che il vizio è a monte, perché altro è – come si è venuti dicendo – che l’annullamento della norma interna si abbia in relazione al solo parametro costituzionale, la cui interpretazione e salvaguardia competono in ultima istanza alla Consulta, ed altra cosa che esso si abbia anche (e persino esclusivamente) in relazione al parametro eurounitario, senza però tener conto della interpretazione e salvaguardia datane dal suo giudice naturale, la Corte di giustizia. Non ho dunque dubbio alcuno a riguardo del fatto che la Consulta non possa esprimersi in merito a quest’ultimo punto se non dopo aver a sua volta interpellato la Corte dell’Unione o, comunque, aver atteso la pronunzia sollecitata dal giudice comune.
Altra questione ancora, che peraltro – come si sa – ogni volta si pone in presenza di decisioni che acclarino la esistenza di una violazione di un parametro, è quale norma debba trovare applicazione al posto di quella invalidata. L’ordinamento, infatti, come si sa, si ricuce subito da se medesimo, spettando poi al giudice di merito rinvenire la norma giusta da far valere per il caso, interna o sovranazionale che sia[16].
Diverso scenario, invece, si ha in caso di rigetto della questione da parte della Consulta. È chiaro che quest’esito presuppone che la questione sia stata esaminata in ogni suo profilo, dunque anche per l’aspetto della denunziata lesione del parametro eurounitario: un nodo, quest’ultimo, che tuttavia ancora una volta – come più d’uno ha fatto notare – non può essere verosimilmente sciolto se non dopo l’obbligatorio passaggio da Lussemburgo[17].
Si fermi, solo per un momento, l’attenzione sul punto. Se è vero, com’è vero, che l’esito del rigetto è eventualità di non raro riscontro, nel caso qui specificamente preso in esame di simultanea presentazione delle due questioni (e, ulteriormente specificando, di definizione del giudizio di costituzionalità in un tempo anteriore rispetto a quello che ha luogo in ambito sovranazionale), dovremmo assistere ad un intensificarsi dei rinvii da parte della Consulta e, di conseguenza, ad un raddoppio degli interpelli sulla medesima questione fatti alla Corte di giustizia. In realtà, le cose non stanno affatto così; e, pur dandosi talvolta rinvii effettuati dalla Consulta, quale quello di cui alla ord. 117 del 2019, è chiaro che questi non possono minimamente competere per numero (e, per ciò pure, per ambiti materiali dagli stessi coperti) con quelli che si hanno nelle sedi in cui si amministra la giustizia comune. La congiunta presentazione delle due questioni dunque (e, più ancora, ovviamente, la eventuale precedenza accordata alla pregiudizialità costituzionale) fatalmente comporta – piaccia o no – una vistosa contrazione ed un autentico impoverimento dei casi di rinvio, con ciò che – com’è chiaro – ne consegue in ordine alla implementazione della Carta di Nizza-Strasburgo in ambito interno e, in genere, all’arricchimento del patrimonio europeo dei diritti[18].
Ad ogni buon conto, in tal modo si tornerebbe – come si vede –, perlomeno in non pochi casi, all’ipotesi inizialmente affacciata, che vede comunque il giudice sovranazionale naturalmente sollecitato a pronunziarsi per primo affinché la vicenda processuale possa poi proseguire linearmente lungo il percorso per essa tracciato.
3. Secondo scenario: si pronunzia per prima la Corte dell’Unione
Passiamo, dunque, ad esaminare il diverso scenario che potrebbe delinearsi per il caso che si pronunzi per prima la Corte dell’Unione. Tornano ora ad evidenza taluni svolgimenti della vicenda processuale sopra rappresentati ma, naturalmente, a parti invertite. Anche la Corte di giustizia, infatti, conoscendo il modo con cui è presentata la questione davanti alla Consulta, ne terrà verosimilmente conto.
Qui pure la circostanza per cui si è avuta la simultanea presentazione delle due questioni pregiudiziali qualche problema, per vero, lo pone per i successivi sviluppi della vicenda che invece – mi preme, ancora una volta, rimarcare – non si avrebbero per il caso di questioni presentate in tempi diversi (e, in particolare, in quello di precedenza accordata al rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE).
Se, infatti, la pronunzia della Corte lussemburghese dovesse dare indicazioni nel senso della incompatibilità della norma interna rispetto a quella eurounitaria, il giudice del rinvio non potrebbe denunziare il superamento da parte di quest’ultima dei “controlimiti” davanti alla Consulta, avendo ormai consumato il proprio potere di investire quest’ultima, mentre potrebbe chiaramente farvi luogo in caso di prioritario interpello della Corte suddetta. Insomma, come si vede, cambierebbe nella sostanza il modo stesso con cui verrebbe presentato il dubbio di costituzionalità.
È bensì vero che si tratterebbe ora di una nuova questione, diversa dalla precedente, ma l’avvenuta trasmissione la prima volta degli atti di causa al giudice delle leggi si porrebbe quale un ostacolo dal giudice non superabile. È, poi, evidente che la “esposizione” dei “controlimiti” – come si diceva – potrebbe aversi motu proprio dal giudice costituzionale ma, appunto, non è detto che si abbia. E, sempre in via di mera ipotesi, qualora la Corte costituzionale non li dovesse far valere, nulla vieterebbe che quindi provveda, dopo la eventuale pronunzia di quest’ultima di rigetto, nuovamente il giudice comune, proprio perché – come si diceva – la questione è comunque diversa da quella originariamente presentata. La palla passerebbe, in tal modo, ancora una volta alla Consulta, la quale poi potrebbe – perché no? – mutare avviso e determinarsi per la presentazione del rinvio pregiudiziale che pure avrebbe potuto già porre in essere in precedenza: con un defatigante ping pong – come si vede – comunque pregiudizievole per lo svolgimento della vicenda processuale (se non altro, appunto, per l’aspetto della sua durata temporale), pur laddove questa dovesse poi concludersi nel migliore dei modi.
L’ipotesi che il giudice comune sospetti la violazione dei “controlimiti” da parte della risposta ricevuta da Lussemburgo dovrebbe, ad ogni buon conto, considerarsi remota, dal momento che, verosimilmente, l’obiettivo dallo stesso avuto di mira con l’esperimento del rinvio è, il più delle volte, proprio quello di essere incoraggiato e sostenuto nel perseguimento dell’obiettivo di rilevare l’incompatibilità della norma interna rispetto al parametro eurounitario. E ciò, proprio in considerazione del fatto che quest’ultimo è dato da norma o da norme, in caso di congiunto richiamo a plurimi parametri, in cui si ha il riconoscimento di diritti fondamentali ovvero da norme anche di altre fonti nei riguardi di quella o di quelle serventi (“connesse”). Ben diverso è, invece, lo scenario che si ha laddove il rinvio verta su parametri che nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dei diritti, nel qual caso nulla esclude che il vero obiettivo del rinvio sia quello di sgombrare il campo dalla presenza di un disposto normativo sovranazionale suscettibile di far da impedimento all’applicazione di uno interno, sollecitandosi pertanto la Corte dell’Unione ad avallare una interpretazione del primo conciliante con quella data dell’enunciato nazionale. Tutto ciò, nondimeno, è qui privo d’interesse e non giova, pertanto, soffermarvisi ulteriormente.
Voltiamo nuovamente pagina e prendiamo adesso in esame il caso – come si diceva, di più frequente riscontro – che le indicazioni date dal giudice sovranazionale nel senso della sussistenza dell’antinomia tra le norme dei due ordinamenti non creino problema alcuno di un possibile superamento dei “controlimiti”. Ebbene, la “non applicazione” immediata della legge nazionale non potrebbe – a quanto pare – aver sollecitamente luogo, stante la pendenza del giudizio costituzionale. Già solo per ciò – come si vede – non è affatto detto che si abbia poi nei fatti l’atteso beneficio dell’accelerazione dei tempi processuali conseguente alla simultanea presentazione delle due questioni pregiudiziali.
La conclusione lineare, naturale, del giudizio di costituzionalità dovrebbe poi essere nel segno della conferma anche da parte della Consulta della sussistenza dell’antinomia stessa (se non altro, appunto, in relazione al parametro eurounitario)[19]. Ricorrendo siffatta ipotesi, è chiaro che alla ripresa del processo nel quale sono state prospettate le questioni pregiudiziali l’effetto della “non applicazione” della norma interna, accompagnata dall’applicazione diretta di quella sovranazionale, scivola e si converte in quello della “disapplicazione” conseguente all’annullamento della norma stessa per mano del giudice costituzionale, o – il che è praticamente lo stesso – è da questo per intero assorbito e in esso ricompreso[20].
Se, di contro, dovesse ritenersi che il giudice possa ugualmente riprendere subito il processo rimasto pendente, in quest’ultimo si avrà – come di consueto – la “non applicazione” della norma interna, che poi sarà verosimilmente caducata con effetti erga omnes, a beneficio dell’intera collettività, sempre che ovviamente si ritenga che il giudizio davanti alla Consulta possa ugualmente proseguire una volta chiusosi anzitempo quello principale (la qual cosa – come si sa – da molte esperienze della giustizia costituzionale non dovrebbe dar luogo ad alcun problema).
Se, di contro, il giudice costituzionale non dovesse allinearsi alle indicazioni date dal giudice eurounitario (cosa che – come si è già ad altro riguardo rilevato – potrebbe aversi solo facendo valere una incisione dei “controlimiti”), allora verrebbe a realizzarsi un autentico “cortocircuito”, come sempre d’altronde si ha ogniqualvolta si assista a conflitti tra Corti nazionali e Corti europee, il cui superamento può aversi unicamente facendo appello al comune senso di responsabilità ed attingendo a tutte le risorse apprestate dal principium cooperationis, le sole che possano consentire alla vicenda processuale di uscire dal tunnel nel quale è venuta a trovarsi.
Sta di fatto che, quand’anche la Corte costituzionale dovesse emettere un verdetto di rigetto, specie poi se non preceduto dall’esperimento di un rinvio pregiudiziale per mano della stessa Corte, ugualmente alla ripresa del processo rimasto sospeso non potrebbe comunque farsi applicazione della norma interna uscita indenne dal sindacato di costituzionalità a motivo della acclarata violazione del parametro eurounitario da parte del giudice naturale preposto a garanzia dello stesso.
Si prenda adesso in considerazione il caso che la Corte dell’Unione non rilevi la sussistenza di un’antinomia tra le norme in campo. Ebbene, ancora una volta, il giudice comune non potrà riprendere il processo, stante la pendenza del giudizio davanti alla Consulta, il quale poi, per il profilo del (supposto ma insussistente) contrasto con il parametro sovranazionale non potrà comunque concludersi nel senso dell’accoglimento, restando poi la partita ovviamente aperta, per ciò che concerne la denunziata lesione del parametro interno, ad ogni possibile esito.
4. I benefici che possono attendersi dall’adozione di un protocollo d’intesa che disciplini i rapporti tra le Corti in vista della ottimale soluzione da apprestare alle questioni di “doppia pregiudizialità” (con specifico riguardo proprio ai casi in cui siano simultaneamente prospettate)
Una succinta notazione finale. Si sarà notato l’utilizzo ricorrente, praticamente esteso a tappeto per l’intera riflessione svolta, della forma verbale condizionale, peraltro non inusuale nei miei pensieri in genere che il più delle volte rivelano personali, diffuse insicurezze, di gran lunga maggiori delle poche certezze che credo di aver raggiunto dentro di me attorno a questioni di diritto costituzionale (e non solo). Qui, però, la forma verbale suddetta rinviene giustificazione nel fatto che al rinvio pregiudiziale perfettamente si attaglia la nota definizione data da S. Romano della Carta costituzionale del suo tempo, che ai suoi occhi appariva composta dai meri titoli dei capitoli di un libro che avrebbe dovuto quindi essere pressoché per intero scritto dall’esperienza, nelle sue non di rado oscillanti e discontinue movenze. Insomma, quella dell’art. 267 TFUE è – come si sa – una mera norma definitoria di una competenza che nella sua messa in atto può trovarsi chiamata ad un lungo, alle volte tortuoso, cammino lungo un percorso gravato da ombre ancora più che illuminato da luci.
I casi di “doppia pregiudizialità”[21] presentano non pochi problemi la cui opportuna soluzione non conviene – a me pare – che resti esclusivamente rimessa alla improvvisazione del momento, foriera – come si è veduto – di incertezze, dissapori, veri e propri aperti conflitti. Questi ultimi – com’è chiaro – sono pur sempre da mettere in conto, ma – perlomeno fin dove possibile – conviene, a mia opinione, a tutte le Corti che si appresti, per loro iniziativa, un pugno di regole essenziali, dotate perciò della necessaria flessibilità e comunque rispettose della indisponibile autodeterminazione, nelle singole vicende processuali, di ciascun operatore di giustizia: regole con le quali, dunque, si traccino i percorsi che possono essere utilmente intrapresi in vista della ottimale soluzione dei casi.
Il metodo della definizione pattizia delle relazioni tra i massimi operatori di giustizia è già stato sperimentato – com’è noto – con molta soddisfazione da parte di tutti e – ciò che più importa – con non pochi benefici per l’amministrazione della giustizia e, per ciò pure, per le aspettative nutrite da quanti ad essa si rivolgono[22]. Si tratta ora di estenderlo e portarlo a frutto con specifico riguardo alla questione qui nuovamente studiata, in ispecie proprio ai casi di simultanea presentazione delle questioni pregiudiziali, laddove – come si è veduto – possono aversi i maggiori problemi che poi finiranno, a conti fatti, con lo scaricarsi sulle spalle dei giudici comuni, vale a dire di coloro da cui partono le domande di giustizia costituzionale (nell’accezione materiale del termine, quale riferita ai casi di rivendica di protezione per i diritti fondamentali) ed ai quali tornano poi risposte talora reciprocamente contrastanti. I giudici – sia chiaro – non potranno comunque essere sgravati del peso, alle volte schiacciante, delle responsabilità, morali prima ancora che giuridiche, connesse al munus di cui sono titolari. Se, tuttavia, si riuscirà a renderlo maggiormente sopportabile, credo che sia cosa senza dubbio da tutti auspicata. D’altronde, gli stessi giudici europei e i giudici costituzionali hanno, ciascuno per la propria parte, tutto l’interesse ad evitare – fin dove possibile – di trovarsi infilati in un labirinto dal quale potrebbero faticare non poco ad uscire, in mancanza di “cartelli” che indichino appunto la via breve e sicura conducente alla meta.
[1] Ad oggi restano largamente indefiniti i connotati della “connessione” in parola, con specifico riferimento al terreno su cui maturano le esperienze di tutela dei diritti al piano dei rapporti interordinamentali, mentre di altre specie di “connessioni”, di cui si ha riscontro in ambiti materiali diversi (ad es. per ciò che concerne la insindacabilità dei parlamentari), si sa molto dalla nutrita giurisprudenza al riguardo formatasi. Ad ogni buon conto, la più sensibile dottrina si mostra avvertita [v., part., R.G. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it), 4 marzo 2019, spec. § 6, e, in ultimo, G. Scaccia, Corte costituzionale e doppia pregiudizialità: la priorità del giudizio incidentale oltre la Carta dei diritti?, in Forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it), 2/2020, 12 maggio 2020, 316 ss., spec. 325 ss.] del rischio che, nel campo qui osservato, possa farsi della “connessione” in parola un utilizzo non adeguatamente vigilato, sì da pervenire, al tirar delle somme, alla sostanziale devitalizzazione della tecnica decisoria dell’applicazione diretta a beneficio di quella dell’annullamento: un rischio da me già paventato in sede di primo commento della 269 del 2017, quindi rilevato in una nota alla 20 del 2019, dal titolo La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte cost. n. 20 del 2019), in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 1/2019, 25 febbraio 2019, 113 ss., e del quale peraltro si è avuto, ancora di recente, riscontro [nel caso, di cui a Corte cost. n. 44 del 2020, con nota favorevole sul punto, di C. Padula, Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 1/2020, 30 marzo 2020, spec. 177 ss.].
[2] Può vedersi illustrata da M. Mazzetti, La legittimità della disciplina italiana contro il licenziamento collettivo, in Quest. giust. (www.questionegiustizia.it), 12 febbraio 2020, dove sono pure le due ordinanze che hanno dato lo spunto per la succinta riflessione che mi accingo a svolgere.
[3] Mi si consenta, tuttavia, solo di passaggio di osservare l’improprio riferimento all’art. 10 cost. che figura ai punti 81 e 93 della ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta, di sicuro frutto di un refuso (seppur reiterato…), dal momento che – come si sa – la “copertura” al diritto dell’Unione è per ius receptum offerta dagli artt. 117, I c., e, soprattutto, 11 della Carta costituzionale, nel mentre l’ulteriore richiamo all’art. 10 potrebbe giustificarsi unicamente nel caso, obiettivamente di remoto riscontro, che con norma sovranazionale si abbia la “razionalizzazione” di norme generalmente riconosciute della Comunità internazionale, secondo quanto, peraltro, ha ripetutamente precisato la giurisprudenza costituzionale già a partire dalla svolta sulla CEDU inaugurata nel 2007 (sul punto, part. nella 349).
[4] È stata dapprima affacciata da F. Sorrentino, È veramente inammissibile il “doppio rinvio”?, in Giur. cost., 2/2002, 781 ss., e quindi ripresa, con particolare vigore argomentativo, spec. da R. Conti, An, quomodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia quando è ‘in gioco’ la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo Corte cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. n. 3831/2018, in Giudice donna (www.giudicedonna.it), 4/2017, spec. § 6, e, dello stesso, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, cit., spec. § 4. Variamente sul punto, v., inoltre, C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Oss. fonti (www.osservatoriosullefonti.it), 2/2019, spec. 25 ss.; nella stessa Rivista, M. Massa, Dopo la «precisazione». Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, 20 ss.; G. Martinico, Conflitti interpretativi e concorrenza fra corti nel diritto costituzionale europeo, in Dir. soc., 4/2019, 691 ss., spec. 702 ss.; I. Massa Pinto, Il giudizio d’incostituzionalità delle leggi in caso di doppio parametro (interno ed europeo): il conflitto sulle regole d’ingaggio, in Riv. Gruppo di Pisa (www.gruppodipisa.it), 1/2020, 8 gennaio 2020, 77 e nt. 41, dove si precisa che la soluzione in parola, seppur non preclusa, sia comunque da non preferire “alla luce del principio di leale collaborazione, per evitare di causare conflitti e cortocircuiti tra le Corti” (con cit. conf. di N. Lupo).
[5] Non disponiamo purtroppo di dati sicuri a riguardo delle preferenze maggiormente invalse in seno alla magistratura comune sul punto cruciale qui nuovamente discusso; solo occasionalmente, in ispecie attraverso i commenti a questa o quella iniziativa processuale che si leggono nelle riviste specialistiche, si ha qualche notizia al riguardo: troppo poco, però, di tutta evidenza [ad es., segnala R.G. Conti, Il contenzioso sul risarcimento dello Stato alle vittime di reato: Cass. n. 2964/2019 alla ricerca dell’eguaglianza europea, in Riv. dir. comp. (www.diritticomparati.it), 1/2019, 125 ss., una vicenda in materia civile in cui si è assistito all’utilizzo dello strumento del rinvio pregiudiziale non accompagnato dalla simultanea prospettazione di una questione di legittimità costituzionale; in tema, v., ora, il comunicato della Corte di giustizia n. 61 del 14 maggio 2020 che riferisce delle Conclusioni dell’avv. gen. Bobek, in causa C-129/2019, a cui opinione tutte le vittime di reato intenzionale violento dovrebbero avere diritto al risarcimento indipendentemente dal luogo nel quale risiedano].
Ora, è un vero peccato che non si riesca a saperne di più; e francamente mi sfugge la ragione per cui non si possano sollecitare tutti gli uffici giudiziari a trasmettere ad un centro di raccolta on line, di libero accesso a studiosi ed operatori, tutte gli atti adottati in merito a questioni di doppia pregiudizialità, sì da potersene avere indicazioni preziose sia per la teoria che per la pratica giuridica.
[6] V., part., p. 29, ord. cit.
[7] Di una “flessibilizzazione dei rapporti” tra i giudici ha, ancora non molto tempo addietro, discorso G. Repetto, Il significato europeo della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulla “doppia pregiudizialità” in materia di diritti fondamentali, in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 4/2019, 25 ottobre 2019, 7 (ma similmente, con varietà di linguaggio e di toni, molti altri).
[8] Sul punto, ex plurimis, v. G. VITALE, I recenti approdi della Consulta sui rapporti tra Carte e Corti. Brevi considerazioni sulle sentenze nn. 20 e 63 del 2019 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 10/2019, 22 maggio 2019; nella stessa Rivista, S. Catalano, Doppia pregiudizialità: una svolta ‘opportuna’ della Corte costituzionale, e N. Lupo, Con quattro pronunce dei primi mesi del 2019 la Corte costituzionale completa il suo rientro nel sistema “a rete” di tutela dei diritti in Europa, 13/2019, 10 luglio 2019, part. § 6; A.M. Nico, La costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia al banco di prova dei controlimiti, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 2/2019, 16 luglio 2019; C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, cit., 25 ss.; M. Massa, Dopo la «precisazione». Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, cit.; G. Scaccia, Alla ricerca del difficile equilibrio fra applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sindacato accentrato di legittimità costituzionale. In margine all’ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2019, in Oss. AIC (www.osservatorioaic.it), 6/2019, 5 novembre 2019. Un animato confronto si è, poi, al riguardo avuto in occasione del Seminario del Gruppo di Pisa su Il sistema “accentrato” di costituzionalità, Pisa 25 ottobre 2019, e ivi part., per i profili ora specificamente in rilievo, la Relazione introduttiva di R. Romboli, in Riv. Gruppo di Pisa (www.gruppodipisa.it), 2/2020, spec. § 3, nonché i contributi di I. Massa Pinto, Il giudizio d’incostituzionalità delle leggi in caso di doppio parametro (interno ed europeo): il conflitto sulle regole d’ingaggio, cit., 66 ss., spec. 78 ss., e gli altri di A.M. Nico, L’accesso e l’incidentalità, Riv. Gruppo di Pisa (www.gruppodipisa.it), 1/2020, 22 gennaio 2020, 163 ss., spec. 173 s., e, nella stessa Rivista, già, il mio La Consulta e il tiro alla fune con gli altri giudici, 3/2019, 29 ottobre 2019, 1 ss. Si è poi fatto, non molto tempo addietro, il punto da diversi angoli visuali e pervenendo ad esiti ricostruttivi parimenti diversi in R. Romboli, Caro Antonio ti scrivo (così mi distraggo un po’) in dialogo con il Ruggeripensiero sul tema della “doppia pregiudizialità”, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 3/2019, 26 novembre 2019, 644 ss. e, nella stessa Rivista, nel mio Caro Roberto, provo a risponderti sulla “doppia pregiudizialità” (così mi distraggo un po’ anch’io…), 3/2019, 9 dicembre 2019, 678 ss., nonché, più di recente, in G. Repetto, Il significato europeo della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulla “doppia pregiudizialità” in materia di diritti fondamentali, cit., 1 ss., dove, tra l’altro, si fa notare che, a motivo della acclarata preferenza manifestata dalla Consulta perché le sia data la precedenza rispetto alla Corte dell’Unione, si richiede “al giudice comune un adeguato onere di giustificazione che indichi le ragioni del mancato, preventivo, sollevamento dell’incidente di costituzionalità” (11); D. Tega, Il superamento del “modello Granital”. Le questioni in materia di diritti fondamentali tra incidente di costituzionalità e rinvio pregiudiziale, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 27 gennaio 2020; C. Amalfitano, Il rapporto tra rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e rimessione alla Consulta e tra disapplicazione e rimessione alla luce della giurisprudenza “comunitaria” e costituzionale, in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 1/2020, 18 febbraio 2020, 296 ss.; A. Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità: il nuovo ruolo della giustizia costituzionale accentrata nel contesto dell’integrazione europea, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, in Consulta OnLine, 13 marzo 2020 e in Oss. fonti (www.osservatoriosullefonti.it), 1/2020, 13 ss.; E. Cavasino, Diritti e principi nello spazio giuridico europeo dei diritti fondamentali: un aspetto dell’esperienza costituzionale, in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 1/2020, 21 marzo 2020, 561 ss., spec. 571 ss. e 582 ss. V., inoltre, i contributi all’incontro di studio su Granital revisited? L’integrazione europea attraverso il diritto giurisprudenziale, svoltosi a Bologna il 7 febbraio 2020, in corso di stampa, tra i quali G. Scaccia, Corte costituzionale e doppia pregiudizialità: la priorità del giudizio incidentale oltre la Carta dei diritti?, cit.
[9] Di questa idea mi sono, ancora di recente, dichiarato nel mio Tecniche decisorie dei giudici e “forza normativa” della Carta di Nizza-Strasburgo, in Forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it), 8 aprile 2020, 521 ss., spec. 527 ss., dove altresì possono vedersi alcuni rilievi in relazione alla tesi, patrocinata di recente da una sensibile dottrina (A. Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità, cit.), secondo cui la precedenza dovrebbe accordarsi alla pregiudiziale costituzionale per il caso che la norma interna sia frutto di una opzione discrezionale del legislatore, mentre laddove risulti vincolata alla luce del disposto sovranazionale cui strumentalmente si leghi dovrebbe darsi la preferenza alla pregiudiziale eurounitaria. Carattere, questo della norma interna, che ovviamente presuppone la previa interpretazione del parametro sovranazionale, che molte volte solo a Lussemburgo può aversi, secondo quanto qui pure si viene dicendo.
[10] Sulla vicenda, v., tra gli altri, A.M. Lecis, Una nuova frontiera del dialogo tra giurisdizioni: la Cassazione rimette alla Corte costituzionale una q.l.c. fondata sul parere consultivo della Corte EDU in materia di GPA, in Riv. dir. comp. (www.diritticomparati.it), 21 maggio 2020; G. Luccioli, Il parere preventivo della Corte edu e il diritto vivente italiano in materia di maternità surrogata: un conflitto inesistente o un conflitto mal risolto dalla Corte di Cassazione, in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it), 22 maggio 2020, e G. Armone, La gestazione per altri: nuovo appuntamento davanti alla Corte costituzionale, in Quest. giust. (www.questionegiusitizia.it), 22 maggio 2020.
[11] Sul punto il confronto è – come si sa – assai animato, non pochi (anche accreditati) studiosi avendo avanzato riserve e perplessità e persino aperto dissenso in merito alla ricezione in parola, tuttavia con non minore decisione contestati da altri studiosi e, soprattutto, operatori [nel primo senso, v., part., M. Luciani, Note critiche sui disegni di legge per l’autorizzazione alla ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 della CEDU, in Sist. pen. (www.sistemapenale.it), 27 novembre 2019 e, quindi, G. Cerrina Feroni, Il disegno di legge relativo alla ratifica dei Protocolli 15 e 16 recanti emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in Federalismi (www.federalismi.it), 5/2019, 6 marzo 2019; F. Vari, Sulla (eventuale) ratifica dei Protocolli n. 15 e 16 alla CEDU, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 13 novembre 2019; pure ivi, M. Esposito, I d.d.l. di ratifica del Protocollo 16 della CEDU: un altro caso di revisione costituzionale per legge ordinaria?, 2/2019, 30 dicembre 2019; G. Zampetti, Ordinamento costituzionale e Protocollo n. 16 alla CEDU: un quadro problematico, in Federalismi (www.federalismi.it), Focus Human Rights, 3/2020, 5 febbraio 2020, 157 ss. Nel secondo senso, molti degli intervistati da R. Conti sul tema CEDU e cultura giuridica italiana, in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it); in particolare, v. l’intervista a M. Castellaneta, A. Di Stasi e A. Tancredi, su La CEDU e l’Accademia europeista-internazionalista, 23 gennaio 2020, e quella a P. Biavati, G. Costantino ed E. D’Alessandro su La CEDU e i processualcivilisti, 6 febbraio 2020, nonché lo stesso R. Conti, in più scritti, tra i quali Il Protocollo di dialogo fra Alte corti italiane, Csm e Corte Edu a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu. Due prospettive forse inscindibili, in Quest. giust. (www.questionegiustizia.it), 30 gennaio 2019, e Chi ha paura del protocollo 16 – e perché?, in Sist. pen. (www.sistemapenale.it), 27 dicembre 2019, ed E. Spatafora, Il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 1/2020, 5 febbraio 2020, 369 ss.; volendo, può poi vedersi anche il mio Protocollo 16 e identità costituzionale, in Dir. comp. (www.diritticomparati.it), 1/2020, 5 gennaio 2020, 213 ss. Infine, delle implicazioni di ordine istituzionale connesse allo strumento di cooperazione in parola tratta, ora, anche C. Masciotta, Il Protocollo n. 16 alla CEDU alla prova dell’applicazione concreta e le possibili ripercussioni sull’ordinamento italiano, in Dir. pubbl. comp. eur., 1/2020, 183 ss.].
[12] … quanto meno così dovrebbe essere per la tesi ormai stabilmente affermatasi nell’esperienza, una tesi nei riguardi della quale tuttavia si sono manifestate in altri luoghi alcune riserve, segnatamente con riferimento alla supposta necessità che, per i casi di antinomie riguardanti norme dell’Unione prive dell’attitudine alla diretta applicazione, si debba comunque investire della loro cognizione la Consulta (questione, nondimeno, diversa da quella ora in esame che – come si è veduto – presuppone l’esercizio congiunto delle due pregiudizialità). Basti solo pensare al fatto che, caducata la norma interna incompatibile con norma sovranazionale non self executing, il giudice non può far altro che desumere da quest’ultima la regola buona per il caso ovvero estrarla da altra fonte nazionale che possa a ciò prestarsi, cosa che avrebbe potuto (e potrebbe) fare ab initio, “non applicando” il diritto interno contrario al diritto dell’Unione. Certo, non si avrebbe il beneficio della rimozione con effetti erga omnes della norma invalida; ma l’argomento, peraltro – come si sa – ricorrente a giustificazione della svolta segnata dalla 269, finisce con il provare troppo, ponendosi in via generale in contestazione di quel meccanismo dell’applicazione diretta che è uno dei tratti maggiormente qualificanti ed espressivi della primauté del diritto sovranazionale, il cuore pulsante – come lo si è altrove qualificato – della costituzione materiale dell’Unione.
[13] Così, ad es., per quanto concerne la nostra Corte, si potrebbe assistere alla “esposizione” dei “controlimiti”, come si è avuto con Taricco (ma, su ciò, subito infra).
[14] Merita di essere qui pure rimarcato l’animus che traspare da molte pronunzie del giudice delle leggi nelle quali le relazioni tra la Costituzione e le altre Carte, ovverosia in buona sostanza tra le Corti che ne sono istituzionalmente garanti, sono impostate dalla Consulta in applicazione di una “logica” – si è detto in altri luoghi – ancillare, vedendosi nelle seconde esclusivamente una conferma di quanto già è detto e salvaguardato dalla nostra legge fondamentale. Nessun caso, invero, si conosce – salvo mio errore – in cui il giudice costituzionale abbia riconosciuto la esistenza nella nostra Carta di una lacuna in ordine alla salvaguardia di un diritto fondamentale, in altre Carte invece insussistente, sì da fare a queste ultime richiamo ad integrazione del dettato costituzionale, vale a dire da annullare una norma di legge perché incompatibile esclusivamente e direttamente con altro documento materialmente costituzionale, quale appunto la Carta dell’Unione o la CEDU. Ha sì ammesso, anche di recente, che talvolta ab extra viene una tutela più “ampia” di quella offerta in ambito interno, mai appunto una mancanza della stessa cui far rimedio attingendo altrove la protezione di cui i diritti, in ispecie quelli non espressamente nominati, hanno bisogno.
[15] Si rammenti, al riguardo, la vicenda di cui a Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005, sulla quale può, volendo, vedersi, la mia nota Le pronunzie della Corte costituzionale come “controlimiti” alle cessioni di sovranità a favore dell’ordinamento comunitario? (A margine di Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005), in Forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it).
[16] Non si dimentichi, al riguardo, che potrebbe assistersi altresì all’applicazione diretta della Costituzione, oltre che – naturalmente – di norma sovranazionale, a “copertura” del vuoto determinatosi per effetto della caducazione della norma di legge, tanto più poi – aggiungo – laddove dovesse aversi una sostanziale coincidenza o, come che sia, una effettiva convergenza tra norme, rispettivamente, della Costituzione e della Carta di Nizza-Strasburgo che danno il riconoscimento di diritti fondamentali.
[17] Non è di quest’avviso I. Massa Pinto, Il giudizio d’incostituzionalità delle leggi in caso di doppio parametro (interno ed europeo): il conflitto sulle regole d’ingaggio, cit., 74 ss. e 77, a cui opinione il giudice costituzionale non sarebbe tenuto ad interpellare la Corte di giustizia. Di qui, poi, il sempre possibile conflitto per il caso che in un momento successivo quest’ultima accerti la sussistenza dell’antinomia; ciò che obbligherebbe il giudice a tornare ad investire la Consulta della questione, la quale naturalmente potrebbe, a sua volta, avvalersi a questo punto dell’arma del rinvio, magari a finalità di “persuasione” nei riguardi del giudice eurounitario, come si è avuto con Taricco. Come si vede, una complicazione inutile, un autentico gioco dell’oca, in cui è sempre incombente il rischio del ritorno alla casella di partenza, quando il percorso potrebbe invece risultare assai più lineare, nel senso qui caldeggiato.
[18] Ho ripetutamente avvertito di questo rischio sul quale, nondimeno, mi parrebbe urgente fermare specificamente l’attenzione [v., ad es., il mio La Consulta e il tiro alla fune con gli altri giudici, cit., spec. § 3].
[19] Per l’ipotesi ora ragionata, potrebbe dunque assistersi alla messa in atto della tecnica dell’assorbimento dei vizi nel senso inverso a quello dapprima preso in esame, giudicandosi non più necessaria la verifica della violazione del parametro costituzionale, una volta ormai acquisita quella del parametro eurounitario.
[20] Come si vede, lo scenario ora descritto è diverso da quello da me preso in considerazione in altri studi [spec. in Dopo la sent. n. 269 del 2017 della Consulta sarà il legislatore a far da paciere tra le Corti?, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 1/2018, 23 marzo 2018, 155 ss.], nei quali mi sono interrogato circa il modo più adeguato per centrare l’obiettivo del cumulo dei rimedi, pervenendosi all’effetto sia della “non applicazione” della norma interna e sia pure della sua “disapplicazione” conseguente ad annullamento. Lì, infatti, si immagina che la presentazione della questione pregiudiziale davanti alla Corte dell’Unione preceda quella davanti alla Consulta; ed è chiaro che, una volta che la prima abbia dato conferma della sussistenza dell’antinomia, la norma interna dev’essere senza indugio messa da canto nel giudizio in cui è stato attivato lo strumento di cui all’art. 267 TFUE, richiedendosi quindi per il suo annullamento il superamento dei canoni concernenti la rilevanza e la incidentalità, a mia opinione possibile solo dopo che una legge vi avrà derogato. Qui, di contro, si immagina il caso di simultanea presentazione delle due questioni, con le conseguenze che si vanno ora illustrando.
[21] … alla quale potrebbe, poi, un domani aggiungersi, dopo l’auspicata ricezione del prot. 16 già richiamato, anche una terza, nella forma sia pure peculiare, soft, della richiesta di parere alla Corte di Strasburgo, con conseguente ulteriore complicazione del quadro, viepiù aggravata poi dall’eventuale, essa pure auspicabile, adesione dell’Unione alla CEDU; ma, di tutto ciò nulla può ora dirsi.
[22] Ragguagli al riguardo possono aversi da R. Conti, Il Protocollo di dialogo fra Alte corti italiane, Csm e Corte Edu a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu. Due prospettive forse inscindibili, e Chi ha paura del protocollo 16 – e perché?, citt.