Nella giornata di oggi, 12 gennaio 2024, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma 3, sarà conferito il premio “Giulia Cavallone” edizione 2023, premio nato da un’iniziativa della Fondazione Piero Calamandrei e della Famiglia Cavallone per ricordare e onorare la memoria di Giulia Cavallone, una giovane donna, magistrata, scomparsa a soli trentasei anni dopo una lunga lotta contro il cancro. Una malattia che peraltro non le impedì di amministrare giustizia fino all’ultimo in quell’aula del Tribunale Penale di Roma che, per tale motivo, da allora porta il suo nome.
Come è stato già più volte ricordato in occasione delle precedenti edizioni del premio, Giulia Cavallone è stata una donna e una giurista di respiro internazionale.
Dopo essersi laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università Roma Tre, con una tesi dal titolo “Il reato transnazionale in materia di terrorismo”, conseguì successivamente il dottorato di ricerca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, in cotutela con l’Universitè Paris II – Panthéon Assas, con una tesi dal titolo “Obblighi europei di tutela penale e principio di legalità in Italia e in Francia”.
Grazie a numerose borse di studio vinte, svolse periodi di ricerca anche presso l’Università di Losanna e presso l’Istituto di diritto penale straniero e internazionale “Max Planck” di Friburgo, in Germania.
Svolse altresì uno stage presso la Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, a Bruxelles, ove ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni europee.
Fu giudice penale presso il Tribunale di Velletri, sino all’ottobre 2018, e successivamente ricoprì le medesime funzioni presso il Tribunale di Roma sino alla data della sua morte, prematura e ingiusta, avvenuta in una tiepida mattina del 17 aprile 2020.
In considerazione dell’apprezzamento unanime della sua figura professionale e umana, del prestigio acquisito in Italia e all’estero nonostante la giovane età, del suo instancabile esercizio della funzione giurisdizionale, che la portò a presiedere sino all’ultimo le udienze di un delicato processo d’interesse nazionale, nonché del suo impegno sociale nel promuovere in prima persona l’emancipazione e la difesa dei diritti delle donne lavoratrici in Senegal, la Giunta Capitolina di Roma ha deliberato il 30 ottobre 2020 di riservarle un’area presso il Cimitero Monumentale del Verano, quale persona che ha onorato con la sua vita la città di Roma in Italia e nel mondo.
Anche il Tribunale di Velletri, sua prima sede di servizio ha deliberato, come già avvenuto a Roma, di intitolarle l’aula dove ella aveva tenuto le sue udienze.
In linea con la sua storia personale, il Premio “Giulia Cavallone” ha pertanto lo scopo di finanziare soggiorni di studio presso Università e altri centri esteri di riconosciuto prestigio per consentire a giovani dottorandi nel campo del diritto e della procedura penale di ampliare le loro conoscenze, così da formare giuristi sensibili alle diversità culturali, con una mente aperta, critica e disposta al confronto, la cui azione sia improntata ai valori della solidarietà e della tutela della persona, così com’era Giulia Cavallone.
Come hanno già scritto di lei, Giulia Cavallone «era arrivata in magistratura dopo anni di vita vissuta, dedicati con passione alla ricerca e all’accademia, da giurista (e da persona) matura e raffinata, cui erano bastati pochi mesi di preparazione per superare il concorso. Pochi mesi in cui Giulia studiava di sera, in un monolocale al sesto piano senza ascensore dal cui abbaino si vedeva la Tour Eiffel, di ritorno da lunghe giornate passate all’Institut de Droit Pénal china sulla sua tesi di dottorato. Pochi mesi durante i quali aveva vinto prestigiose borse di studio internazionali, aveva fatto la spola tra Parigi ed Heidelberg, aveva pubblicato articoli scientifici in lingue diverse, e diverse dalla propria, si era fatta ospitare a casa degli amici la sera prima delle conferenze internazionali in cui aveva relazionato. Mesi in cui aveva portato avanti il suo impegno nel volontariato, dando il via a nuovi importanti progetti, partendo per l’Africa. Tutto questo senza mai mancare una serata a teatro, una mostra, un concerto, un’occasione di viaggio, una cena con gli amici. E a cena Giulia dava il meglio di sé. Era una delle persone più brillanti che si potesse sperare di avere intorno. Il suo senso dell’umorismo era la punta dell’iceberg della sua intelligenza. Portava la propria erudizione ed il proprio spessore come si portano un paio di jeans, con la stessa leggerezza con cui, poi, avrebbe portato il fardello della malattia. Che non le avrebbe impedito di continuare a viaggiare, di costruire una casa con il suo compagno, di rinsaldare e coltivare le sue amicizie ed i suoi interessi, ed anzi l’avrebbe spinta a farlo con sempre maggior convinzione. La fatica fisica e morale delle cure, l’apprensione con cui parlava della malattia, l’estenuante alternarsi di speranza e sconforto, nel suo quotidiano sbiadivano dietro l’ironia con cui sapeva celarli …. La gentilezza di cui tutti raccontano era il sintomo di una grande maturità e consapevolezza di sé: non solo indole, ma frutto delle tante esperienze fatte, di un convinto e profondo umanismo. Di pari passo con la dedizione per il lavoro in cui così tanto credeva andava l’impegno che metteva in ogni altro aspetto del vivere, la cura che dedicava alle proprie relazioni, ai propri interessi e passioni, al costruire la propria esistenza di essere umano. Giulia aveva compreso che l’unico modo per essere un buon giudice, un giudice giusto, è essere una persona giusta, qualsiasi cosa voglia dire. Rispettosa della vita e del mondo. Studiosa non solo del diritto, ma dell’umano. (Sibilla Ottoni, Giustizia Insieme, 17 Aprile 2021)»
L’eredità che ci lascia Giulia Cavallone è quella di un esercizio della funzione giurisdizionale come servizio da rendere, mai come un privilegio, sempre con competenza, compostezza, garbo e umanità, aspetti della sua personalità particolarmente ammirabili in un momento storico in cui sembrano prevalere su tutto l’incompetenza, la superficialità, l’incontinenza verbale ed emotiva, il desiderio di fama e di potere come massima realizzazione dell’essere umano.
In questo spirito, il Premio si propone quindi come obiettivo di contribuire a formare non soltanto migliori operatori del diritto ma, anche, migliori cittadini del mondo.
Nell’edizione 2023 il Premio, che, come detto, sarà formalmente consegnato il 12 gennaio 2024, è stato attribuito alla dottoressa Federica Ceccaroni, dottoranda presso l’Università della Tuscia, relativamente al progetto di ricerca “Il concorso dell’impresa nei crimini internazionali tramite azioni “neutrali”. Profili di diritto penale internazionale economico”.
La dottoranda di ricerca in diritto penale internazionale propone di perfezionare presso l’École normale supérieure (ENS) di Parigi lo studio della responsabilità penale degli enti per crimini internazionali, in particolare sollevando l’interrogativo sulla natura delle c.d. azioni neutrali (attività commerciali ordinarie, che appaiono non correlate alla condotta illecita di altri attori), attraverso la lente degli emergenti obblighi di due diligence in materia di diritti umani.
La salvaguardia dei diritti umani attraverso il diritto internazionale è da tempo al centro degli interessi della dottoressa Ceccaroni. Ella, infatti, ha svolto periodi di studi in importanti università straniere (Università di Oxford e Stockholms Universitet, Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law).
La ricerca proposta parte dalla rilevazione fattuale della inadeguatezza dello strumento penale ad affrontare il tema delle violazioni massive dei diritti umani, perpetrate attraverso attività imprenditoriali che si avvalgono di condizioni ambientali che le rendono possibili.
La dottoressa Ceccaroni osserva come la globalizzazione abbia esacerbato forme di criminalità di impresa che attentano ai diritti umani più “nucleari”, nonché avviato un processo di crisi della forza regolativa della legge. L’emergere di nuove forme di giuridicità finisce però, nelle parole della dottoressa, per tessere uno ius commune, che ella auspica poter costituire la base per la rinascita di strumenti regolativi vincolanti. Vengono così introdotte le risposte giuridiche, policentriche e multilivello, relative al fenomeno considerato, al cui interno si situa il diritto punitivo, nazionale e internazionale. Da questo discendono insieme l’importanza e il limite del diritto penale dinanzi al c.d. State corporate crime, ove si intrecciano pubblico e privato e anch’esso oggetto di approfondimento nel progetto di ricerca.
In questo contesto appare puntuale e di particolare interesse l’attenzione verso l’estensione dei limiti della territorialità del diritto punitivo, anche attraverso il concetto di due diligence. A questa idea di un diritto senza confini contribuisce, nell’impostazione della ricerca proposta, anche la giurisdizione domestica, per “la tendenza dei tribunali nazionali a farsi carico delle domande di giustizia provenienti dalle vittime di abusi commessi da attori economici” che si inserisce nel “processo di «denazionalizzazione» del diritto interno, resa possibile attraverso l’attività delle corti giudiziarie”.
Infine, la ricerca analizza le potenzialità e i rapporti con il diritto punitivo classico, interno ed internazionale, di nuovi strumenti sanzionatori, c.d. unilaterali, con finalità preventive e di conformazione della condotta ma che si presentano come vere e proprie sanzioni parapenali, senza peraltro necessità di nesso territoriale, quali quelle previste dal Global Magnitsky Human Rights Accountability Act statunitense.
La complessa proposta di ricerca si conclude con l’interrogativo, cui intende fornire elementi valutativi, circa il diritto penale internazionale come ultima ratio e il suo rapporto con la risposta simbolica degli Stati.
La dr.ssa Ceccaroni potrà avvalersi della opportunità di studio presso l’ENS per completare i molti aspetti aperti della sua ricerca, contribuendo così a un settore del diritto penale in rapida evoluzione e centrale per la tutela dei diritti umani.
È stato altresì giustamente segnalato, dalla Commissione aggiudicatrice del Premio, l’impegno della vincitrice nel volontariato, sia nell’assistenza ai detenuti duranti i corsi di laurea, sia all’estero per la formazione e istruzione di bambini in condizioni disagiate presso il Potter’s Village di Dodowa, nella Regione della Grande Accra in Africa (Ghana), impegno che rimanda inevitabilmente a quello di Giulia Cavallone per l’emancipazione delle donne lavoratrici in Senegal, in un ideale passaggio di testimone nelle attività a favore dei soggetti più deboli.
È auspicio della Fondazione Calamandrei e della Famiglia Cavallone che, anche per il futuro, l’esempio di Giulia possa contribuire a cambiamenti verso una società più giusta, in armonia con quello che può essere ricordato come il suo invito rivolto a tutti noi: “Siate giusti, siate gentili”.