Alcuni chiarimenti in merito all’autotutela doverosa di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, l. n. 241 del 1990 (nota a Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415)
di Federica Campolo
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. La nozione di autotutela doverosa. – 3. Le critiche all’interpretazione del Giudice di primo grado. - 4. La decisione del Consiglio di Stato e brevi osservazioni conclusive.
1. Il caso di specie.
La pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, che decide su tre differenti ricorsi in appello riuniti, risulta di particolare interesse per l’ampia ricostruzione che svolge del controverso istituto della c.d. “autotutela doverosa”[1], del quale effettua un’importante analisi interpretativa.
L’intricata vicenda che ha offerto al Consiglio di Stato l’occasione di fornire dei chiarimenti sull’applicabilità dell’autotutela doverosa è, sinteticamente, la seguente.
La proprietaria di un immobile, di seguito identificata come sig.ra A, proponeva ricorso ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. innanzi al T.A.R. Puglia, per domandare l’accertamento del silenzio inadempimento – e il conseguente dovere del Comune di Barletta di emanare un provvedimento espresso – formatosi su due diffide da questa presentate. Le diffide avevano a oggetto, rispettivamente, la richiesta di attivazione dei controlli e l’annullamento in autotutela di alcuni titoli edilizi, che avevano autorizzato rilevanti interventi su di un manufatto costruito in adiacenza alla proprietà della ricorrente e dei quali rivendicava l’illegittimità. Gli interventi avevano comportato la sopraelevazione del manufatto rispetto all’immobile della sig.ra A, che, in precedenza, lo sovrastava[2].
Tale ricorso faceva seguito all’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Bari, che aveva condannato la vicina di casa, di seguito identificata come sig.ra B, e il suo progettista per il reato di cui all’art. 481 c.p. “Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità” oltre che il tecnico comunale incaricato dell’istruttoria per il reato di cui all’art. 479 c.p. “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”. In tale sede il Giudice penale aveva rilevato che la qualificazione delle opere, dapprima come manutenzione leggera, in seguito come ristrutturazione leggera, fosse falsa, trattandosi, invece, di una nuova costruzione, da ritenersi, pertanto, abusiva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001[3][4].
Il T.A.R Puglia accoglieva il ricorso, condividendo la tesi sostenuta dalla sig.ra A secondo cui, la disposizione di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990[5], applicabile nel caso di specie, configurasse una forma di autotutela doverosa. Questa avrebbe comportato l’obbligo per l’Amministrazione di annullare il titolo edilizio formatosi sulla base di dichiarazioni false o mendaci, attestate da una sentenza penale passata in giudicato. Concludeva, pertanto, il Giudice di prime cure affermando che l’Amministrazione, sollecitata dal privato interessato, fosse tenuta a emanare un provvedimento espresso, capace di riportare lo stato dei luoghi a una situazione di conformità con la normativa urbanistica e edilizia.
La sentenza veniva appellata dal Comune sulla base, essenzialmente, dell’asserita illegittimità del riconoscimento di tale specifica forma di autotutela doverosa, di cui disconosceva in radice la configurabilità[6].
Di converso, la sig.ra A si costituiva in giudizio per domandare il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del T.A.R, affermando, in particolare, dovesse ritenersi esclusa ogni esigenza di tutela dell’affidamento in presenza di un istante mendace, risultando l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela, in tali ipotesi, in re ipsa.
Il Consiglio di Stato, sez. VI respingeva l’istanza cautelare dell’appellante, ritenendo che la sentenza del T.A.R Puglia si fosse limitata a prevedere l’obbligo di provvedere da parte del Comune sulla domanda formulata dalla parte ricorrente in primo grado, senza vincolare il contenuto del successivo provvedimento.
A seguito di tale decisione cautelare, la sig.ra A avanzava al T.A.R Puglia istanza di nomina di un commissario ad acta, che si sostituisse all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a. Il commissario ad acta procedeva, dunque, all’annullamento dei titoli edilizi riferiti all’intervento abusivo, intimando la demolizione di quanto eccedente la ristrutturazione legittima. Tra i titoli oggetto di annullamento erano ricompresi anche i permessi di costruire in sanatoria, estranei al contenuto del giudicato penale[7].
Avverso tali provvedimenti presentavano reclamo al T.A.R. Puglia sia la sig.ra A sia la dante causa della sig.ra B, chiedendo il loro annullamento, la prima in quanto asseritamente elusivi della pronuncia di primo grado, la seconda lamentando l’eccessiva estensione contenutistica dei provvedimenti adottati, che avrebbero travalicato anche il perimetro del giudicato penale.
Il T.A.R respingeva entrambi i reclami.
Avverso tale ultima pronuncia veniva proposto appello da entrambe le parti che avevano presentato il sopra richiamato reclamo.
La sig.ra A., più precisamente, contestava i provvedimenti adottati dal commissario ad acta rilevando che, poiché la sentenza da attuare imponeva di riportare lo stato dei luoghi alla legalità, l’unico modo per conformarsi al dettato del Giudice amministrativo sarebbe stato quello di ordinare la demolizione dell’intero corpo di fabbrica e non, invece, della sola parte eccedente la ristrutturazione legittima. Il commissario ad acta con la sua decisione avrebbe acconsentito a una indebita fiscalizzazione dell’abuso edilizio, in violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Venivano ribadite dalle parti le differenti posizioni già espresse in merito all’istituto dell’autotutela doverosa.
2. La nozione di autotutela doverosa.
Prima di giungere alla decisione sul caso sopra descritto, il Collegio effettua un’attenta ricostruzione dell’autotutela doverosa, il cui corretto inquadramento è posto come nodo centrale da sciogliere o, meglio, usando le parole del Giudice, vero “punctum dolens” della controversia.
Va evidenziato, per meglio comprendere la problematicità della questione, che, con riferimento in termini generali all’annullamento in autotutela, la giurisprudenza amministrativa riconosce pacificamente la legittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza del privato, in ragione, essenzialmente, della sua natura discrezionale[8]. Pertanto, l’asserita illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione potrebbe configurarsi solo nel caso si ritenesse l’art. 21nonies, comma 2 bis, disciplinante un’ipotesi di autotutela doverosa, nei termini precisati nel prosieguo.
Il Consiglio di Stato, sul punto, ha individuato due ordini di problemi da risolvere: in primo luogo, la riconducibilità o meno del caso di specie alla categoria dell’autotutela doverosa, in secondo luogo, in caso di risposta affermativa, la sua esatta estensione.
Nel delimitare la portata dell’autotutela doverosa il Giudice ha ritenuto fondamentale stabilire se questa fosse da limitare all’an, cioè da intendersi come comportante l’obbligo per l’Amministrazione di avviare il procedimento e fornire un riscontro all’istanza del privato ovvero se fosse da estendere – utilizzando una terminologia probabilmente non del tutto appropriata – al quomodo[9], per cui vi sarebbe l’obbligo in ogni caso di adottare un provvedimento caducatorio[10].
Nel fornire una nozione di autotutela doverosa il Consiglio di Stato osserva, in prima battuta, la contraddittorietà di tale locuzione, in ragione della discrezionalità che, come noto, caratterizza l’emanazione dei provvedimenti di secondo grado da parte delle Amministrazioni. Chiarisce il Collegio che si ha autotutela doverosa in tutte quelle ipotesi, tassativamente individuate dal legislatore ovvero definite chiaramente in via giurisprudenziale, in cui il potere di riesame dei propri atti da parte delle Amministrazioni è dovuto[11].
Questo istituto si è affermato prima ancora della riforma attuata nel 2005[12] alla legge sul procedimento, che, come noto, ha introdotto il Capo IV-bis, dedicato alla disciplina dell’efficacia e invalidità del provvedimento amministrativo, normando in termini generali l’istituto dell’autotutela. Una delle sue prime applicazioni è contenuta all’art. 6, comma 17 della l. n. 127 del 1997[13], che individuava l’obbligo per gli enti locali di autoannullare i propri provvedimenti di inquadramento del personale illegittimi.
Ulteriore esempio di autotutela doverosa, citato nella pronuncia in esame, si trova all’art. 94 del d.lgs. n. 159 del 2011[14], per cui, in talune ipotesi correlate a tentativi di infiltrazioni mafiose, devono essere revocate le autorizzazioni e le concessioni o sciolti i contratti già stipulati.
Ancora, tra le ipotesi di più frequente applicazione vi è l’art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, disciplinante l’esercizio doveroso dei poteri inibitori da parte delle pubbliche amministrazioni, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3 o comma 6 bis, nei casi in cui vi siano i presupposti dettati dall’art. 21 nonies per l’annullamento d’ufficio[15].
Attenta dottrina ha delineato la sottocategoria dell’autotutela doverosa “parziale”, in cui cioè si assiste a una semplice dequotazione del termine di cui all’art. 21 nonies – ragionevole o di 12 mesi, nel caso di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici – per procedere all’annullamento d’ufficio[16]. Ne è un esempio l’autotutela doverosa di cui al caso di specie, ma anche l’art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001, che estende a 10 anni dall’adozione di deliberazioni e provvedimenti comunali autorizzativi di interventi illegittimi la possibilità di annullarli da parte delle regioni.
Un’ipotesi di autotutela doverosa largamente diffusa in passato, ma oggi espunta dall’ordinamento, è quella di cui all’abrogato art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004[17], che obbligava le Amministrazioni, fatti salvi alcuni temperamenti per i provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali, ad annullare i provvedimenti illegittimi, al fine di garantire un risparmio di spesa pubblica[18].
Svolta una ricostruzione generale sull’istituto controverso, il Consiglio di Stato si concentra, infine, sull’ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis[19].
Viene ulteriormente chiarito che trattasi di un caso di autotutela doverosa parziale, per cui è consentito all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento in autotutela oltre i termini fissati dal legislatore. Nel caso in esame è corretto, secondo l’interpretazione del Giudice d’appello, parlare di autotutela doverosa proprio perché, pur a distanza di anni, la legge impone il riesame del provvedimento.
L’attenzione è, poi, posta sulla formulazione letterale della disposizione.
In particolare, l’impiego dell’espressione “possono essere annullati”, rende chiaro come al ricorrere dei casi di “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato” non venga imposto alle Amministrazioni senz’altro l’annullamento dei provvedimenti. La disposizione in analisi, pertanto, nell’interpretazione offerta dalla pronuncia in commento, impone il riesame del provvedimento, senza tuttavia vincolarne gli esiti.
Affinché, in questi casi, si debba procedere con l’emanazione di un provvedimento in autotutela è, infatti, essenziale che sia verificata la sussistenza degli ulteriori presupposti di cui al comma 1 dell’art. 21 nonies. Tra questi, diversamente dall’ipotesi generale di cui all’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990[20], non rientra la valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento, dal momento che non si pongono esigenze di tutela nei confronti di soggetti che abbiano ottenuto un vantaggio sulla base di dichiarazioni false o mendaci[21].
In realtà, nel caso di specie, in apparente contraddizione, la pronuncia in commento chiarisce che sarebbe stato necessario tenere in considerazione il subentro nella proprietà della figlia della sig.ra B, “in apparenza estranea ai fatti di causa, non potendosene presumere la connivenza per il solo fatto del rapporto di filiazione con la precedente proprietaria”.
In questo modo, la pronuncia in commento va a sottolineare come la conservazione della discrezionalità nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis svolge un’essenziale funzione garantista nel caso, non infrequente nella pratica, in cui non vi sia coincidenza tra autore del reato e destinatario dell’autotutela, venendo così in considerazione il suo affidamento incolpevole[22].
In tale prospettiva, il Collegio evidenzia come tra gli elementi oggetto di valutazione in queste ipotesi assuma un significato pregnante il fattore temporale. In considerazione del lungo lasso di tempo che può intercorrere tra l’emanazione di un provvedimento favorevole e l’accertamento in sede penale della dichiarazione falsa o mendace, secondo il Consiglio di Stato l’Amministrazione non potrà esimersi dal valutarne l’incidenza, tornando così a espandersi l’operatività della ragionevolezza del termine.
3. Le critiche all’interpretazione del Giudice di primo grado.
Come accennato nella ricostruzione in fatto, il Giudice di prime cure aveva accolto il ricorso valorizzando la tesi per cui, nel caso di specie, ci si troverebbe dinnanzi a un’ipotesi di autotutela doverosa, che impone all’Amministrazione l’adozione di un provvedimento espresso.
A sostegno di tale lettura, è stata offerta un’elencazione di disposizioni normative. Si è fatto riferimento, in particolare, all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato dall’art. 19 bis della l. n. 241 del 1990, che pone sull’Amministrazione precisi doveri di diligenza. È stato richiamato, inoltre, il combinato disposto degli artt. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 con gli artt. 537, 651 e/o 654 c.p.p. disciplinanti gli effetti del giudicato penale sull’attività amministrativa. Infine, veniva fatta leva sulla portata compulsiva delle possibili ripercussioni risarcitorie in caso di accertata responsabilità erariale dei dipendenti del Comune.
Il Consiglio di Stato, chiarito come l’ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis costituisca un caso di autotutela doverosa, da intendersi non come individuante un obbligo di emanare senz’altro un provvedimento di secondo grado, ma solo nel senso di imporre la valutazione dell’istanza di autotutela presentata dal privato interessato, oltre i termini di legge, verificando la sussistenza dei presupposti di cui al suo primo comma, offre ampie riflessioni volte a superare l’interpretazione del T.A.R.
In primo luogo, viene esaminato l’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 e confrontato con l’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990[23].
L’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, come noto, stabilisce che, qualora emerga, all’esito di un controllo, la non veridicità del contenuto di una dichiarazione, il dichiarante decade automaticamente dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.
Secondo il Collegio è errato estendere tale automatismo al caso di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990. Eliminando i profili di discrezionalità insiti in tale ultima disposizione, attraverso una rigida applicazione dell’art. 75, verrebbe infatti snaturato l’istituto dell’autotutela, benché conseguente a un accertamento penale.
Una simile lettura porterebbe, infatti, a una sostanziale interpretatio abrogans dell’art. 21 nonies, comma 2 bis“derubricandolo a mero richiamo a un meccanismo sanzionatorio rinvenibile aliunde”, che si mostra incompatibile con il dato letterale già sopra evidenziato, in relazione all’utilizzo del verbo servile potere.
Secondo l’interpretazione offerta nella pronuncia in commento, la clausola di salvaguardia contenuta all’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990 “fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonchè delle sanzioni previste dal Capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 245” evoca più propriamente un cumulo di sanzioni/conseguenze della declaratoria falsa, ma non la sovrapposizione delle due ipotesi, con conseguente assorbimento di quella più rigorosa di cui all’art. 75, comma 1, in quella meno rigorosa di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis.
Passando all’argomento legato ai profili di responsabilità erariale, va chiarito che la lettura del T.A.R., per cui questi contribuirebbero a sostenere l’automatismo caducatorio insito nell’art. 21 nonies, comma 2 bis, deriva dall’ultimo periodo del suo comma 1, in forza del quale “rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”. Tale disposizione, in ragione della sua collocazione sistematica, sarebbe applicabile a tutti i casi di autotutela[24].
Secondo il Giudice d’appello, tuttavia, tale lettura non è condivisibile. La citata disposizione di cui all’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 21 nonies, pur costituendo una clausola di salvaguardia, che contribuisce a limitare la discrezionalità dell’Amministrazione, non può essere intesa come capace di rendere doveroso l’annullamento in autotutela.
Questa, infatti, impone all’Amministrazione semplicemente di tenere in considerazione, in fase di valutazione discrezionale, la necessità di evitare effetti pregiudizievoli per la stessa, mirando quindi a prevenire comportamenti negligenti nell’esercizio della funzione pubblica.
Infine, viene posto a vaglio critico il richiamo all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempre finalizzato a sostenere la doverosità dell’annullamento d’ufficio a seguito dell’accertamento penale. Si ricorda che la sig.ra A aveva presentato due differenti istanze al Comune, l’una di autotutela ex art. 21 nonies, comma 2 bis, l’altra di esercizio dei poteri di vigilanza, ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Nel confutare tale argomento il Consiglio di Stato pone in risalto la sostanziale differenza sussistente tra attività di controllo del territorio e attività di controllo sulla legittimità degli atti, profili profondamente intricati e spesso indebitamente sovrapposti[25].
Chiarisce il Consiglio di Stato che l’art. 27 citato, rubricato “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia” costituisce uno strumento conferito per dare effettività alle scelte di pianificazione urbanistica e “attiene alla verifica, effettuabile senza limiti di tempo, della conformità degli interventi al regime di edificabilità dei suoli, per come cristallizzati nei titoli edilizi, ove rilasciati, ovvero all’illecita realizzazione in assenza degli stessi di modifiche che in qualche modo impattino sul territorio”. Il controllo sulla legittimità e quindi l’esercizio del potere di autotutela, invece, implica esclusivamente la possibilità di annullamento dei provvedimenti, sussistendone i presupposti di legge.
Secondo il Collegio, nonostante la difficoltà ermeneutica che comporta distinguere tra le due ipotesi, si tratta questo di uno sforzo che il Comune è chiamato necessariamente a compiere “così da distinguere i profili di illegittimità, rilevabili ex post nei limiti dell’autotutela, da quelli di illiceità, stigmatizzabili in qualunque momento”.
Evidenzia, infine, che il Giudice di primo grado ha sostanzialmente sovrapposto le richieste di autotutela e di controllo, operando così un’indebita commistione dei due diversi piani, arrivando “a giustificare la doverosità della prima in ragione della sussistenza dei compiti di controllo”.
4. La decisione del Consiglio di Stato e brevi osservazioni conclusive.
A seguito della complessa ricostruzione del fatto, nonché della definizione dell’istituto dell’autotutela doverosa, capace di chiarirne la portata applicativa, il Consiglio di Stato procedeva all’accoglimento del ricorso del Comune di Barletta.
Il Collegio, in particolare, mostrava di non condividere la decisione del Giudice di primo grado che, di fatto, aveva imposto l’annullamento in autotutela dei titoli edilizi sopra descritti, evidenziando che nel giudizio avverso il silenzio non è consentito al Giudice, in presenza di attività discrezionale, valutare la fondatezza della pretesa azionata. Ciò in quanto, come sopra chiarito, i poteri di autotutela di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990 sono caratterizzati da discrezionalità, imponendo doverosamente solo l’esame dell’istanza del privato, ma non l’emanazione di un provvedimento di annullamento in secondo grado.
Chiariva, quindi, che il Comune era tenuto a riscontrare l’istanza di autotutela della sig.ra A, potendo poi stabilire, nell’esercizio della propria discrezionalità, se procedere o meno all’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi.
Nell’esercizio dei poteri di vigilanza di cui all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, invece, era obbligato, in ogni caso, ad attivare il relativo procedimento sanzionatorio, dando riscontro alla richiedente dell’eventuale adozione di provvedimenti demolitori ovvero della loro mancata adozione.
Va osservato che, nonostante nella pronuncia in commento il Consiglio di Stato abbia dato credito all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dell’istituto dell’autotutela doverosa, di fatto, nel definirne i confini, ne ha condivisibilmente evidenziato la sua ontologica inconsistenza.
Non condividendo l’automatismo caducatorio nelle ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241 del 1990 ed evidenziando la natura discrezionale insita nelle valutazioni propedeutiche all’eventuale emanazione del provvedimento di annullamento in autotutela, infatti, il Giudice ha riportato tale disposizione nell’ordinaria categoria dell’annullamento d’ufficio.
Anche nei casi di cui al citato art. 21 nonies, comma 2 bis, l’Amministrazione è chiamata a effettuare un bilanciamento tra l’interesse al ripristino della legalità violata e quello alla conservazione del titolo. Uniche differenze rispetto alle ipotesi di autotutela “tradizionali” sono legate, da un lato, al superamento dei limiti temporali dettati dal comma 1 dell’art. 21 nonies, dall’altro, al ridotto onere motivazionale – in caso si decidesse di optare per l’annullamento – conseguente all’assenza di una posizione di affidamento in capo al privato e alla presunzione della sussistenza dell’interesse pubblico.
Per quanto suggestivo possa apparire il richiamo a una forma di autotutela doverosa, è evidente come questa ricostruzione possa risultare fuorviante, inducendo, come nel caso della sentenza del T.A.R Puglia, a vincolare l’Amministrazione in ogni caso a esercitare i propri poteri di annullamento d’ufficio, andando così ad arbitrariamente forzare il testo legislativo[26].
Certo è che la sentenza in commento, pur avendo fornito un’interpretazione della disposizione controversa coerente con il dato letterale – oltre che con la dottrina maggioritaria – e capace di contemperare i diversi interessi in gioco attraverso il “salvataggio” della discrezionalità, avrebbe forse preferibilmente potuto spingersi fino a contestare in radice la configurabilità, in tali ipotesi, dell’autotutela doverosa.
Come evidenziato, l’unica vera doverosità presente nel caso di specie si ritrova nell’elemento dell’an, cioè nel necessario avvio di un procedimento di secondo grado, il cui esito, tuttavia, non è vincolato dal giudicato penale. Questa lettura va a uniformarsi a quell’interpretazione dottrinale, nell’opinione di chi scrive del tutto condivisibile, che, come sopra accennato, imporrebbe all’Amministrazione in ogni caso di autotutela di emanare un provvedimento espresso a seguito dell’istanza del privato portatore di un interesse qualificato[27].
[1] Sull’autotutela doverosa, in dottrina, tra i più recenti contributi, si vedano, ex multis, N. Posteraro, Il dovere di provvedere a fronte di una richiesta di annullamento in autotutela, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, 2023, 359-361; M. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effet utile, in CERIDAP, 4, 2020; F.V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in www.federalismi.it, 14, 2018; S. Tuccillo, Autotutela: potere doveroso?, ivi, 16, 2016; N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), ivi, 20, 2017; G. Manfredi, Annullamento doveroso?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2017; C. Deodato,L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1190 ss.
[2] Più precisamente, come si legge nella ricostruzione in fatto svolta dal Consiglio di Stato, le autorizzazioni edilizie rilasciate avevano ammesso che alla palazzina, originariamente articolata su tre piani fuori terra e uno seminterrato, venisse aggiunto un piano, costruendovi in adiacenza un ulteriore locale, coperto integralmente da un lastrico solare, così da trasformare la residua parte della terrazza in una specie di portico chiuso su tre lati, reso accessibile mediante un “torrino”, funzionale all’allocazione delle scale.
[3] L’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Sanzioni penali”, al suo comma 1, lett. b) prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica […]” “b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5164 a 51645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione”.
[4] Si precisa che entrambi i capi di imputazione si riferivano a una d.i.a. del 2007 per lavori di manutenzione straordinaria e a un permesso di costruire in sanatoria del 2008, che ne mutava l’inquadramento riconducendoli a una ristrutturazione leggera.
[5] L’art. 21 nonies, comma 2 bis prevede che “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertante con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, 445”.
[6] Secondo la difesa civica, questa lettura troverebbe conferma sia nella giurisprudenza costituzionale sia nella formulazione dell’art. 21 nonies, comma 2 bis, che espressamente parla di potere e non di dovere delle Amministrazioni “di annullare i provvedimenti conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”, anche dopo la scadenza del termine di cui al suo comma 1. Inoltre, inconferenti sarebbero i richiami – effettuati da controparte a sostegno della tesi dell’autotutela doverosa – all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, che farebbe riferimento al diverso compito di vigilanza sul territorio gravante sul Comune, sia all’art. 654 c.p.p., che estende la portata del giudicato penale al solo responsabile civile (o parte civile) che abbia preso parte al procedimento penale, diversamente dal caso di specie, in cui il Comune se ne è mantenuto estraneo.
[7] Successive alla già citata d.i.a. del 2007 e al permesso di costruire del 2008 sono due sanatorie rilasciate nel 2011. La prima finalizzata ad azzerare l’originario procedimento sovrapponendone un altro, la seconda, invece, assentita in variante al permesso di costruire del 2008 e successiva d.i.a. in variante, più volte modificata.
[8] Si segnala, tra le più recenti pronunce in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 9 gennaio 2024, n. 301, in Red. Giuffrè, 2’24, secondo cui “In caso di presentazione di istanza di autotutela, l’amministrazione non ha l’obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita in quanto la relativa determinazione costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l’amministrazione per la tutela dell’interesse pubblico; non è quindi configurabile un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale, soprattutto nell’an, del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all’esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente”.
In dottrina, recentemente, si sono affermate talune posizioni contrarie a questo consolidato indirizzo. Cfr. M. Sinisi, La nuova azione amministrativa: il “tempo” dell’annullamento d’ufficio e l’esercizio dei poteri inibitori nel caso di s.c.i.a. Certezza del diritto, tutela dei terzi e falsi miti, in www.federalismi.it, 24, 2015 e M. Allena, La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio: un “fossile vivente” nell’evoluzione dell’ordinamento amministrativo, ivi, 8, 2018. Alcune delle argomentazioni offerte, in tal senso, come si dirà nel prosieguo, sono state utilizzate dalla sig.ra A. e poi dal T.A.R Puglia, a sostegno della natura doverosa dell’autotutela di cui all’art. 21 nonies, che vincolerebbe, inoltre, come sopra chiarito, l'Amministrazione ad annullare i provvedimenti viziati.
[9] Sulla distinzione, in tema di autotutela doverosa, tra diversi profili si veda N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa, cit., 4 ss. L’ A., invero, ritiene più corretto fare riferimento alla doverosità nel quid, anziché nel quomodo, per riferirsi all’obbligo di adottare un dato provvedimento. C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, cit., 1193 fa riferimento al doveroso rispetto del quomodo nell’autotutela intendendo, con tale espressione, le regole d’azione cogenti.
[10] Va precisato che, come accennato nella ricostruzione in fatto, il T.A.R. Puglia, riconoscendo la natura doverosa dell’autotutela di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, ritenuta applicabile al caso di specie, ne aveva altresì esteso la portata al quomodo, così inteso. Il Giudice di primo grado aveva fatto discendere tale interpretazione dalle seguenti disposizioni: l’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, relativo alla decadenza dei benefici conseguiti tramite dichiarazioni menzognere, richiamato dall’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990; l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia”; gli artt. 19 e 20 della l. n. 241 del 1990, in materia, rispettivamente, di s.c.i.a. e silenzio assenso. Venivano valorizzati, inoltre, i profili legati alla responsabilità amministrativa, che esponendo l’Amministrazione ad azioni di rivalsa per i danni erariali dei propri dipendenti, imporrebbero di determinarsi espressamente al fine di evitarli. Infine, il giudicato penale esplicherebbe i propri effetti ai sensi degli artt. 537, 651 e/o 654 c.p.p, obbligando all’assunzione di una posizione in forma espressa.
[11] Sulla configurabilità, in termini generali, dell’autotutela doverosa, tra le più recenti pronunce si vedano Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2207, in Riv. giur. ed., 2021, 2, 467; Id, 31 dicembre 2019, n. 8920, ivi, 2020, 1, 97; Id, 29 maggio 2019, n. 3576, in Red. Giuffrè, 2019 e Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8, in Riv. giur. ed., con nota di N. Posteraro.
[12] L. 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”.
[13] L. 15 maggio 1997, n. 127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”, pubblicata in G.U. n. 113 del 17 maggio 1997 – Suppl. Ordinario n. 98. L’art. 6, comma 17, prevede che “Entro il 30 settembre 1998 gli enti locali sono tenuti ad annullare i provvedimenti di inquadramento del personale adottati in modo difforme dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347, e successive modificazioni ed integrazioni, e a bandire contestualmente i concorsi per la copertura dei posti resisi vacanti per effetto dell’annullamento. […]”
[14] D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”. Più precisamente, l’art. 94 del d.lgs. n. 159 del 2011, al suo comma 2 stabilisce che “Qualora il prefetto non rilasci l'informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all'articolo 92 comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, ed all'articolo 91, comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. In giurisprudenza si veda, ex multis, Cons. giust. Amm. Sicilia, 30 marzo 2020, n. 223, in www.giustizia-amministrativa.it, che afferma che “L’amministrazione, qualora l’informativa antimafia sia stata rilasciata dopo la conclusione di un contratto o dopo l’erogazione di un contributo, ha il dovere imprescindibile di revocare il contributo già erogato, con efficacia ex tunc, essendo in questa ipotesi l’interesse pubblico alla revoca in re ipsa. Infatti, la revoca del contributo costituisce un vero e proprio dovere dell’amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate all’erario per effetto di una erogazione non dovuta di contributi pubblici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l’interesse pubblico all’adozione dell’atto è “in re ipsa” quando ricorre un indebito esborso di denaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato”.
[15] In giurisprudenza si rimanda, ex multis, a Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737, con la nota di N. Posteraro, Alcune considerazioni critiche su due questioni inerenti alla tutela del terzo leso da una SCIA a partire da una recente pronuncia del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 4, 2022, 957, in cui si legge che “L’autotutela di cui al comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, a fronte di un’istanza di intervento ai sensi dell’art. 19, comma 4, l’Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’art. 21 nonies”. Più recentemente si veda, anche, Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2023, n. 6837 con la nota di P. Otranto, Quando “tempus non regit actum”. Ancora sulla c.d. “autotutela” in materia di s.c.i.a., in questa Rivista, 20 dicembre 2023.
[16] Cfr. N. Durante, L’autotutela doverosa, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022.
[17] L. 30 dicembre 2004, n. 311, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria)”, in G.U. Serie Generale n. 306 del 31 dicembre 2004. L’art. 1, comma 136 citato stabiliva che “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo peridio di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
Nel vigore di tale disposizione la giurisprudenza aveva elaborato il principio di diritto per cui “l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’illegittimo inquadramento di un pubblico dipendente è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto l’atto oggetto di autotutela produce un danno per l’Amministrazione consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente, né in tali casi rileva il tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento di recupero dell’indebito” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 20 giugno 2012, n. 3595, in Foro amm. – CdS, 2012, 6, 1550.)
[18] Il sopra richiamato caso di abrogazione di un’ipotesi di autotutela doverosa è preso a esempio dal Consiglio di Stato per evidenziare come, nel tempo, sia mutato l’approccio verso il tema del riesame degli atti amministrativi, in ragione del differente contesto socio-economico. Nella pronuncia viene esplicato che attualmente si sta affermando una visione responsabilizzante delle Amministrazioni pubbliche, per cui viene attribuita una maggiore importanza alla completezza dell’istruttoria sulle istanze del privato, dato che va a dequotare l’impiego dei provvedimenti di secondo grado.
[19] Sull’art. 21 nonies, comma 2 bis, in dottrina si vedano, ex multis, M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, cit., 565 ss.; M.A. Sandulli, Edilizia, in Riv. giur. ed., 2022, 3, 171; Id, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, ivi, 18, 2019; V. Di Iorio, Osservazioni a prima lettura sull’autotutela dopo la l. n. 124/2015: profili di incertezza nell’intreccio tra diritto amministrativo e diritto penale, in www.federalismi.it, 21, 2015; M.A. Sandulli, Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, in www.federalismi.it, 17, 2015, 9.
[20] Il comma 1 dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 stabilisce che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.
[21] In tal senso anche Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2329, in Riv. giur. ed., 2021, 3, 921; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 5 gennaio 2021, n. 18, ivi, 2021, 2, 559; T.A.R Lombardia, Brescia, Sez. I, 12 giugno 2018, n. 574, ivi, 2018, 4, 1100 per cui “L’interesse pubblico all’eliminazione, ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, di un titolo abilitativo illegittimo è in re ipsa, a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente”.
[22] Cfr., M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, cit., 566.
[23] Per un’interpretazione del rapporto tra art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 e art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2207, cit.
[24] In tal senso in dottrina si è espressa, ad esempio, M. Sinisi, La nuova azione amministrativa: il “tempo” dell’annullamento d’ufficio e l’esercizio dei poteri inibitori nel caso di s.c.i.a. Certezza del diritto, tutela dei terzi e falsi miti, in www.federalismi.it, 24, 2015.
[25] Afferma il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, che “nella pratica, accade spesso che il richiamo all’imprescindibilità dei poteri di vigilanza divenga il grimaldello attraverso il quale legittimare controlli postumi, ovvero spostare in avanti il dies a quo di decorrenza del termine di silenzio assenso dilatando a dismisura il concetto di requisiti formali e sostanziali che la domanda deve possedere per poter essere valutata”.
[26] In tal senso, M. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effet utile, cit., afferma che “è da escludere che esistano, nel diritto interno, fattispecie di annullamento d’ufficio doveroso, atteggiandosi sempre l’atto di autotutela come provvedimento discrezionale, sia pure con diversi gradienti di discrezionalità in funzione del differente grado di rilevanza costituzionale degli interessi pubblici a tutela dei quali quell’atto interviene, potendosi al più immaginare che, in particolari vicende, vi sia una presunzione (iuris tantum) della ricorrenza di un interesse pubblico alla rimozione prevalente rispetto a quello che milita alla sua conservazione”.
[27] Questa interpretazione, oltre a risultare maggiormente in linea con il mutamento della relazione pubblico-privato, potrebbe garantire una consistente riduzione del contenzioso. In questa prospettiva, di interesse sono le conclusioni offerte da M. Allena, La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio, cit., 24-25, per cui “in un sistema democratico in cui l’amministrazione è al servizio dei cittadini (art. 98 Cost.), va superata una visione strettamente unilaterale dell’autotutela decisoria. […] Tuttavia, appaiono maturi i tempi per superare l’idea che tale istituto serva essenzialmente a garantire l’interesse della p.a. in quanto tale, rendendole più facile e immediata la possibilità di eliminare i propri atti illegittimi, senza alcuna (o, comunque, estremamente limitata) attenzione per l’interesse del cittadino che tale illegittimità subisce”.