di Marco Magri
Sommario: 1. I fatti all’origine del giudizio. – 2. L’ipotesi del “vuoto normativo” in tema di prova confidenziale – 3. La dubbia morfologia della “prova confidenziale” nel processo amministrativo. – 4. Focalizzazione del problema nel provvedimento monocratico in esame. – 5. Qualche precisazione conclusiva. – 6. Dove il “vuoto legislativo” esiste davvero.
1. I fatti all’origine del giudizio
La lettura di questo provvedimento istruttorio merita di essere accompagnata da una breve ricostruzione della controversia in cui è stato incidentalmente pronunciato.
Alla fine dello scorso mese di luglio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha concluso un procedimento sanzionatorio avviato nei confronti di due società del gruppo svedese Roxtec. Il procedimento era stato avviato su segnalazione della concorrente WallMax, che accusava la Roxtec di condotte illecite tenute allo scopo di conservare la posizione di leader nel proprio settore produttivo.
L’Autorità, ravvisati nel comportamento della Roxtec gli estremi dell’abuso di posizione dominante, ha ordinato la cessazione immediata del comportamento distorsivo della concorrenza ed imposto alle due società, in solido, il pagamento di una sanzione amministrativa di oltre 15 milioni di euro[1].
Nel successivo ricorso al TAR Lazio, depositato il 30 settembre 2023 e tuttora pendente[2], le società del gruppo Roxtec si sono viste respingere il 13 ottobre 2023 la domanda di sospensiva[3] ed hanno perciò proposto appello cautelare, depositando l’impugnazione al Consiglio di Stato il 27 ottobre 2023[4]. In attesa della camera di consiglio fissata al 16 novembre 2023, hanno chiesto ed ottenuto dal Presidente della sesta sezione di essere dispensate, in applicazione dell’art. 136 comma 2 c.p.a., dall’impiego delle modalità di deposito telematico di un documento: si trattava, come emerge dal decreto che ha accolto l’istanza (8 novembre 2023, n. 1348), di una sopravvenuta evoluzione stragiudiziale delle comunicazioni tra ricorrente e resistente, per via di una “risposta” che l’Autorità ha dato a Roxtec il 2 novembre 2023, dopo la costituzione nell’appello cautelare, “in relazione alla portata di un’ottemperanza ed alla richiesta di chiarimenti”. Di questo evidentemente era all’oscuro WallMax, non solo controinteressata ma anche avversaria di Roxtec in una parallela vicenda giudiziaria[5]. Donde le “particolari ragioni di riservatezza legate alle posizioni delle parti o alla natura della controversia” che secondo l’art. 136 comma 2 consentono l’esonero dal deposito digitale.
Le ricorrenti non hanno invece ottenuto che il deposito, oltre che in modalità non telematica, avvenisse anche “in forma confidenziale”, fosse cioè reso inaccessibile alle altre parti. Su questo il Presidente, con lo stesso decreto nel quale ha concesso l’esonero dal deposito telematico (n. 1348/2023), ha ricordato che i princìpi di “pubblicità” e di “contraddittorio” non permettono di ipotizzare “una documentazione conoscibile dal giudice che non sia accessibile alle parti”: chi agisce in giudizio può non depositare un documento che ritiene riservato o può depositarlo con omissis, ma non può pretendere che il giudice amministrativo ne tragga motivo di convincimento e al tempo stesso lo sottragga al confronto processuale.
Avendo la Roxtec insistito per l’accoglimento dell’istanza, due giorni dopo (10 novembre 2023) il punto di vista del Presidente è stato ribadito nel decreto che qui si annota (n. 1354), il quale conferma il rigetto servendosi di argomenti nuovi. Su questi ultimi si vorrebbe focalizzare l’attenzione.
2. L’ipotesi del “vuoto normativo” in tema di prova confidenziale.
Possiamo sorvolare sui passaggi in cui il decreto evoca la disciplina della prova confidenziale nel diritto processuale tedesco e nel regolamento di procedura dinanzi al Tribunale dell’Unione europea (art. 105). Valgano gli articoli di dottrina dai quali il provvedimento trae ispirazione[6]. Del resto, si tratta di uno sguardo oltreconfine che il Presidente lancia solo per rafforzare il suo convincimento – vero motivo della decisione – di trovarsi dinanzi ad una situazione non regolata dal diritto nazionale.
Il decreto n. 1354/2023 non è, infatti, una mera conferma del n. 1348/2023. Non è neanche un revirement, che apparirebbe piuttosto strano in un incidente istruttorio. Siamo dinanzi ad un convincimento che sostanzialmente resta il medesimo, ma che il giudice monocratico chiarisce, in sede di riesame, spostandosi da una posizione più netta (la richiesta di deposito riservato non è compatibile con i princìpi generali) ad un’altra meno categorica (la cd. prova confidenziale non è regolata dalla legge).
Astrattamente ciò che chiede Roxtec ha una sua identità concettuale – questo sembra il senso della nuova motivazione – se non ci si dovesse arrendere all’evidenza che “sul tema dell’ammissibilità della c.d. prova confidenziale (…) c’è un vuoto normativo non colmabile dal giudice”.
La prospettiva acquista quindi un orizzonte più incerto: in prima battuta l’espressione “prova confidenziale” non compariva neppure nel decreto n. 1348 e la pretesa di sottrare il documento alla WallMax era stata negata tout court al lume dei princìpi di pubblicità e contraddittorio. Ora la prova confidenziale viene presentata come una sorta di “istituto” non astrattamente incompatibile con quei princìpi, solo orfano di una legge; in sostanza come un problema di puro e semplice diritto positivo.
In questo senso si spiegano le citazioni alla dottrina tedesca e alla disciplina del processo dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, ma anche i richiami alle norme nazionali (ad esempio l’art. 203 c.p.p. sulla segretezza delle fonti di informazione nella testimonianza in materia penale) e alla giurisprudenza amministrativa sulla rilevanza processuale del segreto. Il tema del segreto è stato, d’altronde, recentemente risollevato dalla dottrina, appunto con riferimento alla disciplina del processo amministrativo, in un volume al quale lo stesso decreto n. 1354 sembra per molti aspetti volersi richiamare[7].
3. La dubbia morfologia della “prova confidenziale” nel processo amministrativo.
Verrebbe spontaneo a questo punto raccogliere e sviluppare con i dovuti approfondimenti le tante sollecitazioni che vengono dalla lettura del decreto n. 1354/2023.
Volendo tuttavia restare nei limiti di un breve commento, due rapidissime considerazioni si possono proporre. La prima è che la soluzione accolta è pienamente condivisibile: manca una norma che autorizzi pretese come quelle avanzate delle ricorrenti e non la si può estrapolare con il ricorso all’analogia, tanto meno con l’applicazione diretta di (inesistenti) princìpi generali sulla segretezza.
La seconda considerazione proviene dall’esame della motivazione, dalla cui lettura invece qualche interrogativo sorge naturale. Soprattutto uno, perché è una, la cosa che balza all’attenzione: cos’è la “prova confidenziale”? E davvero si può parlare, in proposito, di un “vuoto normativo”?
Ammettiamo che la locuzione “prova confidenziale” esprima un concetto sufficientemente definito, in linea di primo approccio riportabile alla nozione di “segreto privato”[8]. Ammettiamo pure (con qualche imprecisione in più) che nel processo amministrativo la necessità dell’accertamento sulla validità dell’atto determini un arretramento della rilevanza del rapporto sostanziale tra ricorrente e controinteressato; tal che le garanzie di quest’ultimo, più che radicarsi nel diritto costituzionale di difesa, derivano dalla semplice opportunità che il giudice non si pronunci a contraddittorio non integro[9]. Immaginiamo allora, tagliando molti passaggi, di poter ragionare accogliendo questa ipotesi: che le prove allegate dal ricorrente nel giudizio amministrativo avente a oggetto una sanzione antitrust vadano valutate considerando che l’accertamento giudiziale a cui tendono fa stato anzitutto contro l’amministrazione, non verso il controinteressato.
Ma anche se il problema della prova confidenziale si potesse (e non è detto) così impostare, ciò che si continua a non comprendere è perché la tutela del “segreto privato” di cui è portatore il ricorrente dovrebbe reputarsi tanto elevata da connotare il processo di un fine sopraindividuale, di puro e semplice accertamento della verità. Non si baserà, questa idea, sul vecchio adagio (converrà oramai chiamarlo così) che il processo amministrativo persegua un “interesse pubblico”? Ora non mi voglio dilungare neppure su questo secondo profilo, che implicherebbe addentrarsi nell’enorme problema del rapporto tra giudice e parti nel giudizio di annullamento[10]. Mi limito a notare che ammettere anche solo per ipotesi la “prova confidenziale” come istituto processuale dai contorni definiti presuppone almeno in parte l’accoglimento della vecchia concezione oggettiva della giurisdizione amministrativa: impedire il contradditorio sulla prova nell’interesse della giustizia è un’operazione che può essere compresa solo in questa sfera[11].
Stringendo invece il ragionamento nell’ottica della giurisdizione soggettiva, è chiaro che, comunque si ricostruisca il rapporto giuridico processuale, immaginare un potere del giudice di impedire il contraddittorio sulla prova resta un’ipotesi incompatibile con la disciplina del processo amministrativo, semplicemente perché la “prova confidenziale” si pone in contrasto con il principio d’imparzialità della giurisdizione. Né cambierebbe la sostanza di questa conclusione il ragionare sul diritto del controinteressato di accedere al fascicolo processuale prendendo a riferimento le norme sul diritto di accesso cd. “difensivo” (art. 24 comma 7 legge n. 241/1990), che riguardano tutt’altra fattispecie: là si tratta del diritto di difesa di chi chiede l’ostensione del documento, non di quello di chi, al contrario, invoca la segretezza del documento.
4. Focalizzazione del problema nel provvedimento monocratico in esame
Ma potrà mai esistere, una cosiffatta “prova confidenziale”, nel sistema italiano di giustizia amministrativa? Io credo di no, ed è il decreto che si annota, a leggerlo bene, a spiegarci perché.
La parte più significativa del decreto è quella in cui il giudice ritiene inapplicabile l’art. 3 d.lgs. n. 3/2017[12], che al pari di altre disposizioni (art. 211, 840-quinquies c.p.c.) fa perno sulla logica del bilanciamento tra diritto alla difesa e riservatezza. La norma del 2017 si riferisce all’esibizione ordinata dal giudice alla parte o ad un terzo, prevedendo che il giudice possa disporre, sentito il soggetto nei cui confronti l’ordine è rivolto, specifiche misure di tutela, tra le quali l’obbligo del segreto, la possibilità di non rendere visibili le parti riservate di un documento, la conduzione di audizioni a porte chiuse, la limitazione del numero di persone autorizzate a prendere visione delle prove, il conferimento ad esperti dell’incarico di redigere sintesi delle informazioni in forma aggregata o in altra forma non riservata.
Se non che, conclude il Presidente, disposizioni di questo tipo non si riferiscono “al caso di produzione volontaria di documentazione”; consentono di imporre il segreto “alle parti che vengono a conoscenza del materiale riservato del processo”, ma non implicano la “possibilità di produzione di prove totalmente segrete o confidenziali contro un contraddittore processuale”, né “comportano sottrazione delle prove al contraddittorio o esclusione totale dello stesso come nel caso della c.d. prova confidenziale ( conosciuta dal giudice e non dall’altra parte del rapporto triadico processuale)”.
Se, quindi, nel processo amministrativo (come in qualsiasi altro processo di parti) la prova “confidenziale” non può trovare ingresso, non è perché si debba mettere in discussione la riservatezza di ciò che documenta, ma perché si tratta di una prova allegata volontariamente. Ove il giudice potesse ammetterla, riconoscendosi perciò vincolato alla sua valutazione, ma al tempo stesso sottrarla al contraddittorio, la sua imparzialità ne risulterebbe inevitabilmente compromessa. E nemmeno, a me pare, ci si troverebbe di fronte ad uno di quei casi in cui la Corte costituzionale ha considerato legittime, con riferimento al contraddittorio processuale, le limitazioni a diritti o libertà, anche fondamentali, in ossequio al “bene” o al “valore fondamentale della giustizia (…) anche esso garantito, in via primaria, dalla Costituzione”[13].
Il principio al quale si deve fare riferimento è un altro. “Salvi i casi previsti dalla legge” – recita l’art. 64 c.p.a. – “il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”. Tanto basta a negare che il giudice possa porre a fondamento della decisione un documento massimamente contestabile ed inutilizzabile per antonomasia: quello che una delle parti, durante il corso del giudizio, non ha potuto conoscere.
Insomma “Non si deve sussurrare al giudice”, come ricorda il decreto n. 1354/2023 nelle sue battute conclusive: l’affermazione è tra parentesi, ma rappresenta il nucleo della decisione. Si permetta anzi una piccola correzione. Non è solo il giudice penale (per via dell’art. 203 c.p.p.) che “si ferma sulla soglia delle c.d. informazioni confidenziali al fine di non dare ingresso a materiali spuri nel processo”. Ogni processo rifugge da “materiali spuri” e se questa è la “prova confidenziale”, tanto vale affrettarsi a concludere che essa, prima ancora che incompatibile con il giudizio amministrativo, è contraria alla logica tipica di qualunque processo (quand’anche fosse prevista dalla legge: se quel “vuoto”, cioè, fosse colmato).
5. Qualche precisazione conclusiva
Semmai, al di là del caso di specie – molto brevemente quindi – ci si potrebbe attardare su una diversa considerazione. Se il ricorrente ritiene che la circolazione in ambito processuale di un documento possa nuocere alla sua riservatezza, ma al tempo stesso stima che il mancato deposito possa impedirgli di dimostrare fatti posti a fondamento della propria pretesa, può chiedere al giudice amministrativo di cooperare al mantenimento di un certo riserbo sulle informazioni confidenziali. Riguardo a questa eventualità, una volta ribadito che mantenere il riserbo su un documento non significa sottrarlo al contradittorio con il controinteressato, non pare che dal complesso delle disposizioni formulate nell’art. 63 c.p.a. emergano ostacoli all’applicazione di quelle norme del codice di procedura civile, che il decreto n. 1354 ha (giustamente) considerato inapplicabili (avendo il ricorrente chiesto la segregazione del documento).
Malgrado l’inesistenza di norme specifiche (ma proprio per questo d’altronde), non sembra vi siano ostacoli a che il giudice prescriva su istanza di parte, come quelle presentate nel caso che ci occupa, le cautele che egli dovrebbe indicare nel caso in cui disponesse, anche d’ufficio, l’acquisizione del documento (art. 63 comma 2 e 64 comma 3 c.p.a.)[14]. Da quest’angolazione, l’impressione è che norme come l’art. 3 comma 4 d.lgs. n. 3/2017, l’art. 211 c.p.c. o l’art. 840-quinquies c.p.c. possano essere ritenute espressive di princìpi generali, applicabili, in forza dell’art. 39 c.p.a., anche al processo amministrativo. L’art. 136 comma 2 c.p.a. consente il deposito in forma non telematica; già oggi quindi l’esigenza di protezione in parola non è del tutto estranea alla disciplina del processo. Nulla perciò, a mia opinione, si opporrebbe ad ammettere, ad esempio, l’obbligo di segreto o la limitazione del numero di persone autorizzate alla visione.
Questo d’altronde corrisponde a ciò che lo stesso Consiglio di Stato ha già affermato, quando si è pronunciato sulla possibilità di acquisire dall’AGCM, “perché siano sottoposte alla cognizione del Collegio ed al contraddittorio delle parti – le dichiarazioni integrali del collaborante (leniency applicant), non potendosi ammettere una sottrazione, neppure parziale, del predetto materiale istruttorio al giudice ed alle parti del giudizio (…) resta fermo che le parti potranno utilizzare le informazioni desunte dalle dichiarazioni legate al programma di trattamento favorevole solo in quanto necessario per l’esercizio dei diritti di difesa nel presente procedimento e con l’obbligo di non divulgarle a terzi estranei” (corsivo aggiunto) [15].
Stiamo però ragionando, si ripete, su un’ipotesi che non è quella di specie. Ogni spiraglio si chiude infatti, inevitabilmente, quando la parte avanza la specifica richiesta che il documento sia utilizzato senza essere sottoposto al contraddittorio e dimostra quindi di intendere la “prova confidenziale” come figura o istituto rappresentativo di un canale privilegiato del rapporto con il giudice.
6. Dove il “vuoto legislativo” esiste davvero
Tutt’altro contesto è quello a cui fa riferimento il decreto n. 1354 nella parte in cui si sofferma sul problema dell’utilizzabilità del documento coperto da segreto di Stato, che il giudice monocratico menziona proseguendo l’argomento avviato in margine alla disciplina del segreto nell’interesse della sicurezza dell’Unione (art. 105 del Regolamento di procedura del Tribunale dell’Unione europea).
Qui, sì, un vuoto normativo inizia a prendere consistenza; ma se si conviene con le cose dette fino a questo momento, non appare argomento calzante al caso di specie, dove non si tratta di segreto condizionante il processo per ragioni di tutela della sicurezza della Repubblica, ma di un “segreto privato” (si ripete, con tutta l’ambiguità del termine) trasformato in pretesa istruttoria di segretezza “interna” e giustamente considerata immeritevole di protezione perché in contrasto con il principio di imparzialità del giudice.
Ciò chiarito, è innegabile che la menzione del problema, benché solo evocativa, non lascia del tutto insensibili. La prospettiva d’indagine che si dischiude a proposito del segreto di Stato nel processo amministrativo è stata perlopiù trascurata dalla dottrina fino a tempi recentissimi[16], in cui si è fatta luce su una questione di notevole delicatezza e di non poco momento. Il ricorrente nel processo amministrativo non ha alcun diritto di accampare la tutela extraprocessuale del segreto quale limite alla pienezza ed integrità del contraddittorio. L’amministrazione resistente invece sì: per quest’ultima le cose non stanno affatto allo stesso modo in cui l’ordinamento le disciplina nella sfera delle altre parti. L’autorità convenuta può ottenere ragione in base a documenti “confidenziali”, sottratti al contraddittorio e finanche alla cognizione del giudice. Questo almeno è ciò che si constata con una certa regolarità in giurisprudenza, nei casi di impugnazione di provvedimenti (ad esempio il diniego di cittadinanza) fondati su informazioni derivanti da attività di intelligence[17]. Sul punto tuttavia il discorso non può essere utilmente proseguito, salvo notare (a prima impressione) che tale indirizzo sia negli ultimi tempi caratterizzato da un andamento forse meno lineare[18].
[1] Il provvedimento è consultabile per esteso in AGCM, Bollettino settimanale, Anno XXXIII - n. 31, 5 ss.
[2] TAR Lazio, sez. I, RG 12837/2023.
[3] TAR Lazio, sez. I, ord. 13 ottobre 2023, n. 6894 (camera di consiglio dell’11 ottobre 2023).
[4] Sezione VI, RG n. 8523/2023.
[5] È significativo che la stampa abbia descritto tale vicenda come la “guerra delle multinazionali dei cavi” (notizia pubblicata sul quotidiano Il Giorno, Milano, 26 agosto 2023).
[6] Sulla dottrina di stampo tedesco, R. Bonatti, Appunti sulla riservatezza degli atti e dei documenti nel processo, in Diritto.it, 29 marzo 2019; in margine all’art. 105 del Reg. Proc. Tribunale U.E., criticamente, M.G. Rancan, Prove “confidenziali” quando è in gioco la sicurezza dell’Unione, in Questione giustizia online, 28 gennaio 2015.
[7] Si tratta della monografia di S. Tranquilli, Il segreto in giudizio. Contributo allo studio del rapporto tra diritto di difesa e tutela della segretezza nel processo amministrativo, Napoli, 2023.
[8] Già su questa nozione peraltro il nostro ordinamento offre spunti tutt’altro che univoci (S. Tranquilli, op. cit., 27).
[9] G. Verde, Riflessioni di un anticoncettualista sulle parti del processo dinanzi al giudice amministrativo, in Riv. dir. proc. amm., 2023, 201 ss.; gli spunti a cui si accenna sono alle pp. 205, 214.
[10] Sia permesso rinviare, sull’argomento, al recente numero 2/2023 della Rivista di diritto processuale amministrativo e qui ad es. L. Bertonazzi, Appunti sparsi sul processo amministrativo di legittimità ed i terzi, ivi, 181 ss.
[11] Alcuni spunti in G. Tropea, L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, in Riv. dir. proc. amm., 2023, in Riv. dir. proc. amm., 2023, 20, sul collegamento tra disponibilità del rapporto processuale da parte del giudice e ragione obbiettiva pro-concorrenziale (con riguardo al contenzioso sui contratti pubblici).
[12] Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea.
[13] Corte cost., sentenze n. 114/1968 e n. 18/1966.
[14] Sullo stretto rapporto tra la libera produzione delle prove documentali e il regime dell’esibizione nel processo civile, (e sulla posizione giuridica della parte) S. La China, Esibizione, in Enc. dir., vol. XV, 1966, 698 ss., 699, 701.
[15] Cons. Stato, VI, ord. 27 settembre 2021, n. 6503. Sul punto, S. Tranquilli, op. cit., 160 (e nota 38).
[16] Come già detto, il tema è ora riconsiderato da S. Tranquilli, op. cit.
[17] TAR Lazio, sez. V bis, 4 ottobre 2023, n. 14676, 8 giugno 2023, n. 9773, 2 maggio 2023, n. 7392, n. 15922; Cons. Stato, 5 giugno 2023, n. 5489 (sulla sufficienza della formula motivazionale del diniego di cittadinanza per «contiguità del richiedente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica»; TAR Lazio, sez. I ter, 6 novembre 2023, 16449 e 9 ottobre 2023, n. 14875); Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2023, n. 4765.
[18] TAR Lazio, sez. V bis, ord. 17 novembre 2023, 17173, che ordina l’esibizione in un ricorso avverso il diniego di cittadinanza, considerato «che il Consiglio di Stato, su fattispecie analoghe a quella in esame, ha affermato che (…) nel rispetto del principio del contraddittorio e, quindi, di parità delle parti di fronte al giudice (c.d. parità delle armi), la conoscenza del documento deve essere comunque consentita in corso di giudizio al difensore dello straniero. In sostanza, in presenza di informative con classifica di "riservato", il richiamo ob relationem al contenuto delle stesse può soddisfare le condizioni di adeguatezza della motivazione, mentre l'esercizio dei diritti di difesa e la garanzia di un processo equo restano soddisfatti dall'ostensione in giudizio delle informative stesse con le cautele e garanzie previste per la tutela dei documenti classificati da riservatezza” (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3281/2019 e 7904/2019). Il TAR ritiene pertanto «necessario, ai fini del decidere, acquisire dall’Amministrazione resistente la documentazione istruttoria sulla base della quale è stato emesso il provvedimento impugnato, con l’adozione delle cautele necessarie (stralci ed omissis) a tutela delle fonti di informazione, nonché al fine di non pregiudicare l’attività di intelligence, ogni altra misura ritenuta al tal fine opportuna, ovvero una relazione, da cui si evincano le specifiche ragioni che possano indurre a ritenere ragionevole la determinazione di non trasmettere i medesimi atti»; conforme TAR Lazio, sez. V bis, ord. 27 ottobre 2023, n. 15963; Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2023, n. 5759, secondo cui (con riferimento alla sottrazione del documento all’accesso di cui alla legge n. 241/1990 “L'accesso disposto dall'autorità giurisdizionale (…) nell’ottica del legislatore, rappresenta il punto di equilibrio e proporzione tra due contrapposti interessi, il diritto di difesa del soggetto interessato e il bene della sicurezza nazionale»; ragion per cui «è quella giurisdizionale – nell’ambito del giudizio di impugnazione del provvedimento di rigetto della concessione della cittadinanza italiana – l’unica sede idonea all'esame degli atti riservati, in quanto preposta dalla legge a garantire il corretto equilibrio tra i contrapposti interessi difensivi, nell'ambito del suo potere di ponderazione e prescrizione delle modalità per garantire l'accesso nel rispetto dei vincoli di legge") nell'ottica del legislatore, rappresenta il punto di equilibrio e proporzione. Per le possibili conseguenze sul merito del ricorso, TAR Lazio, sez. V bis, 14 novembre 2023, n. 16964 (sulla illegittimità dell’atto il cui iter logico non risulti comprensibile).