di Francesco Volpe
Sommario: 1. Se l’azione di rivalsa preesistesse al codice dei contratti pubblici del 2023 – problemi di costituzionalità della nuova disciplina per violazione dell’art. 76 cost. – 2. La nozione di operatore economico. – 3. L’estensione dell’illecito commesso dall’operatore economico. – 4. Buona fede della stazione appaltante e azione di rivalsa. – 5. Il significato di responsabilità concorrente a raffronto con gli artt. 2055 e 1950 c.c. – 6. Dall’azione di rivalsa alla sussistenza di un rapporto di responsabilità solidale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo, ai fini del risarcimento del danno. L’azione diretta nei confronti dell’aggiudicatario: giurisdizione ordinaria e diverso regime di diritto sostanziale. – 7. Giurisdizione e limiti dell’azione di regresso dell’aggiudicatario illegittimo nei confronti della stazione appaltante. Conseguenze della doverosità dell’autoannullamento dell’aggiudicazione riconosciuta illegittima dal giudice ordinario nell’azione risarcitoria intentata dall’offerente pretermesso verso l’aggiudicatario
1. Se l’azione di rivalsa preesistesse al codice dei contratti pubblici del 2023 – problemi di costituzionalità della nuova disciplina per violazione dell’art. 76 Cost.
Il nuovo codice dei contratti pubblici ha introdotto un’azione di rivalsa che la stazione appaltante, condannata al risarcimento del danno, può esercitare nei confronti dell’operatore economico quando costui, con un suo comportamento illecito, abbia cagionato l’illegittimità dell’aggiudicazione[1].
Già in sede di esame preliminare emergono alcuni profili d’incertezza a proposito di detta azione.
È incerto, in primo luogo, se si tratti di una vera e propria novità. Il codice dice, testualmente, che “resta ferma”[2] la responsabilità dell’operatore economico e questo potrebbe alludere a una sorta di retroattività travestita; vale a dire a uno di quei casi in cui s’intende introdurre una nuova disciplina che si applica anche per il passato, senza però volerlo esplicitare.
Forse, però, non è così, in questo caso. Che l’amministrazione possa rifarsi sull’operatore economico era questione già sostenuta da, pur non amplissima, giurisprudenza.
Ad esempio, una pronuncia del Consiglio di Stato[3] aveva ammesso tale forma di tutela, costruendo un ragionamento che passava per il richiamo operato dall’art. 41, comma 2, c.p.a. all’istituto del litisconsorzio necessario[4], mentre la stessa Plenaria[5] aveva riconosciuto l’azionabilità in astratto della pretesa alla rivalsa, salvo prospettare, dubitativamente, che la sede giurisdizionalmente competente non potesse essere quella del giudice amministrativo.
Se, dunque, la rivalsa forse preesisteva al nuovo codice dei contratti pubblici, la vera novità consiste nel fatto che oggi è esplicitamente ammessa la sua azionabilità proprio davanti al giudice speciale[6], il cui sindacato risulterebbe essere stato, in tal modo, ampliato.
Si pone, così, un problema di validità costituzionale della riforma, perché al legislatore delegato che ha emanato il nuovo codice non era stato affidato il mandato d’incidere sul criterio di riparto[7],[8].
Per la verità, anzi, non era stato consegnato neppure il più generale compito di riscrivere l’intero processo in materia di appalti[9].
2. La nozione di operatore economico.
Un secondo punto incerto attiene alla definizione di chi sia l’operatore economico su cui rivalersi.
Secondo l’allegato I,1 del codice, esso è qualsiasi soggetto capace di offrire sul mercato prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto di una procedura di evidenza pubblica[10]. Quel che qualifica l’operatore economico, dunque, è solo una sua attitudine: quella di operare sui mercati e nemmeno sui soli mercati pubblici.
A fronte di una definizione così ampia, non sembra che, anche ai fini dell’azione di rivalsa, la figura dell’operatore economico debba essere circoscritta al solo aggiudicatario illegittimo. Nella categoria potrebbero rientrare altre figure che pure potrebbero concorrere a cagionare un’aggiudicazione illegittima e, quindi, un risarcendo danno. Ad esempio, potrebbe essere tale l’impresa ausiliaria nelle ipotesi di avvalimento; potrebbe essere un offerente, diverso dall’aggiudicatario, che abbia falsato la media delle offerte economiche o la media per il calcolo delle anomalie. Potrebbe essere operatore economico anche il subfornitore dell’aggiudicatario, il quale abbia falsamente attestato le certificazioni inerenti ai beni scambiati.
Ma se è così, si pone ancora una volta un problema di giurisdizione.
È pur vero, infatti, che, in materia di appalti, il giudice amministrativo si occupa anche di diritti soggettivi (e la rivalsa attiene a un diritto soggettivo). Ma, con riguardo a questa più ampia platea di operatori economici, è difficile sostenere che le controversie siano tutte lambite da quell’esercizio del potere provvedimentale che, secondo la Corte costituzionale[11], è necessario affinché la fattispecie possa essere sindacata, ancorché si verta in una materia di giurisdizione esclusiva[12].
3. L’estensione dell’illecito commesso dall’operatore economico.
Un terzo punto incerto attiene ai confini del comportamento illecito che esporrebbe l’operatore economico a rivalsa.
In estrema sintesi, se è facile comprendere che rientra nella sfera dell’illecito il comportamento dell’aggiudicatario che abbia prodotto in gara dichiarazioni false o false certificazioni, può essere considerato illecito anche il comportamento di quell’operatore, che, senza mentire e senza tacere, abbia invece presentato un’offerta difforme dalla lex specialis[13]?
A ben vedere anche questo offerente viola il diritto oggettivo perché viola gli artt. 91[14] e 107[15] c.c.p. E, secondo quanto ha affermato la sentenza Preden[16], se vi è una violazione del diritto oggettivo accompagnata dalla lesione di una posizione giuridicamente qualificata, questo fatto costituisce causa di risarcimento del danno e quindi di illecito. Eppure, in questo caso, l’offerente non ha tenuto alcun comportamento fraudolento e l’errore ricade sulla stazione appaltante che ha valutato male l’offerta[17], cosicché non è incongruo chiedersi se sia corretto che la responsabilità dell’operatore economico debba essere a tal punto estesa.
4. Buona fede della stazione appaltante e azione di rivalsa.
Questi motivi di incertezza a cui sin qui si è accennato non si risolvono in minimalia.
Preme, però, soffermarsi su altre, più ampie, questioni.
Innanzi tutto, in che modo questa rivalsa e questa responsabilità concorrente avrebbero a che fare con il principio di buona fede, stante che di questa responsabilità si parla nell’art. 5 c.c.p.?
Questo profilo pare più chiaro: se il risarcimento e la conseguente rivalsa vengono correlati alla buona fede, ciò avviene in senso inverso rispetto a quello con cui si invoca (spesso in modo incauto) l’incidenza di tale clausola generale sul diritto amministrativo.
Qui non è in gioco, se non per aspetti marginali[18], la buona fede nutrita dal privato nei confronti dell’agire provvedimentale della pubblica amministrazione, ma, al contrario, la buona fede che la stazione appaltante ripone sul fatto che l’operatore economico non terrà comportamenti scorretti nel formulare la sua offerta[19]. Comportamenti che, poi, potrebbero condurre a un’aggiudicazione illegittima e a un danno da risarcire a terzi. Sicché, quando questi comportamenti si verificassero, l’Amministrazione che avesse sostenuto gli oneri del risarcimento avrebbe titolo per agire contro i soggetti di cui essa si fosse fidata.
5. Il significato di responsabilità concorrente a raffronto con gli artt. 2055 e 1950 c.c.
Inquadrata in questo modo la questione, resta, però, da affrontare il problema principale: che cosa voglia dire “rivalsa” e che cosa voglia dire “responsabilità concorrente”.
Questi termini alludono a una tutela civilistica o, almeno, para-civilistica[20].
Ma, se il richiamo alla rivalsa è piuttosto diffuso nel codice civile (ad esempio in materia di obblighi dei coeredi[21] o in materia di condominio[22]), i riferimenti testuali a una responsabilità concorrente nella disciplina codicistica sono rarefatti (per non dire quasi inesistenti), sì da generare il dubbio che il codice dei contratti pubblici, nell’enunciarla, abbia volutamente impiegato una formula ambigua, come tale capace di sottrarsi a categorie e a regimi già noti.
L’interprete, però, non può limitarsi a constatare che questa responsabilità concorrente sarebbe una cosa finora ignota, lasciando alla discrezionalità (o all’arbitrio) di chi poi giudicasse il compito di decidere come applicarla.
Un tentativo di ricostruzione va pur sempre compiuto.
Anche nella prospettiva di una esegesi analogica, osservo pertanto che sembra piuttosto simile a questa responsabilità quanto è previsto nell’art. 2055 del codice civile, che riguarda una fattispecie affine a quella ora in esame. Vale a dire quella in cui più persone siano responsabili dell’illecito aquiliano[23].
L’art. 2055 c.c., come è noto, riconosce a chi abbia risarcito il danno il regresso contro ciascuno degli altri soggetti che abbiano concorso a causarlo, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e del personale apporto eziologico.
Nel dubbio sulla gravità delle singole colpe, esse si presumono uguali, ma, ai nostri fini, potrebbe assumere rilievo la c.d. fiducia, a cui si riferisce l’art. 2 del codice dei contratti pubblici, che la stazione appaltante nutre, per volontà di legge[24], sul corretto comportamento degli offerenti. Forse, nel caso della responsabilità concorrente ora esaminata, questa presunzione iuris tantum sull’equiparazione delle colpe potrebbe avere, pertanto, un minor rilievo, quando non si debba riconoscere che essa sia stata addirittura rovesciata.
Vi è, anzi, da chiedersi se la rivalsa di cui parla il codice dei contratti pubblici significhi che la stazione appaltante possa rifarsi sull’operatore economico solo pro quota o se, piuttosto, essa implichi un regresso integrale per quanto corrisposto a titolo di risarcimento. Ché proprio a questa seconda soluzione sembra, in effetti, indirizzare il termine “rivalsa” e a questo sembra spingere, in verità, tutto l’impianto della riforma processuale in materia di appalti.
Vale a dire il favorire una sorta di neutralità della stazione appaltante rispetto al processo.
E così, in effetti, potrebbe concretarsi la questione, giacché, se l’aggiudicazione fosse annullata, l’appalto proseguirebbe con l’affidamento a un nuovo aggiudicatario (magari individuato dallo stesso giudice in sede di risarcimento in forma specifica); se, invece, la tutela costitutiva fosse sostituita o integrata da una tutela risarcitoria per equivalente, l’amministrazione potrebbe rivalersi, appunto, in modo integrale su quell’operatore economico che l’abbia spinta ad assumere un’aggiudicazione invalida. Conformemente al principio del risultato espresso nell’esordio del nuovo codice[25], in entrambe le ipotesi si procederebbe verso l’esecuzione dell’appalto, senza ulteriori oneri per l’ente pubblico[26].
Una tale impostazione, peraltro, sarebbe coerente anche con l’opinione, talora serpeggiante[27], secondo la quale le controversie in materia di appalti pubblici avrebbero sì carattere pubblicistico da un punto di vista formale, salvo il considerare che, da un punto di vista sostanziale, esse sarebbero invece controversie civilistiche che si agitano tra un ricorrente e un controinteressato impegnati a contendersi l’aggiudicazione, restando alla parte resistente quasi un ruolo di mera spettatrice della lite.
Se così fosse, il termine di riferimento, nel codice civile, all’azione di rivalsa dovrebbe forse individuarsi, più che nell’art. 2055 c.c., nell’art. 1950 c.c. La stazione appaltante, quando fosse chiamata a sostenere il risarcimento, finirebbe per somigliare a un fideiussore, o a un garante, che ha regresso integrale sul debitore principale. In questo caso, sull’operatore economico che ha cagionato l’illegittimo esito della gara.
6. Dall’azione di rivalsa alla sussistenza di un rapporto di responsabilità solidale tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo, ai fini del risarcimento del danno. L’azione diretta nei confronti dell’aggiudicatario: giurisdizione ordinaria e diverso regime di diritto sostanziale.
Allo stato, mi pare difficile stabilire se si tratti di un caso di concorso nell’illecito o di un caso di fideiussione: l’oscurità del sintagma “responsabilità concorrente” è pur sempre funzionale a qualcosa.
Approfondire la questione, tuttavia, è, entro certi limiti, poco importante, benché sembri preferibile la prima ipotesi, non fosse altro perché il richiamo al concetto di concorso è presente pure nell’art. 2055 c.c.
Tanto che si faccia capo all’art. 2055 c.c., tanto che valga l’art. 1950 c.c., il rapporto che corre tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo ricadrebbe, comunque, in un’ipotesi di responsabilità solidale[28].
Le implicazioni di questa conclusione sono evidenti.
Se si tratta di responsabilità solidale, questo significa che l’offerente illegittimamente pretermesso ha (come è consueto) azione risarcitoria diretta nei confronti della stazione appaltante.
Ma significa, pure, che egli ha azione diretta anche nei confronti dell’aggiudicatario illegittimo[29],[30].
S’inaugura così una nuova forma di tutela niente affatto trascurabile, non fosse altro perché l’aggiudicatario illegittimo può essere un debitore cospicuamente solvibile e perché i suoi beni, che non sono né demaniali né patrimoniali indisponibili, appaiono, almeno in astratto, più facilmente aggredibili.
Se, tuttavia, l’offerente volesse rivolgere gli strali risarcitori direttamente contro l’operatore economico concorrente, la controversia non sarebbe esperibile davanti al giudice amministrativo[31].
Vi si oppone sia il fatto che il nuovo art. 124 c.p.a parla solo dell’azione di rivalsa introdotta dalla stazione appaltante verso l’operatore economico (e non parla d’altro), sia il considerare che difetterebbe, ancora una volta, quell’esercizio del potere di cui il medesimo aggiudicatario, chiamato a rispondere in via diretta del danno, non può essere neppure astrattamente titolare, in quanto soggetto di diritto privato.
L’aggiudicatario illegittimo, d’altra parte, compare nel processo amministrativo come controinteressato e non come parte resistente. Non è quindi semplice concepirlo come principale legittimato passivo delle domande avanzate dal ricorrente.
Per queste ragioni, si deve dunque ipotizzare che l’offerente pretermesso debba agire contro l’aggiudicatario davanti al giudice ordinario.
Questo assunto non si riduce solo a un problema di giurisdizione.
Con il giudice, viene a mutare l’intero regime di diritto sostanziale della pretesa fatta valere, perché davanti al giudice ordinario non si applica la disciplina dell’art. 30 c.p.a. Non si applica dunque il termine decadenziale di centoventi giorni per la proposizione della domanda risarcitoria autonoma[32]; l’attore non è tenuto a dimostrare di avere azionato tutti i mezzi di tutela possibili per ridurre l’ammontare del danno. A ben vedere, del resto, il giudice ordinario, che non ha il potere di annullare, non sarebbe neppure chiamato a disapplicare l’aggiudicazione. Anzi, proprio la permanenza degli effetti provvedimentali sarebbe causa diretta del danno[33].
Viene, in ogni caso, a emergere un doppio binario di tutela per l’offerente illegittimamente pretermesso.
A suo arbitrio, egli potrà rivolgersi al giudice amministrativo, per chiedere preliminarmente l’annullamento dell’aggiudicazione, dichiarando di essere disponibile a subentrare nell’appalto, introducendo un’eventuale domanda risarcitoria per equivalente nei prescritti termini degli artt. 30 e 120 c.p.a. e avendo cura di rispettare gli speciali oneri di diligenza che escludono il suo concorso nel danno. Il tutto in un processo caratterizzato da una fase istruttoria che la disciplina vigente regola in modo, ancor oggi, embrionale.
Diversamente, quel medesimo offerente pretermesso potrà disinteressarsi degli effetti dell’aggiudicazione e, lasciando che gli stessi rimangano inattaccati, potrà agire in sede civile contro l’aggiudicatario illegittimo nel termine prescrizionale di cinque anni, limitandosi a rispettare l’art. 1227 c.c. nel suo contenuto ordinario e godendo di una fase istruttoria certamente più definita, il cui valore, in materia risarcitoria, è ben evidente, sia che si tratti di determinare l’an, sia che si tratti di determinare il quantum.
Questa seconda forma di tutela risulta davvero incoraggiante e forse proprio a questo tende, sia pure senza dichiararlo, il recepimento dell’azione di rivalsa: a portare il contenzioso in materia di appalti fuori persino dallo stesso processo amministrativo, una volta che ci si sia assicurati che gli effetti dell’aggiudicazione rimangano impregiudicati e che non si aggiungano oneri patrimoniali in capo all’ente pubblico[34].
7. Giurisdizione e limiti dell’azione di regresso dell’aggiudicatario illegittimo nei confronti della stazione appaltante. Conseguenze della doverosità dell’autoannullamento dell’aggiudicazione riconosciuta illegittima dal giudice ordinario nell’azione risarcitoria intentata dall’offerente pretermesso verso l’aggiudicatario.
Anche quest’ultima salvaguardia della stazione appaltante viene, infatti, concretamente a imporsi.
Invero, se la fattispecie dovesse essere inquadrata nell’art. 2055 c.c. (anziché nell’art. 1950[35]), si dovrebbe considerare anche la prospettiva che l’aggiudicatario, il quale abbia sostenuto in sede civilistica l’onere del risarcimento, possa agire lui stesso in regresso contro la stazione appaltante, nei limiti della quota di responsabilità di quest’ultima.
Quest’azione di regresso dell’operatore economico sulla stazione appaltante apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perché la responsabilità della stazione dipende dall’aggiudicazione illegittima che essa stessa ha emanato. Ivi, non si potrebbe negare che il potere sia stato esercitato.
Tanto stabilito, una volta fatto valere il regresso sulla stazione appaltante davanti al giudice speciale, potrebbe essere contestato, in primo luogo, che la sentenza del giudice ordinario, pronunciata inter alios, non farebbe stato, secondo quanto previsto dall’art. 1306 c.c., e potrebbe, tra le altre cose, essere revocata in dubbio la stessa illegittimità dell’aggiudicazione già fatta oggetto di accertamento incidentale, e senza copertura di giudicato, da parte del giudice ordinario.
In ogni caso, la medesima stazione appaltante potrebbe riflettere sull’operatore economico le eccezioni personali che avrebbe potuto opporre se l’offerente si fosse rivolto direttamente contro di lei. E quindi potrebbe opporre sia l’eccezione sul termine decadenziale (nel frattempo inevitabilmente scaduto), sia l’eccezione relativa all’art. 1227 c.c. aggravato, quale recepito dall’art. 30 c.p.a. E, proprio per l’ipotesi assunta, quest’ultima eccezione si rivelerebbe verosimilmente fondata, perché il danneggiato che avesse agito per il risarcimento del danno contro l’aggiudicatario illegittimo mai avrebbe potuto chiedere al giudice ordinario, al quale si è rivolto, l’annullamento dell’aggiudicazione stessa.
In concreto, mentre la responsabilità solidale della stazione appaltante è assistita da regresso sull’operatore economico, la responsabilità economica dell’operatore economico, invece, non è assistita da un effettivo regresso sulla stazione appaltante.
La stessa irrilevanza della condanna civile dell’operatore economico dovrebbe confermarsi anche quanto alle sorti del provvedimento di aggiudicazione ancorché il medesimo provvedimento debba essere dichiarato illegittimo (sia pure incidenter tantum e senza conseguenze disapplicative) dal giudice ordinario per accogliere la domanda risarcitoria avanzata dall’offerente pretermesso contro l’aggiudicatario illegittimo, sì da generare ulteriori e indiretti effetti conformativi circa il dovere di autoannullamento da parte dell’autorità amministrativa[36].
A tal riguardo, quando pure questo problema si dovesse prospettare in concreto, l’appalto, molto probabilmente, sarebbe già stato eseguito. Quell’autoannullamento non sortirebbe così alcuna conseguenza di fatto. Esso, anzi, potrebbe addirittura costituire, forse, l’occasione per pretendere dall’aggiudicatario illegittimo la restituzione dell’importo equivalente alla differenza tra i compensi corrisposti e la minor somma inter expensum et melioratum, perché - caduta l’aggiudicazione e, eventualmente, caduti insieme anche gli effetti del contratto - l’aggiudicatario risulterebbe aver agito sine titulo e a lui non resterebbe che invocare, a ristoro della sua prestazione, l’art. 2041 c.c.
In conclusione, se l’azione di rivalsa rafforza la neutralità delle stazioni appaltanti rispetto al contenzioso in materia di appalti, essa comporta anche un significativo trasferimento delle responsabilità in capo all’aggiudicatario illegittimo.
D’ora in poi, pertanto, le ditte dovranno essere molto caute nel costruire le proprie offerte in gara.
[1] La nuova azione si ricava dal combinato disposto dell’art. 5, comma 4, d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, secondo il quale “Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito” con l’art. 124, comma 1, c.p.a, come riformato dal medesimo decreto legislativo e secondo il quale: “L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e di stipulare il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se non dichiara l'inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subìto e provato. Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”.
[2] Si veda l’art. 5, citato alla nota precedente.
[3] Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279.
[4] Così la pronunzia sopra citata: “Sotto il profilo processuale, l’accertamento della responsabilità concorrente dell’a.t.i. aggiudicataria e delle quote concorsuali di riparto interno tra quest’ultima e l’amministrazione, cui la Sezione è pervenuta per le ragioni innanzi esposte, deve, nel caso di specie, ritenersi ‘coperto’ non solo dai principi fondanti la giustizia amministrativa (in base ai quali la controversia va decisa con l’esercizio di poteri decisori e conformativi), e dal sopra richiamato art. 41, comma 2 (il quale ha previsto il litisconsorzio necessario del beneficiario dell’atto, in ragione dei peculiari poteri concernenti le statuizioni da adottare anche nei confronti del beneficiario dell’atto illegittimo), ma anche dalle domande, eccezioni e difese versate in giudizio, con il conseguente rispetto del generale principio processuale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; ciò, sulla base di un’interpretazione sostanzialistica degli atti processuali di parte, formulati in modo onnicomprensivo e idoneo a ricomprendere nelle richieste e difese formulate dalle parti anche gli evidenziati momenti di accertamento”.
[5] V. Cons. di Stato, Ad. pl., 12 maggio 2017, n. 2. La lite concerneva un caso in cui l’offerente pretermesso aveva chiesto il risarcimento (peraltro, in sede di giudizio di ottemperanza e a seguito della sopravvenuta impossibilità di ottenere un risarcimento in forma specifica) con condanna diretta dell’aggiudicatario pretermesso. Sul punto, la Plenaria ha così statuito: “Tutte le richiamate norme processuali vanno coordinate ed interpretate alla luce dei limiti che incontra la giurisdizione amministrativa. Esse sono, infatti, norme sul rito, che presuppongono (e non pongono) la giurisdizione, che deve, quindi, desumersi dai criteri generali di riparto e non direttamente da esse. In punto di riparto, la domanda che la parte privata danneggiata dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell’altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo, esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa.
Si tratta, infatti, di una controversia tra due soggetti privati, avente ad oggetto un diritto soggettivo di contenuto patrimoniale. Sul punto va ricordato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, anche di recente (cfr. Cass. Sez. Un. ord. 3 ottobre 2016, n. 19677), hanno ribadito che, in base agli articoli 103 Cost. e 7 c.p.a., il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto ad essa equiparata; con la conseguenza che esula dalla sua giurisdizione la domanda di risarcimento del danno proposta da un privato contro un altro privato, ancorché connessa con una vicenda provvedimentale (nella specie, si trattava della domanda di risarcimento del danno contro il funzionario autore materiale del provvedimento illegittimo). Tale lettura riduttiva dell’estensione della giurisdizione amministrativa viene fondata sul dato testuale dell’art. 103 Cost. e dell’art. 7 c.p.a., in specie laddove, nell’individuare la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie, di diritti soggettivi, riferisce tali controversie a «l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» e le afferma come «riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». Tale ultimo inciso viene quindi valorizzato come limite all’estensione della giurisdizione amministrativa. 26. Né in senso contrario possono invocarsi ragioni di connessione, in quanto, come affermato anche da questa Adunanza plenaria con sentenza 29 gennaio 2014, n. 6, «salvo deroghe normative espresse, nell’ordinamento processuale vige il principio generale della inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione» (in termini cfr. Cass. Sez. Un. 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012, n. 9185). 27. La carenza del presupposto processuale della giurisdizione risulta, quindi, risolutiva e costituisce, già di per sé, un ostacolo insormontabile all’interpretazione “sostanzialistica” sostenuta dall’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato. 28. Del resto, va osservato che l’art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a. non prevede, a rigore (e in senso tecnico), un litisconsorzio necessario nei confronti del privato beneficiario dell’atto illegittimo. Litisconsorzio la cui necessità è del resto esclusa, come è noto, anche nel caso di obbligazioni solidali. Nei confronti di tale soggetto, infatti, la citata norma processuale non consente la formale proposizione di una domanda risarcitoria, ma stabilisce solo che la domanda proposta contro l’amministrazione (che, quindi, è individuata come unica legittimata passiva), gli debba essere notificata, al fine di realizzare la c.d. denuntiatio litis. In base all’art. 41, comma 2, ultimo periodo c.p.a., in altri termini, il privato non è destinatario di una domanda di risarcimento del danno contro di lui diretta, ma solo destinatario della notificazione della domanda proposta contro l’amministrazione, al fine di rendere possibile l’opponibilità del giudicato. Lo scopo della norma in esame è, infatti, solo quello di fare in modo che l’eventuale giudicato di condanna tra il privato danneggiato dal provvedimento e l’amministrazione possa essere opposto anche al terzo beneficiario, come “fatto” che accerta l’antigiuridicità, nell’eventuale giudizio di “rivalsa”, quanto all’illegittimità dell’atto e ai presupposti della condanna risarcitoria subita dall’amministrazione”. Sul punto della esperibilità di una rivalsa fatta valere dalla stazione appaltante, la Plenaria non ha preso esplicita posizione: “La ricostruzione che precede non esclude che l’amministrazione, chiamata a risarcire il danno ai sensi dell’art. 112, comma 3, c.p.a., possa vantare un’azione nei confronti del beneficiario che ha tratto vantaggio dal provvedimento illegittimo travolto dal giudicato. Si tratta di azione di regresso collegata a un’obbligazione risarcitoria di natura solidale o di azione di ingiustificato arricchimento per il disequilibrio causale derivante dal collegamento tra le posizioni sostanziali in gioco, essa – secondo la disciplina sostanziale e processuale propria dell’azione che si ritenga esperibile – presupporrebbe l’accertamento (della sussistenza) della giurisdizione di questo giudice, della sua proponibilità nell’ambito del giudizio di ottemperanza, anzi che con azione ordinaria, ma, soprattutto, richiederebbe una domanda in tal senso dell’amministrazione”.
[6] Anche questa prospettiva, peraltro, aveva già ottenuto un riscontro positivo nella giurisprudenza. Così, Cons. Stato, II,13.12.2020, n. 8546.
[7] Il problema non era sfuggito al legislatore delegato, come dimostra la relazione al nuovo Codice dei contratti pubblici che ha cercato di risolvere la questione osservando che non è stato modificato il criterio di riparto, ma il regime di diritto sostanziale: “La prima questione che potrebbe porsi, in astratto, è quella di un possibile eccesso di delega della disposizione in esame. Essa, tuttavia, disciplina direttamente non un determinato rimedio processuale, ma un principio di diritto sostanziale (la cui applicazione ha poi inevitabili ricadute sul terreno dei rimedi): sicché non pare potersi ragionevolmente prefigurare un simile vizio della disposizione. In particolare, come ricorda la Relazione, l'articolo 1, comma 1, della legge delega prevede “l'adeguamento della disciplina vigente “ai principi espressi dalla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, interne ed internazionali”. In questo senso il comma 3 dell'articolo 5, “nell'escludere il carattere incolpevole dell'affidamento in caso di illegittimità agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”, recepisce i princìpi enucleati nella sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 20 del 2021, disciplinando le “condizioni” di risarcibilità del danno da provvedimento favorevole poi annullato. La disposizione, inoltre, cala nella specifica materia i princìpi da tempo pacificamente operanti in materia in punto di delimitazione dell'area di danno risarcibile (limitata al c.d. interesse negativo), e alla necessità che il danno di cui si chiede il risarcimento sia “effettivo e provato”. Sempre sul terreno della conformità al parametro costituzionale, potrebbe in tesi dubitarsi (avuto riguardo ai canoni tratteggiati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004) della conformità della scelta di riservare al giudice amministrativo la cognizione dell'azione di rivalsa dell'amministrazione. Tali dubbi, tuttavia, si superano solo che si abbia riguardo al collegamento, opportunamente sottolineato dalla Relazione al Codice, con l'esercizio del potere. La Relazione, invero, contiene tale riferimento in relazione all'ipotesi di lesione dell'affidamento del privato: “Pur non intervenendo sul riparto della giurisdizione (che non rientra nell'oggetto della legge-delega), la norma si basa, comunque, sul presupposto secondo cui la lesione dell'affidamento che viene in rilievo nell'ambito del procedimento di gara, anche quando realizzato attraverso comportamenti, presenta un collegamento forte con l'esercizio del potere e, pertanto, anche quando il privato lamenta la lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, la relativa controversia risarcitoria non può che rientrare nella giurisdizione amministrativa, specie in considerazione del fatto che, nella materia degli appalti pubblici, il giudice amministrativo gode di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a.), che si estende, oltre che ai comportamenti amministrativi (in base alla previsione generale contenuta nell'art. 7 c.p.a.), anche alle “controversie risarcitorie”. Tuttavia, non può dubitarsi che, nel caso speculare, l'affidamento dell'amministrazione è leso in sede di esercizio del potere: e dunque l'azione di rivalsa non è proposta iure privatorum, ma ha la funzione di ristorare il danno subìto nella fase di esercizio del potere amministrativo”.
[8] Ritenere, come sostiene la Relazione, che il codice dei contratti pubblici non avrebbe modificato la giurisdizione, limitandosi a recepire nel diritto sostanziale, un principio generale, potrebbe portare, peraltro, a opinare che l’azione di rivalsa possa essere esperita – proprio in quanto principio generale – anche al di fuori del contenzioso sui contratti pubblici. V., in tema P. Patrito, Il nuovo codice dei contratti pubblici - Il nuovo “rito appalti” e il parere di precontenzioso dell’Anac, Giur. it., 2023, 1983: “Resta, ancora, da domandarsi se la regola di cui all’art. 124 c.p.a., riguardi le sole controversie in tema di contratti pubblici oppure se essa possa estendersi anche ad altre. Si pensi, ad esempio, all’impugnativa di un permesso di costruire con richiesta di risarcimento del danno: nel caso in cui risulti che il provvedimento lesivo, per cui l’Amministrazione è stata condannata al risarcimento, fosse stato originato da una falsa rappresentazione della realtà dipesa dall’istante, può ritenersi ammissibile l’esperimento da parte dell’Amministrazione della domanda riconvenzionale o quella in via principale in separato giudizio? Secondo un primo punto di vista, si potrebbe giustificare la giurisdizione amministrativa in tale fattispecie (e in altre simili) sulla base dell’eadem ratio: anche nell’ipotesi prospettata , è stato, per riprendere le espressioni di cui all’art. 124 c.p.a., il “comportamento illecito” del privato che “ha concorso a determinare” un provvedimento illegittimo e causativo del danno, per cui non dovrebbero ammettersi conclusioni diverse in punto di giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta dall’Amministrazione. Tale osservazione risulterebbe avvalorata se si ritenesse che l’art. 124 c.p.a. si è limitato a dare sanzione a orientamenti giurisprudenziali precedenti, che si sono quindi basati su principi generali, come tali percorribili anche per altri casi: nulla vieterebbe allora di considerare la disposizione in esame come la positivizzazione, in un ambito particolare, di una regola di portata generale. Va ancora osservato che, molto spesso, le regole processuali in tema di contratti pubblici vengono estese agli altri ambiti, fornendo l’appiglio normativo per offrire soluzioni, anticipate dal legislatore in tale materia, a fattispecie che ne fuoriescono: si pensi, ad esempio, all’orientamento del Consiglio di Stato in tema di modulazione degli effetti nel tempo della sentenza di annullamento, che, tra l’altro, motiva la possibilità per il giudice amministrativo di far decorrere tali effetti a partire da ora o per il futuro proprio con riferimento alla disciplina in tema di inefficacia del contratto ai sensi degli artt. 121 e seg., c.p.a. Tuttavia, è da dire che, nelle ipotesi prese ora in considerazione, manca l’espressa disposizione di diritto positivo che assegni la giurisdizione al giudice amministrativo, che, invece, sembra risultare necessaria, anche tenuto conto delle considerazioni, prima ricordate, dell’Adunanza Plenaria n. 2/2017, che dubitava della sufficienza dell’ermeneusi per radicare la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda riconvenzionale della stazione appaltante: da questo punto di vista, e alla luce del principio di stretta legalità processuale e della certezza o prevedibilità delle regole processuali, soprattutto nell’ottica della tutela del controinteressato o del privato asserito autore del danno, si dovrebbe concludere nel senso dell’esclusione – ed è questa la soluzione che pare più corretta – dell’estensione dell’art. 124 c.p.a., alle fattispecie ivi non espressamente considerate”.
[9] Circa i problemi di eccesso di delega, rispetto alla legge 21 giugno 2022, n. 78, v. M. Lipari, La tutela giurisdizionale amministrativa e il precontenzioso ANAC nel nuovo Codice dei contratti pubblici, lamministrativista.it, 2023
[10] Art. 1, All. cit: “Nel codice si intende per: (…) l) «operatore economico», qualsiasi persona o ente, anche senza scopo di lucro, che, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura pubblica o privata, può offrire sul mercato, in forza del diritto nazionale, prestazioni di lavori, servizi o forniture corrispondenti a quelli oggetto della procedura di evidenza pubblica”.
Nel previgente codice (art. 3, d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50), mancava, invece, la corrispondenza con l’oggetto della procedura: “Ai fini del presente codice si intende per: (…) p) «operatore economico», una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”.
[11] Il richiamo, ovviamente, è a Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204.
[12] Particolarmente rilevante, in questo senso, è l’esempio del subfornitore, il quale potrebbe essere anche del tutto ignaro del fatto che la sua controparte contrattuale intenda presentare la merce in una gara pubblica.
[13] La criticità è stata colta anche da M.A. Sandulli, Il contenzioso sui contratti pubblici, lamministrativista.it, 2023: “Per non dire del rischio che, con un'interpretazione allargata del concetto di illecito, le conseguenze degli errori del committente - e, a monte, dell'incertezza delle regole - siano fatte sostanzialmente ricadere in massima parte sull'aggiudicatario, disincentivando gli imprenditori a partecipare alle gare indette nel nostro Paese”.
[14] Art. 91, comma 5, cit.: “Le offerte tecniche ed economiche, redatte secondo le modalità di cui al comma 1, sono corredate dai documenti prescritti dal bando o dall'invito o dal capitolato di oneri. Nelle offerte l'operatore economico dichiara alla stazione appaltante il prezzo, i costi del personale e quelli aziendali per la sicurezza e le caratteristiche della prestazione, ovvero assume l'impegno ad eseguire la stessa alle condizioni indicate dalla stazione appaltante e dalla disciplina applicabile, nonché fornisce ogni altra informazione richiesta dalla stazione appaltante nei documenti di gara”.
[15] Art. 107, comma 1, cit: “1. Gli appalti sono aggiudicati sulla base di criteri stabiliti conformemente agli articoli da 108 a 110 previa verifica, in applicazione dell'articolo 91 e dell'allegato II.8, quest'ultimo con riguardo ai mezzi di prova e al registro online, della sussistenza dei seguenti presupposti: a) l’offerta è conforme alle previsioni contenute nel bando di gara o nell'invito a confermare l'interesse nonché nei documenti di gara”.
[16] Corte cass., Ss. Uu., 22 luglio 1999, n. 500: “Non può negarsi che nella disposizione in esame risulta netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia "ingiusto", mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all'imputabilità della responsabilità. L'area della risarcibilità non è quindi definita da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicità dell'illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), bensì da una clausola generale, espressa dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (non iure), che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento (altra opinione ricollega l'ingiustizia del danno alla violazione del limite costituzionale di solidarietà, desumibile dagli artt. 2 e 41, comma 2, Cost., in riferimento a preesistenti situazioni del soggetto danneggiato giuridicamente rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi sostanzialmente convergono). Ne consegue che la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui. In definitiva, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un "danno ingiusto", ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza”.
[17] Una interpretazione a tal punto rigida è stata, dunque, esclusa dalla citata pronuncia Cons. di Stato, II,13.12.2020, n. 8546.
[18] Il richiamo al principio di buona fede non è sufficiente, peraltro, a configurare il rapporto corrente tra la Stazione appaltante e l’aggiudicatario illegittimo in termini di responsabilità precontrattuale, ancorché questa sia verosimilmente la soluzione più convincente. Tale opinione era stata sostenuta, in effetti, da alcuni autori che esaminarono alcune delle poche sentenze sull’azione di rivalsa introdotte prima del nuovo codice dei contratti pubblici. Si veda così, in particolare, B. Biancardi, Responsabilità precontrattuale nei contratti pubblici - Responsabilità precontrattuale nelle procedure di evidenza pubblica: quali regole a parti invertite?, Giur. it., 2021, 1708 s.s. A favore di detta tesi milita il fatto che, con l’offerta, il futuro aggiudicatario illegittimo, il quale abbia indotto la stazione appaltante a false rappresentazioni e quindi l’abbia spinta a un esito della gara illegittimo, non ha ancora instaurato un vero rapporto contrattuale, destinato a sorgere in seguito all’aggiudicazione stessa. Peraltro, il principio di buona fede trova campo di applicazione anche nella responsabilità contrattuale propriamente detta (1375 c.c.).
[19] Se mai, la buona fede dell’aggiudicatario illegittimo può valere al fine di valutare un eventuale esonero della propria responsabilità verso la stazione appaltante che agisce in rivalsa. Acquisisce dunque valore l’inciso, pure contenuto nel citato art. 5, ma comma 3, secondo il quale “l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”.
[20] Si pone così il problema se l’azione di rivalsa sia esperibile anche al di fuori dell’ambito dei contratti pubblici, in tutte le occasioni in cui una Amministrazione sia chiamata a risarcire il danno a terzi per l’emanazione di un provvedimento favorevole nei confronti di altro soggetto. Così, ad esempio, se il risarcimento fosse conseguenza di un titolo edilizio illegittimo. Sul punto pare convincente la tesi sostenuta da P. Patrito, Il nuovo “rito”, cit., 1989, il quale propende per la soluzione favorevole, sul presupposto che la rivalsa fosse istituto preesistente al nuovo Codice e applicabile in virtù di principi generali, salvo dover riconoscere che la giurisdizione, in difetto di disposizioni che attribuiscano un sindacato anche di tipo esclusivo, non dovrebbe appartenere al giudice speciale. Cosicché – si ritiene qui di dover osservare – davanti al giudice ordinario potrebbero contrapporsi due liti: quella introdotta dall’autorità amministrativa nei confronti del beneficiario illegittimo per il suo concorso nella generazione del risarcito danno e la lite introdotta invece dal medesimo beneficiario che, una volta visto annullato il provvedimento a sé favorevole, potrebbe invocare il risarcimento del proprio danno, nei confronti della amministrazione pubblica, per la lesione della propria buona fede. Le due liti, il cui accoglimento sembra reciprocamente escludente, verrebbero dunque a poggiare sull’individuazione di quale tra i due soggetti fosse effettivamente in buona fede e, a tal riguardo, si deve dubitare che i contorni con cui l’art. 5 del codice descrive la buona fede stessa (in particolar modo la clausola secondo la quale “l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”) possa estendersi alla generalità delle altre fattispecie provvedimentali.
[21] Art. 754 c.c.
[22] Artt. 1129 e 1132 c.c.
[23] Il richiamo all’art. 2055 c.c. era già presente nella citata sentenza Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279: “Va fatta applicazione di un principio generale dell’ordinamento giuridico (cui si ispira anche l’art. 2055 del codice civile), per il quale vi è la solidarietà anche quando il danno sia stato concausato da due autori del fatto, le cui condotte siano rispettivamente una colposa e una dolosa”.
[24] Art. 2, d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36: “L'attribuzione e l'esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”.
[25] Così, l’art. 1 del codice.
[26] Una prima lettura di detto principio, soprattutto con riferimento a nuove accezioni del principio di buon andamento a cui l’art. 1 del codice lo associa, è resa da A.M. Chiarello, Una nuova cornice di principi per i contratti pubblici, Dir. econ., 148 s. Spunti, nel senso qui prospettato, sono proposti anche da G. Napolitano, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, Giorn. dir. amm., 2023, 287: “L’affermazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale mira a codificare una disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili tali da determinare una sostanziale alternazione nell’equilibrio contrattuale. Si tratta, peraltro, di ipotesi diventate molto frequenti nella congiuntura economica e sociale segnata dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina. La relazione dichiara che le soluzioni al problema che nei vari ordinamenti giuridici va sotto il nome di frustration of purpose, Wegfall der Geschäftsgrundlage, imprévision, individuate nel Codice traggono ispirazione dai principi e dalla prassi internazionale dei rapporti commerciali tra privati, in particolare alla disciplina contenuta nei Principi Unidroit e nel Codice europeo dei contratti. Come è stato subito evidenziato da attenta dottrina, la scelta del legislatore di fare riferimento al diritto comune dei contratti commerciali invece che al diritto speciale dei contratti pubblici di altri ordinamenti indica una precisa opzione normativa, nel senso di una tendenziale parificazione della posizione delle parti e addirittura di una tutela rafforzata dell’esecutore anche rispetto a quanto attualmente previsto dal codice civile italiano. Invece della tutela meramente demolitoria apprestata dal codice civile, infatti, il nuovo Codice dei contratti pubblici mira a garantire la sopravvivenza del contratto e la salvaguardia degli interessi economici delle parti. Si intende così conciliare lo speciale interesse dell’amministrazione committente alla continuità delle prestazioni e delle forniture con quello degli operatori alla tutela dell’equilibrio economico-finanziario (a garanzia anche dei loro lavoratori e fornitori)”.
[27] La tesi è riportata anche da M.A. Sandulli, Il contenzioso, cit.: “Come rilevato in altre occasioni, non posso non esprimere serie preoccupazioni per la riferita disposizione, che, se letta nel contesto di un sistema di tutela giurisdizionale che indebitamente privilegia la tutela risarcitoria per equivalente rispetto a quella soprassessoria e caducatoria (in evidente spregio anche alla qualità della prestazione), corre il rischio di ridurre il contenzioso sui contratti de quibus a una controversia tra privati. Il che, oltretutto, farebbe dubitare della ratio della sua attribuzione alla giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, che ha, invece, la sua ragion d'essere nel garantire la “giustizia nell'amministrazione”, a necessaria e imprescindibile tutela dell'effettività dei principi enunciati dall'art. 97 e dalle altre disposizioni costituzionali che regolano e limitano l'esercizio del potere amministrativo”.
[28] In questi termini, espressamente, si era già espressa la citata pronuncia Cons. di Stato, VI, 15 ottobre 2012, n. 5279.
[29] A meno che non si intenda esprimersi, in questo caso, in termini di una sorta di “responsabilità azzoppata”, come pure è stato suggerito, in epoca antecedente al codice dei contratti pubblici, da P. Patrito, La responsabilità solidale dell’amministrazione e del beneficiario del provvedimento illegittimo: profili sostanziali e processuali, Giur. it., 2013, 1428 s. Altro tema è quello di valutare le ragioni di una solidarietà, in senso proprio o improprio, tra la stazione appaltante e il privato beneficiario della aggiudicazione illegittima; se, cioè, essa miri, come è di consueto nella teoria delle obbligazioni, a favorire la scelta del patrimonio aggredibile, da parte del creditore, oppure se si ispiri a una sorta di corresponsabilità nell’esercizio della funzione pubblica (M. Bombardelli, La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996, 175; P. Patrito, ibidem, il quale ultimo, peraltro, richiama le tesi opposte a detta ultima prospettazione, sostenute da A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, 14 e da S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella dinamica del potere amministrativo, Torino, 2008, 344).
[30] A favore dell’esperibilità dell’azione risarcitoria diretta dell’offerente illegittimamente pretermesso nei riguardi dell’aggiudicatario si esprime, esplicitamente, anche la Relazione di accompagnamento al Codice (pag. 246): “L’innovazione punta a rafforzare la tutela risarcitoria sia del terzo pretermesso, leso dall'aggiudicazione illegittima, il quale può agire direttamente, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti dell'operatore economico che, contravvenendo ai doveri di buona fede, ha conseguito una aggiudicazione illegittima; sia della stessa stazione appaltante, che può agire in rivalsa nei confronti di quest'ultimo o dell’eventuale terzo concorrente che abbia concorso con la sua condotta scorretta a determinare un esito della gara illegittimo”.
[31] Il rilievo è stato colto anche da G. Pesce, Le istanze di tutela nel nuovo codice dei contratti pubblici, tra principio dispositivo e interesse pubblico: prime riflessioni, judicium.it, 2023. V. anche P. Patrito, Il nuovo codice dei contratti pubblici - Il nuovo “rito appalti” e il parere di precontenzioso dell’Anac, cit. e P. Tonnara, Le modifiche al “rito appalti e concessioni” a seguito del nuovo Codice dei contratti pubblici, lamministrativista.it, 2013: “Rimane, invece, esclusa dalla giurisdizione amministrativa l'eventuale domanda risarcitoria che un concorrente volesse esperire nei confronti di un altro partecipante alla procedura di affidamento, atteso che “l'art. 103 Cost. non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati”.
Si consideri anche Cass., Ss.Uu., 9 marzo 2020, n. 6690, con riguardo alla domanda di risarcimento introdotta verso il funzionario preposto a un organo svolgente, nella specifica fattispecie, funzioni amministrative: “In tal senso, deve trovare applicazione il principio secondo cui "l'art. 103 Cost., non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati, sicchè la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del funzionario in proprio, cui si imputi l'adozione del provvedimento illegittimo, va proposta dinanzi al giudice ordinario, non ostando a ciò la proposizione della domanda anche nei confronti dell'ente pubblico sotto il profilo della responsabilità solidale dello stesso, stante l'inderogabilità per ragioni di connessione della giurisdizione" (Cass., S.U., 13 giugno 2006, n. 13659).
A tal riguardo (come, segnatamente, messo in risalto da Cass., S.U., 3 ottobre 2016, n. 19677), il presupposto della giurisdizione amministrativa alla luce dell'art. 103 Cost., "è, infatti, che la tutela giurisdizionale coinvolgente le situazioni giuridiche nella giurisdizione di legittimità ed in quella esclusiva debba avere luogo con la partecipazione in posizione attiva o passiva della pubblica amministrazione" o "del soggetto che, pur non facendo parte dell'apparato organizzatorio di essa, eserciti le attribuzioni dell'Amministrazione, così ponendosi come pubblica amministrazione in senso oggettivo".
Il dettato costituzionale - che radica la giurisdizione del giudice amministrativo "nei confronti della pubblica amministrazione" - è confermato dallo stesso codice del processo amministrativo, il cui art. 7, comma 1, riferisce alle "pubbliche amministrazioni" (e in base del medesimo art. 7, al comma 2, anche ai soggetti ad esse "equiparati") l'esercizio del potere suscettibile di incidere sulle posizioni di interesse legittimo e (nelle particolari materie) di diritto soggettivo e, quindi, di attivare la cognizione del giudice amministrativo a tutela di dette situazioni soggettive.
In tal senso, il perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo non può estendersi anche alle controversie in cui il potere amministrativo "venga in discussione in quanto esercitato dai soggetti all'Amministrazione legati da rapporto organico, cioè considerandosi il solo dato che il loro agire si è esplicato formalmente come espressione del potere amministrativo".
Il riferimento esplicito e chiaro alle forme dell'esercizio del potere in quanto poste in essere da "pubbliche amministrazioni" evidenzia come "soggettivamente la controversia esige che una delle parti sia la pubblica amministrazione e l'altra il soggetto che faccia la questione sull'interesse legittimo o sul diritto soggettivo”.
[32] È opportuno rammentare che, ai fini della notificazione del ricorso con cui si faccia valere una domanda risarcitoria autonoma, non vale il dimezzamento dei termini previsto dall’art. 120, comma 2, c.p.a., perché esso si applica alle sole domande costitutive di annullamento.
[33] La tesi fu sostenuta da chi scrive anche per contestare la fondatezza della c.d. pregiudiziale amministrativa, in epoca anteriore all’emanazione del codice di rito. Ci si permette, così, di rinviare a F. Volpe, Norme di relazione, norme d’azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova, 2004, 388 s.
[34] Peraltro, si prospetterebbe, così, l’ipotesi che rimanga in essere una aggiudicazione illegittima, a favore di soggetto che non avrebbe potuto beneficiarne, in contrasto con i principi ispiratori sostenuti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di ricorsi (introduttivo e incidentale) reciprocamente escludenti (CGUE, 4 luglio 2013, in C-100/12; CGUE, 5 aprile 2016, in C- 689/13; CUGE, 10 maggio 2017, inC- 131/16; CGUE 5 settembre 2019, in C‑333/18. Il problema del carattere obiettivo del giudizio amministrativo in materia di appalti, quale suggerito da siffatta giurisprudenza sovranazionale (sul punto, v. F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), giustiziainsieme.it, 2020., verrebbe, in tal modo eluso, trasferendo la decisione sostanziale della controversia dal giudice amministrativo al giudice ordinario.
[35] L’ipotesi che la rivalsa presupponga un regresso integrale della stazione appaltante sull’aggiudicatario illegittimo non merita neppure di essere presa in considerazione, al fine di dimostrare la neutralità dell’autorità amministrativa al processo, perché proprio l’integralità del regresso la implica.
[36] L’esistenza di tale figura sembra essere sopravvissuta all’art 21 – nonies, legge 7 agosto 1990, n. 241 anche nelle enunciazioni della giurisprudenza. Così, Cons. di Stato, V, 7 gennaio 2019, n. 130: “In taluni casi però, l’annullamento d’ufficio ha carattere doveroso, nel senso che può essere attivato a fronte di mero vizio di legittimità del provvedimento di primo grado, senza il concorso della sussistenza attuale di un interesse pubblico ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata: la causa esaminata era per il Tar uno di questi, il caso dell’esecuzione di una decisione del giudice ordinario passata in giudicato che avesse ritenuto illegittimo un atto amministrativo”. Tra gli autori recenti sembra contestare la figura N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), federalismi.it., 2017, 6, alla nota n. 11.