Sommario: 1. La qualificazione penale delle sanzioni amministrative nella CEDU - 2. La Full jurisdiction nella CEDU e nel diritto dell’Unione Europea - 3. Nuovi contributi delle Corti europee sulla full jurisdiction - 4. Conclusioni.
1. La qualificazione penale delle sanzioni amministrative nella CEDU.
Secondo linee ormai ben note – su cui qui non mi soffermo rimandando ad altri miei precedenti scritti[1] - le sanzioni amministrative quali conosciute nell’ordinamento italiano sono sostanzialmente penali, ai sensi della autonoma definizione della materia penale elaborata dalla CEDU.
E, sia chiaro, ciò vale – nonostante alcuni sorprendenti dubbi ancora presenti nella giurisprudenza italiana di legittimità[2] – almeno per tutte le sanzioni amministrative pecuniarie. Da quelle, più rilevanti, delle Autorità amministrative indipendenti, a quelle minori, per illeciti stradali.
Per essere ancora più diretti, non si richiede una specifica gravità della sanzione. Coerentemente con il carattere alternativo (e non cumulativo) dei criteri Engel[3], è sufficiente la finalità afflittiva, indipendentemente dall’intensità, dal quantum, di tale afflittività.
Lo ha detto, fin dal 1984 (con insegnamento costantemente ripetuto), la Corte EDU nell’occuparsi di modeste sanzioni per violazione del Codice della strada: « Non vi è […] nulla che suggerisca che il concetto di illecito penale di cui parla la Convenzione implichi necessariamente un qualche livello di gravità […]. Per di più sarebbe contrario all’oggetto e allo scopo dell’art. 6, che protegge “chiunque sia soggetto ad un’accusa penale” il diritto a un tribunale e ad un equo processo, se allo Stato fosse consentito di sottrarre dal campo di applicazione dell’art. 6 un’intera categoria di illeciti solo per il fatto che siano qualificati come minori»[4].
Basti ancora notare che, nel 1999, la Corte di Strasburgo non ha mostrato alcuna incertezza nel definire di natura penale una comune sanzione amministrativa pecuniaria italiana per eccesso di velocità, dall’ammontare di (sole) 62.000 lire [5]; nel 2006 ha qualificato penalisticamente una sanzione pecuniaria nazionale per attività edilizie in violazione della disciplina posta a tutela del paesaggio [6]; con la sentenza Menarini del 2011 [7], poi, una sanzione amministrativa antitrust della nostra AGCM è stata ricondotta al penale e, nel 2014, è stata vista come penale una sanzione Consob per manipolazione del mercato[8]. Da ultimo, nel 2020, nel caso Edizioni Del Roma [9], è stata qualificata come penale una sanzione amministrativa pecuniaria di AGCOM, di 103.300 euro.
D’altra parte, come più volte chiarito a partire dal 1995[10], una finalità di cura in concreto dell’interesse pubblico non contrasta affatto con la natura penale del provvedimento di reazione alla commissione di un illecito. Insomma, la sanzione – per essere penale – non deve avere una finalità di mera giustizia. Non è nota, in Europa, la (peraltro fragilissima) tesi nazionale della c.d. discrezionalità giudiziale, che si sostituirebbe alla discrezionalità amministrativa in sede sanzionatoria[11].
2. La Full jurisdiction nella CEDU e nel diritto dell’Unione Europea.
Vengo ora ad interrogarmi, secondo l’importante spunto di Fabio Francario[12], sulle conseguenze di tutto ciò in punto di sindacato giurisdizionale.
Sono necessari alcuni passaggi, non sempre, credo, del tutto compresi nel dibattito italiano.
A svolgere con rigore concettuale il presupposto sopra ricordato (la sanzione amministrativa è una pena), tutte le garanzie dell’equo processo penale (art. 6 CEDU) dovrebbero essere fin da subito godute nel procedimento amministrativo: esso, infatti, si conclude direttamente con la condanna, i.e. la sanzione amministrativa, per di più immediatamente esecutiva, o la “assoluzione”, i.e. la archiviazione.
Il principio nulla poena sine aequo judicio (sintesi estrema dell’art. 6 CEDU come diritto al giudice in materia penale) suggerirebbe dunque, in un’attuazione ottimale, di far precedere le garanzie penalistiche alla sanzione.
Tuttavia, la giurisprudenza CEDU, nella consapevolezza dei limiti della disciplina del procedimento amministrativo riscontrabili nella gran parte dei paesi europei (in realtà ampiamente ispirata a schemi inquisitori, irrimediabilmente lesivi delle condizioni minime e strutturali della parità delle armi), ha mostrato fin da subito un approccio flessibile.
In particolare, la CEDU non si oppone in modo assoluto al fenomeno, non solo italiano, del crescente ricorso alla sanzione amministrativa, al posto di quella formalmente penale (depenalizzazione).
Fin dal già citato caso Otzurk del 1984, la Corte di Strasburgo ha però richiesto che alla fase amministrativa (se ed in quanto inadeguata ad assicurare un effettivo equo processo) sia effettivamente seguita una fase giudiziale di c.d. piena giurisdizione (full jurisdiction).
Il canone della full jurisdiction è estremamente esigente. E ciò vale specie in materia penale, come più volte dichiarato dalla Corte EDU[13].
Si pretende infatti un processo (ovviamente equo e paritario, ossia conforme all’art. 6 CEDU) investente, in fatto come in diritto, punto per punto, l’intero merito della pretesa punitiva, con potere (concretamente esercitato ove richiesto dal ricorrente) di piena sostituzione rispetto al contenuto della decisione amministrativa. In altri termini, come chiarito ad es. nella citata sentenza Edizioni del Roma resa proprio in relazione al contenzioso amministrativo italiano: «Il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude dunque che, in un procedimento di natura amministrativa, una «pena» sia imposta in primo luogo da un’autorità amministrativa (G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, § 254 28 giugno 2018). Si presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni di cui all’articolo 6 sia sottoposta a un controllo a posteriori da parte di un organo giudiziario con piena giurisdizione (Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 132, 6 novembre 2018). Tra le caratteristiche di un organo giudiziario con piena giurisdizione vi è il potere di riformare interamente, in fatto e in diritto, la decisione emessa da un organo di grado inferiore. Il primo organo deve essere competente per esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia ad esso sottoposta (Chevrol c. Francia, n. 49636/99, § 77, CEDU 2003-III, Silvester’s Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, § 27, 4 marzo 2004, e A. Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 59).» [14].
Che questo sindacato debba attenere all’an della responsabilità e quindi della fondatezza della pretesa sanzionatoria (fino a riguardare, sostitutivamente, la stessa opportunità di “condonare” la sanzione), è stato inequivocabilmente chiarito: ad es. nella pronuncia Silverster’s Horeca Service[15] (uno dei leading cases, come appena visto spesso richiamato dalla stessa Corte EDU), si è negata la full jurisdiction, perché, in specie, la Corte aveva ritenuto « […]di essere stata chiamata solo ad esaminare la realtà delle infrazioni ai sensi della disciplina IVA e di riesaminare la legittimità delle sanzioni fiscali imposte, senza essere competente a valutare l’opportunità se concedere una deroga totale o parziale dalle stesse».
Dunque un profilo di indubbia discrezionalità/opportunità (se condonare o meno) deve essere – anch’esso - in capo all’Autorità giurisdizionale.
A fronte delle incertezze e dei dubbi che la nozione di full jurisdiction ancora suscita, almeno un punto dovrebbe essere invero chiaro: è la stessa logica interna (e funzione) della full jurisdiction a suggerire un massimo grado di sindacato, di tipo sostitutorio. Difatti, senza sindacato sul merito della pretesa sanzionatoria, la fase giudiziale non potrebbe in alcun modo ambire a “compensare” i limiti della fase amministrativa. Le garanzie dell’equo processo penale devono essere godute in una fase di effettiva scelta sulla pena, non di riesame esterno di legittimità: quest’ultimo non entra (se non marginalmente) nel nucleo della questione (colpevolezza e quindi inflizione della sanzione, cioè an e quantum della sanzione); ma è proprio questo nucleo della questione che – come chiaro – l’art. 6 CEDU pretende sia inderogabilmente deciso nelle forme dell’equo processo (non solo e non certo i profili di mera legittimità)[16]. Un giudice vincolato ‒ anche se solo parzialmente ‒ dalle determinazioni amministrative vede invece la sua funzione di accertamento della colpevolezza e della giusta sanzione (più o meno gravemente) compromessa. Ma con ciò viene meno un fondamentale presupposto (lo si ripete, anzitutto) logico della compensabilità ex post, ossia il riesame ex integro della pretesa sanzionatoria.
In altri termini, se campo di applicazione elettivo dell'art. 6 CEDU è anzitutto il rapporto amministrativo, va da sé che il rapporto processuale, per poter compensare i limiti del rapporto amministrativo in punto di adeguamento all'art. 6 CEDU, debba avere lo stesso oggetto di quest'ultimo, ossia la complessiva questione amministrativa.
Insomma, l’equo processo ex art. 6 CEDU, pur regola formale-procedurale, mira però a incidere con pienezza sui rapporti sostanziali, non certo su fasi di mera revisione di legittimità.
A dimostrazione della necessità anzitutto logica della pienezza di sindacato quale presupposto per l’efficacia “terapeutica” della fase giurisdizionale, basti qui menzionare la analoga regola ideata dalla Corte Suprema USA per curare ex post determinazioni amministrative formate in violazione della due process clause: "the administrative law judge is required to conduct a de novo review of all factual and legal issues"[17]. Come, tra gli altri, osservato dalla Corte Federale del Distretto di New York Sud, ciò significa che allorquando un'azione di enforcement pubblicistico non rispetti di per sé il giusto processo e, allo stesso tempo, sia capace di "barring a final determination on the merits", la deprivazione dei diritti di difesa sia irrimediabile e quindi inaccettabile[18]. Si riapre la strada di un godimento effettivo dell’equo processo solo ove un’altra autorità superiore possa occuparsi del merito delle medesime questioni, nel rispetto della due process clause. Merito amministrativo come preteso spazio di affrancamento dal sindacato giurisdizionale e full jurisdiction sono concetti antitetici ed inconciliabili.
Ma del resto, come a suo tempo notato, anche l’idea (alla base del sindacato pieno garantito al giudice ordinario dalla l. 689 del 1981) rifletteva una simile logica, di poter, almeno ex post, ««usufruire» del principio garantistico «nulla poena sine iudicio» senza i limiti che generalmente ostano alla sua piena tutela nei confronti della p.A.»[19]
Ne deriva, tra l'altro, la necessità di un pieno riesame dei presupposti che, in Italia, definiremmo come tecnico-discrezionali o comunque qualificabili in termini di concetti giuridici indeterminati[20]. Si chiede cioè, in relazione a tali presupposti, la capacità del giudice di «sostituire la propria opinione» rispetto a quella della Autorità amministrativa, perché, altrimenti, «la questione centrale della controversia non è determinata da un tribunale indipendente ed imparziale»[21].
In materia di sanzioni amministrative il modello della full jurisdiction è allora espressamente quello di un sindacato giurisdizionale appellatorio (invece che cassatorio): il provvedimento sanzionatorio deve essere visto come una «decisione […] resa dall’organo inferiore» [22]. L'idea, cioè, è quella di due soggetti pubblici che, in continuità tra loro, esercitano un potere (di decisione su una controversia) qualitativamente identico, con conseguente piena sostituibilità della scelta dell'organo inferiore (l'Amministrazione) da parte dell'organo superiore (il giudice di full jurisdiction).
Non a caso, nella sentenza Grande Stevens del 2004, il sindacato in concreto esercitato dalla Cassazione italiana sulla decisione della Corte d’appello e così sulla sanzione è stato ritenuto inadeguato, in quanto i giudici di legittimità erano privi del potere di «esaminare il merito del caso, accertare i fatti e valutare gli elementi di prova »[23].
È fondamentale notare (anche per gli evidenti riflessi di diritto nazionale) come il particolare rigore con cui deve intendersi il canone della full jurisdictio in relazione alle sanzioni amministrative sia stato ben compreso in sede di Unione Europea.
In particolare, la Corte di giustizia, a seguito della inequivoca affermazione della natura penale delle sanzioni antitrust da parte della Corte di Strasburgo [24], ha ricercato (tramite la full jurisdiction), una conciliazione tra enforcement amministrativo del diritto antitrust e diritto all’equo processo ex artt. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, da interpretarsi, ai sensi del suo art. 52, co. 3, in conformità alla CEDU e alla giurisprudenza di Strasburgo [25]). In tale ottica, sembra aver ormai consolidato l'affermazione per cui in sede di contenzioso su tali sanzioni, la full jurisdiction implichi in capo al giudice «il potere di riformare in ogni modo, in fatto come in diritto, la decisione adottata, resa [si noti] da un organo di grado inferiore». Sicché, «L’organo giudiziario deve in particolare essere competente a giudicare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia per cui viene adito». La competenza estesa al merito ex art. 31 del Regolamento n. 1 del 2003 deve quindi interpretarsi nel senso dell’attribuzione al giudice del potere di «sostituire la sua valutazione a quella della Commissione», così da «sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta» [26].
Già nel 2013, i giudici dell'Unione europea sono giunti a precisare – ed è questa l’affermazione più impegnativa e allo stesso tempo rilevante - che, nel controllo giurisdizionale sulle sanzioni antitrust, nessun ostacolo alla pienezza del sindacato può discendere dal «potere discrezionale di cui dispone la Commissione, in forza del ruolo assegnatole, in materia di politica della concorrenza, dai Trattati UE e FUE […]»[27]. La Corte mostra così di intendere recessiva ogni barriera al sindacato discendente dalla discrezionalità ove anche, quest'ultima, intesa come potere fondato sull'assegnazione legale di un ruolo istituzionale di cura (e persino di definizione) di un dato interesse pubblico (parlare di politica dela concorrenza significa evidentemente alludere ad una discrezionalità particolarmente ampia).
Concetti, questi ultimi, ribaditi nel 2017: «il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto». In sostanza, la competenza di merito sulle sanzioni antitrust della Commissione «autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta»[28]..
Sembrano in tal modo trovare accoglimento le lucide osservazioni dell’Avvocato generale Yves Bot secondo cui il sindacato sulle sanzioni amministrative della Commissione dovrebbe essere modellato su quello di «un giudice d’appello che esamina il fascicolo e se ne riappropria ex novo, come richiesto dall’art. 6 della CEDU»[29].
D'altra parte, il modello della full jurisdiction sta ormai acquisendo, nell'intero ambito del diritto dell'Unione, il ruolo di canone minimo necessario dell’effettività della tutela giurisdizionale in materia sanzionatoria amministrativa. Come tale vincolante anche rispetto alle sanzioni nazionali.
Così, nel 2013, la Grande Sezione della Corte di giustizia, nel pronunciarsi in tema di reciproco riconoscimento tra gli stati membri delle sanzioni amministrative pecuniarie (nella specie, per violazione del codice della strada), ha ritenuto che tale riconoscimento vada subordinato alla messa a disposizione di un ricorso giurisdizionale effettivo e che tale effettività, alla luce degli artt. 6 CEDU e 47 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, esiga che il giudice nazionale sia «pienamente competente ad esaminare la causa con riferimento tanto alla valutazione in diritto quanto alle circostanze di fatto», con, in particolare, «possibilità di esaminare le prove e di accertare su tale base la responsabilità dell’interessato nonché l’adeguatezza della pena» [30].
3. Nuovi contributi delle Corti europee sulla full jurisdiction.
Tali impostazioni a livello UE e CEDU trovano oggi importanti conferme e, si direbbe, sviluppi, in alcune recenti sentenze, di cui dirò brevemente.
Partiamo dalla Corte di giustizia.
In una pronuncia del 2023 sempre in punto di reciproco riconoscimento tra gli stati membri delle sanzioni pecuniarie[31], si legge di nuovo (come nel 2013), la netta affermazione per cui «perché sia possibile il riconoscimento di una sanzione amministrativa pecuniaria ai fini dell’esecuzione forzata in un altro ordinamento UE ai sensi della decisione quadro 2005/214, occorre che, quanto alla «portata e la natura del controllo esercitato dall’autorità giudiziaria che può essere adita, quest’ultima deve essere pienamente competente ad esaminare la causa con riferimento tanto alla valutazione in diritto quanto alle circostanze di fatto e deve avere in particolare la possibilità di esaminare le prove e di accertare su tale base la responsabilità dell’interessato nonché l’adeguatezza della pena».
È così confermato che l’art. 47 della Carta di Nizza (ispirato com’è dall’art. 6 CEDU) pretende la full jurisdiction come parametro sì esigente, ma anche minimo, dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Tuttavia, un’altra sentenza del 2023 dei giudici dell’Unione[32] appare ancor più importante e, si direbbe, dirimente.
Nell’occuparsi di una sanzione amministrativa di carattere reale inflitta dalla Romania in materia di depositi fiscali (ossia di una sospensione dell’autorizzazione necessaria per l’esercizio di un deposito fiscale, ai sensi della direttiva 2008/118, a causa di indizi della commissione di reati in violazione del regime dei prodotti soggetti ad accisa), la Corte non ha dubbi che condizione di legittimità della stessa sia e non possa che essere, ai sensi dei principi della Carta di Nizza che riflettono le garanzie CEDU, il diritto alla full jurisdiction, come inteso dalla Corte EDU e dalla coerente giurisprudenza UE in tema di sindacato sulle sanzioni antitrust. Tale sospensione, infatti, per quanto con finalità anche preventive, reagisce ad un preteso illecito ed è quindi pena ai sensi CEDU e della Carta di Nizza: «Per quanto concerne, poi, il criterio relativo alla natura stessa dell’infrazione, esso implica di verificare se la misura contemplata persegua, in particolare, una finalità repressiva, senza che la mera circostanza che essa persegua anche una finalità preventiva sia idonea a privarla della sua qualificazione di sanzione penale».
Si richiede dunque, ex art. 47 della Carta di Nizza, un sindacato esteso al merito. E ciò sull’an, come su ogni altro profilo, del preteso illecito e della sanzione: «Inoltre, l’articolo 47 della Carta richiede che ogni destinatario di una sanzione amministrativa di natura penale disponga di un mezzo di ricorso che gli consenta di far controllare tale sanzione da un organo giurisdizionale dotato di una competenza estesa al merito (sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C 501/11 P, EU:C:2013:522, punti da 32 a 35)».
Insomma, l’insegnamento per cui «Quanto al controllo di legittimità, …il giudice dell’Unione …non può far leva sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione – né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti del 1998 né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi – al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto…», vale (come è logico che sia, visto che discende dall’art. 47 della Carta di Nizza) anche per le sanzioni nazionali, in materie di interesse UE.
Peraltro, la necessità di un sindacato di merito su ogni profilo della pretesa sanzionatoria emerge anche di nuovo nella giurisprudenza CEDU. E ciò proprio con riguardo all’Italia e al contenzioso amministrativo. In particolare, l’inadeguatezza di visioni deferenti del sindacato giurisdizionale amministrativo trova importanti conferme.
Nella già citata pronuncia Edizioni Del Roma del 2020, si è negata una violazione dell’art. 6 CEDU rispetto ad una sanzione AGCOM in quanto, pur essendo il procedimento amministrativo non in linea con l’art. 6 CEDU tra l’altro perché carente sul piano dell’attuazione del diritto al contraddittorio, tuttavia, in concreto, «I giudici amministrativi hanno potuto verificare se, con riguardo alle circostanze particolari della causa, l’AGCOM avesse fatto un uso appropriato dei suoi poteri, e hanno potuto esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte dell’AGCOM». Quindi, quel che si richiede è un controllo pieno, si noti, sulla fondatezza nell’an (e non solo nel quantum) della sanzione.
Del resto, con una sentenza poco discussa in Italia ma ormai fondamentale per capire gli attuali orientamenti CEDU in punto di full jurisdiction, nel 2018 la Grand Chamber si è espressa con nettezza, nel caso Ramos Nunes[33]. Ivi, ha escluso (peraltro in materia civile, cioè con riguardo ad una sanzione disciplinare inflitta ad un magistrato da parte dell’organo di autogoverno portoghese e quindi con argomenti applicabili a fortiori alla materia penale ove, come si è detto, la full jurisdiction è intesa con più rigore) che una Corte capace di annullare la sanzione solo per errori procedurali e errori di valutazione manifesti senza capacità (o comunque volontà) di sostituire la propria valutazione a quella dell’organo di autogoverno eserciti una full jurisdiction e quindi possa rimediare ex post i limiti del procedimento sanzionatorio: «>span class="s68f5eaef">Nevertheless, it was empowered to set aside a decision wholly or in part in the event of a “gross, manifest error”, and in particular if it was established that the substantive law or procedural requirements of fairness had not been complied with in the proceedings leading to the adoption of the decision. Thus, it could refer the case back to the CSM for the latter to give a fresh ruling in conformity with any instructions issued by the Judicial Division regarding possible irregularities (see, conversely, Oleksandr Volkov, cited above, §§ 125-26, and Kingsley, cited above, § 32) ».
Non basta, insomma, un sindacato di legittimità, diremmo in Italia sull’eccesso di potere. Occorre un sindacato sostitutivo, in cui al giudice sia dato di (si noti la chiara scelta terminologica) «substituting its assessment for that of the disciplinary body».
Che il sindacato di full jurisdiction richiesto dalla Corte EDU al giudice amministrativo italiano sia (peraltro non solo in materia penale, ma anche di determinazione di diritti civili) quello forte e sostitutivo di cui agli ultimi due casi citati è stato, come anticipato, da ultimo certificato dagli stessi giudici di Strasburgo, nel caso Germano del giugno 2023[34]: ivi, in relazione al sindacato su un provvedimento amministrativo di polizia, l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per aver violato il canone di full jurisdiction quale definito nel caso Ramos Nunes: «The Consiglio di Stato did not carry out an independent review of whether the measure had a reasonable basis in fact, as it did not examine any evidence to confirm or refute the applicant’s allegations. It failed, in particular, to examine the critical aspect of the case, namely whether the questore was able to demonstrate the existence of specific facts serving as a basis for the assessment that the applicant constituted a danger to his wife. These elements lead the Court to conclude that the Consiglio di Stato confined itself to a purely formal examination of the decision to impose the caution»[35].
Si noti che qui la Corte ha accertato una violazione non tanto dell’art. 6 CEDU (peraltro non contestata dal ricorrente), quanto, piuttosto, dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita personale e familiare). In altri termini, la questione non era (o non era principalmente) quella di “curare” ex post i limiti del procedimento amministrativo (peraltro svoltosi senza alcun contraddittorio con il destinatario per pretese ragioni di urgenza e quindi palesemente in contrasto con i principi dell’equo processo civile), ma di realizzare una effettiva tutela giurisdizionale di un diritto umano garantito dalla CEDU. Dice infatti la Corte che «that measures affecting human rights must be subjected to some form of adversarial proceedings before an independent body competent to review the reasons for the decision and the relevant evidence. The individual must be able to challenge the executive’s assertions. Failing such safeguards, the police or other State authority would be able to encroach arbitrarily on rights protected by the Convention (see, mutatis mutandis, Liu v. Russia (no. 2), no. 29157/09, § 87, 26 July 2011). In the present case, a thorough judicial review was all the more necessary, given the failure on the part of the questore to provide relevant and sufficient reasons for the adopted measure (see paragraphs 135-36 above).»[36]
Insomma, ci dice la Corte, il sindacato sugli atti del potere amministrativo (ossia dell’Esecutivo) deve essere non solo esercitato nelle forme dell’equo processo in contraddittorio, ma altresì in modo necessariamente autonomo ed indipendente, non essendo ammesso che il Giudice del ricorso presti deferenza all’accertamento amministrativo, ove pure di carattere tecnico o comunque opinabile (nel caso di specie, il pericolo derivante da pretesi comportamenti persecutori, quale accertato dalla Questura sulla base di documenti forniti solo dalla pretesa vittima).
Presto assisteremo, poi, ad una pronuncia CEDU sul livello minimo di sindacato giurisdizionale amministrativo richiesto per le informative antimafia. E, si noti, come fin d’ora reso esplicito dalle domande poste alle parti[37], anche qui l’attenzione della Corte sembra concentrarsi sul rispetto del canone di full jurisdiction quale definito in Ramos Nunes e, sulla sua scia, in Edizioni del Roma.
Un motivo in più, mi pare, per non rifugiarsi in letture riduttive del canone della full jurisdiction: essa è funzionale, certo, a rendere effettivo il diritto al giudice in relazione ai poteri dell’Esecutivo (art. 6 CEDU; art. 47 Carta di Nizza), ma anche a garantire gli altri diritti fondamentali codificati dalla CEDU; si pensi solo, in relazione alla regolazione economica (ma anche alle stesse sanzioni amministrative pecuniarie), al diritto di proprietà ex art. 1, primo prot. add. CEDU, inteso latamente nella CEDU come diritto alla tutela del patrimonio (diremmo in Italia diritto all’integrità patrimoniale) a fronte del potere amministrativo.
4. Conclusioni.
Solo qualche breve nota conclusiva.
Come si è tentato di mostrare, il senso ultimo dell’insegnamento CEDU in punto di full jurisdiction sulle sanzioni amministrative quale affermato almeno a partire dal 1984 è semplice ma profondo: come dichiarato fin dalla sentenza Engel, la sanzione amministrativa deve cessare di essere una comoda etichetta che consente, ai sistemi giuridici nazionali, una facile elusione delle garanzie del diritto penale imposte dalla CEDU. Piuttosto, si deve trattare solo di un diverso modo di organizzare una funzione punitiva sostanzialmente immutata (sotto il profilo dei fini, o, in alternativa, della gravità) rispetto a quella esercitata dalla giurisdizione penale. Quindi deve essere assicurata, all’accusato, la stessa pienezza di tutele di cui godrebbe in sede (formalmente) penale.
Ed allora, se il procedimento amministrativo non è stato in linea con il giusto processo penale (ed è purtroppo la regola nella gran parte dei sistemi europei), almeno il giudice deve direttamente partecipare, seppur ex post e su impulso di parte, all’esercizio della funzione amministrativa, così da curare i deficit della originaria fase procedimentale.
Il rimedio giurisdizionale amministrativo deve quindi configurarsi come appellatorio. Non sono ammessi (o comunque non avrebbero portata curativa) rimedi giurisdizionali (più o meno accentuatamente) a critica vincolata.
La Corte europea di giustizia (ad interpretazione dell’art. 47 della Carta di Nizza) e la Corte EDU (ad interpretazione dell’art. 6 CEDU, ma anche del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva implicito in ogni diritto convenzionale) – come si è visto - specie negli ultimi anni ci hanno ribadito la necessità di un sindacato (espressamente definito come) di merito sulle sanzioni amministrative e ci hanno spiegato che il potere discrezionale non può essere visto come un limite al sindacato giurisdizionale.
Tali pronunce andrebbero, credo, prese sul serio.
Il rischio, altrimenti, è non solo che il sistema sanzionatorio amministrativo italiano sia considerato incompatibile con il diritto UE (fino alla non riconoscibilità, in altri ordinamenti europei, della sanzione italiana), ma altresì che (anche al di là della materia sanzionatoria) il sistema di sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Esecutivo offerto dall’Italia sia considerato inadeguato ad adempiere gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con l’adesione alla CEDU, con violazione, quindi, dell’art. 117, co. 1, Cost.
Non mi sottraggo, infine, al giusto e argomentato invito di Fabio Francario ad interrogarsi sulla compatibilità della full jurisdiction con il principio della separazione dei poteri e con gli attuali limiti legislativi al sindacato di merito[38].
Anche a non voler considerare il rango della CEDU e del diritto dell’Unione Europea ex art. 117 , co. 1, Cost., qui, mi pare, si tratterebbe soprattutto di intendersi se il principio di separazione dei poteri abbia davvero copertura costituzionale, oppure, come sembrerebbe suggerire la pacifica esistenza ab origine nel nostro sistema di una giurisdizione di merito, sia piuttosto frutto di una saggia regola di economicità della funzione giurisdizionale (che certo non può sostituire in toto la funzione amministrativa; non ne avrebbe né le risorse organizzative, né le competenze specialistiche).
Tuttavia, osservo, la materia penale è tradizionalmente, in pressoché tutti gli ordinamenti europei, di normale spettanza del potere giudiziale. Una piena competenza sostitutoria - detto altrimenti, una continuità nella funzione sanzionatoria tra Amministrazione e Giudice - dovrebbe quindi apparire (quantomeno) più naturale ed accettabile proprio con riguardo alle sanzioni amministrative: come ipotizzare infatti un’invasione della sfera dell’Esecutivo da parte del potere giudiziario, quando in realtà la potestà penale è connaturata a quest’ultimo, e la depenalizzazione è stata una comprensibile scelta di deflazione degli uffici giudiziali, ma certo non un portato de (ma semmai una deroga a) principi tradizionali dell’ordinamento?
In questo senso, la scelta dell’art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a., di devolvere in giurisdizione di merito il contenzioso sulle sanzioni amministrative pecuniarie (nonché la pienezza di tutela almeno sulla carta offerta dall’AGO in sede di sindacato sulle sanzioni amministrative pecuniarie) appare felice e da attuare compiutamente. Occorre cioè rinunciare alla tesi – peraltro priva di ogni supporto legislativo - per cui il sindacato di merito potrebbe riguardare solo il quantum, e non anche l’an, della sanzione.
Sentenze come quella notissima del luglio 2019 del Consiglio di Stato in tema di sanzioni per intese restrittive della concorrenza appaiono le uniche davvero in linea con il canone della full jurisdiction[39]. Una tale prospettiva di sindacato pervasivo andrebbe generalizzato, se non altro per un’esigenza di coerenza con l’approccio ormai evidente in sede di contenzioso dei giudici UE sulle sanzioni della Commissione.
Per gli altri ambiti del contenzioso amministrativo ad oggi soggetti a giurisdizione di legittimità, il problema, come ben chiarito da Fabio Francario, invece rimane: qui il limite del merito amministrativo è, sul piano legislativo e dei principi tradizionali (siano o meno essi costituzionalizzati), innegabile.
Occorrerebbe quindi ragionare de jure condendo.
Magari valorizzando, in tale ottica, il rango della CEDU (oltre che dell’art. 47 della Carta di Nizza, che l’art. 6 CEDU trasla nell’ordinamento UE). E, con ciò, la necessità, da ultimo manifestata nella sentenza sul caso Germano, di un sindacato pieno: quest’ultimo certamente da assicurare sulle sanzioni amministrative, ma anche, probabilmente, sugli altri provvedimenti amministrativi direttamente incidenti sui diritti civili, e, in particolare, su quelli limitativi dei diritti fondamentali convenzionalmente tutelati.
*Intervento presentato alle giornate di studio sulla giustizia amministrativa "Sindacato sulla discrezionalità e ambito del giudizio di cognizione", Modanella 16 e 17 giugno 2023.
[1] Cfr. F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative, tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2018, cui rimando per ulteriori indicazioni bibliografiche.
Segnalo poi l’ampia e ragionata dimostrazione della necessità costituzionale di uno status peculiare della sanzione punitiva delineato da D. Simeoli, Le sanzioni amministrative ‘punitive´ tra diritto costituzionale ed europeo, in Riv. Reg. Mercati, 2022.
Sempre fondamentale, poi, M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012.
L’idea della sanzione come pena è peraltro nota, prima ancora degli orientamenti CEDU, anche alla dottrina italiana. Cfr. in particolare, G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924, 38, ove si parla appunto di «pena in senso tecnico».
Successivamente, per una simile impostazione, M.A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Napoli, 1983 e C. Paliero, A. Travi, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989, 345 ss.
Da ultimo, sul tema, contributi monografici sono offerti, tra gli altri, da S. Cimini, Il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche, Torino, 2017; G. Martini, Potere sanzionatorio della p.a. e diritti dell'uomo : i vincoli CEDU all'amministrazione repressiva, Napoli 2018, S. L. Vitale, Le sanzioni amministrative tra diritto nazionale e diritto europeo, Torino, 2018; S. Lucattini, Le sanzioni a tutela del territorio, Torino, 2022; S. Terracciano, Le sanzioni amministrative a tutela degli interessi pubblici procedimentali, Napoli, 2023.
[2] Cfr. ad es., con affermazioni nette quanto in chiaro contrasto con la giurisprudenza CEDU, Cass., sez. II, 18 ottobre 2022, , n. 30500 « Risulta, invero, incensurabile la conclusione del giudice di merito il quale ha ritenuto che (cfr. Cass. n. 20689 del 2018) le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB diverse da quelle di cui all'art. 187 ter TUF non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle appunto irrogate dalla CONSOB per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall'art. 6 CEDU, agli effetti, in particolare, della violazione del "ne bis in idem" tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti. Trattasi di principio già affermato in precedenza (cfr. Cass. n. 8855 del 2017; Cass. n. 1621 del 2018) e che risulta confermato anche dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che ha ribadito che (cfr. Cass. n. 4 del 2019; Cass. n. 5 del 2019; Cass. n. 31632 del 2019) con riferimento alle stesse, non si pone un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo né di applicabilità del successivo art. 7 della medesima Convenzione.».
[3] Corte eur. dir. uomo, Plenaria, 8 giugno 1976, caso n. 5100/71, Engel and Others v. the Netherlands, §§ 81 e 82: «La Convenzione indubbiamente consente agli Stati, nell’esercizio della loro funzione di custodi del pubblico interesse, di mantenere o stabilire una distinzione tra di-ritto penale e diritto disciplinare, e di determinare il relativo confine, ma solo a certe condizioni. La Convenzione lascia gli Stati liberi di designare come un illecito penale un’azione o un’omissione che non costituisca normale esercizio di uno dei diritti da essa protetto. Ciò è reso particolarmente chiaro dall’art. 7. Tale scelta, che ha l’effetto di rendere applicabili gli artt. 6 e 7, non è, in linea di principio, soggetta a scrutinio da parte della Corte. L’opposta scelta è tuttavia soggetta a più stringenti li-miti. Se agli Stati contraenti fosse concesso di classificare a loro discrezione un illecito come disciplinare invece che penale, o di perseguire l’autore di un illecito di carattere misto sul piano disciplinare invece che penale, l’applicabilità di disposizioni fondamentali quali gli artt. 6 e 7 risulterebbe subordinata alla loro volontà sovrana. Una tale ampia possibilità di scelta risulterebbe incompatibile con gli obiettivi e il conte-nuto della Convenzione. La Corte dunque, ai sensi degli artt. 6 nonché 17 e 18, ha competenza a stabilire da sé se la materia disciplinare non invada in realtà la sfera del penale. In breve, l’autonomia del concetto di penale opera a senso unico [...] In tale prospettiva, occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme. Ciò tuttavia non rappresenta che un punto di partenza. Le indicazioni così fornite hanno solo un valore formale e relativo e vanno esaminate alla luce di un comune denominatore ricavabile dalle legislazioni dei vari stati contraenti. La natura intrinseca dell’illecito è un fattore di maggior importanza. Quando un militare si ritrova accusato di un atto o di un’omissione che in tesi violano le regole che governano l’attività delle forze armate, lo Stato può in linea di principio impiegare contro di lui il diritto disciplinare invece che quello penale. Sotto questo profilo, la Corte concorda con il Governo. Tuttavia, il sindacato della Corte non si ferma qui. Tale sindacato risulterebbe in linea generale illusorio se non prendesse anche in considerazione il livello di severità della sanzione che l’accusato rischia di subire. In una società conformata al principio di legalità, appartengono alla sfera del diritto penale tutte le privazioni della libertà che siano applicate quali san-zioni, con l’eccezione di quelle che per natura, durata o modalità di esecuzione non siano significativamente afflittive […]».
[4] Corte eur. dir. uomo, Plenaria, 21 febbraio 1984, caso n. 8544/79, Öztürk v. Germany, § 53.
[5] Trattasi della pronuncia Corte eur. dir. uomo, sez. II, 9 novembre 1999, caso n. 35260/97, Varuzza v. Italy, in cui la Corte si limita a ricordare che «the offence at issue is a “criminal” one within the meaning of Article 6, § 1 of the Convention (see the Öztürk v. Germany judgment of 21 February 1984, Series A no. 73, p. 21, § 53). The applicant was thus in principle entitled to have a court determine the charge against him».
[6] Corte eur. dir. uomo, sez. IV, 21 marzo 2006, caso n. 70074/01, Valico v. Italia.
[7] Corte eur. dir. uomo, sez. II, 7 settembre 2011, caso n. 43509/08, Menarini c. Italia.
[8] Corte eur. dir. uomo, sez. II, 4 marzo 2014, casi nn. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10, Grande Stevens and Othersv. Italy.
[9] Corte eur. dir. uomo, sez. I, 10 dicembre 2020, casi nn. 68954/13 e 70495/13, Edizioni Del Roma Società Cooperativa a R.L. e Edizioni Del Roma S.r.l. c. Italia.
[10] Corte eur. dir. uomo, Camera, 9 febbraio 1995, caso n. 17440/90, Welch v. The United Kingdom, § 30: «Invero, gli scopi di prevenzione e ripristino sono compatibili con uno scopo punitivo e possono essere visti come elementi costitutivi della nozione stessa di pena».
[11] Sul punto, se si vuole, F. Goisis, Discrezionalità e autoritatività nelle sanzioni amministrative pecuniarie, tra tradizionali preoccupazioni di sistema e nuove prospettive di diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, 79 ss.
[12] F. Francario, L’incerto confine tra giurisdizione di legittimità e di merito, Relazione al convegno di Modanella 16-17 giugno 2023 “Sindacato sulla discrezionalità e ambito del giudizio di cognizione”, in questa Rivista.
[13] Ad es., Corte eur. dir. uomo, sez. I, 17 aprile 2012, caso n. 21539/07, Steininger v. Austria, § 52, in cui espressamente si nota, in contrapposizione a vicende in cui erano in gioco poteri amministrativi incidenti su diritti civili, che «In the present case, however, the criminal head of Article 6, § 1 applies to the proceedings at issue and in its case-law the Court followed a different approach as regards the scope of review of criminal sanctions imposed by administrative authorities».
[14] Corte eur. dir. uomo, sez. I, 10 dicembre 2020, cit., § 67.
[15] Corte eur. dir. uomo, sez. I, 4 marzo 2004, caso 47650/99, Silverster’s Horeca Ser-vice c. Belgique, § 28:
[16] Sul tema più generale fino a che punto il difetto di giusto procedimento amministrativo possa essere "curato" in sede giurisdizionale, già condivisibili riflessioni, anche a commento degli orientamenti giurisprudenziali del Regno Unito, in D. Galligan, Due Process and Fair Procedures, A Study of Administrative Procedures, Oxford, 1997., ove si osserva che «If it is clear that the appeal goes to the merits, and if the procedures necessary to provide fair treatment are followed on appeal, then the original defect is cured».
[17] Corte suprema degli Stati Uniti, 28 aprile 1980, Marshall v. Jerrico, Inc., in 446 U.S. 238, 245: ivi la Corte suprema si è più direttamente occupata della violazione della due process clause di cui al V e XIV emendamenti nella determinazione iniziale dei diritti del cittadino da parte di un’autorità con funzioni prosecutorial (ossia, potremmo dire, di accusa, come contrapposte a quelle semigiudiziali), ritenendo che perché tale violazione possa essere “curata” successivamente, occorre che vi sia una ulteriore fase giudiziale (o semi-giudiziale) non solo rispettosa dei principi del giusto processo, ma anche, e soprattutto, di "sindacato ex novo su tutte le questioni fattuali e giuridiche" ("the administrative law judge is required to conduct a de novo review of all factual and legal issues")
Sul tema della ex novo review, fra i tanti, J.A. Shechter, De Novo Judicial Review of Administrative Agency Factual Determinations Implicating Constitutional Rights, in Colum. L. Rev. Vol. 88, No. 7 (Nov., 1988), 1483 ss., il quale dà altresì conto dell'ampia giurisprudenza della Corte Suprema in tema di necessità di una piena revisione giurisdizionale delle scelte amministrative incidenti su diritti fondamentali di rango costituzionale, proponendone una razionalizzazione.
In Italia, se si vuole, F. Goisis, 'A de novo review of all factual and legal issues' v. un esame 'point by point [...] without having to decline jurisdiction [...] in scrutinising findings of fact or law made by the administrative authorities'. La pienezza di giurisdizione come strumento di compensazione ex post nell'esperienza europea e statunitense, in Dir. proc. amm., 2021, 3 ss.
[18] United States District Court, S.D. New York, 2 marzo 2015, U.S. v. East River Housing Corp., 90 F.Supp.3d 11850.
[19] Così, M.A. Sandulli, Le sanzioni, cit., 247-248, commentando la tesi di V. Andrioli, Il contenzioso civile delle sanzioni amministrative, in Diritto e giurisprudenza, 1981, 778, secondo cui il contenzioso sulle sanzioni si articolerebbe in un doppio stadio, amministrativo e giurisdizionale.
Sulla necessità di una giurisdizione piena sulle sanzioni nel sistema della l. 689 del 1981, anche R. Villata, Problemi di tutela giurisdizionale nei confronti delle sanzioni amministrative pecuniarie, originariamente in Dir. proc. amm., 1986, 388 ss., ora in R. Villata, Scritti di giustizia amministrativa, Milano, 2015, 267 ss.
[20] Sul tema, esatte osservazioni in Allena, Art. 6, cit., 294 ss.
Sulla connessione tra full jurisdiction e principio di presunzione di innocenza (in dubio pro reo), la originale riflessione di G. Greco, L’illecito anticoncorrenziale, il sindacato del giudice amministrativo e i profili tecnici opinabili, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2021, 469 ss., secondo cui il dubbio sui profili tecnici deve giocare a favore dell’incolpato, non (come oggi tende ad avvenire) della PA.
[21] Corte eur. dir. uomo, sez. IV, 27 ottobre 2009, caso n. 42509/05, Crompton v. The United Kingdom, § 73, ove si legge che « the Court concluded that judicial review proceedings did not offer, in the circumstances raised in Tsfayo, “sufficiency of review” in light of the fact that the High Court had no jurisdiction to rehear the evidence or substitute its own views as to the applicant’s credibility. As a result, the central issue in the dispute was not determined by an independent and impartial tribunal».
[22] Corte eur. dir. uomo, 4 marzo 2014, cit., § 139.
[23] Corte eur. dir. uomo, 4 marzo 2014, cit., § 155.
[24] Corte eur. dir. uomo, sez. II, 7 settembre 2011, cit..
[25] Come noto, ai sensi dell’art. 52, § 3, della Carta di Nizza: «Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa». Secondo le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (2007/C 303/02), cit., sub art. 52: «Il riferimento alla CEDU riguarda sia la convenzione che i relativi protocolli. Il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo di questi strumenti, ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. L’ultima frase del paragrafo è intesa a consentire all’Unione di garantire una protezione più ampia. La protezione accordata dalla Carta non può comunque in nessun caso situarsi ad un livello inferiore a quello garantito dalla CEDU».
[26] Così, da ultimo, Corte eur. giust., sez. I, 30 aprile 2014, in causa C-238/12 P, FLSmidth & Co. A/S c. Commissione europea, punto 56.
[27] Corte eur. giust., sez. III, 11 settembre 2014, in causa C-382/12, MasterCard e altri c. Commissione, punto 156.
[28] Corte eur. giust., sez. I, 27 aprile 2017 in causa C-469/15 P, FSL Holdings e a. c. Commissione europea, punti 73-74.
[29] Conclusioni dell’Avvocato generale presentate il 21 giugno 2012, causa C-89/11 P, E.ON Energie AG c. Commissione europea, punto 118.
[30] Così, nell’interpretare la decisione quadro 2005/214/GAI, Corte eur. giust., Grande Sezione, 14 novembre 2013, causa C-60/12, Marián Baláž, punto 47.
[31] Corte eur. giust., sez. VIII, 7 aprile 2022, causa C‑150/21, D.B.
[32] Corte eur. giust., sez. IV, 23 marzo 2023, causa C‑412/21, Dual Prod SRL.
[33] Corte eur. dir. uomo, Grand Chamber, 6 novembre 2018, casi nn. 55391/13, 57728/13 and 74041/13, Ramos Nunes de Carvalho e Sá v. Portugal.
[34] Corte eur. dir. uomo, sez. I, 22 giugno 2023, caso n. 10794/12, Giuliano Germano v. Italy.
[35] § 141.
[36] § 138.
[37] Corte eur. dir. uomo, 20 giugno 2022, caso n. 31696/17, Geocostruzioni s.r.l., in cui si pone, tra l’altro, la seguente domanda: «Les contestations sur les droits et obligations de caractère civil des requérantes ont-t-elles été entendues équitablement, comme l’exige l’article 6 § 1 de la Convention ? En particulier, compte tenu des « droits et obligations de caractère civil » en jeu et des effets des mesures d’informazione antimafia interdittiva sur ceux-ci, des particularités de la procédure devant l’autorité préfectorale (voir, en particulier, les articles 92 et 93 du décret législatif no 159 de 2011) et de la jurisprudence interne sur l’étendue du contrôle juridictionnel administratif en la matière (voir, parmi beaucoup d’autres, les arrêts du Conseil d’État nos 3707/2015 et 7151/2018), les requérantes ont‑t‑elles eu la possibilité de soumettre leurs contestations à un « tribunal » disposant de la « plénitude de juridiction » au sens de la jurisprudence dégagée par la Cour sur le terrain de l’article 6 § 1 de la Convention (Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portugal [GC], nos 55391/13 et 2 autres, §§ 176‑186, 6 novembre 2018, voir aussi, en ce qui concerne les sanctions infligées par les autorités administratives indépendantes, Edizioni Del Roma Societa Cooperativa A.R.L. et Edizioni del Roma S.R.L. c. Italie, §§ 92-94, nos 68954/13 et 70495/13, 10 décembre 2020) ?»
[38] Sul tema della separazione dei poteri e della sua tensione con il canone della full jurisdiction, rinvio, per più estese argomentazione anche di carattere sistematico, a M. Allena, F. Goisis, ‘Full Jurisdiction’ Under Article 6 ECHR: Hans Kelsen v. the Principle of Separation of Powers’, in Eur. Publ. Law, 2020, vol. 26, no. 2, 288 ss. e F. Goisis, La full jurisdiction sulle sanzioni amministrative: continuità della funzione sanzionatoria v. separazione dei poteri, in Dir. amm., 2018, 1 ss.
[39] Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 2019, n. 4990. Ivi si legge che "Secondo la giurisprudenza della Corte Europea, il «fair trial» non ha ad oggetto unicamente il processo, ma anche il procedimento, amministrativo, e segnatamente: per «tribunale» deve intendersi qualunque autorità che, pur attraverso un procedimento non formalmente qualificato processo nell’ordinamento interno, adotti atti modificativi della realtà giuridica, incidenti significativamente nella sfera soggettiva di un soggetto privato, anche se tale funzione viene esercitata al di fuori di una organizzazione giurisdizionale". Da qui la "rilevanza centrale, nelle controversie sull’esercizio del potere sanzionatorio, del concetto di «full jurisdiction». Secondo i giudici di Strasburgo la decisione amministrativa incidente su civil rights and obligations, per quanto adottata senza il rispetto di tutti i requisiti prescritti dal principio del «fail trail», può nondimeno essere considerata adottata conformemente alla Convenzione, laddove le garanzie procedurali ivi previste siano comunque riscontrabili nella sede di controllo della decisione stessa". Di conseguenza, quanto ai pretesi limiti di sindacato giurisdizionale, "nulla si oppone a che sia il giudice a “definire” la fattispecie sostanziale". Occorre insomma superare il tradizionale limite del divieto di sostituzione delle valutazioni tecniche rispetto alle sanzioni AGCM: il giudice amministrativo è "pienamente abilitato a pervenire all'accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale invocata (nella specie, l'accertamento della realizzazione o meno dell'intesa illecita punita con una pesante sanzione pecuniaria)".
Per un primo commento critico, M. Delsignore, I controversi limiti del sindacato sulle sanzioni AGCM: molto rumore per nulla?, in Dir. proc. amm., 2020, 740 ss.
A favore di un sindacato di mera attendibilità in tesi più rispettoso della particolare legittimazione tecnica delle Autorità amministrative e quindi critico anche S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sulle valutazioni tecniche: il curioso caso degli atti delle autorità indipendenti, in Dir. proc. amm., 2020, 97 ss.