Osservazioni sulle sanzioni amministrative (a proposito della confisca “urbanistica”)
di Franco Gaetano Scoca
Sommario: 1. Sulla nozione di sanzione amministrativa. – 2. La confisca come sanzione amministrativa. – 3. Applicabilità della confisca in caso di mancata condanna penale. – 4. Il dibattito tra Corti interne e Corte EDU. – 5. I terzi acquirenti degli immobili. – 6. Sulla proporzionalità della sanzione. – 7. Sulla unicità e automaticità della sanzione. – 8. Sulla idoneità della confisca a soddisfare gli interessi urbanistici. – 9. Confisca e provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune. – 10. Inconvenienti derivanti dalla attribuzione al giudice penale dell’applicazione di sanzioni amministrative.
1. Sulla nozione di sanzione amministrativa
Il dibattito a più voci che si è intrecciato tra Corti nazionali e Corte EDU sulla natura e sulle caratteristiche della c.d. confisca urbanistica, prevista come sanzione per la lottizzazione abusiva, costituisce un proficuo materiale di riflessione per approfondire la nozione di sanzione amministrativa.
Il primo quesito che si pone riguarda la natura della sanzione: quand’è, in base a quale elemento caratteristico, una sanzione può considerarsi amministrativa? Una sanzione, proprio perché tale, è un atto punitivo, una “pena” secondo il linguaggio della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Si potrebbe risolvere il problema in modo semplicissimo: sanzione amministrativa è quella che viene comminata da autorità amministrative. Ma questa è, a mio avviso, una soluzione inappagante, perché collega la natura amministrativa della sanzione ad un elemento ad essa estrinseco, la natura del soggetto che la applica.
A me sembra che la funzione meramente punitiva non sia, di per sé, identificabile con la (sia pure multiforme) funzione amministrativa. Di certo possono esserci sanzioni attribuite alla competenza di autorità amministrative che hanno soltanto scopi punitivi; ma esse restano soltanto “pene”, non possono considerarsi a pieno titolo sanzioni amministrative. La mia convinzione è che, per poterla qualificare in senso proprio amministrativa, una sanzione, pur non perdendo il suo carattere punitivo, deve rispondere ad un interesse pubblico diverso da quello della mera reazione ad un illecito, un interesse che sia in cura all’amministrazione che la irroga.
La confisca urbanistica[1] si presta assai bene alla illustrazione di questa tesi, sia perché la sua natura è controversa, ritenendo le Corti interne prevalentemente che abbia natura amministrativa e ritenendo la Corte convenzionale che abbia natura penale; sia perché di essa sono stati messi in dubbio, e sono poi stati approfonditi, i requisiti che la caratterizzano come pena e i requisiti che la caratterizzano come sanzione amministrativa, meglio come atto amministrativo; sia infine perché essa ha i medesimi effetti (o il medesimo risultato) dell’acquisizione di diritto al patrimonio disponibile del Comune[2], ma non ne ha, secondo il diritto vivente, la medesima disciplina.
2. La confisca come sanzione amministrativa
Conviene, dunque, ripercorrere il corposo, articolato ed interessante dibattito giurisprudenziale svoltosi in ordine alla confisca urbanistica[3].
Unanime è il riconoscimento che la confisca risponde ad un interesse pubblico ulteriore rispetto alla punizione dell’illecito: tale interesse ulteriore è visto, volta a volta, come interesse alla trasformazione controllata del territorio, ossia secondo le previsioni degli strumenti urbanistici e paesaggistici o, ancora, come interesse alla salvaguardia della stessa funzione pianificatoria e della sua riserva all’autorità comunale[4].
In ordine alla natura della sanzione, nel diritto interno si è consolidata, nella giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, almeno dagli anni novanta del secolo scorso[5], la tesi che si tratti di sanzione amministrativa; e tale tesi è stata mantenuta ferma anche dopo che la Corte di Strasburgo ha prima affermato e poi ribadito che trattasi di sanzione penale[6]. Sembra – occorre aggiungere – che la giurisprudenza del Consiglio di Stato propenda ancora oggi per la natura penale della confisca e la tenga decisamente distinta, per questa sua natura, dalla acquisizione coattiva dei beni lottizzati, a cui riconosce natura amministrativa[7].
A ben vedere la questione della natura della sanzione (amministrativa o penale) ha perso di importanza, una volta acclarato il carattere punitivo della stessa e la sua inclusione, come “pena”, nella sfera di applicazione dell’art. 7 della Convenzione[8].
Dalla lunga e corale elaborazione giurisprudenziale risulta un quadro disciplinare solo apparentemente coerente: la confisca si presenta nel diritto interno come una sanzione amministrativa erogata dal giudice penale[9]; ma, come si vedrà, il quadro disciplinare di tale sanzione è cosparso di incertezze, forse anche di contraddizioni e provoca tuttora orientamenti giurisprudenziali incoerenti. L’impressione è che la giurisprudenza interna non abbia ancora del tutto “digerito” gli stimoli provenienti da Strasburgo e alterni tentativi di minimizzarne la portata a posizioni di pieno accoglimento.
Già la circostanza che una sanzione (riconosciuta come) amministrativa sia inflitta dal giudice penale comporta perplessità e problemi: sia che si ritenga che il giudice penale agisca in luogo dell’amministrazione, ossia esercitando in via sostitutiva un potere amministrativo[10], sia che si accolga l’opinione della Grande Camera che il giudice penale agisca con potere proprio, non è dubbio, secondo la giurisprudenza, che “una volta che la condanna penale sia divenuta definitiva, la confisca non può essere revocata, nemmeno in caso di successiva sanatoria della lottizzazione da parte dell’autorità amministrativa”[11]. Il che contrasta con la disciplina tipica dei provvedimenti amministrativi.
Inoltre, come è ovvio, la confisca, pur avendo natura amministrativa, non può essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo: sulla sostanza amministrativa prevale il dato formale dell’essere adottata con sentenza (dal giudice penale)[12].
3. Applicabilità della confisca in caso di mancata condanna penale
Mano a mano che il dibattito tra le Corti si faceva più serrato e prendeva in esame i diversi aspetti dubbi della laconica disposizione sulla confisca urbanistica, il contenuto obiettivo di quest’ultima, se da un lato veniva chiarito, dall’altro veniva profondamente modificato; fino al punto che, allo stato attuale, il diritto vivente è assolutamente diverso dal diritto scritto.
Il primo aspetto controverso ha riguardato la possibilità che la confisca fosse pronunciata anche in caso di mancata condanna, in caso di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva. Anzi, a ben riflettere, l’obiettivo di confiscare i terreni lottizzati e i fabbricati eventualmente costruiti, anche in caso di sentenza di non luogo a procedere[13] o di proscioglimento, dev’essere stata la ragione effettiva che ha convinto la Corte di cassazione, negli anni novanta, ad abbandonare la tesi della natura penale per abbracciare quella della natura amministrativa: come pena accessoria, ovviamente, la confisca non poteva essere pronunciata nei confronti dell’imputato uscito indenne dal processo penale, né poteva essere inflitta a soggetti estranei al giudizio penale.
Intesa come sanzione amministrativa, invece, in caso di accertamento di fatto dell’avvenuta lottizzazione abusiva, ossia dell’elemento oggettivo dell’illecito, non ci sarebbero ostacoli per infliggerla, anche in difetto di condanna penale, e perfino in caso di proscioglimento per difetto dell’elemento soggettivo del reato, a tutti coloro che in un modo o nell’altro se ne sono resi oggettivamente responsabili.
La questione ha comunque dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza tra Corti nazionali e Corte convenzionale, che si è concluso con un compromesso di dubbia razionalità: la confisca può essere pronunciata ove il giudice penale abbia accertato, con un processo in cui sia stato rispettato il contraddittorio, sia l’elemento oggettivo sia l’elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva. Sì che la confisca ha assunto un carattere ambiguo: è sanzione amministrativa, perché non presuppone la condanna penale, ma si comporta come se fosse una sanzione penale, per la cui comminazione è necessario l’accertamento (anche) di “un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti”[14]. Accertato dal giudice penale che la lottizzazione abusiva è stata effettivamente realizzata, con compromissione degli interessi pubblici ai quali si è già fatto riferimento, la confisca può essere pronunciata soltanto se i lottizzanti hanno agito almeno colposamente. Se, viceversa, hanno agito senza colpa, diligentemente, anche se illegittimamente, i terreni lottizzati abusivamente restano di loro proprietà e i fabbricati eventualmente realizzati non possono essere demoliti.
È più che evidente che l’accertamento dell’elemento soggettivo è necessario per le sanzioni penali, ma è distonico rispetto alle sanzioni amministrative, perché impedisce che esse raggiungano il loro scopo, ossia la cura dell’interesse per il quale sono previste dal legislatore; nel caso della confisca urbanistica, l’interesse alla trasformazione ordinata e controllata del territorio e al rispetto della funzione pianificatrice del Comune.
4. Il dibattito tra Corti interne e Corte EDU
A questo risultato si è arrivati gradualmente, su spinta della Corte di Strasburgo. La quale, con le varie sentenze Sud Fondi, e poi con la sentenza Varvara, aveva preso una posizione di chiusura nei confronti della possibilità di pronunciare la confisca in difetto di condanna penale[15]. Fin dalle sentenze Sud Fondi, affermando il carattere penale della confisca, richiedeva l’accertamento (anche) dell’elemento psicologico.
La giurisprudenza penale si uniformò con immediatezza a questa seconda indicazione[16], e da allora il giudice indaga sul profilo soggettivo del reato; ma non si uniformò alla prima indicazione. Conseguentemente, la Corte di cassazione, sempre convinta che si potesse infliggere la confisca anche in assenza di condanna dei responsabili, in caso di prescrizione del reato prima della sentenza definitiva[17], ritenne necessario rivolgersi alla Corte costituzionale, sostenendo che l’orientamento della Corte di Strasburgo, impedendo la confisca in caso di non luogo a procedere, determinava una forma di iperprotezione del diritto di proprietà, in violazione di una serie di articoli della Costituzione[18].
La Consulta, da un lato, prese posizione nei confronti della Corte convenzionale, affermando “il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU” e rivendicando “l’autonomia dei criteri di valutazione della natura penale di una sanzione, ai fini dell’estensione delle garanzie offerte dall’art. 7 della CEDU, rispetto alla qualificazione che l’ordinamento nazionale offre della medesima sanzione” [19], ossia sostenendo l’autonomia delle qualificazioni giuridiche nell’ordinamento nazionale e in quello convenzionale.. Dall’altro risolse brillantemente il problema, suggerendo una interpretazione sostanzialistica della sentenza Varvara. Sostenne, cioè, che il giudice convenzionale, ragionando in termini di “condanna”, non intendeva riferirsi alla forma della pronuncia del giudice, ma alla sua sostanza, ossia all’accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva[20].
La Grande Camera, a sua volta, pur non rinunciando ad una precisazione polemica riguardante una osservazione della Consulta[21], si è adeguata alla interpretazione della sentenza Varvara proposta da quest’ultima, e ha infine stabilito che l’art. 7 “osta a che una sanzione penale sia inflitta su base individuale senza che sia stata accertata e dichiarata preventivamente la sua responsabilità penale personale”[22], anche a prescindere da una condanna formale.
L’orientamento successivo del giudice penale si è uniformato a questo risultato, condiviso dalle Corti costituzionale e convenzionale[23].
In definitiva, la confisca è una sanzione penale secondo il diritto convenzionale, ma resta una sanzione amministrativa secondo il diritto nazionale: per infliggerla è necessario accertare, oltre l’elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva, anche l’elemento soggettivo o “intellettuale” (il dolo o la colpa).
5. I terzi acquirenti degli immobili
Questo è il risultato (di compromesso) che ha messo d’accordo le Corti nazionali con la Corte di Strasburgo[24]. Esso comporta che la confisca possa essere inflitta solo a coloro per i quali il giudice penale abbia accertato la responsabilità; il che significa che occorre che ciascuno di essi debba essere stato convenuto in giudizio e dichiarato responsabile.
Si pone così il problema dei terzi acquirenti di appartamenti siti in fabbricati realizzati a seguito della lottizzazione abusiva. I terzi, secondo la giurisprudenza penale, pur non avendo partecipato alle condotte lottizzatrici, sono considerati concorrenti nel reato, in quanto inseriscono “un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso” dei lottizzanti[25]: non sono, quindi, considerati estranei al reato. Il nesso di causalità si interrompe soltanto se gli acquirenti sono in buona fede: soltanto in tal caso e per le sole opere di loro proprietà la confisca non può essere inflitta[26].
La giurisprudenza penale risulta essere molto severa nella valutazione della buona fede dei terzi acquirenti: ritiene che essi debbano acclarare non solo se gli immobili che intendono acquistare, siano dotati di permesso di costruire, se la lottizzazione nella quale si collocano sia stata debitamente autorizzata, ma debbano altresì acclarare se gli immobili siano conformi agli strumenti urbanistici in vigore[27].
Si potrebbe pensare che soprattutto quest’ultimo oggetto di indagine sia fuori della normale diligenza. Si pensi alla lottizzazione c.d. sostanziale[28], quando cioè l’attività di divisione in lotti e di costruzione e vendita dei fabbricati risulta debitamente autorizzata dal Comune, ma con provvedimenti (che il giudice penale possa poi ritenere) illegittimi per contrasto con le norme e gli strumenti urbanistici superiori: può ritenersi normale diligenza valutare la legittimità di provvedimenti emessi dal Comune e non impugnati?[29].
La particolare severità nell’accertamento della buona fede può spiegarsi con la preoccupazione che, lasciando indenni da confisca i beni acquistati da terzi, l’oggetto della confisca è destinato a ridursi notevolmente e, in più, si potrebbe avere una confisca a macchia di leopardo, tale da rendere impossibile, da parte del Comune, l’eventuale demolizione dei fabbricati abusivi e il ripristino della situazione precedente alla lottizzazione abusiva.
Data la necessità di accertare in giudizio la responsabilità penale dei lottizzanti, la confisca non dovrebbe comprendere beni di persone che sono rimaste estranee al giudizio. Viceversa la prassi è che, accertati gli elementi oggettivo e soggettivo (dei convenuti in giudizio), la confisca viene pronunciata con riferimento all’intero comprensorio di lottizzazione, senza escludere i beni di coloro per i quali, non essendo stati parte nel giudizio, non è stata accertata la responsabilità.
Tanto questo è vero che, in generale, i terzi acquirenti devono far valere i loro diritti in sede di giudizio di esecuzione[30], o in sede civile.
6. Sulla proporzionalità della sanzione
Un altro delicatissimo argomento di “dialogo” tra le Corti ha avuto ad oggetto la proporzionalità della sanzione della confisca rispetto al reato di lottizzazione abusiva; sotto due profili: la consistenza dei beni confiscati (estensione dei terreni; numero dei fabbricati) e la possibilità di infliggere sanzioni meno onerose della perdita della proprietà.
Su entrambi i profili la Corte di Strasburgo è stata esemplarmente chiara. In ordine al primo aspetto la Corte, esaminando la dedotta violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1[31], ha affermato la necessità che vi sia “un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (…). Questo punto di equilibrio è rotto se la persona interessata deve sostenere un onere eccessivo ed esagerato”[32].
Nell’esame delle questioni sottoposte al suo giudizio ha distinto i “terreni direttamente interessati dalle trasformazioni urbanistiche abusive” dal resto dei beni appartenenti ai lottizzanti, ed ha fortemente stigmatizzato che i beni confiscati, in tutte le tre fattispecie esaminate, fossero stati di ampiezza di gran lunga superiore alle superfici effettivamente trasformate[33]. Per cui la Corte dei diritti dell’uomo ha statuito che “vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nei confronti di tutti i ricorrenti in ragione del carattere sproporzionato della misura di confisca”[34].
Mentre la Corte costituzionale ha subito condiviso, sia pure a proposito di altra sanzione amministrativa, il principio della proporzionalità[35], la Cassazione penale ha proposto una “lettura” minimalista di tale principio, sostenendo che deve “ritenersi conforme ai principi convenzionali la confisca di tutte le aree abusivamente lottizzate, indipendentemente dalla presenza o meno di volumi, mentre tale misura ablativa non potrebbe mai riguardare aree completamente estranee all’attività lottizzatoria abusiva nel senso dianzi delineato, ponendosi una simile evenienza platealmente in contrasto con i richiamati principi”. Oggetto di confisca proporzionata sarebbero, pertanto, sempre tutti i terreni rientranti nel progetto di lottizzazione, anche se non trasformati, e perfino se soltanto oggetto di un’operazione di mero frazionamento: in definitiva anche i terreni che non siano stati affatto trasformati[36].
La Cassazione giunge a questo risultato riduttivo e, a mio parere, frontalmente contrario all’orientamento della Corte di Strasburgo, e comunque ingiustificato[37] formulando una nozione ampia di lottizzazione abusiva[38] e richiamando la lettera dell’art. 44[39].
Infatti, secondo la giurisprudenza della Cassazione penale, dato che “la lottizzazione abusiva riguarda (…) quei beni immobili (terreni e manufatti) direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali”, si deve ritenere di conseguenza “conforme ai principi convenzionali la confisca di tutte le aree abusivamente lottizzate, indipendentemente dalla presenza o meno di volumi”.
Questa posizione, in effetti, esclude del tutto il criterio della proporzionalità della sanzione: in tutti i casi l’oggetto della confisca deve comprendere l’intera area lottizzata, senza attribuire alcun rilievo agli elementi indicati dalla Corte di Strasburgo per rendere proporzionata la sanzione, evitando cioè che essa possa essere “illimitata”, in quanto “può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi”[40]. La sanzione resta uniforme e, per così dire, grezza.
Mi sembra di poter aggiungere che la giurisprudenza successiva della Cassazione penale, pur richiamando letteralmente le affermazioni sopra riportate, si va orientando in termini meno drastici e più aderenti al principio di proporzionalità, come inteso dalla Corte di Strasburgo[41].
Francamente non mi sembra contestabile che la confisca debba avere ad oggetto solo i terreni effettivamente trasformati (mediante realizzazione di edifici, movimenti di terra, opere di urbanizzazione) e non l’intera superficie della lottizzazione, che può essere (e in genere è) molto più ampia, come disegnata nel progetto di lottizzazione o, in mancanza di questo, come desumibile, ad esempio, dal solo frazionamento, magari predisposto sul terreno con semplici picchetti. Sono, infatti, solo i terreni effettivamente trasformati quelli che contrastano con gli strumenti urbanistici di pianificazione. Confiscare terreni che possono essere tranquillamente utilizzati secondo tali strumenti costituisce palese e ingiustificata violazione del principio di proporzionalità.
7. Sulla unicità e automaticità della sanzione
Quanto al secondo aspetto, la Corte di Strasburgo ha ritenuto contrastante con l’art. 1 del Protocollo addizionale che sia prevista dall’art. 44 solo la sanzione della confisca e che la sua comminazione sia disciplinata come conseguenza automatica del reato: la legge italiana – sottolinea la Corte – “non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche dei casi di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione”[42].
Il principio di proporzionalità, ma aggiungerei anche il principio di adeguatezza, comporta, secondo la Corte di Strasburgo, che la legge consenta al giudice di “adottare misure meno restrittive” e meno onerose della confisca[43].
Se ne deve dedurre che, secondo la Corte di Strasburgo, è proprio la disposizione contenuta nell’art. 44, per come è formulata, ad essere in contrasto con l’art. 1 del Protocollo addizionale, sia in quanto prescrive una sola sanzione, la confisca, sia in quanto la disciplina come conseguenza automatica, e quindi inevitabile, dell’accertamento del reato di lottizzazione abusiva. Per cui l’adeguamento all’orientamento appena illustrato comporterebbe che il legislatore, o chi per lui (la Corte costituzionale, la giurisprudenza creativa), superasse la suddetta disposizione, sostituendola con una diversa e più articolata (e più aderente agli interessi da tutelare), che consenta al giudice di applicare le sanzioni che, soddisfacendo gli interessi pubblici coinvolti, siano proporzionate ai reati, tenendo conto delle loro diversità sia oggettive sia soggettive, della vasta gamma di comportamenti riconducibili al reato.
Anche in ordine a questo diverso aspetto della proporzionalità (o adeguatezza) la Cassazione penale ha reagito cercando di minimizzarne la portata. Ha sostenuto che la confisca non sarebbe affatto un evento “scontato, automatico ed inevitabile”, perché è applicata “previa verifica di un collegamento oggettivo e soggettivo con il reato della persona che la subisce”[44].
L’argomento è tuttavia inconsistente, perché la sanzione presuppone necessariamente il previo accertamento della responsabilità penale, e quindi degli elementi oggettivo e soggettivo. L’automatismo comporta che, una volta accertata la responsabilità, l’applicazione della confisca (e solo di tale sanzione) è scontata, automatica ed inevitabile, secondo la lettera dell’art. 44. Ed è proprio questa automaticità che, secondo la Corte di Strasburgo, contrasta con la disciplina convenzionale. La Corte ha perfino indicato alcune delle sanzioni che potrebbero essere considerate alternative alla confisca, la demolizione delle opere di trasformazione e l’annullamento del progetto di lottizzazione[45].
È tuttavia da sottolineare che va maturando anche un diverso indirizzo della giurisprudenza penale, che non intende interpretare riduttivamente le indicazioni della Corte di Strasburgo, e si rende perfettamente conto che essa “attribuisce particolare rilevanza alla possibilità di perseguire il medesimo fine attraverso l’adozione di misure alternative alla confisca, in modo tale da incidere meno pesantemente sul diritto di proprietà, rispettando, anche attraverso il ricorso agli altri parametri indicati, il rapporto di proporzionalità”[46]. Questo diverso atteggiamento del giudice penale è certamente da preferire se si concorda, come a me sembra che debba concordarsi, con il pensiero della Corte di Strasburgo.
In ogni caso non può essere dubbio che la disposizione contenuta nell’art. 44 risulti del tutto rivoluzionata dalle sentenze della suddetta Corte: a mio avviso non se ne salva nessuna parte.
8. Sulla idoneità della confisca a soddisfare gli interessi urbanistici
Le osservazioni appena fatte portano a considerare un problema assai più basilare e coinvolgente: la confisca dei beni lottizzati e la loro acquisizione di diritto al patrimonio del Comune è tale da soddisfare gli interessi pubblici ai quali è strumentale? Ossia, la tutela della competenza pianificatoria del Comune[47], la trasformazione ordinata e controllata del territorio e la protezione dell’ambiente e del paesaggio sono garantite con la confisca?
Per prendere le mosse è utile partire da casi concreti; e, al fine di verificare l’adeguatezza della confisca rispetto al suo scopo, sono decisamente indicativi i casi esaminati dalla Corte di Strasburgo con la sentenza G.I.E.M.: la Corte si è infatti fatta carico di conoscere la sorte che hanno fatto i beni confiscati.
È risultato che i terreni della G.I.E.M. erano stati restituiti alla società, in forza evidentemente del fatto che tale società era del tutto estranea al reato di lottizzazione abusiva e al relativo processo[48]. La confisca non avrebbe dovuto comprendere i suoi terreni.
Significativi sono gli esiti delle altre due sanzioni: per il complesso immobiliare confiscato alle società Hotel Promotion e R.I.T.A, il Comune di Golfo Aranci ha deliberato di conservarlo così come abusivamente realizzato[49]; il complesso sequestrato alla società Falgest e al sign. Gironda si trovava in stato di totale abbandono[50]. In entrambi i casi le opere realizzate abusivamente non sono state demolite, per cui gli interessi sopra ricordati, cui dovrebbe far fronte la confisca, non sono affatto stati soddisfatti. La trasformazione abusiva dei terreni è rimasta inalterata, anzi, nel caso Falgest, l’ambiente risulta deteriorato.
D’altronde ove si ponga mente che la confisca determina soltanto l’estinzione della proprietà in capo ai (ad alcuni dei) responsabili della lottizzazione abusiva e il suo acquisto al patrimonio del Comune, a parte l’effetto paradossale che si ha quando la lottizzazione sia stata autorizzata dal Comune medesimo, non è ontologicamente idonea a soddisfare i suddetti interessi.
La sola sanzione che può soddisfarli è la rimessa in pristino dei terreni lottizzati[51]; ma, trasferendo le opere realizzate abusivamente al patrimonio del Comune, ne risulta che la demolizione non può che spettare al Comune; il quale dovrebbe farvi fronte con le sue risorse economiche. Sotto questo profilo la confisca è addirittura controproducente, perché impedisce che la demolizione avvenga a carico dei lottizzanti abusivi.
Ove si facesse una indagine sugli esiti delle confische urbanistiche, credo che il ripristino della situazione precedente alla lottizzazione abusiva, mediante eliminazione dei lavori abusivamente effettuati, risulterebbe evenienza rarissima. Gli esiti normali sarebbero esattamente quelli dei casi esaminati dalla Corte di Strasburgo, ossia la conservazione da parte del Comune, nuovo proprietario, delle opere realizzate da altri abusivamente, magari dando loro una (vera o apparente) diversa destinazione; ovvero il loro abbandono, con lesione – e non soddisfazione – dei più volte ricordati interessi pubblici[52].
In ogni caso, quale che sia la sorte dei beni confiscati, la confisca, di per sé, non consente la tutela del territorio e dell’ambiente, talvolta contribuisce a deteriorarlo. Il Comune, nuovo proprietario, spesso non può, per ragioni finanziarie (talvolta anche politiche), o non vuole, se non altro per non distruggere ricchezza, demolire le opere abusive; né è incondizionatamente obbligato a demolirle[53].
V’è una ulteriore osservazione da fare: la giurisprudenza penale è giustamente salda nel ritenere che il Comune conservi, sia prima del processo, sia durante, sia ancora dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ordina la confisca, tutti i suoi poteri di intervento[54]. Ha modo, pertanto, di eliminare il contrasto tra la lottizzazione realizzata e la disciplina urbanistica, soprattutto quando l’abuso consiste nella difformità di quanto realizzato a quanto autorizzato. Gli è consentito perfino, ove riconosca ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, la facoltà di “lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune”[55]. Il che, a mio avviso, è un altro sintomo della inadeguatezza della confisca a far fronte alle conseguenze della lottizzazione abusiva.
9. Confisca e provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune
La rimescolazione della disciplina della confisca urbanistica, frutto del “dibattito” tra le varie Corti, non può non incidere sulla parallela disciplina dell’acquisizione di diritto al patrimonio del Comune, disposta direttamente con provvedimento comunale[56].
La giurisprudenza amministrativa (almeno fino a tempi recentissimi) assolutamente salda esclude che le innovazioni giurisprudenziali introdotte nella disciplina della confisca possano estendersi al provvedimento di acquisizione. Fino a tempi recentissimi, anche dopo la pubblicazione della sentenza G.I.E.M., il Consiglio di Stato ha costantemente sostenuto l’irrilevanza dell’elemento soggettivo dell’illecito sulla legittimità del provvedimento di acquisizione[57] ed ha escluso che ciò che la Grande Camera ha stabilito a proposito della confisca possa essere esteso al provvedimento di acquisizione[58].
Tale posizione si basa (anzi si basava) su due argomenti: la natura vincolata del provvedimento di acquisizione e il rilievo soltanto oggettivo dell’illecito di lottizzazione abusiva. Il primo argomento è insignificante, perché la rilevanza dell’elemento soggettivo attiene ai presupposti per l’adozione del provvedimento e non alla sua natura (vincolata o discrezionale). Il secondo argomento, in sé valido in relazione alle finalità del provvedimento, viene tuttavia a collidere con l’orientamento della giurisprudenza di Strasburgo e ormai anche di quella della Corte costituzionale[59] e della Cassazione penale.
Più recentemente, tuttavia, sembra che il Consiglio di Stato intenda cambiare il suo atteggiamento di chiusura, assumendo che per l’applicazione delle sanzioni ammnistrative, che siano privative della proprietà del bene, è necessario l’accertamento di “un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che subisce la sanzione”[60].
Si inizia a tener conto anche del principio di proporzionalità, ossia della necessità di mantenere “il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo”[61].
Sembra pertanto che, sia pure con qualche ritardo, il giudice amministrativo vada uniformando il suo indirizzo ai principi stabiliti dalla Corte di Strasburgo. Il rischio è che possa trattarsi di un adeguamento soltanto apparente[62].
10. Inconvenienti derivanti dalla attribuzione al giudice penale dell’applicazione di sanzioni amministrative
Che la confisca, sanzione amministrativa, venga inflitta dal giudice penale dà luogo a complicazioni, a lacune, perfino a disarmonie sul piano dei concetti di fondo del diritto amministrativo.
Bisogna, infatti, in primo luogo fare i conti con la disciplina del processo penale, e in particolare con i rapporti cronologici tra maturarsi della prescrizione e accertamento della responsabilità ai fini della confisca. Mentre sembra pacifico che, ove la prescrizione si compia prima dell’esercizio dell’azione penale, al giudice non è consentito iniziare un’azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca[63], è dubbio se, qualora la prescrizione maturi nel corso del giudizio di primo grado, ma prima che l’accertamento del fatto (e della responsabilità) sia compiuto[64], il giudice possa proseguire il giudizio allo scopo di decidere sulla confisca[65]. Le Sezioni Unite della Cassazione penale propendono per la soluzione negativa, in forza del principio dell’immediata operatività della causa estintiva[66].
Ove la confisca sia stata comminata (in primo o secondo grado), i giudici dei gradi superiori (rispettivamente, la Corte di appello e la Corte di cassazione) possono (devono) pronunciarsi su di essa, nonostante l’intervenuta prescrizione, sulla base di una specifica norma processuale introdotta ad hoc nel codice di procedura penale[67].
Ciò che si vuol mettere in evidenza è che talvolta il giudice penale non ha il potere, per motivi processuali, di pronunciarsi sulla confisca[68].
Occorre tuttavia considerare che l’amministrazione conserva i suoi poteri di deliberare l’acquisizione coattiva dei beni abusivamente lottizzati[69] o anche di provvedere alla sanatoria, almeno nel caso in cui l’abuso consista nella trasformazione del territorio in mancanza o in violazione dell’autorizzazione alla lottizzazione o del permesso di costruire[70]. Se l’abuso consiste nella violazione di norme di rango superiore, la sanatoria è più difficile, ma non impossibile[71].
Si deve aggiungere che, nel caso di concorrenza del processo penale e del processo amministrativo in ordine alla medesima situazione di fatto, la confisca non può essere inflitta soltanto se il processo amministrativo si conclude con l’accertamento definitivo (ossia con sentenza passata in giudicato) della legittimità dei provvedimenti relativi alla lottizzazione.
Da ultimo si accenna ad una circostanza che fa riflettere: nella lottizzazione c.d. sostanziale[72], i lavori di trasformazione del territorio risultano essere stati previamente autorizzati con provvedimenti amministrativi efficaci, ed efficaci, secondo la regola generale, fino al loro annullamento.
Il giudice penale, che non ha il potere di annullarli, li ignora completamente, e valuta il carattere abusivo della lottizzazione sulla base delle norme di legge e degli strumenti urbanistici. Cosicché, nel caso in cui accerta che la lottizzazione è per tale ragione abusiva, i provvedimenti comunali che la hanno autorizzata ed hanno consentito la trasformazione del territorio rimangono, ciò nonostante, in vita, non vengono dichiarati invalidi, e si deve ritenere che restino perfino efficaci, ma non escludono il reato.
Il problema sorge (non in ordine – si badi – all’accertamento del reato, ma) a proposito dell’inflizione della confisca. Si determina una stranezza, a mio avviso una vera anomalia: la sanzione viene comminata nonostante che la trasformazione del territorio sia “coperta” da provvedimenti amministrativi (ancora) validi ed efficaci; anomalia che deriva dall’avere attribuito al giudice penale la competenza ad infliggere la sanzione amministrativa.
La costruzione degli abusi edilizi, quali che essi siano, come reati, anziché come illeciti amministrativi, viene giustificata per la loro gravità e per le caratteristiche del processo penale (iniziativa officiosa; superamento dell’eventuale inerzia dell’amministrazione; maggiori poteri istruttori rispetto al processo amministrativo). Nessun grave problema si verifica fino a quando il giudice penale procede all’accertamento del reato e all’applicazione delle previste sanzioni prettamente penali (l’arresto o l’ammenda). Al più si potrà verificare un contrasto teorico di giudicati se il processo penale e quello amministrativo dovessero concludersi in modo opposto (sulla legittimità o sulla non contrarietà agli strumenti urbanistici, dei provvedimenti comunali).
I problemi più complessi, a cui si è fatto riferimento nei paragrafi precedenti, sorgono quando al giudice penale viene attribuito il potere di infliggere sanzioni amministrative, sanzioni che incidono sul territorio e sui rapporti tra amministrazione e cittadini[73].
Questa è una considerazione che ha carattere generale, può cioè estendersi a tutte le sanzioni in senso proprio amministrative che possono essere erogate dal giudice penale. Ed è una considerazione che dovrebbe consigliare di evitare di coinvolgere il giudice penale nella irrogazione di sanzioni amministrative.
Il rilievo di maggior peso, riguardante la confisca urbanistica, non attiene, tuttavia, a chi ha il potere di infliggerla, amministrazione o giudice penale; ma attiene alla sua inidoneità a garantire gli interessi che, attraverso di essa, si intendono tutelare, dato che essa incide solo sulla proprietà delle opere abusive senza tuttavia eliminarle, anzi rendendo di fatto impossibile, o almeno molto difficile, eliminarle.
[1] Prevista dall’art. 44, co. 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che recita: “la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari”.
[2] Ai sensi dell’art. 30, co. 8, D.P.R. 6 giugno 2002, n. 380.
[3] L’intento di questo breve lavoro è di “dialogare” con la giurisprudenza interna e convenzionale. Non è necessario, né utile, richiamare, pertanto, il ricco e approfondito dibattito dottrinale, che è d’altronde adeguatamente esposto nell’opera recentissima e ben documentata e ragionata di Simone Lucattini, Le sanzioni amministrative a tutela del territorio, Torino, 2022.
[4] Sugli interessi connessi alla confisca v., oltre la giurisprudenza penale e amministrativa, Corte EDU, Grande Camera, 28 giugno 2018 – G.I.E.M. s.r.l. e altri c/ Italia, § 116; Corte cost., 8 luglio 2021, n. 146, n. 3.1 della motivazione in diritto. Si tratta di interessi distinti, che comportano valutazioni (e conseguenze) diverse.
[5] Cass. Pen., Sez. III, 12 novembre 1990 (dep. 18 dicembre 1990), Licastro. Corte cost, ord. 26 maggio 1998, n. 187.
[6] Fin dalle sentenze Sud Fondi s.r.l. (Sez. II, 30 agosto 2007; 20 gennaio 2009; 10 maggio 2012) la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la confisca sia una “pena” e che si renda, quindi, applicabile l’art. 7 della Convenzione. La Corte costituzionale, con sent. 2009, n. 239, pur non pronunciandosi esplicitamente sulla natura della confisca (e rimettendosi alla giurisprudenza della Cassazione, che aveva confermato la natura amministrativa: Sez. III, 13 luglio 2009, n. 39078) si richiama al “carattere autonomo dei criteri utilizzati dalla Corte di Strasburgo rispetto a quelli degli ordinamenti giuridici nazionali”. La Corte convenzionale, con la sent. Varvara (Sez. II, 24 marzo 2014) ribadisce, anzi dà per scontato che la confisca sia una pena, ai sensi dell’art. 7 della Convenzione. La Corte costituzionale, ritornando sul tema, sostiene che la “discrezionalità del legislatore [nazionale] di configurare gli strumenti più efficaci per perseguire la «effettività dell’imposizione di obblighi o di doveri»”; discrezionalità che la sentenza Varvara non pone in discussione. Infine la Corte di Strasburgo ha ulteriormente ribadito il suo orientamento con la sentenza G.I.E.M., cit., §§ 222 ss., in particolare § 233). La Corte costituzionale (sent. 8 luglio 2021, n. 146) replica richiamandosi di nuovo alla giurisprudenza di legittimità, ferma nel ritenere la natura amministrativa della confisca.
[7] Cons. Stato, Sez. VI, !9 luglio 2021, n. 5439; Id, Sez. VI, 4 novembre 2021, n. 7380, che la definisce “sanzione penale accessoria”. Si veda anche quanto esposto al successivo n. 9.
[8] Il primo comma dell’art. 7 recita: “1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.
[9] Non solleva dubbi la situazione inversa: sanzioni penali possono essere comminate da organi amministrativi: Corte EDU 4 marzo 2014 – Grande Stevens; Corte cost. 26 marzo 2015, n. 49, n. 6.1 della motivazione in diritto
[10] Tesi sponsorizzata dalla Cassazione.
[11] CEDU, Grande Camera, sent. G.I.E.M. cit., § 230 in relazione ai §§ 128-129, nei quali viene riferito l’orientamento della Cassazione.
[12] Così come per le leggi-provvedimento prevale la forma legislativa sulla sostanza amministrativa; e per i regolamenti prevale la forma amministrativa sulla sostanza normativa. La prevalenza della forma sulla sostanza costituisce una regola generale nel nostro ordinamento.
[13] Per intervenuta prescrizione, per decesso dell’imputato, per amnistia.
[14] L’espressione è tolta dalla motivazione della sent. Corte cost. n. 49 del 2015, cit., n. 5 della motivazione in diritto. Sulla necessità dell’elemento soggettivo insiste la Grande Camera (sent. G.I.E.M., cit., § 235 ss.).
[15] Limito i riferimenti alla sentenza più recente tra quelle ricordate nel testo: “la logique de la «peine» et de la «punition», et la notion de «guilty» (dans la version anglaise) et la correspondante notion de «personne coupable» (dans la version française), militent pour une interprétation de l’article 7 qui exige, pour punir, une déclkaration de responsabilité par les juridictions nationales, qui puisse permettre d’imputer l’infraction et d’infliger la peine à son auteur. A défaut de quoi, la punition n’aurait pas de sens (Sud Fondi et autres, § 116). Il serait en effet incohérent d’exiger, d’une part, une base legale accessible et prévisible et de permettre, d’autre part, une punition quand, comme en l’espèce, la personne concernée n’a pas été condamnée” (sent. Varvara, cit., § 71).
[16] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 30 aprile 2009, n. 21188; Id., Id., 19 maggio 2009, n. 30933.
[17] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 1994, n. 4954. La giurisprudenza penale continuava nello stesso indirizzo anche dopo la sentenza Varvara: v., ad esempio, Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2015, n. 16803.
[18] Cass. pen., Sez. III, ord. n. 20243 del 2014. Anche il Tribunale di Teramo sollevò la medesima questione di legittimità costituzionale.
[19] La Corte costituzionale tenne a porre in rilievo che non fosse stata posta in discussione da parte della Corte di Strasburgo “la discrezionalità dei legislatori nazionali di arginare l’ipertrofia del diritto penale attraverso il ricorso a strumenti sanzionatori reputati più adeguati” (sent. n. 49 del 2015, cit., n. 6.1 della motivazione in diritto). Sull’autonomia del concetto di pena di cui all’art. 7 CEDU la Grande Camera si mostra perfettamente d’accordo, ed argomenta che “senza un’interpretazione autonoma [da parte del giudice convenzionale] del concetto di «pena», gli Stati sarebbero liberi di infliggere pene senza definirle tali, togliendo in tal modo alle persone le tutele dell’art. 7 § 1, norma che si vedrebbe così privata di efficacia” (sent. G.I.E.M., cit., § 216).
[20] “Che sia proprio l’accertamento di responsabilità a premere al giudice europeo è ben argomentabile sulla base sia del testo, sia del tenore logico della motivazione svolta con la pronuncia Varvara. Qui si sottolinea, infatti, che l’art. 7 della CEDU esige una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato (§ 71), poiché non si può avere una pena senza l’accertamento di una responsabilità personale (§ 69). Non è in definitiva concepibile un sistema che punisca coloro che non sono responsabili (§ 66), in quanto non dichiarati tali con una sentenza di colpevolezza” (Corte cost, sent. n. 49 del 2015, cit., n. 6.2. della motivazione in diritto).
[21] Nella sent. n. 49 del 2015, cit., la Consulta aveva rilevato, per mortificarne la rilevanza, che la sentenza Varvara promanava da una Sezione semplice, senza l’avallo della Grande Camera (n. 7 della motivazione in diritto). La Grande Camera ha ritenuto di dover sottolineare che le sentenze della Corte “hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vincolante e la loro autorità interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante che le ha pronunciate” (sent. G.I.E.M, cit., § 252).
[22] Sent. G.I.E.M., cit., § 251. Pur escludendo la necessità di una condanna formale, ritiene indispensabile “una dichiarazione formale di responsabilità penale a carico” di coloro che subiscono la confisca (§ 255). “Qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato” (§ 261).
[23] Cass. pen., S.U., 30 aprile 2020, n. 13539 osserva: “se infatti la pronuncia della Corte EDU 29/10/2013, Varvara c. Italia, aveva affermato l’incompatibilità con le garanzie previste dalla CEDU di un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza, potesse subire una “pena” (tale dovendo secondo la Corte essere considerata la confisca lottizzatoria), in contrasto con la previsione dell’art. 7 CEDU, successivamente, sia l’elaborazione della Corte costituzionale che la “rilettura” operata, in tempi più recenti, dalla Corte EDU, hanno offerto ulteriore fondamento all’indirizzo esegetico ricordato.” Sicché, prosegue la sentenza, “nella “lettura” data da questa Corte, l’art. 44 cit., là dove ricollega la confisca lottizzatoria all’accertamento del reato, consente di prescindere dalla necessità di una sentenza di condanna “formale” permettendo di fondare la “legittimità” del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre ce dell’elemento oggettivo, anche dell’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU”.
[24] V., ad esempio, Cass. pen., S.U., n. 13539 del 2020, citata; Id., Sez. IV, 3 dicembre 2020, n. 34365: “presupposto essenziale e indefettibile per l’applicazione della confisca in oggetto è (secondo l’interpretazione giurisprudenziale costante)che sia stata accertata l’effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva; ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l’elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere” (n. 5 della motivazione in diritto).
[25] Cass. pen., Sez. IV, n. 34365 del 2020, citata: “per la cooperazione dell’acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un’azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione” (n. 7 della motivazione in diritto). L’orientamento è risalente: “il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell’acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2008, n. 37472, Belloi ed altri).
[26] In verità non è chiaro se gli acquirenti siano estranei al reato o vi concorrano. La Corte costituzionale li considera estranei al reato anche se in mala fede (sent n. 49 del 2015, citata, n- 5 della motivazione in diritto). La Cassazione penale, a sua volta, afferma che “non è necessario che l’acquirente del terreno confiscato concorra nel reato di lottizzazione abusiva, essendo sufficiente la mancanza di buona fede al momento dell’acquisto stesso” (Sez. III, 23 febbraio 2019, n.8350). Secondo Cass. pen., S.U., 25 settembre 2014, n.11170, “terzo è la persona estranea al reato, ovvero la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilità (Sez. II, n. 11173 del 14/10/1992, Tassinari; Sez. III, n. 3390 del 19/01/1979, Ravazzani, secondo le quali non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità); soltanto colui che versi in tale situazione oggettiva e soggettiva può vedere riconosciuta la intangibilità della sua posizione giuridica soggettiva e l'insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca” (n. 8 della motivazione in diritto).
Il problema, di stretto diritto penale, è tuttavia estraneo al presente studio.
[27] Cass. pen., Sez, III, 5 luglio 2019, n. 36310; Id., Id., 15 settembre 2016, n. 51429; Id., Id., 24 ottobre 2013, n. 51387; Id., Id., 6 marzo 2013, n. 15987; Id., Id., 23 dicembre 2013, n. 51710: non è sufficiente che l’atto di acquisto sia rogato da un notaio, che ha il dovere di accertarsi della liceità dell’oggetto del contratto.
[28] Prendo in prestito la terminologia utilizzata dalla Corte di Strasburgo (sent. G.I.E.M., cit., § 127). Mentre la giurisprudenza interna è ferma nel ritenere che la lottizzazione abusiva possa realizzarsi in tre forme (materiale, giuridica o negoziale, e mista), la sent. G.I.E.M., cit., § 109, ne individua quattro forme: aggiunge la lottizzazione mediante mutamento della destinazione d’uso di edifici. Ciò che maggiormente rileva è che la Corte EDU distingue, nell’ambito della lottizzazione “materiale”, un tipo “formale”, che si ha “quando la trasformazione urbanistica è sprovvista di autorizzazione o in contrasto con l’autorizzazione accordata”, e un tipo “sostanziale”, che si ha “quando la trasformazione urbanistica è stata autorizzata dall’amministrazione (…), ma questa autorizzazione non è legittima in quanto non conforme ai documenti urbanistici, alla legislazione regionale o alle leggi nazionali”.
La distinzione tra “formale” e “sostanziale” è, a mio avviso, fondamentale.
[29] Si badi che valutare la conformità di autorizzazioni di lottizzazione e di permessi di costruire agli strumenti di pianificazione urbanistica (leggi nazionali e regionali, P.R.G., regolamenti edilizi) è cosa da esperti. Non infrequentemente capita che le valutazioni del giudice penali con corrispondano, nell’esame della stessa fattispecie, alle valutazioni del giudice amministrativo.
[30] È giurisprudenza costante che rientri “nella sfera di cognizione del giudice dell’esecuzione l’accertamento della sussistenza di profili di colpa a carico del terzo acquirente, nei confronti del quale può essere disposta la confisca del bene qualora abbia omesso di assumere le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell’intervento edilizio con gli strumenti urbanistici” (Cass. pen., Sez. III, n. 8350 del 2019, citata; Id, Id, 14 marzo 2013, n. 25883).
[31] Firmato a Parigi il 20 marzo 1952. L’art. 1 recita: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
[32] Sent. G.I.E.M., cit, § 300.
[33] Nel caso della G.I.E.M. s.r.l. la superficie confiscata era tre volte superiore a quella interessata dai permessi edilizi rilasciati dal Comune di Bari. Nel caso delle società Hotel Promotion Bureau s.r.l. e R.I.T.A. s.r.l. era 14,5 volte superiore a quella effettivamente trasformata. Nel caso della Falgest s.r.l. la superficie trasformata era meno dell’11% di quella confiscata (per il Governo era meno del 50%).
[34] Sent. G.I.E.M., cit., § 304.
[35] Cfr. sent. 17 aprile 2019, n. 88, a proposito della revoca della patente di guida (art. 222, co. 2, del codice della strada).
[36] Cass. pen., Sez. III., n. 8350 del 2019, cit,, n. 8, in particolare n. 8.4, della motivazione in diritto. La Cassazione ha in tal modo meramente confermato l’orientamento precedente alla sentenza della Corte di Strasburgo (cfr., ad esempio, Cass. pen., Sez. III, 9 maggio 2005, n. 17424).
[37] Ci mancherebbe altro che vengano confiscati anche “aree completamente estranee all’attività lottizzatoria abusiva”!
[38] “L’attività lottizzatoría si configura, dunque, mediante qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione, contemporanea o successiva, di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l’attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell’insediamento; attraverso ogni intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione, ovvero allorquando detto intervento non potrebbe essere in nessun caso realizzato, poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, che non possono esser modificati da piani urbanistici attuativi; quando venga posta in essere qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata; in presenza di condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente, posto che l’aggressione alla sistemazione del suolo si protrae finché perdurano comportamenti che compromettono la scelta di destinazione e di uso riservata alla competenza pubblica” (Cass. pen., Sez. III, n. 8350 del 2019, cit., n. 8.2).
[39] “Al fine di offrire una interpretazione convenzionalmente orientata delle norme applicate, deve in primo luogo osservarsi che l’art. 44, al comma 2, prevede la confisca tanto "dei terreni, abusivamente lottizzati" quanto "delle opere abusivamente costruite". Avuto riguardo al concetto di lottizzazione abusiva in precedenza ricordato, appare evidente che la legge, come si è detto, prevede la confisca indipendentemente dalla edificazione intesa nel senso di intervento edilizio comportante la realizzazione di volumi o superfici, essendo terreni lottizzati anche quelli ove non insistono opere consistenti” (8.4).
[40] Sent. G.I.E.M., cit., § 301. Tra gli elementi da tener presenti per commisurare la confisca la Corte indica anche “il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione”.
[41] Cfr., ad esempio, Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2019, n. 31282, che ha ritenuto proporzionata la confisca dei soli terreni interessati da lavori di sbancamento, ritenendo illegittima la confisca dei restanti terreni non ancora modificati. Secondo Cass. pen., Sez. III, 12 settembre 2019, n. 47280, che pur richiama la sent. n. 8350 del 2019, “la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture”.
[42] Sent. G.I.E.M., cit., § 303.
[43] Sent. G.I.E.M., cit., § 301.
[44] Cass. pen., Sez. III, n. 8350 del 2019, cit., § 8.5. Nello stesso senso Id, Id, n. 47280 del 2019, cit., n. 38 della motivazione; Id, Id, 17 luglio 2019, n. 43119.
[45] Sent. G.I.E.M., cit., § 301.
[46] Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 2020, n. 12640, n. 6 della motivazione in diritto. Invece della confisca, in quel caso, la Cassazione, adeguandosi ad una “lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della disciplina vigente”, ha ordinato la demolizione delle opere abusive. Ha enunciato il principio secondo cui “in tema di lottizzazione abusiva, la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, nonché dei pregressi frazionamenti, con conseguente ricomposizione fondiaria e catastale nello stato preesistente ed in assenza di definitive trasformazioni, se dimostrata in giudizio ed accertata in fatto dal giudice del merito con congrua motivazione, rende superflua la confisca perché misura sproporzionata secondo i parametri di valutazione indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU” (n. 8 della motivazione in diritto). Nello stesso senso Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 2020, n. 3727.
[47] Il “monopolio comunale sulle scelte di programmazione urbanistica del territorio”, per utilizzare una formula usata dal giudice penale (Cass. pen., Sez. III, n. 47280 del 2019, citata).
[48] Sent. G.I.E.M., cit., § 296. Si rammenti che i terreni di sua proprietà erano stati inclusi d’ufficio dal Comune nel piano di lottizzazione, che la società non aveva svolto alcuna opera di trasformazione e che le opere effettuate non riguardavano i suoi terreni.
[49] Per eventualmente destinarlo a far fronte a situazioni di emergenza (§ 297).
[50] Sent. G.I.E.M., cit., § 298.
[51] Ritengo che sia significativo che la Cassazione, con una “lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della vigente disciplina”abbia riconosciuto che “la integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione di un’attività di illecita lottizzazione, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, rispondano ai criteri di proporzionalità indicati dalla Corte EDU e rappresentino una valida alternativa alla confisca” Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 2020, n. 12640.
[52] La penisola è piena di ecomostri non abbattuti o di aree di sedime di ecomostri abbattuti lasciate in condizioni incivili.
[53] Si rammenti che il secondo comma dell’art. 44 non dispone l’obbligo di demolizione delle opere confiscate a differenza di quanto previsto nel precedente art. 30.
[54] La giurisprudenza ha più volte sottolineato “la rilevanza, rispetto al provvedimento di confisca, di provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa prima o dopo il passaggio in giudicato della sentenza, affermandosi che tali provvedimenti, pur non producendo effetti estintivi del reato di lottizzazione abusiva, che la legge non prevede espressamente, comportano, quale conseguenza, se legittimamente emanati prima del passaggio in giudicato della sentenza, l’impossibilità per il giudice di disporre la confisca” (Cass. pen., Sez. III, n. 8350 del 2019, cit., n. 8.5 della motivazione in diritto ed ivi ulteriori indicazioni).
[55] Cass. pen., Sez. III. n. 8350 del 2019, cit., n. 8.5. “Dopo il passaggio in giudicato – prosegue la sentenza – si è ritenuto che l’amministrazione comunale conservi, ovviamente, la piena ed incondizionata potestà di programmazione e di gestione del territorio, dovendosi però escludere che il successivo adeguamento degli immobili acquisiti agli standard urbanistici già vigenti ovvero l’adozione di nuovi strumenti urbanistici integri una fonte di retro-trasferimento della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca. Resta tuttavia la possibilità, qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l’area lottizzata alla edificazione, che l’amministrazione decida di non esercitare in proprio le iniziative edificatorie e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono, facendo ricorso ad atti contrattuali volontari ed a titolo oneroso che trasferiscano la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari”.
[56] Ai sensi dell’art. 30, co. 8, D.P.R. n. 380 del 2001.
[57] Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2021, n. 6060: nella lottizzazione abusiva “si può prescindere dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti, giacché l’illecito si fonda sul dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio”. Id., Sez. VI, 19 luglio 2021, n. 5803: “la giurisprudenza ha chiarito che i principi costituzionali e sovranazionali di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più essere spesi al fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878; Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196; Cons. Stato, sez. II, 24 giugno 2019, n. 4320, CGARS Sez. giur. n. 93 del 8 febbraio 2021)”.
[58] Secondo la sentenza citata alla nota precedente, “i principi costituzionali e comunitari di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più utilizzare l’argomento al mero fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell'uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune, contemplata dall’art. 30, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato”.
Nello stesso senso Sez. VI, 19 luglio 2021, n. 5403; Id., Id., 19 luglio 2021, n. 5384; Id., Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3196; CGARS, Sez. giur., 8 febbraio 2021, n. 93.
[59] Significativa è la recente sent. 30 luglio 2021, n. 182, che ha enunciato il principio per cui “non si può irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di una responsabilità personale”. E che l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale di beni di proprietà altrui sia una “pena” secondo il diritto convenzionale non è da mettere in dubbio.
[60] Cons. Stato, Sez. VI, 4 novembre 2021, n. 7380, n. 6.2 della motivazione in diritto. Prima di affermare questo nuovo indirizzo, la sentenza, chissà perché, ha ritenuto di richiamare, dando mostra di condividerlo, l’indirizzo che intendeva superare (n. 6.1). V. anche Id., Id., 19 ottobre 2021, n. 7005.
[61] Sent. ult. cit., n. 6.3 della motivazione in diritto. Viene precisato che “il principio di proporzionalità viene inteso come impedimento dell’Amministrazione di comprimere la sfera giuridica dei destinatari delle sua azione in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe necessario al raggiungimento dello scopo cui l’azione è preordinata”.
[62] Un indizio si ricava dalla stessa sentenza: da un lato essa stabilisce un criterio che sembra escludere ogni apprezzamento di proporzionalità, affermando che “il ripristino della situazione urbanistica ex ante non pare realizzabile se non ripristinando l’unitarietà della situazione proprietaria”; il che comporta che l’acquisizione deve essere in ogni caso totale; dall’altro lato non si pone nemmeno il problema di verificare se, al posto dell’acquisizione coattiva della proprietà, poteva essere comminata una sanzione meno afflittiva, ad esempio, l’ordine di demolizione delle opere realizzate abusivamente.
[63] Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 2016, n.35313; Id., S.U., 30 aprile 2020, n. 13539.
[64] Se la prescrizione matura dopo l’accertamento del fatto, la confisca può essere tranquillamente decisa.
[65] Per la soluzione positiva v. Cass. pen, Sez. III, 27 marzo 2019, n. 31282.
[66] In forza dell’art. 129, co 1, c.p.p. (Cass. pen., S.U., 30 gennaio 2020, n. 13539, n.7 della motivazione in diritto.
[67] Art. 578-bis. c.p.p. (Cass. pen., S.U., n. 13539 del 2020, cit., n. 5 della motivazione in diritto; Cass., Sez. III, n. 8350 del 2019, cit., n. 9 della motivazione in diritto). La Cassazione, non potendo conoscere del fatto, pronuncia l’annullamento con rinvio.
[68] I risultati cui sono pervenute le Sezioni Unite della Cassazione penale sono i seguenti: “la confisca di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 del d.PR. n. 380 del 2001” (Cass. pen., S.U., n. 13539 del 2020, cit., n. 8 della motivazione in diritto).
[69] Cass., S.U., n. 13539 del 2020, cit., n. 7.5 della motivazione in diritto: “l’intervento sanzionatorio del giudice penale attuato tramite la confisca è di natura meramente residuale (…) e non interferisce, quindi, né si sovrappone all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa dall’art. 30 D.P.R. n. 380 del 2001”. Non esiste “una sorta di pregiudiziale penale”, sicché, “ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale”.
[70] Sent. G.I.E.M., cit., §128.
[71] Ad esempio con i piani di recupero di cui all’art. 27, l. 5 agosto 1978, n. 457.
[72] Fino all’inizio di questo secolo la lottizzazione abusiva si realizzava, secondo la giurisprudenza della Cassazione penale soltanto se la trasformazione del territorio avveniva senza l’autorizzazione comunale o in violazione di essa. A seguito di qualche precedente di segno contrario, con la sentenza delle Sezioni Unite 8 febbraio 2002, n. 5115, l’orientamento è definitivamente cambiato è stato fissato il principio secondo cui “il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici”.
[73] Rinvio ancora a Simone Lucattini, Le sanzioni, cit., passim, spec. 230 ss. Osservazioni condivisibili si devono anche a Sergio Perongini, L’abuso d’ufficio. Contributo a una interpretazione conforme a Costituzione, Torino, 2020.