L’affidamento in house providing e il richiamo alle origini euro-unitarie in nome delle prioritarie esigenze di semplificazione ed accelerazione funzionali alla ripresa economica dopo la crisi pandemica (nota a Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7023).
di Saul Monzani
Sommario: 1. L’affidamento "in house": genesi e sviluppo nell'ordinamento euro-unitario. - 2. I primi tentativi normativi volti alla limitazione dell'utilizzo dell'affidamento "in house" ed il ripristino di tale istituto secondo i connotati euro-unitari a seguito del referendum popolare e dell'intervento della Corte costituzionale a tutela del suo esito. - 3. La disciplina "speciale" di cui al Codice dei contratti pubblici e l'onere motivazionale rafforzato. L'affidamento "in house" torna una fattispecie eccezionale. - 4. Lo schema di Linee guida ANAC e il "richiamo" del Consiglio di Stato rispetto alle esigenze di semplificazione ed accelerazione delle procedure ad evidenza pubblica. - 5. La sentenza oggetto di commento: il carattere discrezionale della scelta di procedere ad un affidamento diretto e i conseguenti limiti del sindacato giurisdizionale.
1. L'affidamento "in house": genesi e sviluppo nell'ordinamento euro-unitario.
Il concetto di produzione "in house" da parte della pubblica amministrazione si rinviene originariamente nell'ordinamento del Regno Unito, ove tradizionalmente si è distinto, quanto alle modalità di esercizio delle proprie funzioni, tra la procedura, appunto, c.d. "in house", per cui l'attività di produzione dei beni, lavori o servizi sono svolti direttamente dagli organi od uffici dell'ente pubblico, e la modalità c.d. "contracting out", consistente nell'affidamento esterno attraverso strumenti di natura contrattuale, come l'appalto1. In particolare, sia la procedura del compulsory competitive tendering, prevista dal Local government, planning and land Act del 1980, nonchè dai successivi Local government Act del 1988 e del 1992 , sia la procedura del best value introdotta dal Local government Act del 1999, hanno imposto alle autorità pubbliche di individuare la soluzione organizzativa da ritenersi più economica, efficiente ed efficace per l'esercizio delle proprie competenze e per l'acquisizione delle risorse a tale scopo necessarie attraverso una procedura di comparazione che prevede il confronto tra l'auto-produzione da parte della medesima autorità e soluzioni alternative, tra cui l'affidamento a soggetti terzi.
Per quanto riguarda l'ordinamento euro-unitario, la nozione di affidamento "in house" si affaccia per la prima volta nella comunicazione della Commissione europea dell'11 marzo 1998 recante "Gli appalti pubblici nell'Unione europea" ove, semplicemente, ci si propone di definire compiutamente i caratteri dell'istituto in questione, ovvero dei contratti stipulati tra un'amministrazione e una società da questa interamente controllata.
É però grazie all'opera creatrice della Corte di giustizia che sono stati definiti i contorni del meccanismo in parola, tramite l'enucleazione in maniera via via maggiormente più precisa delle condizioni in presenza delle quali risulta legittimo un affidamento diretto di servizi pubblici, in deroga all'applicazione delle generali norme euro-unitarie in tema di concorrenza.
Il filone giurisprudenziale che ci si appresta a ricostruire conosce i suoi esordi già a partire dalle sentenze Arnhem2 e RI.SAN3, ove si è cominciato ad individuare nel rapporto di delega interorganica tra amministrazione aggiudicatrice e soggetto aggiudicatario, in un contesto di dipendenza finanziaria e amministrativa, sia a livello gestionale che organizzativo, di quest'ultimo nei confronti della prima, un fattore in grado di escludere la necessità di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica nell'affidamento dell'appalto.
Il principio così introdotto ha trovato una descrizione maggiormente compiuta nella paradigmatica sentenza Teckal4, la quale è venuta a costituire il punto di partenza per la successiva elaborazione giurisprudenziale. In particolare, in tale occasione, si è considerato che il presupposto per l'applicazione della disciplina euro-unitaria in tema di appalti, informata alla tutela e promozione della concorrenza, è la terzietà del prestatore rispetto all'amministrazione aggiudicatrice, facendone derivare la conseguenza che ove tale terzietà non sussista, venendo viceversa in rilievo una dipendenza finanzaria, amministrativa, gestionale ed organizzativa dell'affidatario rispetto al committente, si potrebbe legittimare un affidamento diretto a quel soggetto, il quale costituirebbe, in realtà, una mera articolazione organizzativa, ovvero un'emanazione, della pubblica amministrazione affidante, secondo un rapporto di delegazione interorganica che differenzia il medesimo da tutti gli altri operatori presenti sul mercato.
I due elementi fondanti un rapporto così come appena sinteticamente descritto sono stati individuati nell'esercizio, da parte dell'amministrazione affidante nei confronti del soggetto affidatario, di un potere di controllo "analogo" a quello che la prima è abilitata ad esercitare sui propri uffici, nonchè nel fatto che il secondo svolga la parte più importante della propria attività a favore dell'ente affidante, non operando così, se non in minima parte, in un contesto concorrenziale di mercato.
A partire dalla pronuncia appena ricordata, la giurisprudenza euro-unitaria si caratterizza per il tentativo di precisare soprattutto il requisito del controllo "analogo", il quale non trova precisi riferimenti nell'ordinamento dei Paesi membri ed, anzi, si pone talvolta in tensione con diverse regole proprie del diritto societario5, anche in una logica di circoscrivere le possibilità di affidamento diretto in luogo della effettuazione di una procedura ad evidenza pubblica.
Sul punto, si è cominciato a precisare che l'affidamento "in house" consiste in una sorta di "auto-produzione" da parte della medesima amministrazione, attuata attraverso un'articolazione organizzativa strumentale suscettibile di essere considerata, per le forme di controllo che l'ente pubblico risulta in grado di esercitare nei suoi confronti, alla stessa stregua degli uffici propri di quest'ultimo6. In altri, coerenti, termini, si è statuito che l'affidatario diretto di servizi pubblici deve costituire un soggetto che non è in grado di esprimere una volontà imprenditoriale autonoma, limitandosi ad attuare scelte ed indirizzi unilateralmente determinati dell'amministrazione di cui si pone come ente strumentale7.
La tendenza a circoscrivere, almeno in una certa misura, l'istituto dell'affidamento "in house" conosce un significativo momento nella sentenza Stadt Halle, attraverso la quale la Corte introduce, di fatto, un terzo requisito, ossia il capitale interamente pubblico dell'ente affidatario8; ciò ritenendo che la società controllata possa effettivamente perseguire l'interesse pubblico a condizione che la medesima non debba al contempo tenere conto di obiettivi di diversa natura derivanti dalla partecipazione di un soggetto privato, naturalmente animato da una prospettiva economica e lucrativa.
Un'altra pietra miliare nella costruzione dell'istituto in esame è stata posta della sentenza Parking Brixen, in cui si chiarito che l'affidamento diretto costituisce un'eccezione alle regole generali del diritto euro-unitario, che devono pertanto formare oggetto di un'interpretazione restrittiva. In tale ottica, la Corte ha posto la necessità di verificare, in concreto, se l'ente affidante sia effettivamente soggetto ad una forma di controllo in grado di consentire all'autorità pubblica affidante di esercitare, nei suoi confronti, una "influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più importanti". A tale scopo, secondo i giudici europei, non è sufficiente la partecipazione anche totalitaria dell'ente pubblico socio, con l'esercizio dei conseguenti poteri tipici del diritto societario, ma è necessaria la predisposizione di strumenti di indirizzo e controllo di matrice pubblicistica maggiormente penetranti e limitativi, in concreto, dell'automia gestionale del soggetto affidatario9.
Il descritto arresto giurisprudenziale si segnala per avere innescato uno dei nodi più complessi e discussi in tema di requisiti per l'affidamento diretto, avendo introdotto, come già accennato, una necessità che collide, almeno per certi versi, con la disciplina codicistica in tema di società di capitali, soprattutto con riferimento alla società per azioni, ove vige una separazione tra prerogative gestionali degli amministratori e i poteri dei soci, mentre maggiori profili di compatibilità si rinvengono con riferimento alla società a responsabilità limitata, meglio in grado per sua natura di consentire al socio pubblico l'esercizio di quei poteri di gestione e decisione sugli atti fondamentali richiesti dalla giurisprudenza euro-unitaria ai fini della sussistenza del controllo "analogo".
Nella medesima scia, si colloca una successiva decisione della Corte di giustizia, la quale giunge a confermare la non idoneità, ai fini dell'affidamento diretto, di un situazione in cui dallo statuto della società affidataria emerga l'attribuzione al consiglio di amministrazione dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società stessa, senza che sia riservato all'amministrazione affidante alcun potere particolare di controllo o di voto in grado di arginare la libertà di azione riconosciuta all'organo di gestione, risolvendosi, viceversa, il controllo attribuito all'ente affidante nei (soli) poteri che il diritto societario riconosce alla maggioranza dei soci, con conseguente considerevole limitazione della possibilità in capo all'ente pubblico di influire sulle decisioni della società affidataria10.
Maggiori aperture, conseguenti forse anche ad un'accresciuta consapevolezza circa i temi in questione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, si sono registrate nella successiva giurisprudenza della Corte, ove hanno cominciato a trovare posto anche decisioni di segno positivo rispetto alla sussistenza dei requisiti legittimanti un affidamento diretto.
In tale prospettiva, si è valutata favorevolmente, ai fini in esame, una situazione in cui ad un comune, in qualità di socio di maggioranza, era attribuita la possibilità di designare i membri degli organi direttivi nonchè di condizionare l'attività dell'affidatario "in house" sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più importanti, con l'effettuazione di un controllo contabile sulla società effettuato da un funzionario comunale dedicato11.
Sempre nell'ambito del filone maggiormente possibilista, si colloca anche un'altra importante sentenza della Corte in cui si è riconosciuto che, in caso di società partecipate da una pluralità di enti locali, il controllo da parte di questi ultimi deve essere effettuato congiuntamente, anche deliberando a maggioranza. Del resto, proseguono i giudici euro-unitari, diversamente opinando, la pretesa di un controllo individuale da parte di ciascuno degli enti soci vanificherebbe, di fatto, il diritto di ogni amministrazione aggiudicatrice di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici o di altro tipo, a fronte dell'inesistenza di alcun vero e proprio obbligo di far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi12.
In una successiva occasione ancora, la Corte di giustizia13 prosegue ad enucleare, in positivo, le caratteristiche di un adeguato sistema di controllo "analogo", avvallando un meccanismo per cui, nell'ambito della governance di una società pluripartecipata da enti pubblici, si sono innestati dei comitati di controllo a cui sono stati attribuiti, congiuntamente, significativi poteri anche di natura gestionale, a fronte della corrispondente delimitazione delle attribuzione dell'organo amministrativo. Il controllo "congiunto", inoltre, viene effettuato, nel caso deciso della Corte, tramite comitati rappresentativi di tutti i soci in cui ognuno di loro dispone di uguale diritto di voto, indipendentemente dall'entità del capitale posseduto; ciò per evitare la formazione di maggioranze precostituite in capo ai soci di maggioranza relativa e consentire a ciascun socio di esercitare un reale potere di incidere sulle scelte societarie, sia pure insieme ad altri in modo da formare la maggioranza numerica dei soci stessi14.
2. I primi tentativi normativi volti alla limitazione dell'utilizzo dell'affidamento "in house" ed il ripristino di tale istituto secondo i connotati euro-unitari a seguito del referendum popolare e dell'intervento della Corte costituzionale a tutela del suo esito.
Venendo al quadro normativo nazionale, le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, intendosi per tali quelli caratterizzati da una reddittività, anche solo potenziale, e che, di conseguenza, risultanto "contendibili" sul mercato da parte di più operatori15, sono state tradizionalmente contemplate dal comma 5 dell'art. 113 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali (TUEL) di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, prima modificato e poi abrogato.
Tale, fondamentale, norma aveva previsto che l'affidamento dei servizi predetti potesse avvenire, alternativamente, nei confronti di: società di capitali individuate attraverso procedure ad evidenza pubblica; società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso procedure ad evidenza pubblica; società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente pubblico titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico che la controlla.
Nella prospettiva ora in esame, il legislatore non esprimeva alcuna particolare preferenza tra le opzioni organizzative predette, purchè, ovviamente, sussistessero, nel caso concreto, le rispettive condizioni di legittimità.
Successivamente, un aggiornamento della disciplina posta dal TUEL in una chiave di accentuazione della tutela della concorrenza e di promozione del mercato nell'ordinamento interno, è stato introdotto attraverso il disposto di cui all'art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2018, n. 112, convertito nella l. 6 agosto 2008, n. 133, come ulteriormente modificato in seguito dal d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, nella l. 20 novembre 2009, n. 166.
In sostanza, la normativa risultante dagli interventi legislativi appena citati, dopo avere puntualizzato che "in via ordinaria" la gestione dei servizi pubblici locali è affidata ad operatori individuati tramite procedure ad evidenza pubblica, è giunta a limitare l'ipotesi dell'affidamento "in house" alle residuali ipotesi in cui sussistano "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato". Inoltre, si prescriveva l'onere di pubblicizzare un'eventuale scelta in tal senso nonchè di motivarla in base ad un'analisi del mercato attraverso una relazione da inviare all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato al fine dell'espressione di un parere preventivo.
Infine, venivano poste ulteriori restrizioni per le società "in house", quali il divieto di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi e di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati nonchè la sottoposizione al patto di stabilità interno dell'ente socio.
Il risultato di un siffatto intervento legislativo è apparso quello di ridimensionare, per non dire sopprimere, la possibilità di ricorrere ad un affidamento diretto nei termini stabiliti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, con ciò andando a collidere con la regola, invalsa in ambito euro-unitario, per cui un'amministrazione aggiudicatrice detiene la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa affidati medianti propri strumenti, senza essere obbligata a ricorrere per forza a soggetti esterni16.
La stessa giurisprudenza nazionale dell'epoca aveva sottolineato che la creazione di un mercato comune e l'applicazione delle conseguenti regole a tutela e promozione della concorrenza non ostano allo svolgimento delle capacità organizzatoria della pubblica amministrazione, la quale, di conseguenza, è abilitata a decidere, in alternativa alla gara, di non rivolgersi al mercato, optando per l'auto-produzione di servizi pubblici17.
Tuttavia, la disciplina di cui al citato art. 23-bis venne considerata compatibile con il diritto euro-unitario, sul presupposto che quest'ultimo consente in ogni caso al legislatore interno di prevedere limitazioni dell'affidamento diretto più estese rispetto a quelle declinate dalla Corte di giustizia; in altre parole, secondo la pronuncia della Consulta che è intervenuta sul punto, l'ordinamento euro-unitario, nel prevedere solo regole "minime" pro-concorrenziali, lascia al legislatore nazionale un ampio margine di apprezzamento, con la conseguenza che nelle ipotesi - come quella di specie - in cui quest'ultimo prevede condizioni ulteriori aventi lo stesso "verso" del diritto comunitario, deve escludersi un contrasto18.
Sennonchè, a "scompaginare" il quadro normativo appena evocato, è intervenuto l'esito positivo del referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, il quale ha comportato l'abrogazione dell'intera disciplina posta dal citato art. 23-bis, nell'intento, come attestato dalla Corte costituzionale in sede di pronuncia di ammissibilità del referendum stesso19, di neutralizzare l'intervento legislativo volto a privilegiare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica e di relegare, al contempo, le ipotesi di affidamento diretto tramite la gestione "in house" a situazioni del tutto eccezionali.
A seguito dell'esito referendario, il legislatore nazionale, al dichiarato scopo di adeguare la "disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione Europea", tramite l'art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella l. 14 settembre 2011, n. 148, aveva provveduto a dettare una nuova disciplina in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica, segnata, tuttavia, da uno reiterato spirito limitativo della gestione "in house".
Infatti, la citata normativa aveva previsto, ancora una volta, che, nell'impossibilità di procedere ad una vera e propria liberalizzazione, il conferimento della gestione in esclusiva di servizi pubblici locali dovesse avvenire, in via ordinaria, in favore di soggetti individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica. In deroga a tale ipotesi, l'affidamento diretto veniva consentito solo entro un certo limite di valore (prima 900.000 e poi 200.000 Euro) a società costituite secondo i requisiti dell'in house providing, le quali, perdipiù, continuavano ad essere sottoposte, tra le altre cose, al patto di stabilità interno dell'ente socio nonchè al divieto di acquisire servizi ulteriori o in ambiti territoriali diversi da quelli oggetto di affidamento diretto.
Tuttavia, il reiterato spirito legislativo nel senso di limitare le ipotesi di affidamento diretto non superò il vaglio di costitituzionalità, essendosi accertato come la disciplina in questione fosse contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, "in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti “in house”, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria", essendo peraltro "letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis"19. Sul punto, la Corte costituzionale ha osservato come la normativa esaminata comportava la limitazione delle ipotesi di affidamento diretto ai casi in cui non fosse possibile la liberalizzazione, subordinando tale ipotesi al rispetto di una soglia di valore il cui superamento determinava automaticamente l'illegittimità di un affidamento diretto, a prescindere da qualsiasi valutazione dell'ente locale. Così, ne veniva accertata la difformità rispetto alla disciplina euro-unitaria, la quale subordina la legittimità dell'affidamento diretto alle sole condizioni declinate dalla Corte di giustizia, giungendo alla conclusione nel senso della illegittimità costituzionale per violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost.
Il risultato delle descritte vicende è da individuarsi nella constatazione per cui, stante il vuoto normativo venutosi a creare nell'ordinamento interno in tema di modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la disciplina applicabile è da rinvenirsi in quella euro-unitaria, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum, senza più alcun riferimento a leggi interne20.
Per effetto di tale approdo, l'affidamento "in house" è giunto ad essere considerato una modalità organizzativa ordinaria, e non eccezionale, di gestione dei servizi pubblici locali, con la conseguenza che l'eventuale decisione in tal senso della stazione appaltante si deve basare unicamente sulla sussistenza dei presupposti, di origine euro-unitaria, e con possibilità di sindacato giurisdizionale solo nei casi, come avviene per tutte le scelte amministrative connotate da discrezionalità, di evidente travisamento dei fatti o manifesta illogicità21.
3. La disciplina "speciale" di cui al Codice dei contratti pubblici e l'onere motivazionale rafforzato. L'affidamento "in house" torna una fattispecie eccezionale.
Da ultimo, il Codice dei contratti pubblici vigente, di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 s.m.i., è giunto a formalizzare anche a livello interno le condizioni legittimanti l'affidamento "in house", recependo sostanzialmente la giurisprudenza della Corte di giustizia.
In particolare, l'art. 5 del predetto Codice ha così ricostruito gli elementi che consentono di procedere all'affidamento diretto di un servizio pubblico: a) l'ente o gli enti soci esercitano sulla società un controllo "analogo" a quello esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione o dalle amministrazioni controllanti; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Inoltre, il disposto di cui all'art. 5 predetto ha anche fissato le caratteristiche del controllo "analogo", precisando, con particolare riferimento alle società partecipate da una pluralità di enti pubblici, che esso ricorre quando: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni socie, con la precisazione per cui singoli soggetti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni; b) tali amministrazioni sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.
Sempre il Codice dei contratti pubblici vigente, rinnovando per l'ennesima volta la particolare attenzione per gli affidamenti "in house", sempre in chiave limitativa, ha introdotto un regime "speciale" rispetto a tale forma di gestione, prevedendo, all'art. 192, la necessità di sottoporre la decisione di procedere ad un affidamento diretto ad un onere motivazionale rafforzato. In particolare, si è previsto, ai fini della legittimità di una tale scelta, l'obbligo di fornire la dimostrazione della congruità economica dell'offerta dei soggetti "in house", avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto, in particolare, delle ragioni che giustifichino il mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche22.
In relazione all'approdo legislativo appena descritto, si è evidenziato che, ancora una volta, "la previsione dell'ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti "in house" muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese"23.
La predetta norma si affianca a quella, tuttora vigente, di cui art. 34, comma 20, d.l. n. 179/2012, conv. nella l. n. 221/2012, la quale prevede che "al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste".
La norma di cui all'art. 192 del Codice dei contratti pubblici è stata sospettata di incompatibilità con l'ordinamento dell'Unione europea nonché, di riflesso, con la nostra Costituzione, nella misura in cui si sottoponga l'affidamento "in house" a condizioni più stringenti rispetto a quelle dettate in sede europea, così da giungere a ritenere tale forma organizzativa residuale o eccezionale rispetto alla effettuazione di una procedura ad evidenza pubblica.
Tali dubbi sono stati fugati, essendosi ritenuto che sia possibile per gli Stati membri prevedere una disciplina più rigorosa in tema di tutela e promozione della concorrenza rispetto a quella europea (risultando, invece, precluso fare viceversa, ovvero diminuire le garanzie in ordine al rispetto di tale fondamentale principio di matrice europea). Si sono espresse in tal senso sia la nostra Corte costituzionale24, sia la Corte di giustizia dell'Unione europea25.
A tal proposito, si è osservato che, ove dall'onere di motivazione rafforzata si faccia derivare la possibilità di ricorrere all'affidamento "in house" solo in caso di dimostrazione circa l'impossibilità di indire una procedura ad evidenza pubblica, ciò significherebbe stabilire, ancora una volta, una gerarchia tra le varie forme di affidamento, con conseguente sacrificio della pur riconosciuta, a livello euro-unitario, libertà organizzativa delle autorità pubbliche26.
Fatto sta che ne è derivata, a livello giurisprudenziale nazionale, una nuova ed ulteriore tendenza restrittiva, in applicazione del predetto art. 192, della legittimità dell'affidamento diretto in relazione all'onere motivazionale prescritto. Sul punto, si è statuito, con formulazioni invero estremamente rigorose ed intransigenti, che “la scelta di sottrarre l'affidamento di un servizio al fisiologico confronto di mercato, optando per la soluzione auto-produttiva, deve trovare fondamento in dati oggettivi ed attentamente valutati, che giustifichino il sacrificio che quella scelta arreca alla libertà di concorrenza. Pertanto la motivazione non può fare leva su dati evanescenti, di carattere eventuale o meramente organizzativo, insuscettibili di manifestare un corrispondente significativo beneficio per la collettività, derivante dal ricorso al modello dell'in house providing, e di integrare una parallela valida ragione derogatrice del ricorso primario al mercato: occorre quindi evidenziare il perseguimento di obiettivi di carattere latamente sociale, percepibili al di fuori della dimensione meramente organizzativa dell'amministrazione e costituenti, nell'ottica legislativa, il "giusto prezzo" per compensare il vulnus che esso potenzialmente arreca al valore primario della concorrenza”27.
4. Lo schema di Linee guida ANAC e il "richiamo" del Consiglio di Stato rispetto alle esigenze di semplificazione ed accelerazione delle procedure ad evidenza pubblica.
A completare il complesso quadro in tema occorre anche considerare lo schema di nuove Linee guida di ANAC in tema di affidamento "in house", approvate con delibera dell'Autorità dell'8 settembre 2021, le quali, coerentemente a quanto poc'anzi illustrato, ribadiscono la necessità che, prima di ricorrere ad assegnazioni di appalti e concessioni secondo lo schema "in house", le stazioni appaltanti siano tenute a fornire e rendere pubbliche, con precise motivazioni relative alla convenienza e congruità economica nonchè ai benefici per la collettività, le ragioni che hanno portato a scegliere tale modalità invece della gara, dovendosi ritenere illegittimo un affidamento "in house" non adeguatamente motivato. Si ricorda, peraltro, che ai sensi del comma 1 dell'art. 192 del Codice dei contratti pubblici, la legittimità dell'affidamento "in house" è subordinata almeno alla presentazione della domanda, da parte degli enti affidanti, di iscrizione all'apposito elenco tenuto da ANAC, la quale iscrizione avviene previo riscontro circa la sussistenza dei requisiti previsti dall'Autorità stessa (con le vigenti Linee guida n. 7 con delibera n. 235 del 15 febbraio 2017).
In particolare, la valutazione di congruità economica potrà essere effettuata, secondo l'Autorità, assumendo informazioni sul concreto ed attuale contesto di riferimento, ovvero sulle condizioni offerte nel medesimo ambito territoriale per le stesse o simili attività rispetto a quelle oggetto di affidamento, nonchè sui prezzi medi praticati per prestazioni simili e comparabili. A tale scopo, nella prospettiva in commento, si possono prendere in considerazione i benchmark di settore, comparando l'offerta della società "in house" con le condizioni proponibili dall'impresa media del settore gestita in maniera efficiente. In tale ottica, si possono assumere a riferimento i costi standard definiti dalle Autorità di settore, i prezzi di riferimento elaborati da ANAC, quelli delle convenzioni CONSIP, i prezzi medi praticati da operatori privati e/o soggetti "in house" per prestazioni comparabili.
Per ciò che attiene, invece, alla valutazione dei benefici per la collettività, l'Autorità suggerisce di considerare, specialmente, gli obiettivi di universalità e socialità, sotto forma di eguaglianza di comportamento nei confronti degli utenti ubicati in un determinato territorio indipendentemente dalle circostanze particolari e dal grado di reddittività economica di ciascuna singola operazione, di imparzialità in termini di accessibilità fisica ed economica, di continuità nell'erogazione delle prestazioni e di garanzia di stabilità occupazionale.
In tema, è intervenuto il parere, sia pure facoltativo, del Consiglio di Stato28, il quale ha ritenuto di sospendere il proprio giudizio sullo schema di Linee guida in questione; ciò in considerazione del carattere estremamente dinamico del quadro normativo di riferimento, in relazione all'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e delle annunciate riforme sulla disciplina dei contratti pubblici.
Nella predetta sede, è stato considerato, ai fini qui in esame, il disposto di cui al d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. nella l. 29 luglio 2021, n. 108, recante "Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure".
In particolare, si è rilevato come l'art. 10 della predetta normativa abbia introdotto "Misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici" prevedendo esplicitamente la possibilità da parte delle pubbliche amministrazioni, proprio al fine di "sostenere la definizione e l’avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l’attuazione degli investimenti pubblici", di "avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in house" (comma 1), nonchè specificando che ai fini della motivazione di cui all'art. 192 del Codice dei contratti pubblici, "la valutazione della congruità economica dell’offerta ha riguardo all’oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali".
Ciò considerato, si è sottolineata, nel parere ora in considerazione, la spinta normativa in atto verso l'attuazione urgente del PNRR, oltre che del Piano nazionale per gli investimenti complementari e del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, nonchè a favore, più in generale, della ripresa economica a seguito della fase più acuta della pandemia, purtroppo tuttora in atto.
In tale contesto, la materia degli appalti è stata considerata rivestire un rilievo centrale al fine di una gestione efficiente ed efficace del PNRR, la quale impone un recupero dello storico deficit di capacità realizzativa delle opere pubbliche e di spesa delle risorse pubbliche, anche di origine comunitaria, che caratterizza da tempo il nostro Paese.
Non a caso, tutte le recenti innovazioni legislative sul tema in questione si sono rivolte nel senso della semplificazione ed accelerazione delle procedure: basti pensare al disposto di cui al d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella l. 11 settembre 2020, n. 120, come successivamente modificato con il già citato d.l. n. 77 del 2021, il quale, tra le altre cose, ha introdotto deroghe al Codice dei contratti pubblici ampliando ulteriormente la disciplina semplificata dei contratti "sotto-soglia" nonchè introducendo disposizioni volte alla accelerazione delle procedure ad evidenza pubblica, ciò proprio "al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonchè al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell'emergenza sanitaria globale del COVID-19".
Sul punto, si è preso un considerazione, de iure condendo, anche il disegno di legge AS 2330 recante "Delega al Governo in materia di contratti pubblici", il quale espone, tra gli altri, l'obiettivo di assicurare il perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli "minimi" richieste dalle direttive stesse.
Nel descritto contesto, pertanto, il Consiglio di Stato ha finito per invitare l'Autorità a riconsiderare la volontà, desumibile dal testo dello schema di Linee guida in questione, di ampliare ulteriormente l'obbligo istruttorio e motivazionale richiesto ai fini del legittimo ricorso all'affidamento "in house", nonchè del corrispondente intento di ridimensionare ulteriormente tale opzione organizzativa delle pubbliche amministrazioni la quale, in un momento emergenziale, può rivestire una certa utilità e funzionalità rispetto a priorità emergenti dal contesto economico e sociale.
5. La sentenza oggetto di commento: il carattere discrezionale della scelta di procedere ad un affidamento diretto e i conseguenti limiti del sindacato giurisdizionale.
La sentenza oggetto del presente commento29 interviene, nuovamente, sul tema della legittimità di un affidamento diretto "in house" nel contesto segnato, da un lato, dal regime speciale introdotto dal Codice dei contratti pubblici, ritenuto, come detto, legittimo sia da un punto di vista di compatibilità comunitaria che sotto il profilo della costituzionalità, nonchè, dall'altro lato, dall'evoluzione dell'ordinamento dettata dallo stato emergenziale conseguente alla pandemia in atto.
La pronuncia in esame pare in effetti calata nella realtà del momento in cui è stata emessa, rinvenendosi in essa la presa d'atto sia del confermato onere motivazionale rafforzato richiesto per il (solo) affidamento "in house", sia, d'altro canto, dell'inopportunità di acuire ulteriormente la "stretta" riguardante tale modalità organizzativa, la quale, come illustrato, potrebbe risultare funzionale alle esigenze di semplificazione ed accelerazione delle procedure ad evidenza pubblica in chiave di ripresa economica e di efficiente ed efficace processo di spesa e di investimento riferito alle risorse messe a disposizione per il rilancio post crisi pandemica.
Infatti, dopo avere ribadito che "la previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti "in house" muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regime di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese", la decisione ora in considerazione dà comunque atto che la scelta di procedere ad un affidamento diretto consegue ad una valutazione discrezionale della stazione appaltante, da considerare, ed eventualmente censurare, alla luce dei consueti parametri di complessiva logicità e ragionevolezza. In altri termini, nella prospettiva in considerazione, l’obbligo motivazionale imposto all’ente refluisce, sul piano istruttorio, nella attribuzione allo stesso della scelta, tipicamente discrezionale, in ordine alle modalità più appropriate di affidamento del servizio. Ciò deve avvenire sulla base dei dati necessari al fine di compiere, in maniera oggettiva quanto completa, la valutazione di preferenza per l'affidamento diretto, sulla base della considerazione circa la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto "in house", nonchè in merito alla capacità del mercato di offrirne una equivalente, se non maggiormente apprezzabile, sotto i profili della universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche.
In tale contesto, si ammette che la verifica del giudice amministrativo deve arrestarsi allo scrutinio esogeno delle modalità con cui è stata esercitata la funzione amministrativa attribuita alla stazione appaltante, avuto riguardo alla idoneità della motivazione ad illustrare la legittimità della scelta rispetto al quadro fattuale rilevato in maniera attendibile ed esaustiva30.
In forza di tali premesse, i giudici amministrativi sono giunti a riformare la sentenza di primo grado, la quale aveva ritenuto insufficiente ed inadeguato l'apparato motivazionale fornito in relazione al disposto affidamento "in house", riconsiderando gli elementi del caso concreto.
In particolare, gli elementi motivazionali valutati, positivamente, dai giudici d'appello sono stati, per quanto riguarda il ricorso al mercato, la constatazione della circostanza per cui nei precedenti venti anni solo quattro imprese hanno partecipato alle gare indette dalla stazione appaltante per il servizio in questione, ovvero quello di igiene urbana. Per ciò che attiene, invece, alla congruità economica è stata apprezzata l'attività istruttoria che ha comparato i costi sostenuti fino ad allora dall'amministrazione, nei confronti del gestore uscente, con quelli proposti dal soggetto "in house", messi a confronto anche con i prezzi medi praticati nelle zone limitrofe, come risultanti dall'osservatorio provinciale rifiuti. Inoltre, si è dato conto che nella relazione accompagnatoria si sono messi in evidenza i servizi e le attività aggiuntive dell'operatore "in house", i quali sono stati valutati (secondo un apprezzamento ritenuto esente da vizi) dal Comune in termini qualitativamente migliorativi rispetto alle pregresse gestioni, vista anche la possibilità di adattare in ogni momento le condizioni di erogazione del servizio alle mutate esigenze dell'amministrazione pubblica, con ciò comportando un beneficio per la collettività derivante dalla capacità di assicurare l’adattamento del servizio alle continue e mutevoli esigenze sociali della collettività, senza sopportazione di oneri aggiuntivi che invece il mercato avrebbe imposto a cagione del vincolo di cristallizzazione dell’offerta.
Pertanto, sulla base delle descritte circostanze del caso di specie, si è giunti a ritenere che "la scelta effettuata risulta coerente con i presupposti di fatto acquisiti al procedimento, ovvero non irragionevole né affetta da travisamento dei fatti, nonché adeguatamente supportata in punto di valutazione della congruità economica", "avuto significativamente riguardo alla congruità dell’offerta ricevuta, alla sostenibilità finanziaria, alla convenienza economica, alla qualità ed efficienza del servizio nonché ai benefici per la collettività, e tenuto conto, altresì, della resa esplicitazione delle ragioni sottese al mancato ricorso al mercato".
In definitiva, la sentenza oggetto del presente commento, nel contesto ondivago fin qui descritto in tema di modalità di affidamento dei servizi pubblici locali, pare poter annunciare una, ennesima, inversione di tendenza, perlomeno in una certa misura.
Infatti, riportare la scelta di procedere ad un affidamento "in house" nel contesto della discrezionalità rimessa alla pubblica amministrazione nell'individuare la modalità organizzativa più idonea rispetto al perseguimento della missione di interesse pubblico alla medesima affidata, con i conseguenti limiti del sindacato giurisdizionale ai (soli) casi di manifesta illogicità o arbitrarietà, significa prendere le distanze da quella giurisprudenza di poco precedente che, come illustrato, tendeva a richiedere la dimostrazione dell'impossibilità vera e propria di ricorrere al mercato. Tale pretesa, infatti, rischia di tradursi nella richiesta di una prova quasi impossibile, risolvendosi, ancora una volta, in una sostanziale vanificazione della possibilità di auto-produzione del servizio pubblico da parte della pubblica amministrazione attraverso una struttura societaria formalmente distinta, per esigenze di maggiore efficienza ed efficacia, dalla medesima amministrazione ma sostanzialmente rientrante nella propria capacità organizzativa.
In altri termini, la pronuncia in questione risulta prendere atto del particolare contesto attuale, ancora segnato dalla crisi sanitaria, economica e sociale causata dalla pandemia, e, in particolare, dalla stringente necessità che ne deriva di considerare come prioritarie, non solo le esigenze legate alla tutela e promozione della concorrenza, ma anche quelle connesse all'urgente bisogno di rilancio economico attraverso uno snellimento e una accelerazione delle procedure ad evidenza pubblica, come testimoniato dalla recente produzione legislativa e probabilmente anche da quella di prossima introduzione.
Inoltre, nella prospettiva così delineata, lo strumento dell'affidamento "in house" può costituire un prezioso strumento a disposizione delle pubbliche amministrazioni nel momento in cui si ravvisi la necessità di adeguare velocemente le modalità e le condizioni di erogazione di un servizio pubblico alle esigenze di interesse pubblico che possono manifestarsi e modificarsi in maniera anche estremamente repentina sotto la spinta degli stravolgimenti causati, non solo a livello strettamente sanitario, ma anche economico, sociale, occupazionale, dalla pandemia.
Del resto, vale anche la pena di non dimenticare come la volontà popolare si sia espressa, in occasione del referendum del 2011, nel senso di un assetto organizzativo in materia di servizi pubblici locali che contempli la possibilità di optare, sia pure motivatamente, per un affidamento diretto nei confronti di un soggetto su cui la stazione appaltante sia in grado di esercitare un controllo "analogo" a quello esercitato sui propri servizi e dunque meglio in grado di valorizzare le esigenze sociali connesse all'erogazione del servizio stesso, secondo una sensibilità che non si può pretendere dal soggetto privato, il quale è naturalmente animato da uno scopo di lucro e, dunque, di massimizzazione del profitto, in attuazione di un contratto di servizio stipulato con l'amministrazione affidante che, come tale, sostanzialmente cristallizza le condizioni di erogazione del servizio per la durata dall'affidamento stesso.
Così, anche sulla scorta di quanto appena evidenziato, sembra che la sentenza oggetto del presente commento abbia dischiuso una possibile prospettiva di "ritorno" del quadro di regole in tema di affidamento "in house" che si attesti sui livelli "minimi" di promozione e tutela della concorrenza propugnati in ambito euro-unitario, senza esasperazioni o comunque accentuazioni che rischiano di privare a priori la pubblica amministrazione di uno strumento organizzativo potenzialmente adatto, in termini di flessibilità e capacità di adattamento, a fronteggiare il, purtroppo perdurante, stato emergenziale, il quale richiede flessibilità e rapidità di esecuzione delle scelte amministrative.
1Sul tema si v. A. Alaimo, A. Tempesta, Affidamenti diretti e "in house": l'esperienza del Regno Unito, in Amministrare, 2006, 425 ss.; J. Fenwick, K. Harrop, Servizi pubblici locali nel Regno Unito. Privatizzazione e concorrenza, in Dir. ec., 2000, 53 ss.
2Corte di giustizia UE, 10 novembre 1998, in C-306/96, Arnhem, in Racc., 1998, I, 6821.
3Corte di giustizia UE, sez. V, 9 settembre 1999, in C-108/98, RI.SAN, in Cons. St., 1999, III, 1905.
4Corte di giustizia UE, 18 novembre 1999, in C-107/98, Teckal, in Foro amm., 2001, 795.
5Sul tema sia consentito il rinvio a S. Monzani, Controllo "analogo" e governance societaria nell'affidamento diretto dei servizi pubblici locali, Milano, 2009, ivi ulteriori riferimenti.
6Corte di giustizia UE, sez. IV, 14 novembre 2002, in C-310/01, Diddi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2004, 275.
7Corte di giustizia UE, sez. VI, 8 maggio 2003, in C-349/97, Comm. CE c.Regno di Spagna, in Riv. trim. app., 2004, 1069.
8Corte di giustizia UE, sez. I, 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle, in Foro amm. CdS, 2004, 3023. Sul punto si v. anche Corte di giustizia UE, Grande sez., 21 luglio 2005, in C-231/03, Co.Na.Me, in Foro amm. CdS, 2005, 2001, in cui non si è ravvisata un'adeguata forma di controllo in considerazione della partecipazione particolarmente esigua di un Comune affidante alla società affidataria nonchè della possibile apertura del capitale ai privati.
9In tema, secondo G. Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in www.giustizia-amministrativa.it, la società potrà dirsi rispondente al modello di delegazione interorganica quando il controllo dell'ente locale sia attuato con mezzi, quali clausole statutarie, nomine ex art. 1449 c.c., convenzioni di diritto pubblico per il controllo congiunto, idonei ad assicurare che essa costituisca effettivamente un soggetto strumentale senza una propria autonomia decisionale, se non per i profili esecutivi. Sempre sulla tendenza restrittiva rispetto all'in house, si v. anche A. Clarizia, La Corte suona il de profundis per l'in house, in Giust. amm., 2005, 1061 ss.; L.R. Perfetti, Miti e realtà nella disciplina dei servizi pubblici locali, in Dir. amm., 2006, 387 ss.; R. Ursi, La Corte di giustizia stabilisce i criteri del controllo "in house", in Foro it., 2006, pt. 1, 79 ss.; G.F. Ferrari, Ancora sui requisiti Teckal: la coperta è sempre più corta, in Dir. pubbl. comp. eu., 2006, 1367 ss. Più di recente, si v. sempre di G. Caia, Le società "in house": persone giuridiche private sottoposte a peculiare vigilanza e tutela amministrativa, in Giur. comm., 2020, 457 ss.
10Corte di giustizia UE, sez. I, 11 maggio 2006, in C-340/04, Carbotermo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2007, 2, 526.
11Corte di giustizia UE, sez. I, 17 luglio 2008, in C-371/05, Commissione c. Repubblica Italiana, in Giur. comm., 2009, II, 5.
12Corte di giustizia UE, sez. III, 13 novembre 2008, in C-324-07, Coditel Brabant, in Foro amm. CdS, 2008, 2899. In tema si v. anche Corte di giustizia UE, sez. III, 29 novembre 2012, in C-182 e 183/11, Econord, in Foro amm. CdS, 2012, 2748, per cui "Qualora più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un'entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un'autorità pubblica aderisce ad un'entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell'Unione, debbono esercitare congiuntamente sull'entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell'entità suddetta".
13Corte di giustizia UE, sez. III, 10 dicembre 2009, in C-573/07, Sea, in Guida al diritto, 2009, 46, 80.
14Sul punto cfr. R. Morzenti Pellegrini, Società affidatarie dirette di servizi pubblici locali e controllo "analogo" esercirato in maniera congiunta e differenziata attraverso strutture decisionali extra-codicistiche, in Foro amm. CdS, 2009, 2233 ss.
15Sul tema si v., tra le altre, Corte Cost., 17 novembre 2010, n. 325, in Giur. cost., 2010, 4501; Cons. St., sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5409, in Foro amm. CdS, 2012, 2638; Cons. St., sez. V, 10 settembre 2010, n. 6529, in www.giustizia-amministrativa.it; Corte conti, sez. Controllo Lombardia, parere n. 163 del 31 marzo 2011, in www.corteconti.it.
16Così, tra le altre, Corte di giustizia UE, sez. III, 13 novembre 2008, in C-324/07, Coditel Brabant, punto 48, cit.; Corte di giustizia UE, sez. V, 13 ottobre 2005, in C-458/03, Parking Brixen, punto 61, cit.; Corte di giustizia UE, sez. I, 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle, punto 48, cit.
17Tra le altre, nel senso indicato, Cons. St., sez V, 30 novembre 2007, n. 6137, in Foro amm. CdS, 1153; T.A.R. Sardegna, sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in Foro amm. Tar, 2008, 264; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 11 agosto 2009, n. 2011, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, sul punto, si v. C.E. Gallo, Affidamenti diretti e forme di collaborazione tra enti locali, in Urb. e app., 2009, 1181, secondo il quiale "non si può ritenere che la disciplina sulla concorrenza faccia premio sulla potesta auto-organizzatrice delle singole pubbliche amministrazioni". Sul punto cfr. anche F. Goisis, Nuovi sviluppi comunitari e nazionali in tema di in house providing e i suoi confini, ivi, 2008, 579 ss.
18Così Corte cost., 17 novembre 2010, n. 325, in Giur. cost., 2010, 4501.
19Corte cost., 26 gennaio 2011, n. 24, in Giur. cost., 2011, 247.
19Così, Corte cost., 20 luglio 2012, n. 144, in Giur. cost., 2012, 2877.
20Nel senso indicato si v. Corte cost., 26 gennaio 2011, n. 24, cit., nonchè Corte cost., 28 marzo 2013, n. 50, in Giur. cost., 2013, 811; Corte cost., 16 luglio 2014, n. 199, in Giur. cost., 2014, 3194.
21Così, ad esempio, Cons. St., sez. III, 24 ottobre 2017, n. 4902, in Foro amm., 2017, 1991. Nello stesso senso, tra le altre, si v. anche Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257, ivi, 2015, 76; Cons. St., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762, in Foro amm. CdS, 2013, 516.
22Sul punto, cfr. Cons. St., sez. IV, 15 luglio 2021, n. 5351, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si è sottolineata, tra le altre cose, con specifico riferimento alla prospettiva economica, la necessità che l'amministrazione valuti la convenienza dell'affidamento del servizio secondo lo schema dell'in house rispetto all'alternativa costituita dal ricorso al mercato, attraverso una comparazione tra dati da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio, al fine di dimostrare che quello fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza. Pià in generale, sul tema, cfr. G. Ruberto, La disciplina degli affidamenti in house nel d.lgs. 50/2016, tra potestà legislativa statale e limiti imposti dall'ordinamento dell'Unione europea, in www.federalismi.it.
23Cons. St., sez. III, 10 maggio 2021, n. 3682, in Foro amm., 2021, 783; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 14 giugno 2021, n. 1021, ivi, 1042. In senso analogo si è espresso anche T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 8 aprile 2021, n. 329, ivi, 626, in cui si è statuito che l'art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara d'appalto, consentendo tali affidamenti solo in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché imponendo comunque all'Amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento. Ancora sul punto, T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 22 marzo 2021, n. 742, in www.giustizia-amministrativa.it, ha evidenziato come nell'applicare la norma in questione "l'Amministrazione deve, in particolare, dimostrare la reale convenienza di tale specie di affidamento rispetto alle condizioni economiche offerte dal mercato, con un onere motivazionale rafforzato, che consente un penetrante controllo della scelta, sul piano dell'efficienza amministrativa, e del razionale impiego delle risorse pubbliche, al fine di impedire una riduzione della concorrenza, in danno delle imprese e dei cittadini". Nel medesimo senso anche T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 14 gennaio 2021, n. 45, in Foro amm., 2021, 179.
24Corte cost., 27 maggio 2020, n. 100, in Giur. cost., 2020, 1209, la quale ha evidenziato, tra le altre cose, che il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee (cd. gold plating) va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli "oneri non necessari", e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie "che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive". In tema si v. V. Ferrari, Contratti pubblici: affidamenti in house vs concorrenza, legislazione regionale vs legislazione statale, favor per le imprese in crisi vs interessi dell'amministrazione, in Foro it., 2020, 3002 ss.
25Corte di giustizia UE, sez. IX, 6 febbraio 2020, nelle cause riunite C-89/19, C-90/19 e C-91/19, in Foro amm., 2020, 201, la quale ha ribadito che dal principio di libera autorganizzazione delle autorità pubbliche discende la "libertà degli Stati membri di scegliere il modo di prestazione di servizi mediante il quale le amministrazioni aggiudicatrici provvederanno alle proprie esigenze". Conseguentemente, quel principio "autorizza a subordinare la conclusione di un'operazione interna all'impossibilità di indire una gara d'appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'operazione interna".
26Sul punto cfr. E. Zampetti, I servizi pubbici nel contesto pandemico. Riflessioni su libertà organizzativa affidamento in house e principio di sussidiarietà, in questa Rivista, 2021.
27 Cons. St., sez. III, 12 marzo 2021, n. 2102, in www.giustizia-amministrativa.it; per un commento a tale pronuncia si v. A. Squazzoni, Affidamento in house e motivazione del mancato ricorso al mercato, in questa Rivista, 2021. In senso analogo anche Cons. St., sez. IV, 15 luglio 2021, n. 5351, in www.giustizia-amministrativa.it. Già in precedenza, Cons. St., sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564, ivi, aveva rilevato come l'art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici imponga che l'affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi: a) la prima condizione consiste nell'obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l'esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell'affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato fallimento del mercato rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a "gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche", cui la società in house invece supplirebbe; b) la seconda condizione consiste nell'obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all'opzione per l'affidamento in house(dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento - con particolare riguardo all'affidamento tramite gare di appalto). Anche qui la previsione dell'ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.
28Cons. St., sez. Cons., parere 7 ottobre 2021, n. 1073, in www.giustizia-amministrativa.it.
29Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7023, in www.giustizia-amministrativa.it.
30Sempre nel senso che la pubblica amministrazione detiene la possibilità, sulla base dei principi che regolano gli affidamenti pubblici anche a livello europeo, di scegliere con ampia discrezionalità se assumere il servizio in prima persona mediante le proprie strutture oppure affidarlo mediante "in house providing", ovvero mediante procedura di appalto, si v., di recente, T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 8 febbraio 2021, n. 1594, inForo amm., 2021, 308.