La dichiarazione falsa, omessa o reticente secondo l’Adunanza Plenaria (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16) di Clara Napolitano
Sommario: 1. Premesse. – 2. Il fatto e la decisione di prime cure. – 3. L’ordinanza di rimessione: la necessaria perimetrazione degli obblighi dichiarativi. – 4. Il principio dettato dalla Plenaria. – 5. Osservazioni conclusive: il criterio di specialità e le zone d’ombra.
1. Premesse.
L’Adunanza plenaria si esprime in relazione a una controversia in materia di appalti, affrontando il tema della perimetrazione dei cc.dd. obblighi dichiarativi che gravano in capo ai concorrenti alle procedure a evidenza pubblica.
La necessità di delimitare la portata degli obblighi dichiarativi deriva, anzitutto, dalla pervasività delle conseguenze derivanti dalla loro violazione: le quali giungono alla esclusione obbligatoria dalla procedura del concorrente inadempiente. In secondo luogo, la perimetrazione è vieppiù necessaria perché il costrutto normativo di riferimento – l’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 – non individua con certezza[1] la portata di questi obblighi in relazione al loro contenuto.
Per cui, due sono i nodi principali esaminati e sciolti – in parte, si vedrà poi perché – dalla Plenaria.
Anzitutto la portata degli obblighi dichiarativi e il chiarimento circa nozioni affini quali l’informazione falsa, omessa, reticente, fuorviante.
In secondo luogo, una ricostruzione compositiva – tramite interpretazione del combinato disposto delle norme interessate – delle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla violazione di questi obblighi.
2. Il fatto e la decisione di prime cure.
La vicenda che ha interessato l’Adunanza plenaria vede l’indizione di una procedura di gara per l’affidamento e l’esecuzione di lavori strutturali su un molo portuale pugliese.
Tra i requisiti di partecipazione, il bando prevedeva che le imprese concorrenti dovessero disporre di almeno una certa cifra d’affari riferita all’ultimo triennio di attività. A tal fine, l’impresa aggiudicataria aveva fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento ex art. 89, d.lgs. n. 50/2016, calcolando nella propria cifra d’affari quella messa a disposizione da un Consorzio suo ausiliario.
Nel corso delle rituali verifiche successive all’aggiudicazione, la Stazione appaltante rilevava l’esistenza in capo al Consorzio ausiliario dell’aggiudicataria di una causa di esclusione ex art. 80, d.lgs. n. 50/2016: procedeva, pertanto, a imporne la sostituzione[2].
L’aggiudicataria prestava ossequio all’ordine dell’Amministrazione sostituendo il primo Consorzio con un altro, avvalendosi pertanto della cifra d’affari di quest’ultimo.
Tuttavia, anche questo secondo avvalimento presentava discrasie: tali, peraltro, da indurre la Stazione appaltante all’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione, esclusione dell’impresa e nuova aggiudicazione alla seconda classificata. Provvedimento poi gravato in sede giurisdizionale, nella controversia che ha appunto generato la pronuncia che qui si annota.
In particolare, l’Amministrazione aveva provveduto alla esclusione della precedente aggiudicataria ai sensi dell’art. 89, comma 1[3], e dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50/2016[4]: ovvero estromettendo quell’impresa dalla procedura per aver presentato una dichiarazione non veritiera in relazione alla cifra d’affari dell’ultimo triennio.
È quanto mai opportuno – stante la sua centralità nelle valutazioni di diritto della Plenaria – diffondersi brevemente sulle ragioni in fatto dell’esclusione. Una minima digressione, dunque.
Il Consorzio, chiamato a sostituire quello precedente nell’avvalimento, aveva messo a disposizione la propria cifra d’affari dell’ultimo triennio. Di questo Consorzio faceva parte una società che, tuttavia, era stata destinataria di un provvedimento di sospensione – con correlativo divieto di beneficiare degli utili consortili – per intervenuta scadenza della SOA. Pertanto, secondo l’interpretazione delle norme statutarie del Consorzio, la società sospesa non avrebbe potuto contribuire alla cifra d’affari triennale con la propria. Il Consorzio, tuttavia, non aveva tenuto conto della sospensione e, pertanto, aveva dichiarato una cifra d’affari comprensiva di quella della società sospesa. Di quella cifra d’affari s’era avvalsa, appunto, l’impresa (prima) aggiudicataria della gara e (poi) esclusa dalla stessa ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50/2016, per aver fornito alla Stazione appaltante una «dichiarazione non veritiera».
In sede di primo giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo territoriale[5], il ricorso dell’impresa destinataria del provvedimento di esclusione è rigettato sulla scorta di una motivazione che ritiene la sua dichiarazione «obiettivamente non veritiera»: la cifra d’affari è, per il Tar, «un dato obiettivo e privo di qualsiasi profilo di equivocità/opinabilità». Ne consegue che trova piana applicazione la disposizione del Codice dei contratti pubblici sub lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5: la quale dispone l’esclusione sic et simpliciter dalla gara dell’impresa che fornisca dichiarazioni non veritiere (anche provenienti dai Consorzi di cui si è avvalsa). Il Giudice territoriale si premura di segnalare che la lett. f-bis) punisce il falso perché disdicevole di per sé: l’impresa che dichiari il non vero – quale che sia l’oggetto della dichiarazione – va esclusa in linea generale, senza valutazioni o apprezzamenti da parte della p.A., poiché quello scarto rispetto alla realtà intacca la sua affidabilità[6] ed è in grado di alterare la par condicio tra i concorrenti. Poco o punto importa, peraltro, che lo sia effettivamente: non trova applicazione il c.d. falso innocuo[7], non importa l’atteggiamento psicologico di chi rilascia la dichiarazione non veritiera né che questa non abbia un rilievo oggettivo nella partecipazione alla gara, com’era nel caso di specie[8], nel quale l’aggiudicataria – quand’anche si fosse avvalsa della cifra d’affari del Consorzio priva dell’apporto della società da questo sospesa – avrebbe comunque superato il minimo richiesto dal bando di gara e quindi avrebbe posseduto il requisito d’ammissione.
3. L’ordinanza di rimessione: la necessaria perimetrazione degli obblighi dichiarativi.
In sede di appello, la Sezione investita rimette la questione alla Plenaria con un’ordinanza[9] riccamente argomentata, stante l’incertezza normativa che – come detto – connota gli obblighi dichiarativi e l’incostante giurisprudenza che rincorre un legislatore che interviene (forse troppo) frequentemente sulle disposizioni in materia di contratti pubblici[10], alla costante ricerca di equilibri complessi tra la concorrenzialità, l’evidenza pubblica, la celerità, l’affidabilità dei partecipanti e la contemporanea esigenza di non aggravarne eccessivamente gli obblighi dichiarativi.
Il Collegio rimettente evidenzia subito che la questione ruota attorno alla portata, alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alle procedure evidenziali, «con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi delle lettere c) e f-bis) del comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016»[11].
Una considerazione di fondo, anzitutto, sulla natura degli obblighi dichiarativi: la loro matrice sarebbe di diritto comune, trovando essi fondamento negli artt. 1337 e 1338 c.c., i quali individuano i principi di correttezza e buona fede[12] nelle trattative contrattuali. La giurisprudenza, invero, più volte ha collocato le procedure di gara nel solco delle trattative[13], attribuendo a esse lo stesso ruolo che il diritto civile assegna alla fase precedente la stipula di un contratto, nella quale la chiarezza e la completezza informativa tra le parti sono oggetto di un vero e proprio obbligo giuridico. Il cui corollario – che nel diritto dei contratti pubblici assume i contorni del principio di correttezza ex art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 – ha come conseguenza l’affermazione degli obblighi dichiarativi: «si tratta di un’applicazione dei principi di buona fede e correttezza che da tempo sono entrati nel tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico (cfr. Cass., 18/09/2009, n. 20106) e che fanno dell’obbligo di buona fede oggettiva un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462)»[14].
Questi obblighi sono, peraltro ormai pacificamente, reciproci. Ne consegue che, come la Stazione appaltante deve comportarsi secondo buona fede in tutte le fasi della procedura di gara, così devono fare anche i partecipanti alle gare pubbliche che devono fornire alla p.A. tutte le informazioni necessarie affinché questa possa scegliere nel modo più consapevole possibile l’impresa più affidabile.
Per il Collegio, secondo questa ricostruzione gli obblighi dichiarativi sono anzitutto strumentali, serventi rispetto alla possibilità per la p.A. appaltante di conoscere tutte le circostanze rilevanti per apprezzare i requisiti di moralità e meritevolezza soggettiva.
Tuttavia, il fatto che la violazione degli obblighi dichiarativi possa costituire un «grave illecito professionale» previsto come specifico, legittimo e autonomo motivo di esclusione testimonia – per il remittente – l’attitudine a concretare in sé – e non solo in relazione all’incidenza sulla capacità valutativa della Stazione appaltante – una forma di grave illecito professionale. L’illiceità non dovrebbe cioè valutarsi sul piano concreto bensì su quello astratto, formale, e operare de jure.
Ciò induce alla necessità imperativa di delimitare e tipizzare i motivi di esclusione, sì che siano tassative, determinate e ragionevolmente prevedibili le regole operative e i doveri informativi dei partecipanti nei confronti della p.A.: stante il fatto che, come detto in apertura, nel caso della omessa dichiarazione può crearsi il presupposto per un provvedimento sanzionatorio di esclusione.
Sicché – ammette l’ordinanza di rimessione – il quadro normativo incerto ha fatto sorgere due orientamenti parzialmente contrapposti.
Secondo una prima opinione[15], il tenore letterale dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), d.lgs. n. 50/2016, suggerisce una generalizzazione degli obblighi dichiarativi, poiché l’illecito professionale s’instaura in capo a chi abbia «omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura». Posto che nulla è detto circa quali siano effettivamente le «informazioni dovute», e cioè assistite da un obbligo giuridico di dichiarazione e da una sanzione in caso di loro omissione, questo orientamento giurisprudenziale fonda su un inciso normativo – «tra questi rientrano», precedentemente collocato all’art. 80, comma 5, lett. c), oggi espunto, ma la cui espunzione parrebbe non mutare il tenore della disposizione – per il quale l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionale ha carattere meramente esemplificativo: sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare alla Stazione appaltante ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, la cui omissione potrebbe dunque rilevare quale grave illecito professionale e dunque costituire autonoma causa di esclusione dalla procedura.
Il pericolo di un onere eccessivo per gli operatori economici, tenuti a «ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa»[16] o anche inconferenti rispetto alla prestazione oggetto della gara e alle qualità professionali richieste dal bando, è evidente. È stato pertanto osservato che è necessario introdurre un limite di operatività dell’obbligo dichiarativo: fissato, anzitutto, in termini di ampiezza temporale dell’indagine, limitata a tre anni[17] dalla data del fatto rilevante ai fini della contestazione del grave illecito professionale[18].
L’esigenza di limitazione operativa ha peraltro prodotto una giurisprudenza che si è sforzata di tipizzare le omissioni dichiarative, distinguendo anzitutto tra omissione delle informazioni dovute e falsità delle dichiarazioni: la prima delle quali genera la facoltà della stazione appaltante di valutare l’attendibilità dell’operatore economico[19]; la seconda, invece, comporta l’automatica esclusione della procedura di gara, deponendo inequivocabilmente per l’inaffidabilità di questo[20].
Peraltro, fa notare la Sezione rimettente, la distinzione tra le omissioni dichiarative può specializzarsi ulteriormente, posto che l’ordito normativo fa variamente riferimento alla falsità delle informazioni, delle dichiarazioni e della documentazione, ora dando rilievo alla non veridicità in sé, ora invece focalizzandosi sulla rilevanza o sui profili soggettivi della imputabilità; a questo si accompagna il riferimento alla attitudine fuorviante delle informazioni; nonché quello alla omissione sic et simpliciter.
Il dato normativo – l’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 – insomma distingue tra:
- dichiarazioni omesse (rilevanti in relazione alla loro incidenza sul processo decisionale);
- dichiarazioni fuorvianti, aventi attitudine decettiva[21];
- dichiarazioni false (nelle quali rileva solo la falsità).
Non solo: le prime due categorie sembrano rilevare solo nella procedura in corso; la terza – che ha conseguenze espulsive automatiche – è destinata anche a operare nelle procedure evidenziali successive nei limiti del biennio. Ciò comporterebbe che solo per le prime due la p.A. deve apprezzare la rilevanza nella procedura; mentre solo l’ultima – consistendo in una manipolazione – ha attitudine espulsiva immediata.
Ancora. Questa distinzione poggia su un altro assunto, concorrente a quello appena esposto. Mentre la dichiarazione falsa implica la manipolazione del dato reale, e dunque rileva di per sé, la dichiarazione omessa può concernere sia un dato reale, sia una valutazione di un fatto o una circostanza non riducibile all’alternativa vero/falso: dunque si palesa imprescindibile il momento valutativo da parte della Stazione appaltante.
Questo diventa, poi, il presupposto della decisione della Plenaria in commento: a differenza di quanto rilevato dal Tar in prime cure, la Sezione rimettente osserva che il dato sul quale è sorto il contrasto tra l’impresa e la Stazione appaltante – la cifra d’affari del Consorzio nell’ultimo triennio – potrebbe non essere un fatto riducibile all’alternativa vero/falso, bensì un dato opinabile e dunque da valutare, poiché concernente non il quantum della cifra d’affari, bensì se in essa andasse o meno conteggiato anche l’apporto della società che era stata sospesa dal Consorzio.
Se così fosse, ciò impedirebbe ab origine il sorgere del falso, dunque l’applicabilità dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis): il fatto sarebbe sussunto nella lettera c) [oggi c-bis)] del medesimo comma, con obbligo per la p.A. di valutazione e apprezzamento dell’affidabilità e dell’integrità del concorrente prima di procedere alla sua eventuale esclusione.
La Sezione, pertanto, rimette la questione all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., perché ne sciolga i nodi in punto di diritto, sì da dettare il principio applicabile anche pro futuro.
4. Il principio dettato dalla Plenaria.
Posta la ricostruzione in fatto e in diritto delle fasi precedenti, le valutazioni dell’Adunanza plenaria assumono proprio questo punto di partenza: la dichiarazione relativa alla cifra d’affari del Consorzio «non può essere considerata falsa». Il dato contestato, invero, non è numerico, bensì implica una valutazione riferita a elementi di carattere giuridico, irriducibile all’antitesi vero/falso[22].
Se già quest’analisi in fatto condurrebbe a escludere l’applicabilità alla fattispecie dell’automatismo espulsivo e, dunque, della lett. f-bis), e ancora a dichiarare l’illegittimità del provvedimento di esclusione, l’Adunanza plenaria rafforza questo assunto vieppiù analizzando il rapporto tra la citata lettera e la lett. c) [applicabile alla fattispecie ratione temporis, oggi lett. c-bis) del medesimo comma 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016][23].
La lett. c) prevede infatti tre fattispecie di gravi illeciti professionali:
- fornire informazioni false
-fuorvianti, suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione[24];
- omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.
La lett. f-bis) prevede la sola fattispecie della presentazione di «dichiarazioni non veritiere».
Ora, la Plenaria sottolinea chiaramente che le prime due fattispecie di cui alla lett. c) [oggi c-bis)] hanno un elemento specializzante rispetto all’ipotesi della falsità dichiarativa di cui alla lett. f-bis). L’elemento consiste nella idoneità di queste informazioni a «influenzare le decisioni» della Stazione appaltante. In altre parole, perché si realizzino le prime due fattispecie di cui alla lett. c), le informazioni non devono esser soltanto false o fuorvianti, ma devono anche avere una attitudine decettiva: devono essere cioè in grado di sviare l’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara.
L’informazione falsa è da questo punto di vista equiparata a quella fuorviante; posto che quest’ultima, rispetto alla falsità, offre forse un maggior grado di aderenza al vero, la loro distinzione sul piano strutturale è estremamente difficile e gravosa: ciò in quanto i provvedimenti della Stazione appaltante non si basano soltanto sull’accertamento dei presupposti di fatto ma anche su valutazioni di tipo giuridico e dunque opinabili. Non solo. La distinzione tra le due fattispecie è inutile, poiché entrambe hanno appunto l’attitudine a sviare la p.A. nelle sue valutazioni.
Quanto, poi, alla terza fattispecie di cui alla lett. c), quella relativa alle omesse informazioni, il Collegio anche qui si allinea all’ordinanza di rimessione, qualificando questa come fattispecie di chiusura, tipizzata in modo più ampio dal legislatore, comprendente – in applicazione del principio di trasparenza – una varietà di informazioni non predeterminabili ex ante ma comunque in concreto incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, e dunque – come tali – «dovute», ovvero assistite da una sanzione giuridica di doverosità.
Posto che l’individuazione di queste informazioni è esclusivamente esemplificativa[25], il limite di operatività dell’obbligo dichiarativo è costituito, allora, dai casi «evidentemente incidenti sulla moralità e affidabilità dell’operatore economico»: sono dovute informazioni non tipizzate ex ante ma comunque assistite da questo requisito dell’evidenza e della chiara incidenza, in modo che non vi siano esclusioni “a sorpresa” a carico dell’operatore economico.
Queste tre fattispecie – informazioni false, informazioni fuorvianti, informazioni omesse – sono peraltro accomunate tra loro da un dato: la lett. c) le fa rientrare espressamente tra i «gravi illeciti professionali» in grado di incidere sull’«integrità o affidabilità» dell’operatore economico[26]. Questo implica che comunque, in ciascuno di questi casi, la p.A. appaltante è tenuta a fare una previa valutazione discrezionale dell’effettiva incidenza della falsità o della omissione sull’affidabilità dell’operatore, essendole per contro impedito di procedere alla esclusione sic et simpliciter per il solo fatto della non aderenza al vero della dichiarazione fornitale.
La valutazione è peraltro ampiamente discrezionale e complessa[27]. La Stazione appaltante, in via meramente esemplificativa, dovrà stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità e affidabilità.
Come tale, per un verso alla sua mancanza non può ovviare il Giudice amministrativo: l’esclusione della giurisdizione di merito e il divieto di pronunciarsi con riferimento poteri amministrativi non ancora esercitati ex art. 34, comma 2, c.p.a.[28] impediscono che l’Autorità giurisdizionale si sostituisca alla Stazione appaltante nella valutazione dell’affidabilità dell’operatore economico.
Per altro verso, laddove invece quella valutazione sia stata esercitata, il sindacato giurisdizionale dovrà limitarsi a essere – ovviamente – esterno, dunque un classico sindacato di legittimità sull’attività discrezionale che vaglia la correttezza dell’esercizio del potere informato ai principi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’Amministrazione[29].
Esiste tuttavia – sottolinea la sentenza qui annotata – una parziale sovrapposizione tra la lett. c) [oggi c-bis)] e la lett. f-bis) del comma 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016.
Perché, è vero, le tre fattispecie di cui alla lett. c) conducono all’esclusione dell’operatore economico soltanto ove l’Amministrazione effettui una valutazione circa la loro incidenza sull’affidabilità e sull’integrità di questo, e la concluda in senso affermativo. Viceversa, la fattispecie di cui all’art. f-bis) conduce a una esclusione automatica, obbligatoria e vincolata dell’operatore dalla gara.
Tuttavia, le due lettere della norma sono accomunate dal riferimento al falso.
È appena il caso di notare una cosa: la lett. c) fa riferimento a false «informazioni», mentre la lett. f-bis) si riferisce alle «dichiarazioni». La distinzione tra informazioni e dichiarazioni, per il Collegio, non riveste alcuna rilevanza pratica, poiché i documenti e le dichiarazioni sono comunque veicolo d’informazioni, per cui i due termini devono ritenersi sostanzialmente coincidenti.
Sono dunque equiparabili, parzialmente sovrapponibili, avendo un’identità di oggetto, la lett. c) [oggi c-bis)] laddove si riferisce alle «informazioni false» e la lett. f-bis) nel suo riferirsi a «dichiarazioni non veritiere».
Le due norme sono sovrapponibili, hanno il medesimo oggetto, ma conducono a conseguenze differenti: la prima conduce a una valutazione, l’altra a una esclusione automatica.
Ecco, dunque, sorgere, l’antinomia potenziale: con una conseguente necessità di coordinamento delle disposizioni in ragione della certezza del diritto, affinché l’operatore economico e la stessa Stazione appaltante sappiano come agire (o le conseguenze che deriveranno) in caso di falsità delle informazioni fornite. Posto che, appunto, le conseguenze sono duplici e incompatibili tra loro, ma il presupposto di fattispecie par essere praticamente identico.
Il Collegio fa ricorso alle disposizioni sulla legge in generale e a uno dei criteri ermeneutici di risoluzione delle antinomie tra norme: quello di specialità, secondo il quale lex specialis derogat legi generali, la cui espressa previsione normativa è contenuta, in realtà, nel codice penale, all’art. 15, in relazione alle fattispecie regolate da più disposizioni di legge concorrenti[30].
E invero, secondo la Plenaria la lett. c) del comma 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 contiene un «elemento specializzante» rispetto alla lett. f-bis) del medesimo comma: consistente nell’attitudine delle informazioni false a sviare l’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione della procedura evidenziale.
Il rapporto tra queste due fattispecie, dunque, è inquadrabile nella relazione tra genus e species: mentre la lett. f-bis) costituisce la disposizione che genericamente punisce il falso, la lett. c) costituisce norma speciale che punisce il falso ove questo svii l’Amministrazione.
Sicché – in applicazione del criterio di specialità – alla fattispecie della non veridicità della dichiarazione o informazione perché falsa, manipolata, si applica anzitutto l’art. 80, comma 5, lett. c). Ciò significa che, in presenza di documentazione o informazioni false, la Stazione appaltante è tenuta a effettuare le proprie valutazioni discrezionali circa l’incidenza del falso sull’affidabilità dell’operatore economico; e solo in un secondo momento, motivatamente, a escluderlo sulla base dell’esito di quella valutazione.
Viceversa, il meccanismo di esclusione automatica ex lett. f-bis) è limitato «alle ipotesi in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’Amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativi al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c)».
Pertanto, mentre la lett. c) si applica sia ai casi di informazioni fuorvianti, aventi attitudine decettiva, come tali anche reticenti e omesse, sia ai casi di informazioni false ove (e nei limiti in cui) queste sviino l’Amministrazione dalle proprie valutazioni circa la gara, la lett. f-bis) trova applicazione soltanto nelle ipotesi di falso sic et simpliciter, escludendo dunque dal proprio ambito di operatività le mere omissioni. Il rapporto tra queste due lettere dell’art. 80, comma 5, essendovi una parziale sovrapposizione dell’ambito applicativo (solo) in relazione all’ipotesi di falso, è regolato – per il Collegio – dal criterio di specialità.
Sicché la lett. f-bis) si applica soltanto in quei casi in cui non trova applicazione la lett. c): si tratta di norma generale e di applicazione residuale.
La Plenaria fissa, dunque, i principi di diritto che potrebbero trovare – forse – più pacifica applicazione:
- la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;
- in conseguenza di ciò la Stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;
- alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;
- la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione, la quale – a differenza della lett. f-bis) – copre anche le omissioni. Ne deriva che le dichiarazioni omesse restano sempre e comunque estranee all’applicazione della sanzione dell’esclusione automatica dalla procedura evidenziale.
5. Osservazioni conclusive: il criterio di specialità e le zone d’ombra.
L’intervento della Plenaria sulla perimetrazione degli obblighi dichiarativi ex art. 80, d.lgs. n. 50/2016 era quanto mai necessario.
Come detto, la materia della contrattualistica pubblica ha peculiarità – la sua diretta derivazione dal diritto europeo e la sua stretta connessione con i circuiti economico-finanziari del Paese – che rendono forse ancor più emergente l’esigenza di chiarezza da parte del legislatore e del decisore pubblico.
È stato osservato[31] che però, paradossalmente, proprio in quest’ambito il legislatore ha optato per un linguaggio giuridico non di rado indeterminato circa i requisiti di ammissione e di valutazione dei concorrenti; linguaggio che, assieme all’emersione di figure contrattuali flessibili e atipiche, genera più di un problema di sicurezza e richiede l’apprestamento di continue operazioni ermeneutiche.
Il condivisibile – e condiviso – intento di creare una costruzione giuridica coerente a disposizioni che sono spesso frutto di interventi legislativi di frequenza torrentizia e non ben coordinati tra loro giunge a un risultato organico che lascia, tuttavia, un cono d’ombra.
Si è detto che per il Collegio il rapporto tra le lettere c) [oggi c-bis)] ed f-bis) dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016, è antinomico e risolvibile secondo il criterio di specialità.
È opportuno soffermarsi su questo passaggio, non senza indugiare – ma solo per un brevissimo istante – sul rapporto tra norme e disposizioni: sarà essenziale per ricostruirne l’approccio ermeneutico utilizzato dal Consiglio di Stato.
È nozione di teoria generale del diritto che ciascun enunciato inserito in un testo che è fonte del diritto è una «disposizione»[32]: il significato (o i significati) della disposizione è ricostruito (o sono ricostruiti) tramite interpretazione. Il risultato dell’interpretazione della disposizione è la «norma»: una proposizione prescrittiva con la quale si valuta una condotta. La norma prevede alcune circostanze che ne condizionano l’applicabilità: queste circostanze costituiscono la fattispecie astratta. Alla fattispecie astratta, la norma connette una conseguenza (secondo lo schema: se è A, allora deve essere B). Se in un caso concreto si verificano le circostanze di cui alla fattispecie astratta, allora vi si applica la norma (fattispecie concreta). Ogni norma, dunque, si applica a quelle fattispecie concrete che rientrano nel suo ambito di operatività (le fattispecie astratte).
La norma è espressiva di un principio ed è strumento di valutazione del comportamento: la sua attuazione è generalmente assicurata da regole, le quali guidano il comportamento e assicurano che ad esso possano applicarsi presupposti e sanzioni della norma.
Nella realtà multiforme alla quale l’ordinamento e il sistema giuridico costantemente si adattano vi sono fattispecie concrete alle quali sono applicabili più regole. Qui giace un’alternativa: se l’applicazione delle regole genera un risultato intrinsecamente coerente, vi è un concorso di regole; laddove, invece, l’applicazione generi risultati contrastanti e contraddittori, si avrà un conflitto di regole: una antinomia[33].
L’antinomia, che sorge dalla impossibilità di ricondurre a sistema norme che – laddove applicate alla medesima fattispecie concreta – genereranno conseguenze diverse e incompatibili tra loro, richiede che una prevalga sulle altre. Per questa ragione, il sistema ha elaborato i tre criteri di risoluzione delle antinomie: gerarchico, cronologico e di specialità.
È a quest’ultimo che, come visto, l’Adunanza plenaria fa ricorso – richiamando l’art. 15 delle preleggi[34] – per assicurare un’applicazione il meno incerta possibile delle regole di cui all’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016: le quali, come racchiuse nelle lett. c) ed f-bis), paiono costituire un’antinomia diversamente non risolvibile.
L’applicazione di questo criterio, a parer di chi scrive, lascia tuttavia aperti interrogativi ancora irrisolti[35].
Ciò in quanto – come già detto – il criterio di specialità presuppone che fra le due norme in contrasto vi sia un rapporto da genus a species. Che una di esse sia, appunto, generale; e l’altra speciale. Per definizione, la norma speciale è dettata «per materie particolari all’interno di un tipo più generale»[36] e dunque disciplina una «ipotesi particolare – o comunque più limitata […] rispetto a quella che disciplina l’ipotesi generale o comunque più ampia»[37].
Questo significa, a rigor di logica, che i due poli della relazione devono esser delimitati nel loro ambito applicativo, sì da ben individuare quello speciale rispetto a quello generale e viceversa; non diversamente dall’insiemistica, dove l’insieme più grande contiene quello più piccolo: l’insieme più grande è definito nella sua area contenutistica sì che quello più piccolo possa esser determinato in relazione a esso.
La norma generale e quella speciale, dunque, devono avere una parziale sovrapposizione quanto all’ambito di applicazione: che non si tratta, però, di una sovrapposizione liminare o di confine, o dettata da limiti indefiniti e sfumati, bensì – al contrario – ben determinata e con una sistematica precisa. L’ambito di applicazione della norma generale dev’essere più ampio di quella speciale e deve contenerlo per intero e inglobarlo perfettamente.
Ebbene. L’interpretazione che la Plenaria fa delle lett. c) ed f-bis) ha proprio questo presupposto. Per il Giudice, le due norme avrebbero un ambito applicativo comune, seppure non esattamente identico. Posto che la lett. c) disciplina anche il caso delle omissioni, viceversa estraneo alla lett. f-bis), essa recherebbe un «elemento specializzante» circa il falso: la lett. c), in altre parole, si applicherebbe alle dichiarazioni false – esattamente coma la lett. f-bis) – purché queste siano anche «suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione».
Quindi, seguendo questa operazione ermeneutica, laddove le informazioni false non siano anche in grado di sviare l’operato della pubblica Amministrazione, si applicherebbe la regola generale – e quindi, residuale – di cui alla lett. f-bis).
Il risultato, però, non convince per più ragioni.
Una ragione teorica, anzitutto. Che sembra, peraltro, velatamente “confessata” in un passaggio della sentenza in commento. Come detto, nella relazione di specialità i due poli devono avere ambiti di applicazione specifici e determinati. Qui, però, se il polo “speciale” sembra avere un suo ambito applicativo determinato (riguardando tutte quelle informazioni false che abbiano anche attitudine decettiva nelle determinazioni di gara della Stazione appaltante), viceversa quello “generale” (le informazioni false tout court) non pare altrettanto focalizzato. Il Giudice amministrativo ammette, infatti, che per il vero le ipotesi di applicazione residuale della lett. f-bis) sono «di non agevole verificazione». Se non altro perché il Giudice stesso le individua (solo in via astratta) in negativo: sarebbero ipotesi in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione del provvedimento di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima. Resta poco chiaro, però, in concreto, quando possano verificarsi tali ipotesi in una procedura a evidenza pubblica. Quindi, dal punto di vista teorico, la relazione, avendo un polo determinato (la species) e uno indeterminato (il genus), presta il fianco a qualche perplessità.
Una ragione pratica, di poi. L’applicazione del criterio di specialità al contrasto antinomico tra le lett. c) ed f-bis), così come modellato dalla Plenaria, implica che si dovrebbe riservare alle informazioni false tout court la sanzione dell’esclusione automatica; mentre a quelle – pur false – che abbiano però pure attitudine decettiva, la sanzione dell’esclusione eventuale previa verifica motivata della Stazione appaltante. La norma speciale sembra prevedere cioè una sanzione più blanda (o comunque più procedimentalizzata e meno immediata) rispetto a quella generale (o residuale): ma la prevede per una fattispecie che è più grave rispetto a quella generale. Si profila un paradosso: l’operatore economico che fornisce alla Stazione appaltante una informazione falsa e – in ipotesi – del tutto ininfluente rispetto alla procedura di gara, subisce l’esclusione automatica e obbligatoria ex lett. f-bis); viceversa, l’operatore che dichiari il falso, manipolando la realtà, con una attitudine a deviare l’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti di gara (relativi all’ammissione, alla selezione, alla valutazione e all’aggiudicazione: in pratica, tutta la procedura), è soggetto alla lett. c) e dunque ha diritto (essendovi la p.A. tenuta) alla previa valutazione in concreto dell’incidenza di quel falso sulla sua affidabilità, essendo l’esclusione soltanto eventuale e comunque motivata.
Ci si domanda che cosa potrebbe accadere se si assumesse un diverso dato ermeneutico di partenza. E cioè che, in realtà, le due norme possano avere due diversi ambiti applicativi.
Il Collegio sembra dichiarare l’identità di ambito d’applicazione sulla base di una equazione: e cioè che le «informazioni false» di cui alla lett. c) equivalgano alle «dichiarazioni non veritiere» di cui alla lett. f-bis).
Tuttavia, non è detto che a «informazioni» e «dichiarazioni» il legislatore volesse attribuire il medesimo ambito semantico. È vero che – come afferma il Collegio – le dichiarazioni (o i documenti) costituiscono il veicolo delle informazioni. Tuttavia, esse potrebbero distinguersi quanto alla loro formalizzazione. È cioè possibile che il legislatore si riferisca alle «informazioni» quando intenda un qualunque dato che sia comunicato alla Stazione appaltante (per esempio, dati relativi alla compagine sociale o alla suddivisione delle quote societarie); viceversa, il termine «dichiarazioni» potrebbe esser riferito a quegli atti di (auto)certificazione, di cui al D.P.R. n. 445/2000, che – come tali – hanno un preciso valore giuridico di sicurezza nell’ordinamento, perché destinati a far fede. Come tali, la loro manipolazione è assistita – ragionevolmente – dalla sanzione dell’esclusione tout court dalla procedura di gara[38].
In secondo luogo, anche gli aggettivi «falso» (riferito alle informazioni, lett. c)) e «non veritiero» (riferito alle dichiarazioni, lett. f-bis)) potrebbero non avere identico significato: poiché «falso» significa – come pure avverte il Giudice – che v’è stata in positivo una manipolazione della realtà, implica l’alterazione dei dati; viceversa, «non veritiero» include il falso, ma non si limita a quello, poiché non veritiera è la dichiarazione anche mendace, anche parziale, anche menzognera, anche semplicemente reticente.
L’intento del legislatore, dunque, potrebbe esser stato quello di tener distinti questi tipi di obblighi informativi. Vi sarebbe, cioè, una norma (lett. c)) che punisce con sanzione più blanda e più meditata l’operatore economico che fornisca alla Stazione appaltante una qualsiasi informazione falsa, a seconda che essa abbia effettivamente inciso nel processo decisionale della procedura evidenziale; e un’altra (lett. f-bis)) che, viceversa, sanziona con misura automatica l’operatore economico che presenti un’autocertificazione falsa, mendace, menzognera o reticente o comunque non aderente al vero. Questo perché, presentando una «dichiarazione non veritiera» il concorrente non turba solo la procedura cui sta partecipando, ma lede interessi generali di certezza del diritto che sono tutelati proprio con quelle disposizioni che sanzionano la sicurezza giuridica proveniente da dichiarazioni asseverate e autocertificazioni anche con la responsabilità penale. Non diversamente da quanto accade, per esempio, nella legge generale sul procedimento amministrativo quanto alle attività avviate con dichiarazione falsa o mendace e sanzionate ai sensi dell’art. 21, l. n. 241/’90[39] anche con la decadenza automatica dai benefici di cui all’art. 75, D.P.R. n. 445/2000.
Pertanto, il criterio di specialità ricostruito e applicato dalla Plenaria ha il pregio inequivocabile di offrire in generale nel sistema una maggiore sicurezza perché – di fatto – afferma la prevalenza e l’applicazione più generalizzata dell’art. 80, comma 5, lett. c), obbligando le Stazioni appaltanti a una previa valutazione discrezionale e motivata prima di escludere un concorrente dalla procedura. È una decisione di favore per il settore dei contratti pubblici, che evita l’esposizione dei concorrenti al pericolo di una sanzione espulsiva immediata per aver fornito informazioni non perfettamente aderenti al vero. È una decisione che incoraggia insomma all’applicazione del principio di proporzionalità nelle sanzioni.
Resta però in ombra l’ambito applicativo della lett. f-bis) del comma 5 dell’art. 80: che, da norma generale, in realtà sembra trovare un’applicazione limitatissima e non ben focalizzata. Sarà pertanto la futura casistica a determinare le ipotesi di verificazione delle fattispecie concrete che indurranno all’applicazione dell’esclusione automatica, sulla scia del principio dettato dall’Adunanza plenaria.
[1] La certezza giuridica nell’ambito del diritto amministrativo sostanziale e processuale è un valore al quale la giurisprudenza e il legislatore tendono sempre più, stante la sua immediata influenza sugli investimenti che possono risollevare il tessuto economico statale. In proposito v. F. Francario, Il diritto alla sicurezza giuridica. Note in tema di certezza giuridica e giusto processo, in Dir. soc., n. 1/2018, pp. 11 ss.; Id., Certezza del diritto ed operatori economici: note a margine di recenti riforme, in AA.VV., Le fonti nel diritto amministrativo, Annuario AIPDA 2015, Napoli, 2016, pp. 269 ss. Nonché, in correlazione con la certezza dei poteri giurisdizionali, M.A. Sandulli, Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica, Federalismi.it, n. 14/2018; Id., Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il Processo, n. 3/2018; Id., Ancora sui rischi dell’incertezza delle regole (sostanziali e processuali) e dei ruoli dei poteri pubblici. Postilla a “Principi e regole dell’azione amministrativa. Riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale”, in Federalismi.it, n. 11/2018.
[2] In ossequio all’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, «La stazione appaltante verifica, conformemente agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l’operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell’articolo 80. Essa impone all’operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in cui l’operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di requisiti tecnici».
[3] Ai sensi del quale, «nel caso di dichiarazioni mendaci, […] la stazione appaltante esclude il concorrente».
[4] Art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50/2016: «Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni […] qualora: […] l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere».
[5] Tar Puglia, Lecce, I, 22 maggio 2019, n. 846.
[6] Tar Puglia, Lecce, n. 846/2019, cit.: l’Amministrazione deve «poter fare affidamento non solo sul possesso dei requisiti allegati ma, più in generale, sulla rispondenza al ‘vero’ delle complessive circostanze in fatto auto-dichiarate dai concorrenti con riguardo agli stessi».
[7] Come rilevato da consolidata giurisprudenza, il falso innocuo – che si verifica allorquando «l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio» (cfr. da ultimo Tar Bologna, II, 29 gennaio 2020, n. 79) – non trova applicazione nelle procedure a evidenza pubblica: il falso, infatti, può dirsi innocuo quando non incide neppure minimamente sugli interessi tutelati, mentre nelle procedure a evidenza pubblica «la completezza delle dichiarazioni già di per sé costituisce un valore da perseguire perché consente la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara e una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o meno di partecipare alla procedura competitiva» (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 3 giugno 2013, n. 3045; Tar Trentino Alto Adige, Trento, I, 12 marzo 2014, n. 89; Tar Abruzzo, Pescara, I, 12 ottobre 2015, n. 387; Tar Calabria, Catanzaro, I, 20 novembre 2017, n. 1753).
A quest’orientamento se ne oppone un altro più moderato, per il quale «gli istituti del “falso innocuo” od “omissione innocua” […] richiedono un controllo sostanziale, e non meramente formale, sui requisiti di partecipazione da parte della stazione appaltante» (Tar Lazio, I, 01 giugno 2015, n. 7744). Questa seconda opinione ritiene cioè che dalla dichiarazione non veritiera (falsa, mendace o reticente che sia) non possa derivare la sanzione automatica dell’esclusione: la Stazione appaltante ha un potere discrezionale di apprezzamento sulle circostanze non dichiarate in relazione alla loro effettiva rilevanza nella procedura di specie.
Sul tema v. anche P. Provenzano, La teoria del “falso innocuo” in materia di dichiarazioni ex art. 38 d.lg. n. 163 del 2006 al vaglio della Corte di Giustizia, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 1/2013, pp. 234 ss.; E.M. Barbieri, In tema di appalti pubblici e requisiti generali di partecipazione. Omessa dichiarazione e falso innocuo, in Nuovo not. giur., n. 1/2013, pp. 186 ss.; D. Bottega, Il “falso innocuo” nelle procedure ad evidenza pubblica, in Contr. St. Enti Pubbl., n. 2/2016, pp. 67 ss.; A.C. Bifulco, Il c.d. “falso innocuo”: riflessioni a margine di una ordinanza cautelare del TAR Campania, in Giustamm.it, n. 12/2016, pp. 12.
[8] Tar Puglia, Lecce, n. 846/2019, cit.: «la circostanza che la dichiarazione de qua non incidesse in modo rilevante sulla sussistenza del requisito di partecipazione alla procedura (cifra d’affari nel triennio, ampiamente superata anche senza tener conto dei lavori della General Works Italia), infine, non risulta significativa, perché il Consorzio avrebbe dovuto rappresentare alla Stazione appaltante l’effettiva propria posizione quanto al requisito in parola» (corsivo originale).
[9] Cons. Stato, V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332.
[10] Val la pena di ricordare che la vicenda in questione, per quanto recente, vede l’applicazione ratione temporis di una versione dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 oggi superata: l’art. 5, d.l. n. 135/2018, conv. dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12, ha infatti sdoppiato la precedente lettera c) del comma 5 dell’art. 80 nelle successive c-bis) e c-ter), pur mantenendo nella lett. c) la previsione di portata generale circa le dichiarazioni non veritiere.
[11] Cons. Stato, ord. n. 2332/2020, cit.
[12] La pervasività del principio di buona fede nel diritto amministrativo è testimoniata dai frequenti riferimenti in dottrina e in giurisprudenza. Nella sterminata biografia non ci si può esimere dal citare F. Merusi, Affidamento e buona fede nel diritto pubblico, Milano, 1970; Id., Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all’alternanza, Milano, 2001. Prima ancora di questo studio fondamentale, v. anche U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965. Secondo l’A. l’imparzialità amministrativa comporta che le relazioni tra Amministrazione pubblica e cittadini devono ispirarsi alla buona fede, in quanto l’imparzialità pone la p.A. in una posizione comprensiva delle posizioni degli amministrati, per la necessaria considerazione dei loro interessi e tale situazione comporta che essa debba comportarsi secondo buona fede. Cfr. anche A. Mantero, Le situazioni favorevoli del privato nel rapporto amministrativo, Padova, 1979; P.M. Vipiana, L’autolimite della pubblica amministrazione, Milano, 1990; F. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995; di recente, v. anche A. Gigli, Nuove prospettive di tutela del legittimo affidamento nei confronti del potere amministrativo, Napoli, 2016.
E. Follieri, Il rapporto giuridico amministrativo dinamico, in Giustamm.it, n. 12/2017, parla di comportamento secondo buona fede, corretto e leale: questi obblighi comportamentali gravano tanto sulla p.A., quanto sul privato. L’A. assimila il procedimento amministrativo in generale alle trattative contrattuali: questo, dunque, esattamente come le trattative nel diritto privato, è permeato dai principi di buona fede e correttezza dall’avvio fino alla sua conclusione.
[13] Lo testimonia la corposa giurisprudenza in materia di responsabilità precontrattuale, per la quale «anche i soggetti pubblici, sia nelle trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica che nelle procedure di gara, devono improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza, sancito dall’art. 1337 c.c., non dovendo determinare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero tradire, senza giusta causa, affidamenti ingenerati legittimamente» (Tar Lazio, II, 9 luglio 2018, n. 7628). Anche l’Adunanza plenaria n. 5/2018 ha affermato, superando il contrario prevalente orientamento, che la responsabilità precontrattuale della p.a. possa perfezionarsi anche prima dell’aggiudicazione, perché la p.a. è tenuta al dovere di buona fede in tutte la fasi della procedura di gara.
[14] Tar Campania, Napoli, I, 4 febbraio 2019, n. 598.
[15] Cons. Stato, V, 24 gennaio 2019, n. 586; Id., V, 25 gennaio 2019, n. 591; Id., V, 3 gennaio 2019, n. 72; Id., III, 27 dicembre 2018, n. 7231; Id., V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 11 giugno 2018, n. 3592; Id., 25 luglio 2018, n. 4532; Id., 19 novembre 2018, n. 6530; Id., III, 29 novembre 2018, n. 6787.
[16] Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171, cit.; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142.
[17] Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605, che ha dichiarato illegittima per violazione del principio di proporzionalità l’esclusione da una gara per grave illecito professionale basata su una precedente risoluzione contrattuale ante triennio.
[18] Lo impone il diritto europeo: art. 57, par. 7, dir. 2014/24/UE. In proposito, le Linee guida ANAC, delib. n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, 26 ottobre 2016, n. 2286, hanno affermato proprio la diretta applicazione nell’ordinamento statale della previsione di cui all’art. 57, par. 7, citato.
[19] Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142, cit: l’omissione comprende la reticenza, cioè l’incompletezza dell’informazione dichiarata.
[20] Cons. Stato, V, 12 aprile 2019, n. 2407: la falsità implica dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero.
[21] Anche qui, peraltro, può distinguersi tra dichiarazioni fuorvianti “in negativo”, cioè quelle reticenti (la c.d. mezza verità od omissione parziale, per cui l’attitudine decettiva si manifesta nel “non detto”); e fuorvianti “in positivo” (la c.d. mezza falsità, per cui l’attitudine decettiva si manifesta nella manipolazione dei dati reali).
[22] Elementi relativi «alla persistente validità del rapporto consortile in presenza di una delibera di sospensione; e alla possibilità di cumulare la cifra d’affari comunque realizzata nel triennio in considerazione dalla consorziata, ancorché priva di un’attestazione SOA», cfr. punto 9 in diritto della sentenza qui annotata.
[23] Nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie, la disposizione oggetto d’analisi era così formulata: «5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni […] qualora: c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: […] il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione; […] f-bis) l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere».
Oggi, la disposizione è stata modificata lasciando inalterata la lett. f-bis) e con una specificazione delle ipotesi sub lett. c) nelle lettere c-bis) e c-ter). Per cui l’attuale formulazione, per quel che qui rileva, è: «5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico […] qualora: […] c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».
Le disposizioni da coordinare erano dunque contenute nelle lett. c) e f-bis); oggi, invece, sono contenute nelle lettere c-bis) ed f-bis).
[24] Le informazioni “false” o “fuorvianti” costituiscono due fattispecie differenti, equiparate sul piano degli effetti.
[25] Lo confermano le linee guida ANAC, del. n. 6/2016 e il parere Cons. Stato, Comm. sez. spec., 13 novembre 2018, n. 2616, sulle stesse: il Consiglio di Stato, in quell’occasione, forniva anche una proposta di riformulazione dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 che regolasse meglio i rapporti tra fattispecie generale di grave illecito professionale e fattispecie tipizzanti («Riguardo alla condivisibile esigenza, rappresentata dall’ANAC nella relazione illustrativa, di specificare il rapporto che intercorre, nell’ambito dell’art. 80, tra fattispecie generale e fattispecie tipizzanti, si prospetta e si affida alla valutazione anche di opportunità di codesta Autorità la possibilità di una generale riformulazione dell’incipit del capitolo II delle linee guida, anteponendo all’elencazione delle tre classi tipologiche rientranti nel genus “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, la seguente proposizione introduttiva […]: «Possono costituire grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico, in via esemplificativa e non esaustiva, le seguenti tipologie di atti e di condotte […]», cfr. punto 7.2. del parere).
[26] Questa osservazione è fornita dal tenore letterale della norma, cfr. nota 23 nella quale è stata inserita per esteso. Oggi, come detto, la lett. c) è stata scissa ed è stato espunto quell’inciso per cui tra i gravi illeciti professionali «rientrano» le informazioni false, omesse o fuorvianti. L’espunzione, ad ogni modo, non suggerisce oggi una lettura diversa della disposizione, poiché la lett. c-bis) è comunque una sottocategoria della lett. c) circa i gravi illeciti professionali.
[27] La valutazione non può essere omessa nemmeno quando si tratta di procedimenti penali. Infatti «non tutto ciò che va dichiarato dall’operatore economico concorrente in gara, in quanto penalmente rilevante, si presta poi a essere utilizzato per escluderlo dalla gara: i fatti avranno rilievo a tal fine, solo se capaci di evolvere in illecito professionale. Ma tale valutazione spetta alla Stazione appaltante, che deve essere posta nelle condizioni di compierla grazie a una dichiarazione esaustiva» (Tar Lazio, II, 28 luglio 2020, n. 8821).
[28] Sul punto v. da ultimo A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, Torino, 2020, spec. pp. 326 ss.
[29] Sebbene su vicenda disciplinata dal vecchio codice appalti, già il giudice di legittimità si era pronunciato circa l’estensione dei poteri giurisdizionali rispetto alla valutazione discrezionale della Stazione appaltante. Cfr. Cass., Sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312: «A norma dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di prestazioni affidate dalla medesima stazione che bandisce la gara; il legislatore, quindi, ha voluto riconoscere a quest’ultima un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore. Ne consegue che il sindacato che il G.a. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera “non condivisibilità” della valutazione stessa; l’adozione del criterio della “non condivisione” si traduce, infatti, non in un errore di giudizio – insindacabile davanti alle Sezioni unite della Corte di Cassazione – ma in uno sconfinamento nell’area della discrezionalità amministrativa, ossia in un superamento dei limiti esterni della giurisdizione tale da giustificare l’annullamento della pronuncia del G.a.».
[30] Art. 15 c.p.: «Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito».
[31] A.G. Pietrosanti, Sui gravi illeciti professionali previsti dall’art. 80, comma 5, lettera c) del d. lgs. n. 50/2016, in Riv. giur. ed., n. 4/2018, pp. 209 ss.
[32] Cfr. la celeberrima voce di V. Crisafulli, Disposizione (e norma), in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, pp. 195 ss.
[33] Un riferimento necessario e di ampio respiro è in P. Perlingieri, Istituzioni di diritto civile, Napoli, 2017, pp. 10 ss.
[34] Che riguarda l’abrogazione delle leggi. Il criterio di specialità è definito dall’art. 15 c.p.: questo ne spiega anche la frequente applicazione, anche qui con incertezze, nell’ambito delle sanzioni amministrative. Cfr. A. Travi, Incertezza delle regole e sanzioni amministrative, in Dir. amm., n. 4/2014, pp. 627 ss., per il quale il soggetto pubblico ha il dovere di chiarezza. Nell’ambito delle sanzioni amministrative, infatti, rileva anche l’ignoranza “inevitabile” della norma violata. Per l’A., «Questa rilevanza rispecchia la convinzione che anche la cogenza della legge incontri un limite preciso: il limite è rappresentato dalla necessità che chi pone le regole debba a sua volta rispettare alcuni principi. La condotta posta in essere in violazione di una regola “non certa” non è sanzionabile: l’esclusione della sanzionabilità, più a monte del riconoscimento della rilevanza della colpevolezza del trasgressore e dell’elemento soggettivo, richiama a un dovere essenziale di chiarezza e di univocità che grava su ogni soggetto pubblico che ponga una regola».
[35] La ricostruzione operata dalla plenaria suscita perplessità anche in G.A. Giuffrè e G. Strazza, Il rapporto tra le cause di esclusione di cui alle lettere c) e f-bis) dell’art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016: qual è l’ipotesi residuale?, in Lamministrativista.it, 14 settembre 2020.
[36] P. Perlingieri, Istituzioni di diritto civile, cit., p. 10, che così esemplifica: «(ad esempio, il trasporto via mare, disciplinato dal codice della navigazione, rispetto alle regole generali del trasporto di persone o cose dettate dal codice civile)».
[37] Sempre P. Perlingieri, Istituzioni di diritto civile, cit., p. 14.
[38] Aspetto, questo, rilevato anche da A.G. Giuffrè e G. Strazza, Il rapporto tra le cause di esclusione, cit., per i quali la differenza tra la lett. c) e la lett. f-bis) sta solo nell’elemento oggettivo, e cioè nella differenza tra «dichiarazioni» e «informazioni». Gli AA. limitano così la discrezionalità della Stazione appaltante alla sola valutazione circa la possibilità delle informazioni false di sviare la sua scelta in sede di gara, non anche l’esclusione: la quale – se quell’attitudine decettiva è ritenuta esistente – è invece atto vincolato.
[39] Che peraltro punisce il dichiarante che abbia rilasciato dichiarazioni mendaci o false attestazioni anche ai sensi dell’art. 483 c.p., disposizione relativa al falso ideologico in atto pubblico che sanziona con la reclusione «chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità». La norma della legge generale sul procedimento amministrativo è foriera di molti problemi applicativi, specie in materia edilizia. V. in proposito, M.A. Sandulli, Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, in Federalismi.it, n. 14/2015; Id., Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, ivi, n. 18/2019. Circa la difficoltosa distinzione tra dichiarazione falsa e mendace e sull’influenza di questa demarcazione rispetto alle sanzioni (ivi compresa la mancata formazione del silenzio assenso sull’istanza presentata dal privato) cfr. L. Ferrara, Sulla formazione del silenzio assenso e sulla necessità di una lettura di sistema, in P.L. Portaluri (per cura di), L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, 2016, pp. 107 ss.